L’origine de ‘L’origine dell’opera d’arte’
1) L’ontologia fondamentale
Se consideriamo gli scritti e le lezioni (adesso pubblicate) del periodo dell’ontologia fondamentale, potremmo dire che l’arte intesa nel senso della parola greca techne è ovunque presente come argomento, ma non lo è affatto in forma originaria, ursprünglich. Desidero chiarire questo punto.
Il progetto dell’ontologia fondamentale intende provare che c’è un solo punto centrale per capire i vari significati dell’Essere, ossia il tempo finito dell’essere che noi stessi siamo, il Dasein. Per dimostrare che la questione del significato dell’Essere trova risposta nel tempo finito e mortale, che è in fondo il Dasein, Heidegger giunge a considerare proprio l’Essere dell’Esserci come il terreno dell’ontologia. Questo fa sì che l’ontologia del Dasein diventi la base dell’ontologia fondamentale. Grazie alla pubblicazione e/o alla grande diffusione delle lezioni dei corsi universitari tenuti da Heidegger a Marburgo prima della pubblicazione di Essere e Tempo, ed in particolare il corso sul Sofista di Platone e quello su
I concetti fondamentali della filosofia antica, è oggi possibile comprendere che Heidegger
elaborò l’articolazione della sua ontologia fondamentale specialmente grazie alla meditazione decennale su Aristotele, e più specificatamente grazie a una peculiare riappropriazione dell’Etica Nicomachea, un’opera che, infatti, per lo Heidegger di quel tempo, era la prima ontologia del Dasein.
Ora: l’arte, la cui parola in greco è techne, è tra i temi dell’Etica Nicomachea. Come si occupa dell’arte questo testo? Lo studio di Aristotele analizza i livelli più alti della dimensione dianoetica (virtù intellettuali), al fine di determinare il loro grado. Le virtù intellettuali hanno due livelli: ad un livello più basso troviamo le virtù deliberative, ad uno più elevato quelle epistemiche. La techne, l’arte, è una virtù intellettuale, ma è collocata al livello inferiore, al livello più basso delle virtù deliberative. È una virtù intellettuale perché è un modo per dischiudere, scoprire, aletheuein, rivelare. È perciò un modo per conoscere la verità. Come modo per conoscere la verità, e persino di essere-nella-verità; comunque, la
techne è strettamente connessa con una specifica attività: l’attività del produrre, poiesis, che consiste nel porre in opera (energhein) ciò che la techne rivela. Nel quadro aristotelico, l’origine dell’opera d’arte (dell’ergon del technites) è la poiesis, l’attività produttiva, ma la stessa attività produttiva ha la sua origine nell’arte, nella techne come modalità del disvelamento, dell’aletheuein. «L’origine dell’opera d’arte è arte» è una stretta affermazione aristotelica. Analogamente, è strettamente aristotelico dichiarare che l’essenza dell’arte poggia su di un accadere della verità. Comunque, nell’Etica aristotelica, sia l’arte che l’attività, guidate e permeate dalla poiesis, soffrono di una intrinseca mancanza. Sono deficitarie perché il telos dell’attività produttiva guidata dalla techne non è nell’agente ma al di fuori di esso. È l’ergon. A dirla tutta, il principio per il processo produttivo è nell’agente (è il modello che l’agente ha nella sua visione) e quindi è un livello alto. Ma è un livello alto carente, dal momento che si risolve nel prodotto, nell’ergon, al di fuori dell’agente.
Una siffatta mancanza non caratterizza il grado deliberativo più alto, cioè la phronesis, un modo dell’aletheuein, del disvelamento, che si conforma ad una attività che non è più
poiesis, ma praxis, azione nel senso della condotta di un individuo nella sua vita tra altri
individui e le varie presenze. La phronesis, o giudizio pratico, è la virtù deliberativa più alta, nella misura in cui né il suo principio, la sua arché, né il suo fine, il suo telos, cadono al di fuori dell’agente stesso. Infatti, il principio della phronesis è una opzione prioritaria
85 dell’agente per fare il bene, il suo fine è il fare bene dell’agente. La phronesis non è altro che la risolutezza nel fare il bene.
Per Aristotele, comunque, la phronesis non è il grado massimo. Sia l’arte che la
phronesis sono connesse all’ambito del perituro in generale. E la phronesis è strettamente
confinata entro l’ambito degli affari umani, che non può essere l’ambito più elevato, dal momento che gli esseri umani, poiché sono mortali, non sono ciò che c’è di più alto nel mondo. Più alto dell’aion, il tempo finito dei mortali, è l’aei, l’imperituro, che è per sempre ciò che è e come è.
Due gradi sommi dianoetici (o virtù) riguardano l’aei. Sono le virtù epistemiche:
epistheme e sophia. Entrambe queste virtù sono conformi ad un modo di comportarsi che
è più elevato sia della poiesis che della praxis. . Quel modo di comportarsi è la theoria. Le due virtù della theoria dischiudono e disvelano, e non hanno niente a che fare con il perituro. Infatti l’epistheme ha a che fare con entità immutabili, come le figure matematiche. E la sophia, il più alto grado intellettuale, riguarda la struttura ontologica della totalità degli enti e l’essere sommo, il motore immobile, che è il principio di tutti i movimenti tra gli esseri della physis. Secondo Aristotele, la contemplazione di quell’ambito immutabile è, per un essere mortale, il modo più autentico di essere. Fin quando questa contemplazione dura, lo spettatore mortale giunge vicino al divino.
Egli raggiunge l’eudaimonia o l’autenticità, nel senso di essere se stesso al massimo grado.
L’ontologia fondamentale di Heidegger è sia una riappropriazione che una critica delle osservazioni di Aristotele. Concorda a fondo con la distinzione di Aristotele tra la techne come modo di apertura adatto alla produzione di artefatti o di effetti, e la phronesis, come modo di apertura per la condotta della vita umana.
In altre parole, è d’accordo con la distinzione di Aristotele tra arte come adatta alla produzione e phronesis come adatta alla praxis. Ma si riappropria della distinzione in termini ontologici, il che significa che essa è trasposta nella distinzione, da una parte, tra un quotidiano modo d’essere affaccendato e preoccupato dalle finalità conseguibili per mezzo degli utilizzabili e la loro disponibilità-alla-mano, rivelata da una specifica pre- visione e, d’altra parte, un autentico modo di essere che ha cura dell’essere più proprio del
Dasein, l’esistenza, ed è illuminato dalla risolutezza.
La riappropriazione di Heidegger include anche una concordanza con Aristotele sul privilegio della theoria. Ma questa riappropriazione implica nuovamente una metamorfosi ontologica.
Ciò che è in gioco nel concetto aristotelico della massima forma di theoria è la conoscenza dell’Essere degli esseri; questa conoscenza in Aristotele è tutt’uno con la scienza dell’essere sommo, la teologia. Questa prospettiva, reclama Heidegger, implica sia ambiguità che indeterminazione. Una ambiguità, dato che la scienza dell’Essere (ontologia) si confonde con la scienza del divino (teologia). Una indeterminatezza, poiché, per Aristotele, così come per tutti i Greci, il significato dell’Essere è limitato all’ousia, alla presenza nel senso della Vorhandenheit, presenza-sotto-mano, una presenza la cui prerogativa suppone, inoltre, che solo un modo del tempo è preso in considerazione. L’obiettivo dell’ontologia fondamentale è di superare sia l’ambiguità che l’indeterminatezza. Supera l’ambiguità mostrando che l’eternità del motore immobile è un concetto derivato dalla quotidianità, nella quale infatti la nostra arte, il nostro saper-come, il disvelamento pre-veggente e progettuale del nostro ambiente, richiede più e più volte una permanenza, cioè la stabile persistenza della natura. Ma questo interesse e fascinazione per la permanenza, afferma Heidegger, non è nient’altro che un modo per sfuggire al nostro più proprio poter essere, allontanarsi dalla nostra più propria esistenza e dal suo tempo finito. Dunque, è prendendo in considerazione il nostro proprio tempo finito come originario, un tempo in cui prevale la progettualità del futuro e la ripetizione del
86 passato, che l’ontologia fondamentale supera anche ciò che rimane indeterminato nel significato dell’Essere quando quest’ultimo è limitato a una semplice presenza.
Questo richiamo schematico è sufficiente, credo, a mostrare che, nel quadro dell’ontologia fondamentale, l’arte non è in alcun modo originaria, anche quando è intesa come una modalità di disvelamento. Al contrario, l’arte come techne e l’attività del mettere in opera da essa guidata sono secondarie, sono derivate: in una posizione di secondo grado rispetto a ciò che è propriamente nostro, la nostra esistenza e il nostro tempo finito.
Troviamo conferma di questo, per quanto riguarda le belle arti, nel modo in cui Heidegger tratta I quaderni di Malte Laudris Brigge di R. M. Rilke nella lezione del corso del 1927, I problemi fondamentali della fenomenologia3. Le note di Heidegger provano
che per lui, a quel tempo, il poeta non può essere considerato allo stesso livello del pensatore. Il poeta non può andare oltre una inappropriata o inautentica comprensione dell’esistenza, perché, mentre ha il presentimento di cosa è l’esistenza, non progetta l’esistenza sulle cose o sul modo d’essere delle cose.