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La conferenza del novembre del

L’origine de ‘L’origine dell’opera d’arte’

4) La conferenza del novembre del

Cosa dire a proposito della conferenza del novembre del 1935: Vom Ursprung des

Kunstwerkes, Sull’origine dell’opera d’arte? (Uka)22 Come ho detto, ci sono due versioni.

Dal momento che si susseguono l’un l’altra in un periodo limitato, si potrebbe suppore che la prima è la bozza della seconda. E dal momento che sono separate dal corso di lezioni,

Introduzione alla Metafisica, da un breve arco di tempo, si può supporre che entrambe

seguano la direzione di pensiero sviluppata in quel corso di lezioni. Comunque, il peso del lascito dell’ontologia fondamentale, incluse le modifiche che ho menzionato, è più evidente nella bozza che nel manoscritto della conferenza.

Il punto qui non è, come sarà in seguito, «vedere l’enigma dell’arte», ma, come insiste Heidegger all’inizio della bozza, «solo di preparare un cambio della posizione fondamentale (Grundstellung) del nostro Esserci attraverso l’Arte» (Uka 2); e questa stessa frase è già presente nella Introduzione alla Metafisica. La preparazione di una tale modifica implica un superamento dell’approccio alle opere d’arte in termini di

Vorhandenheit, presenza-sotto-mano. Un tale approccio è cieco dinnanzi al significato più

proprio della parola ‘origine’, Ur-sprung, balzo originario. Per questo ‘origine’ non significa semplicemente la causa del prodotto dell’arte nei processi psicologici dell’artista, perché questo non consente all’opera di essere se stessa. E quando l’approccio usuale sembra essere questo, esso tratta l’opera come un oggetto per un business artistico in cui l’opera è spiegata, mantenuta, restaurata, criticata, e apprezzata. E, però, l’opera non è né un oggetto, né un prodotto. Guardandola in questo modo, perdiamo la sua origine. Ci approcciamo all’origine solo balzando via dalla pubblica inquietudine del Kunstbetrieb. Chiaramente il balzo è qui inteso come un andar via dalla pubblicità del Si (das Man) della quotidianità. Questo rivela la continuità tra questa lezione e l’ontologia fondamentale. E, infatti, non appena Heidegger nella prima parte della prima bozza approccia l’opera d’arte come un’opera, sottolinea che l’essere manifesto dell’opera non ha nulla a che fare con la disponibilità per un pubblico. Scrive: «l’unica relazione dell’opera verso il pubblico, dove ce n’è una, è che la prima fa venire meno quest’ultimo. La grandezza dell’opera è misurata dal suo potere distruttivo» (Uka, 3). In altre parole, ad essere in questione qui nell’ontologia fondamentale è la distinzione tra quotidianità e autenticità, tra presenza- sotto-mano ed esistenza. Questo è confermato dal modo in cui Heidegger descrive i due tratti fondamentali dell’essere-opera dell’opera, cioè, mondo e terra.

Il mondo che è aperto dall’opera non è né la somma delle presenze-sotto-mano, né il quadro di riferimento di essa, né un oggetto di fronte a noi. È come un conduttore e accompagnatore che è «più essente di tutte le cose presenti-sotto-mano e che si può intuire in mezzo a loro, nella quotidianità in cui pensiamo di sentirci a casa. Il mondo è il sempre estraneo (Unheimische)». Cosa è all’opera nell’opera, dal momento che apre un mondo? È il «ritrarsi (Abweisung) dell’usuale presenza-sotto-mano» (Uka, 4).

L’altra caratteristica è la pro-duzione (Herstellung) della terra. La terra è qui descritta come «l’armonia di una insuperabile pienezza» che è «sia un Fondamento che un Abisso che essenzialmente nasconde se stesso» (Uka, 5-6). Ma è anche una durezza (Härte) che, poiché è in lotta o conflitto (Streit) con il mondo, richiede per uscire allo scoperto, la controdurezza di ciò che solitamente è chiamato Forma, Tratto (Riβ). Questa disputa apre

uno spazio di gioco, un Ci (Da) in cui un popolo perviene a se stesso. «Le opere grazie a cui questo Ci è aperto sono il tempio attorno alla statua del Dio, e i poemi, … in cui sono forgiati (vorgeprägt) per un popolo i suoi grandi concetti relativi alla totalità degli enti». La poesia è quindi l‘anticipazione della filosofia, come si legge nell’Iperione di Hölderlin o nel capitolo di Hegel sulla Religione dell’arte nella Fenomenologia dello Spirito.

22 M. Heidegger, Vom Ursprung des Kunstwerkes. Erste Ausarbeitung [1931/32], in “Heidegger Studies”, 5,

92 Questa descrizione dell’opera d’arte dà ad Heidegger l’opportunità di criticare i classici approcci all’opera in termini di materia e forma – concetti che sono adatti agli utensili, non alle opere d’arte. Altrettanto, l’approccio all’opera in termini di rappresentazione (Darstellung) è negato. Questa, per quanto elaborata possa essere, è una nozione in cui «la presenza-sotto-mano delle cose quotidiane opera come uno standard» (UKa, 9). E alla fine della descrizione, in continuità con lo schema di base dell’ontologia fondamentale, Heidegger insiste sulla ‘solitudine’ (Einsamkeit) dell’opera d’arte, di fronte alla «realtà comune» (Uka, 9), realtà che è scossa e colpita dall’opera stessa.

La seconda parte di questa prima bozza tratta invece dell’origine. L’origine è l’arte considerata nella sua essenza. Presa nella sua essenza, l’arte come l’origine è la vera storicità della verità, il suo Geschehen. Ancora emerge qui ovviamente la continuità con la prima ontologia fondamentale e la sua successiva espansione e trasposizione all’Esserci di un popolo. Heidegger insiste che la messa-in-opera è una necessità perché la verità accade solamente con e grazie all’opera. Ed essa accade solamente con l’opera perché la Verità deve essere progettata. In altre parole, i tratti storicità e di verità che in Essere e Tempo erano proprietà dell’autentica praxis o dell’esistenza pienamente temporale si rivelano essere adesso anche le proprietà di quella che ora è stata scoperta come la forma più elevata di poiesis e techne.

Ma il progetto poietico – la Dichtung, nel tedesco di Heidegger – richiede un luogo (locus) che è esso stesso dipendente dall’impatto dell’opera nel progetto poietico. Quel ‘luogo’ è il Dasein di un popolo; il che significa che il Ci (in quanto vera apertura della verità, o verità stessa nella sua storicizzazione) non ha altro luogo che il popolo. Così che in ultima analisi c’è un sapere della essenza dell’arte fino a quando il popolo è disponibile a ottenere «chiarezza quanto a chi siamo e chi non siamo». Questa chiara conoscenza presa come una volontà è anche una decisione per «ciò che è grande e ciò che è irrisorio, ciò che è coraggio e ciò che è codardia, ciò che è durevole e ciò che è transitorio, chi è Signore e chi è Schiavo». È questa chiara conoscenza come decisione con cui un popolo vuole se stesso ad essere il balzo decisivo nella prossimità dell’origine (Uka, 13).

Fino a questo punto, non vedo nessun significativo abbozzo di una svolta. A dire il vero, l’apertura di questo Ci, il suo carattere fondamentale, è radicato in uno ‘oscuro abisso’, nella terra stessa che è per un popolo ‘la sua terra’: essa si chiude in se stessa e resiste all’apertura. A dire il vero, «il balzo dell’origine rimane essenzialmente un segreto». Ma nonostante molte nuove parole, tutto questo è già presente in Vom Wesen der Wahrheit e

Vom Wesen des Grundes. E mi sembra altamente significativo trovare alla fine della prima

bozza la seguente frase che suona come un’eco al saggio del 1929 sulla Verità: «l’origine è un modo di quel fondamento la cui necessità chiamiamo Libertà» (UKa, 14).

Non c’è alcun abbozzo di una svolta nemmeno nel testo del 1935. Poche frasi sono sufficienti per mostrarlo. «Il mondo è ciò in cui il popolo perviene a se stesso». «Il mondo non è mai il mondo di tutti, dell’umanità generale; è per un popolo il suo mondo, il compito che gli è assegnato». «L’apertura del Ci, la Verità è solamente come Storia. E solo un popolo può essere storico, in quanto progettato verso il suo futuro, per riprendere ciò che è. Il popolo si fa carico di essere il Ci». «L’opera è un balzare in avanti (Vor-sprung) che punta a ciò che un popolo ha deciso di essere La verità accade solo fin tanto che è così decisa, in tal modo fondando nuovi domini di decisione»23.

23 L’autore traduce in inglese la versione francese De l’origine de l’oeuvre d’art a cura di Emmanuel

Martineau, pp. 26; 36; 44; 49; in italiano il testo come detto è in Dell’origine dell’opera d’arte e altri scritti, a cura di A. Ardovino, Aesthetica Preprint, Palermo, 2003; n.d.t.

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