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Il dialogo tra le Corti e le sentenze degli anni Settanta

1.9. Il principio pluralista nella Costituzione italiana

1.9.3 Dualismo e monismo nel dialogo tra Corte di giustizia e

1.9.3.2 Il dialogo tra le Corti e le sentenze degli anni Settanta

La sentenza n.183 del 1973 (Frontini) della Corte costituzionale segna una tappa decisiva nel percorso giurisprudenziale che ha visto l’ordinamento italiano giungere, dopo quasi vent’anni dall’adesione ai Trattati di Roma, al riconoscimento del primato del diritto comunitario sul diritto interno256.

Attraverso questa pronuncia il giudice delle leggi rompe con il precedente indirizzo giurisprudenziale adottato nel caso Costa/Enel.

In tale circostanza la Corte aveva escluso l’ipotesi di conferire rilievo costituzionale ai conflitti tra norme interne e norme comunitarie257 in ragione del rango primario della legge di ratifica dei trattati comunitari, nonché della mera natura permissiva riconosciuta all’articolo 11 Cost. ed al conseguente necessario ricorso al principio della lex posterior anche per la soluzione delle antinomie tra diritto interno e diritto comunitario. Mentre in riferimento al caso Costa/Enel la Corte costituzionale viene chiamata ad esprimersi sulla legittimità costituzionale di una legge ordinaria, nel caso affrontato nella sentenza n. 183/1973 la questione di costituzionalità verte sulla conformità della legge di esecuzione e ratifica dei trattati di Roma (Legge 1203/1957) e in particolare dell’articolo 2 che ha dato esecuzione all’articolo 189 Tce, con gli articoli 23, 70,71,72,73,74,75 Cost. (ordinanza rimessione Tribunale di Torino) e con gli articoli 70,76,77 Cost. (ordinanza rimessione Tribunale di Genova).

Il ricorrente lamentava che attraverso il recepimento dell’articolo 189 del Trattato Ce era stata riconosciuta efficacia obbligatoria ed immediata applicabilità ai regolamenti comunitari, fonti primarie aventi sì, forza e valore di legge ordinaria, ma emanate da organi diversi da quelli a cui la Costituzione ha attribuito l’esercizio della funzione legislativa.

In base all’atto di ricorso i regolamenti non risulterebbero, inoltre, coperti delle garanzie previste dal nostro ordinamento per la legge, ovvero, la promulgazione,

256 P.BARILE, Il cammino comunitario della Corte, Giur.cost, II, 1973, , p.2406-2419, G.PANICO,

La legittimità costituzionale della normativa comunitaria di effetto diretto: luci ed ombre della sentenza n. 183/1973, Riv.dir.eur. 1974, 200-233, J. V. LOUIS, Sur le thème: recours

constitutionnel et primanté du droit communautaire, Giur.Cost, III, 1973, p.3231.

257 La Corte si era pronunciata per l’inammissibilità della questione di costituzionalità avente ad

oggetto la presunta violazione dell’articolo 11 Cost., da parte della legge che andava a nazionalizzare la produzione e l’erogazione dei servizi di energia elettrica per il tramite della legge di esecuzione dei Trattati di Roma.

la pubblicazione, la promozione del referendum abrogativo ed il ricorso alla Corte costituzionale a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini. Anche la possibilità di imporre prestazioni patrimoniali tramite regolamenti viene ritenuta essere una previsione in contrasto con un’altra storica garanzia, quella della riserva di legge sancita all’articolo 23 Cost.

A legittimare i trasferimenti di sovranità derivanti dalla partecipazione alle Comunità europee, secondo i ricorrenti, non può essere chiamato in causa l’articolo 11 Cost. , perché oltre a essere una norma meramente programmatica, quand’anche venga impiegato come base legale per l’adesione ad organizzazioni internazionali, necessita che vengano adottate leggi costituzionali. Di contro, a sancire l’entrata italiana nella Ce era stata una legge ordinaria approvata in vista della partecipazione ad un’organizzazione internazionale che si pone finalità economiche e non di pace e giustizia come recita il dettato dell’articolo 11 Cost. Appellandosi alle norme contenute nel preambolo del Trattato, a quelle sui principi, sui fondamenti e sulla politica della Comunità, la Corte costituzionale dichiara che la legge di ratifica del Trattato Ce trova sicuro fondamento nell'articolo 11 Cost.

Collocato tra i principi fondamentali del nostro ordinamento, l'articolo 11 Cost. segna un chiaro e preciso indirizzo politico consistente nel predisporre le basi giuridiche della partecipazione italiana all'ONU e al contempo delineare dei principi programmatici di valore generale di cui la Comunità economica europea e le altre organizzazioni regionali europee costituiscono un'attuazione.

L'articolo 11 oltre a legittimare l'apertura dell'Italia a forme di collaborazione ed organizzazione internazionale, ha autorizzato le limitazioni di sovranità implicanti un parziale trasferimento agli organi comunitari dell'esercizio della funzione legislativa, esecutiva e giudiziaria in base ad un preciso criterio di ripartizione di competenze ratione materiae. Ribadendo un concetto già espresso nella sentenza n. 98 del 1965, la Consulta dichiara che attraverso il conferimento ed il riconoscimento di determinati poteri sovrani, l'Italia, insieme agli altri stati fondatori, ha dato vita ad un ordinamento autonomo ed indipendente, che sulla base dell'art.189 Tce attribuisce alla Commissione ed al Consiglio il potere di produrre atti aventi contenuto normativo generale, forniti di efficacia obbligatoria

in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli stati membri258. A questo punto la Corte precisa come tale attribuzione di potestà normativa abbia comportato come contropartita l'acquisizione di poteri nell' ambito della nuova istituzione, e segnatamente il diritto di nominare propri rappresentanti presso l'Assemblea ed il Consiglio e di concorrere alla formazione della Commissione e della Corte di giustizia. La Corte, ritornando su quanto affermato nella sentenza n. 14 del 1964, sottolinea poi come l'articolo 11 abbia valore sia sostanziale che procedimentale nel senso che autorizza, alle condizioni da esso fissate, delle limitazioni di sovranità che non comportano l'esercizio del potere di revisione costituzionale da parte del parlamento. I regolamenti devono avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli stati membri senza necessitare di provvedimenti interni di carattere riproduttivo, integrativo ed esecutivo, che possano differirne o condizionarne l'entrata in vigore e tanto meno sostituirsi ad

essi, derogarvi o abrogarli anche parzialmente259.

In particolare la Corte osserva come la necessità di emanare norme esecutive o di organizzazione o di provvedere a nuove o maggiori spese prive della copertura ex. art. 81 Cost., non può costituire condizione o motivo di sospensione dell'applicabilità della noma comunitaria.

In risposta all'accusa di illegittimità costituzionale volta dal ricorrente nei confronti dei regolamenti comunitari, la Corte costituzionale dichiara che la prima garanzia di legittimità prevista in riferimento a tali fonti, è data dal fatto che le istituzioni comunitarie adottano i regolamenti solo nell'ambito delle competenze loro attribuite dai trattati, infatti, l’ordinamento comunitario e l’ordinamento interno pur essendo due sistemi giuridici autonomi e distinti, sono coordinati secondo la ripartizione di competenze garantita dal trattato”260.

In secondo luogo, osserva la Corte, in riferimento all'esercizio delle funzione normativa è stata stabilita dal trattato Cee un'ampia gamma di tutele giuridiche

258 Punto 5, motivazione in diritto sentenza della Corte costituzionale n. 183 del 1973. 259 Punto 7, motivazione in diritto sentenza della Corte costituzionale n. 183 del 1973.

260 Nella precedente sentenza n. 98/1965 la Corte costituzionale aveva fatto riferimento a due

ordinamenti giuridici distinti e separati, nonché alla ripartizione di competenze quale criterio atto a delimitare gli effetti interni delle attività che gli organi comunitari sono legittimati a svolgere. Nella pronuncia n. 183/1973 interviene l’elemento della coordinazione quale ulteriore tassello aggiunto dal giudice delle leggi ai fini della configurazione della natura delle relazioni tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario, oggi ordinamento Ue.

volta alla produzione dei regolamenti: il controllo dell'Assemblea sull'operato di Commissione e Consiglio, la partecipazione del governo italiano e la vigilanza dei parlamenti nazionali, l'obbligo di motivazione e di riferirsi alle proposte od ai pareri richiesti in esecuzione del trattato, nonché la pubblicazione, a cui vanno aggiunte le tutele giurisdizionali di cui si fa garante la Corte di giustizia.

Sulla base di tale giudicato, la Corte costituzionale accetta in via astratta il principio del primato del diritto comunitario immediatamente applicabile sul diritto interno anche costituzionale, ma lo fa dichiarando che esistono dei limiti alle limitazioni di sovranità a cui il nostro ordinamento ha acconsentito entrando nella Comunità europea.

Nelle argomentazioni di cui si avvale, la Corte parte dal presupposto che in via teorica, perseguendo la Comunità europea delle finalità economiche e traendo origine da un accordo stipulato da paesi i cui ordinamenti si “ispirano ai principi dello stato di diritto e garantiscono le libertà essenziali dei cittadini”, risulta difficile ipotizzare che un regolamento possa incidere in materia di rapporti civili etico sociali o politici ed eventualmente violare le disposizioni della Costituzione italiana in materia di principi e diritti fondamentali.

Qualora, questa remota ipotesi si traducesse in realtà, la Corte si dichiara competente a sindacare la conformità del trattato, attraverso un giudizio sulla legge di esecuzione, ai principi della Costituzione presunti violati. Al contempo, la Corte dichiara la sua incompetenza ad esprimersi in merito alla legittimità costituzionale dei singoli regolamenti in quanto non rientranti tra gli atti che in base all’articolo 134 Cost. possono essere oggetto del giudizio di costituzionalità. Se per un verso, la Corte costituzionale perviene al riconoscimento del principio del primato del diritto comunitario, in concreto nulla viene detto sui mezzi di cui il nostro ordinamento si avvarrà per garantire la prevalenza delle norme comunitarie nei casi in cui contrastino con leggi interne.

Qualora un regolamento contrastasse con una legge nazionale precedente, in ragione del principio della lex posterior, il giudice o l’operatore può procedere nell’applicazione della fonte comunitaria.

Il problema nasce nei casi di regolamenti contrastanti con leggi successive in quanto in assenza di chiare indicazioni da parte della Consulta, i giudici non sanno

come agire al fine di garantire l’osservanza del principio del primato del diritto comunitario sul diritto interno.

Al contempo, in quegli anni, in Italia non accenna ad essere messa in discussione la singolare pratica di matrice dualista, consistente nella riproduzione dei regolamenti comunitari in atti normativi interni.

Ad indicare un indirizzo risolutivo interverrà la pronuncia n. 232 del 1975 (Società industrie chimiche Italia centrale c. Ministero commercio estero) della Corte costituzionale.

Ritornando su quanto dichiarato nel caso Frontini, il giudice delle leggi condanna la prassi riproduttiva dei regolamenti a mezzo di norme legislative interne in quanto, implica la possibilità di differirne, in tutto o in parte l’applicazione, in aperto contrasto con l’articolo 189, secondo comma del Trattato di Roma.

La trasformazione del diritto comunitario in diritto interno comporta, inoltre, un’altra ben più grave conseguenza: sottrae alla Corte di giustizia l’interpretazione in via definitiva del diritto comunitario producendo una palese violazione del regime stabilito nell’art.177 dello stesso Trattato quale necessaria e fondamentale garanzia di uniforme applicazione in tutti gli stati membri.

In riferimento a tali leggi riproduttive dei regolamenti, la Corte costituzionale dichiara che i giudici dovranno sollevare questione di costituzionalità di fronte alla Corte costituzionale per violazione dell’articolo 11. Il medesimo rimedio viene indicato ai fini della soluzione delle antinomie tra regolamenti comunitari e leggi interne successive.

In tal senso la Corte esclude la possibilità per il giudice comune di disapplicare le norme di legge o aventi valore di legge nel presupposto di una generale prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno.

Da scartare, risulta per la Consulta anche l’ipotesi di una declaratoria di nullità della legge successiva interna in quanto, osserva la Corte il trasferimento agli

organi della Comunità del potere di emanare norme giuridiche sulla base di un preciso criterio di ripartizione di competenze per determinate materie […] comporterebbe come conseguenza una radicale privazione di efficacia della volontà sovrana degli organi legislativi degli stati membri, pur manifestata nelle

configurabile nemmeno la possibilità di contemplare la disapplicazione, quale effetto di una scelta tra norma comunitaria e norma interna, consentita di volta in volta al giudice italiano sulla base di una valutazione della rispettiva resistenza, ciò equivarrebbe a riconoscere al giudice il potere di accertare e dichiarare una incompetenza assoluta del nostro legislatore sia pure limitatamente a determinate materie261.

Due anni dopo la Corte costituzionale rivedrà parzialmente tale indirizzo, andando a precisare nella sentenza n.163 del 1977 che, mentre le antinomie tra diritto comunitario immediatamente applicabile e leggi interne successive configurano un’ipotesi di violazione dell’articolo 11 Cost. ed impone al giudice di sollevare questione di costituzionalità di fronte alla Consulta, differente sarà la condotta ad esso richiesta nel caso opposto.

Di fronte a regolamenti configgenti con disposizioni di legge ad essi anteriori, il giudice può direttamente disapplicare il diritto interno configgente, in quanto l’ingresso di tali fonti comunitarie nell’ordinamento italiano ha tra l’altro prodotto l’effetto di abrogare implicitamente le disposizioni interne contrastanti, sottraendo in tal caso il giudice dall’obbligo di rivolgersi alla Corte costituzionale per chiederne l’annullamento262.

In quegli anni si sviluppa, inoltre, un acceso dibattito sui problemi connessi all’indeterminatezza dell’area delle funzioni trasferibili ad entità sovranazionali, questione che ancora oggi risulta essere di grande attualità.

In particolare, la giurisprudenza e la dottrina europee sono state accusate di non avere elaborato una teoria costituzionalistica sul superamento dello stato nazionale e sui limiti della deroga al modello costituzionale nella fase di transizione. In Italia il ricorso all’articolo 11 Cost. è stato giudicato frettoloso e poco problematico in quanto non sono stati individuati i limiti e le forme sulla base delle quali è possibile prevedere delle limitazioni alla sovranità nazionale263. Diversa è negli stessi anni l’impostazione che la Corte di giustizia sostiene in riferimento ai mezzi attraverso cui garantire il principio del primato del diritto

261 Punto 6, considerato in diritto sentenza della Corte costituzionale n. 232 del 1975. 262 Punto 8, considerato in diritto sentenza della Corte costituzionale n.163/1977.

263 G.GEMMA, Giurisprudenza costituzionale in materia comunitaria (1964-1976) e superamento

comunitario sul diritto interno. Sulla base del medesimo ragionamento giuridico formulato nel caso Costa/Enel, il giudice del Lussemburgo con la sentenza 9 marzo 1978 in causa 106/1977 (Simmenthal) condanna la prassi di subordinare l’applicazione del principio del primato del diritto comunitario alla pronuncia degli organi nazionali di legittimità costituzionale oppure all’intervento dell’organo legislativo.

In seguito ad un ricorso in via pregiudiziale presentato dal pretore di Susa nel luglio 1977, la Corte di giustizia viene chiamata ad esprimersi sulla corretta interpretazione da dare all’articolo 189 del Trattato e quindi al principio della diretta applicabilità del diritto comunitario in riferimento ai casi in cui la norma comunitaria contrasti con una norma interna nazionale posteriore.

In una fase precedente della controversia, lo stesso pretore si era già rivolto alla Corte di giustizia per chiedergli di pronunciarsi circa la compatibilità con il Trattato Cee e con il regolamento del consiglio 27 giugno 1968, n.805, di alcuni diritti di visita sanitaria riscossi sulle importazioni di carni bovine in forza del testo unico delle leggi sanitarie italiane, diritti il cui importo era stato fissato nella tabella allegata alla legge 30 dicembre 1970 n. 1239.

In forza della sentenza 35/76264 con cui il giudice del Lussemburgo ritiene l’imposizione di questi tributi incompatibile con il diritto comunitario, il pretore di Susa ingiunge all’Amministrazione delle Finanze dello Stato di rimborsare i diritti indebitamente percepiti e gli interessi maturati. A questo punto, dopo l’opposizione presentata dall’Amministrazione delle Finanze al decreto ingiuntivo, il pretore, rilevando di trovarsi di fronte ad una caso di contrasto tra norme comunitarie immediatamente applicabili ed una legge nazionale posteriore, si rivolge nuovamente alla Corte di giustizia. In particolare, il giudice italiano chiede delucidazioni in riferimento a quale sia, in base all’articolo 189 Tce, il

264 «Un onere pecuniario imposto unilateralmente, a prescindere dalla sua denominazione e dalla

sua struttura, e che colpisce le merci importate da un altro Stato membro al passaggio della frontiera, costituisce una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale, essendo irrilevante il fatto ch'esso sia commisurato alla quantità delle merci importate e non al loro valore, e che sulla valutazione degli effetti prodotti dalla riscossione di un tributo del genere sulla libera circolazione delle merci non influisce neppure la circostanza ch'esso sia proporzionato alle spese per il controllo sanitario, in quanto l'attività amministrativa dello Stato diretta ad attuare tale controllo nell'interesse generale non può essere considerata un servizio reso individualmente all'importatore, e di conseguenza le relative spese devono essere poste a carico della collettività nazionale che, nel suo complesso, fruisce dei vantaggi derivanti dalla libera circolazione delle merci». Sentenza della CGCE 15 dicembre 1976 in causa 35/76, Simmenthal S.p.a. contro Ministero delle finanze.

procedimento a cui fare ricorso per garantire la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno, considerate le differenti soluzioni configurate rispettivamente dalla Corte costituzionale italiana nella sentenza n.232 del 1975 e dalla Corte di giustizia nella sentenza 15 luglio 1964 in causa 6/64.

Il pretore si chiede se la tutela delle posizioni giuridiche soggettive attribuite dal diritto comunitario possa essere rinviata al momento della effettiva rimozione da parte dei competenti organi nazionali delle eventuali misure nazionali contrastanti, ed inoltre, se tale operazione debba avere in ogni caso efficacia totalmente retroattiva in modo da evitare ogni conseguenza pregiudizievole per le situazioni giuridiche soggettive.

La Corte di giustizia dichiara che l’applicabilità diretta deve essere intesa nel senso che le norme di diritto comunitario devono esplicare la pienezza dei loro effetti, in maniera uniforme in tutti gli stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la durata della loro validità265.

Le disposizioni comunitarie direttamente applicabili producono l’effetto, per il solo fatto della loro entrata in vigore, di rendere qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, inapplicabile; esse, inoltre, facendo parte integrante degli ordinamenti nazionali ed avendo rango superiore alle norma interne, impediscono la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali incompatibili con le norme comunitarie266.

Se il giudice non potesse applicare in via immediata il diritto comunitario verrebbe tra l’altro ridotto l’effetto utile del ricorso in via pregiudiziale alla Corte di giustizia attivabile a norma dell’articolo 177 Tce. A tale proposito la Corte di giustizia conclude dichiarando che: «Il giudice nazionale, incaricato di applicare,

nell’ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento

costituzionale

. […]

Egli ha inoltre l’obbligo di garantire la tutela delle situazioni

265 Punto 14, sentenza della Corte di giustizia, 9 marzo 1978. 266 Punto 17, sentenza della Corte di giustizia, 9 marzo 1978.

giuridiche soggettive sorte per effetto delle norme dell’ordinamento giuridico comunitario, senza dover chiedere o attendere l’effettiva rimozione, ad opera degli organi nazionali all’uopo competenti, delle eventuali misure nazionali che

ostino alla diretta e immediata applicazione delle norme comunitarie»267.

Il quadro fin ora delineato mostra come alla fine degli anni Settanta si fosse ancor di più consolidata quella divergenza di prospettive giurisprudenziali che aveva caratterizzato la giustizia costituzionale e la giustizia comunitaria nel rapporto tra le fonti.

In dottrina, pur accedendo al principio del primato del diritto comunitario sul diritto interno, continuò a riproporsi in modo problematico il rapporto tra le fonti dell’ordinamento comunitario rispetto all’ordinamento interno.

In particolare l’assenza di una norma di collisione,268 intesa quale strumento di risoluzione delle antinomie tra le fonti a garanzia del primato del diritto comunitario, pone in quegli anni i giudici italiani di fronte alla scelta di aderire, o all’indirizzo della Corte di giustizia, o a quello interno della Corte costituzionale. Dalla prospettiva monista della Corte di giustizia è stato ritenuto in dottrina269 un rapporto di gerarchia tra ordinamento interno ed ordinamento comunitario a favore di quest’ultimo con la conseguenza di un processo d’implicazione tra i due sistemi. Da qui la formazione di una narrativa che fonda sull’istituto della disapplicazione lo strumento di risoluzione dei conflitti tra atti normativi appartenenti all’ordinamento interno ed a quello comunitario. Nella costruzione di un sistema monista e integrato, le fonti comunitarie divengono di fatto parte dei singoli ordinamenti nazionali cosìcché in forza del principio della preminenza del

267 Punto 26, sentenza della Corte di giustizia, 9 marzo 1978. In tal senso vedere anche punto 38

della sentenza della Corte di giustizia del 22 giugno 2010, cause riunite C-188/10 e C-189/10 (Melki e Abdeli).

268 Vedi I. FEUSTEL, Diritto comunitario e diritto interno nella giurisprudenza costituzionale