• Non ci sono risultati.

1.9. Il principio pluralista nella Costituzione italiana

1.9.3 Dualismo e monismo nel dialogo tra Corte di giustizia e

1.9.3.3 La sentenza n 170 del 1984

Con la sentenza n.170 del 1984 la Corte costituzionale, pur non rinunciando all’impostazione fino a quel momento accolta, fondata sulla separazione ed autonomia di ordinamento comunitario e ordinamento interno, si pronuncia per

277 F.SORRENTINO e S.M.CARBONE, Corte di giustizia o Corte federale delle Comunità Europee,

in Il primato del diritto comunitario ed i giudici italiani, Milano,1978, p.114. Vedi anche N. CATALANO, I mezzi per assicurare la prevalenza dell’ordinamento comunitario sull’ordinamento interno, Giustizia civile, 1978, p.819-820, in cui l’autore osserva come la dichiarazione di

costituzionalità costituisca un rimedio definitivo ed inoppugnabile avente efficacia erga omnes, a differenza del giudizio di disapplicazione che è impugnabile.

278 P.BARILE, Un impatto tra il diritto comunitario e la Costituzione italiana, in Il primato del

diritto comunitario ed i giudici italiani, Milano,1978, p.68-71.

l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sottopostale. Contrariamente a quanto dichiarato nella sentenza n.232 del 1975, la Corte arriva a concludere che le antinomie tra diritto comunitario immediatamente applicabile e le fonti primarie interne successive, devono essere risolte in via diretta dal giudice comune e non attraverso l’instaurazione di un giudizio di costituzionalità. Il giudice dovrà disapplicare la normativa interna configgente, in riferimento al caso concreto, sia che essa preceda sia che segua il diritto comunitario immediatamente applicabile.

Si deve precisare come, a tale statuizione la Corte non giunge modificando le premesse da cui, nelle passate pronunce in materia era partita per sviluppare i suoi ragionamenti giuridici: la Corte, infatti, continua a rifiutare qualsiasi approccio gradualistico che ponga l’ordinamento comunitario su un piano gerarchicamente sovraordinato a quello del diritto interno.

I due ordinamenti continuano ad essere considerati separati ed autonomi ed al contempo coordinati sulla base del principio di attribuzione di competenze ratione

materiae. Le fonti di produzione normativa dei due ordinamenti restano distinte e

in particolare le fonti comunitarie, non possono essere considerate fonti interne. Esse esplicano i propri effetti negli ambiti loro affidati dai Trattati, e vi riescono in quanto in quei campi l’ordinamento italiano si ritrae per consentire la loro applicazione. In tal modo la Corte costituzionale non mette in discussione l’assunto secondo cui alle norme comunitarie ad efficacia diretta non può essere riconosciuto il potere di rendere automaticamente nulle le norme interne prodotte in violazione del diritto comunitario.

Il supremo giudice italiano, pur non accogliendo integralmente l’indirizzo giurisprudenziale sancito dalla Corte di giustizia nel caso Simmenthal (natura gerarchica dei rapporti ed annesse conseguenze) accetta di sostituire al giudizio accentrato di compatibilità tra diritto interno e comunitario, una forma di giudizio diffuso, che però dichiara non essere sufficiente nel caso in cui l’incompatibilità afferisca il nucleo duro della Costituzione.

Ritornando su quanto dichiarato nella sentenza Frontini, la Corte si riserva d’intervenire per giudicare su presunti casi di contrasto tra diritto comunitario e disposizioni costituzionali su principi e diritti. Cosìcchè la Corte, mentre affida ai

giudici comuni il compito di porsi quali concreti garanti del primato del diritto comunitario sul diritto interno configgente, sia precedente che successivo ed anche di rango costituzionale, in riferimento all’ambito dei controlimiti, mantiene ferma la possibilità di esercitare quel sindacato che già in precedenza si era riconosciuta 280.

Con la sentenza 170 del 1984 la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione di costituzionalità avente ad oggetto l'art. 3 del D.P.R. n. 695/78, (Modificazioni alle disposizioni preliminari della tariffa dei dazi doganali di importazione della Repubblica italiana) in quanto ritenuto violare l’articolo 11 Cost., in riferimento agli artt. 189 e 177 del Trattato di Roma.

Tale questione scaturisce da una controversia che vede fronteggiarsi la Granital S.p.a. da un lato, e l’Amministrazione delle Finanze dello Stato dall’altro, in relazione all’esatta quota dei diritti di prelievo che la società, importatrice di orzo canadese, era tenuta a corrispondere all’erario italiano. Il giudice a quo nell’ordinanza di rimessione sottolinea l’incompatibilità281 sussistente tra il criterio accolto dalla normativa comunitaria per come interpretata dalla Corte di giustizia282 e quello stabilito dalla normativa italiana in materia283. Da qui, la

280 Al punto 7 della sentenza, la Corte configura anche la possibilità di un controllo di

costituzionalità su leggi presunte contrastare con il sistema o il nucleo essenziale dei principi contenuti nel Trattato comunitario, in quanto poste in violazione della ripartizione di competenze effettuata sulla base dell’articolo 11 Cost.

281 «L'art. 17 dei regolamenti CEE n. 19/62 e 120/67 dispongono, secondo l'interpretazione datane

dalla Corte della Comunità, che il diritto di prelievo è quello in vigore nel giorno di importazione, e cioè del giorno in cui la dichiarazione di importazione è accettata dagli organi doganali; la normativa interna detta, dal canto suo, altra e divergente disciplina della specie, dalla quale risulta, implicitamente ma inequivocabilmente, che -quando sia sopravvenuto il dazio più favorevole- va riscosso un prelievo diverso da quello vigente dal giorno dell'accettazione. I criteri, rispettivamente accolti dal diritto comunitario e da quello nazionale, sarebbero dunque palesemente incompatibili». Punto 1 del ritenuto in fatto sentenza della Corte costituzionale n. 170/1984.

282 «Con sentenza 15 giugno 1976, la Corte di giustizia della Comunità interpretava l'art. 15 del

regolamento 120/67 nel senso che l'ammontare del prelievo è fissato in relazione al giorno in cui gli uffici doganali accettano la dichiarazione di importazione della merce. Ai sensi di tale pronunzia, il prelievo agricolo deve ritenersi preordinato a compensare la differenza fra il prezzo vigente sul mercato mondiale ed il più elevato prezzo comunitario, di guisa che il mercato comune sia stabilizzato e protetto anche nei confronti delle eventuali variazioni del prezzo del mercato mondiale. Il successivo aumento dei prezzi sul mercato mondiale, e la conseguente diminuzione dell'onere». Vedere punto 1, A del considerato in diritto Corte cost. n.170/1984 e Sentenza della CGCE 15 giugno 1976, causa 113/75 Frecassetti. Cfr. anche il commento alla sentenza Granital di G.GAJA, in Common market law review, XXI, 1984, p.756.

283 «Il d.P.R. n. 695/78 è censurato, per aver da un canto introdotto nell'ordinamento interno il

criterio sancito nella normativa comunitaria, e dall'altro congegnato gli effetti temporali della statuizione all'uopo emessa in modo che, per quanto qui interessa, il caso di specie non ricade nella relativa sfera di applicazione. Più precisamente, la norma che eccettua il prelievo agricolo dal

presunta violazione dell’articolo 11 Cost. derivante dall’incompatibilità fra prescrizione comunitaria e legge nazionale, e alla conseguente inosservanza dei principi stabiliti negli artt. 177 e 189 del Trattato di Roma.

Dopo avere sottolineato l’esistenza di una presunzione di conformità tra diritto interno e diritto comunitario, la Corte precisa che in caso di conflitto tra la normativa interna e la normativa comunitaria, quest’ultima avrà la prevalenza e produrrà l’effetto di caducare il diritto interno con essa in contrasto. Tale effetto sarà retroattivo nel caso in cui prima dell’emanazione della normativa interna fosse già in vigore una normativa comunitaria recante il medesimo contenuto di quella successivamente approvata dagli organi comunitari284.

Richiamando il suo precedente orientamento (sentenza n. 232 del 1975) la Corte osserva come nel caso in cui, invece, la norma interna contrasti con un regolamento previgente o lo riproduca, tale antinomia avrebbe configurato una violazione dell’articolo 11 Cost. e la necessità d’instaurare un giudizio di costituzionalità per porvi rimedio.

Ed è proprio su tale punto che ora la Corte costituzionale rivede il suo indirizzo. Nell’ipotesi di conflitto con una fonte primaria interna, il regolamento -osserva la Corte– produce l’effetto di impedire che tale norma venga in rilievo per la

definizione della controversia innanzi al giudice nazionale. Tale fenomeno non

solo non è riconducibile all’annullamento, quanto deve essere tenuto distinto

dall'abrogazione, o da alcun altro effetto estintivo o derogatorio, che investe le

norme all'interno dello stesso ordinamento statuale, e ad opera delle sue fonti285.

In ragione della natura autonoma, distinta e coordinata delle relazioni tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, la Corte ritiene corretto considerare le fonti comunitarie come esterne all’ordinamento italiano e non sottostanti ai principi che vigono per le fonti interne.

regime del dazio più favorevole non può, ad avviso del giudice remittente, operare prima della data dell'11 settembre 1976, testualmente indicata dal legislatore come termine iniziale dell'efficacia della medesima. Si tratta, peraltro, della data di pubblicazione della suddetta sentenza interpretativa della Corte del Lussemburgo, che stabilisce quale, ai fini della determinazione del prelievo, sia il giorno dell'importazione. Così disponendo, la norma censurata avrebbe l'implicita ma inequivoca conseguenza di disattendere, con riguardo alle fattispecie insorte anteriormente all'11 settembre 1976, il precetto secondo cui il prelievo è necessariamente quello del giorno dell'importazione». Vedere punto 1, B considerato in diritto sentenza della Corte costituzionale n. 170/1984.

284 Punto 3, motivazione in diritto sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 1984. 285 Punto 5, considerato in diritto sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 1984.

In particolare, le fonti comunitarie traggono origine da processi di produzione normativa autonomi e distinti da quelli nazionali, cosìcchè il regolamento comunitario è reso efficace in quanto e perché atto comunitario. La normativa nazionale confliggente, dal canto suo, spiega la sua efficacia e conserva il suo valore fintanto che non venga in rilievo nel corso di una controversia giurisdizionale.

In tale circostanza spetterà al giudice disapplicare la normativa interna configgente, eventualmente dopo avere fatto ricorso alla Corte di giustizia nel caso in cui si configurino dei dubbi circa la corretta interpretazione da dare alla norma di diritto comunitario o in relazione alla sua validità. Attraverso l’intervento dei giudici comuni ai fini dell’effettiva garanzia del primato del diritto comunitario, viene così assicurato il principio della certezza del diritto che impone l’uniforme applicazione della normativa comunitaria sul territorio di tutti gli stati membri.

La soluzione a cui la Corte perviene appare chiaramente finalizzata alla volontà di ricomporre ad unità il sistema fondato dal diritto comunitario e dal diritto interno. Dopo essere partita dalla premessa dualista della distinzione e separazione, la Corte costituzionale, riprendendo il concetto di coordinamento- già introdotto nella sentenza Frontini- approda a delle conclusioni moniste sui generis, con cui reinterpreta in chiave piuttosto singolare le categorie concettuali classiche di tale approccio.

Nella costruzione monista di Kelsen con primato del diritto internazionale, il concetto di coordinazione viene introdotto con riferimento alle relazioni tra ordinamenti statali che devono svolgersi su base paritaria: tali ordinamenti sono sottordinati all’ordinamento internazionale che li coordina e con essi va a comporre l’ordinamento totale.

Di contro, nella versione fornita dalla Corte costituzionale non troviamo alcuna configurazione gerarchica, né tanto meno un’incorporazione delle fonti comunitarie nell’ordinamento interno. Piuttosto è possibile scorgere una netta similitudine tra il ragionamento giuridico seguito dalla Corte costituzionale e le riflessioni svolte da Santi Romano nell’Ordinamento giuridico in tema di rapporti tra ordinamenti statali in materia di diritto internazionale privato. Nella parte in

cui si occupa della rilevanza che un ordinamento viene ad assumere rispetto ad un altro in ragione del suo contenuto, Romano, osserva come, in quanto socio della Comunità, lo stato-istituzione, al fine di coordinare il proprio ordinamento con quello di altri stati, può decidere di autolimitare la propria sfera di sovranità. Il Romano osserva come:

[…] (Lo stato) comincia col limitare la sfera non già della semplice applicazione,

come comunemente si ritiene, ma dell’effettivo contenuto del proprio ordinamento e contemporaneamente stabilisce che, nel campo in cui questo, per dir così si arretra, subentri il contenuto di un ordinamento straniero, scelto e determinato con criteri che possono variare. Si hanno così due principi […] il primo che segna i confini posti dall’ordinamento statale a se stesso; e il secondo che rinvia al diritto straniero. Questi due principi sono fra loro intimamente collegati perché il motivo per cui il legislatore dichiara la sua incompetenza a regolare da sé una

data materia è che esso riconosce la competenza del legislatore straniero286.

Dalla premessa dell’autolimitazione statale, Romano fa quindi discendere l’idea per cui il diritto straniero non può valere come parte del diritto italiano,287 che anzi, si autotutela configurando una norma di collisione idonea a risolvere gli eventuali conflitti di natura soggettiva e oggettiva che potrebbero sorgere tra i due ordinamenti. Nella sentenza Granital la Corte costituzionale rivisita la prospettiva da cui Romano guarda ai rapporti tra ordinamenti, innanzitutto perché accoglie l’assunto della possibilità di demarcare in modo chiaro i rispettivi ambiti di competenza e quindi considerare le fonti comunitarie come esterne all’ordinamento italiano. Le argomentazioni della Corte rispecchiano, inoltre l’indirizzo dottrinario inaugurato da Barile288 negli anni Settanta, il quale sosteneva la tesi di relazioni interordinamentali basate sulla separazione delle competenze e auspicava la limitazione del sindacato di costituzionalità alla sola eventualità di violazioni del nucleo duro della Costituzione. Se dunque per un verso, la sentenza Granital, costituisce una tappa storica del cammino comunitario compiuto dalla Corte costituzionale in quanto riesce finalmente a garantire

286 S.ROMANO, L’ordinamento giuridico, Firenze, 1967, p. 171. 287 ROMANO, op. ult. cit. p. 175.

288 Vedi P.BARILE, Un impatto tra il diritto comunitario e la Costituzione italiana in Il primato del

l’effettiva applicazione del principio del primato ed a legittimare il potere diffuso di disapplicazione delle norme interne configgenti,289 per un altro verso, non possono essere sottovalutate le ragioni che hanno condotto alle sferzanti critiche di cui la sentenza è stata oggetto.

In particolare, vi è stato chi290 ha visto dietro la mera invocazione dell’articolo 11 Cost.291da parte della Corte, una motivazione inadeguata a giustificare le deroghe alle norme costituzionali che sanciscono il sindacato di legittimità costituzionale e il divieto dei giudici comuni di disapplicazione della legge.

La preoccupazione di attutire l’impatto della svolta e di mostrare che non c’era stato un revirement nell’impostazione di fondo dei rapporti tra gli ordinamenti, avrebbe portato il giudice delle leggi a sviluppare un ragionamento a tratti debole292.

Altra dottrina ha addirittura imputato alla sentenza Granital la responsabilità di avere travolto l’intera impalcatura del sistema di giustizia costituzionale a causa dell’effetto di revisione costituzionale permanente da essa prodotto e consistente nella rinuncia da parte della Corte ad una competenza costituzionalmente conferitale e da allora trasferita in capo ai giudici comuni293.

A queste riflessioni hanno fatto seguito le ben condivisibili perplessità sollevate in riferimento alla possibilità di precostituire l’ampiezza del campo materiale di competenza, astrattamente rimesso alla disciplina comunitaria e sottratto alle fonti nazionali, e ciò in ragione della mobilità che caratterizzerebbe la linea di confine delineata dai trattati294. La dottrina dei poteri impliciti (art.235 Tce) e successivamente l’applicazione del principio di sussidiarietà nonché, le pronunce

289 Cfr. A. LA PERGOLA E PATRICK DEL DUCA, Community law, international law and Italian

constitution, The American journal of international law, LXXIX, 3,1985, , p. 615.

290 G.GEMMA, Un’opportuna composizione di un dissidio, Giur. cost., I, 1 1984, p.1221.

291 La Corte costituzionale lascia presumere che avendo l’articolo 11 Cost. legittimato delle

limitazioni di sovranità comportanti delle deroghe all’ordine costituzionale delle competenze, tra queste andrebbe ricompresa la rinuncia al sindacato di costituzionalità nel caso di violazione dell’articolo 11 Cost. da parte di fonti primarie interne configgenti con atti comunitari ad efficacia diretta.

292 GEMMA, op. ult. cit.

293 Si tratterebbe di un sindacato implicito di costituzionalità esercitato con effetti limitati e atipici

dai giudici comuni. A.RUGGERI, Materiali per uno studio dei limiti al sindacato di costituzionalità

sulle leggi, Giur. cost I, 1, 1985, p.357.

294 Vedi F.MODUGNO, E’illegittimo l’articolo 189 del Trattato di Roma nella interpretazione della

Corte di giustizia delle Comunità Europee?, Giur. cost., I, 1979, p.929, P. A. CAPOTOSTI,

Questioni interpretative dell’attuale giurisprudenza costituzionale sui rapporti tra diritto interno e comunitario, Giur. cost., I, 3, 1987, p. 3818.

interpretative rese dalla Corte di giustizia in risposta ai ricorsi in via pregiudiziale dei giudici nazionali su ambiti materiali non di competenza comunitaria, porteranno ad un’estensione non codificata delle competenze comunitarie e mostreranno ancora di più la fragilità degli assunti elaborati dalla Corte costituzionale italiana nella sentenza Granital. Una decisione compromissoria che se da un lato ha avuto il merito di preservare lo storico approccio dualista ereditato dalla tradizione internazionalista, dall’altro si è negli anni dimostrata sempre più inadeguata a definire, ma anche a fornire degli strumenti concettuali in grado di guidare alla comprensione del fenomeno comunitario; e oggi dell’Unione Europea.