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Emersione e consolidamento di una dimensione comunitaria

2.4. I diritti inviolabili ed i diritti sociali nell’ordinamento italiano

2.4.1. Emersione e consolidamento di una dimensione comunitaria

Nei primi anni di vita delle Comunità europee, gli stati membri non avvertono l’esigenza di formulare un catalogo di diritti, né di essere garantiti a livello comunitario, rispetto ad eventuali violazioni perpetrate attraverso atti comunitari a danno delle situazioni giuridiche sancite nelle proprie costituzioni nazionali. In quegli anni, l’attenzione dei governi è focalizzata sulla ripresa economica del continente europeo e sull’obiettivo di migliorare l’efficienza dei propri meccanismi competitivi, cosìcchè nei trattati istitutivi nessun riferimento viene fatto alla tutela dei diritti fondamentali.458 Le crescenti limitazioni di sovranità a cui gli stati membri verranno sottoposti in ragione della loro appartenenza alle Comunità, condurrà, sulla base del principio del primato e dell’effetto diretto, a che un ingente numero di atti comunitari troveranno immediata applicazione in tutti i paesi, senza che ad essi venga data la possibilità di sottoporli a controlli giurisdizionali o costituzionali. In particolare la Corte costituzionale italiana e quella tedesca attraverso alcune storiche sentenze, apriranno un dibattito a livello europeo sulla necessità di prevedere un vero e proprio sistema comunitario di

456 BALDASSARRE, op. ult. cit., p.32.

457 B.PEZZINI, La decisione sui diritti sociali, Milano, 2001, p. 126.

458 Anche la Corte di giustizia tace a riguardo e nella sentenza Stork del 4 febbraio 1959 in causa

1/58 si dichiara incompetente a sindacare il contrasto tra atti comunitari e disposizioni sui diritti fondamentali contenute nelle costituzioni nazionali. In quella fase la Corte si preoccupa innanzitutto di difendere la libertà di azione degli organi comunitari, l’autonomia dell’ordinamento comunitario dagli ordinamenti nazionali e l’applicazione uniforme del diritto comunitario. M. CARTABIA,J.H.H.WEILER, L’Italia in Europa, Bologna, 2000, p.217.

tutela dei diritti459. Da qui il cambiamento d’indirizzo giurisprudenziale inaugurato con la sentenza Stauder del 12 novembre 1969 in causa 29/69, sulla base della quale la Corte di giustizia si proclama competente a garantire i diritti fondamentali in quanto considerati essere parte dei principi generali del diritto comunitario. Un anno dopo con la sentenza Internationale Handelsgesellschaft del 17 dicembre 1970 in causa 11/70, per la prima volta la Corte di giustizia individuerà come criterio di rilevazione, le tradizioni costituzionali comuni agli stati membri ed in un secondo tempo, nella sentenza Nold del 14 maggio 1974 in causa 4/1973, farà riferimento ai trattati internazionali in materia di diritti umani a cui gli stati della Comunità hanno aderito460. Ma per vedere colmato il vuoto di tutele presente all’interno dei Trattati, bisognerà aspettare il 1992 con l’approvazione del Trattato di Maastricht che all’articolo 6, includerà le libertà fondamentali ed i diritti dell’uomo tra i principi su cui si fonda l’Unione Europea. Successivamente nel 1997 il Trattato di Amsterdam prevederà un meccanismo sanzionatorio attivabile da parte del Consiglio nella composizione dei capi di stato e di governo, qualora uno stato violi in modo persistente uno dei principi sanciti dall’articolo 6 TUE. Con la recente entrata in vigore del Trattato di Lisbona è diventata vincolante per tutti gli stati membri anche la Carta461 dei diritti fondamentali della Ue462. Adottata nel 2000, la Carta ha positivizzato l’intero

459 Vedi paragrafi 1.10, 1.10.1 e 1.10.2 del primo capitolo.

460 Il sotteso riferimento è alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo firmata nel 1950

nell’ambito del Consiglio d’Europa.

461Introdotta nel Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, approvato nell’ottobre 2004,

la Carta è naufragata insieme al trattato, in seguito al “no” alla ratifica pronunciato in via referendaria da Francia e Olanda. Nel 2007, con l’approvazione del Trattato di Lisbona, la Carta è stata incorporata in un protocollo facoltativo annesso al Trattato. Paralizzato dal diniego irlandese alla ratifica nel 2008, il processo di ratifica è definitivamente decollato in seguito al “si” pronunciato dallo stesso paese in via referendaria nell’ottobre 2009. Oggi, a seguito della recente entrata in vigore del Trattato di Lisbona (primo dicembre del 2009), la Carta è diventata vincolante per tutti gli stati membri.

462 Articolo 6,1 TUE. In base a quanto dichiarato nel Protocollo n. 30 annesso al Trattato di

Lisbona, la Polonia e il Regno Unito hanno rifiutato di sottoporre i loro atti normativi, amministrativi e la prassi interna al controllo di conformità con le disposizioni sancite nella Carta di Nizza sia da parte della Corte di giustizia che degli organi giurisdizionali interni (articolo 1 del Protocollo n.30). Inoltre, occorre ricordare come nella Dichiarazione n.61 relativa alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Polonia ha precisato che «La Carta lascia impregiudicato il diritto degli Stati membri di legiferare nel settore della moralità pubblica, del diritto di famiglia nonché della protezione della dignità umana e del rispetto dell'integrità fisica e morale dell'uomo». Mentre, nella Dichiarazione n.62 sul Protocollo n.30 la Polonia dichiara che «Tenuto conto della tradizione di movimento sociale di "Solidarność" e del suo importante contributo alla lotta per i diritti sociali e del lavoro, rispetta pienamente i diritti sociali e del lavoro stabiliti dal diritto dell'Unione Europea e, in particolare, quelli ribaditi nel titolo IV della Carta dei

portato dell’esperienza giurisprudenziale maturata attraverso l’attività della Corte di giustizia. Si deve, tuttavia, precisare come la Carta non vada ad ampliare l’ambito delle competenze riservato dai trattati all’Unione,463 così che la conformità ai diritti ed ai principi contenuti nel testo, dovrà essere garantita solo in riferimento agli atti dell’Unione ed agli atti degli stati membri adottati per dare attuazione al diritto dell’Unione. Tutti gli altri atti statali non saranno vincolati al rispetto dei parametri europei in materia di diritti umani. Tale limite, unito alla mancata indicazione dell’attuazione della Carta tra gli obiettivi che l’Unione si prefigge di conseguire, contribuisce a creare un cono d’ombra su quella che dovrebbe essere, a detta di parte della dottrina, la nuova funzione positiva e promozionale delle istanze contenute nella Carta.464

Scenari nuovi saranno probabilmente aperti sulla base del dettato dell’articolo 52 quinto comma, che affida ai giudici nazionali il potere di effettuare un controllo diffuso di interpretazione e di legalità degli atti comunitari. L’articolo 6 TUE prevede, inoltre, l’adesione della UE alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, adesione che in conformità al parere465 espresso dalla Corte di giustizia nel 1996, doveva avvenire a seguito di una revisione dei trattati466. L’adesione alla Convenzione dovrebbe comportare un innalzamento del livello di tutela dei diritti fondamentali in Europa in quanto implicherebbe la sottoposizione degli atti normativi dell’Unione in materia di diritti, ad un’istanza giurisdizionale diritti fondamentali dell'Unione Europea». Vedi anche la Dichiarazione n.53 della Repubblica Ceca sulla Carta dei diritti fondamentali della UE. Cfr. S. AMADEO, Il Protocollo n.30

sull’applicazione della Carta a Polonia e Regno Unito e la tutela “asimmetrica” dei diritti fondamentali, qualche soluzione, Il Diritto dell’Unione Europea III, 2009, p.721, O.POLLICINO E

V.SCIARABBA, La Carta di Nizza tra sdoganamento giurisprudenziale e Trattato di Lisbona, Il

Diritto dell’Unione Europea, III, 2008, p.101, M.DOUGAN, The Treaty of Lisbon 2007: winning

minds not hearts, Common market law review, 2008, p.617, E.PAGANO, Dalla Carta di Nizza alla

Carta di Strasburgo dei diritti fondamentali, Il Diritto dell’Unione Europea, III, 2008, p.100.

463 Tale previsione si ritrova non solo nell’articolo 51 comma 2 della Carta, ma anche all’articolo 6

comma 1 del TUE, nonché nella Dichiarazione n.1 paragrafo 2 annessa al Trattato di Lisbona. A riguardo, Marta Cartabia ha messo in evidenza come nel Trattato di Lisbona emerga con una certa insistenza la preoccupazione circa la tenuta dei limiti di competenza tra stati ed istituzioni europee. M.CARTABIA, I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona: verso nuovi equilibri?, Giornale di

diritto amministrativo, III, 2010, p. 222.

464 S. GAMBINO, I diritti fondamentali dell’Unione Europea fra “trattatati” di Lisbona e

Costituzione, in Federalismi.it, http://www.federalismi.it/ApplMostraDoc.cfm?Artid=15106, p.38.

465 Parere della Corte di giustizia 28 marzo 1996, II, 94.

466 In seguito alle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona, l’adesione alla Convenzione

Europea deve avvenire nel rispetto delle procedure stabilite all’articolo 218 TFUE che prevede una decisione all’unanimità del Consiglio, l’approvazione del Parlamento Europeo e l’approvazione di tutti gli stati membri, ciascuno secondo le proprie regole costituzionali.

esterna a tale sistema di riferimento, la Corte di Strasburgo. Oggetto del controllo di conformità alle disposizioni in materia di diritti e principi dell’Unione esercitato dalla Corte di giustizia, sono, infatti, solitamente gli atti normativi nazionali adottati nell’ambito delle competenze dell’Unione Europea. L’adesione alla Cedu dovrebbe dunque riempire quel vuoto iniziale dei trattati istitutivi fin ora mai colmato in misura soddisfacente.467 In base a quanto prescritto nell’articolo 52 comma tre della Carta, nel caso in cui un diritto contenuto nella Carta abbia un equivalente all’interno della Convenzione EDU, il suo significato e la sua portata saranno quelli conferiti dalla Convenzione, ferma restando la possibilità per l’Unione di accordare forme di protezione più estesa. Da ciò è possibile comprendere come la Corte di giustizia abbia svolto attraverso la sua attività giurisdizionale un ruolo cardine ai fini della promozione e della tutela dei diritti fondamentali in Europa. L’ampio nucleo di diritti e principi desunti dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri, hanno ispirato l’attività pretoria della Corte di giustizia, che nel corso degli anni ha proceduto a rielaborarne i contenuti adeguandoli al soddisfacimento delle finalità comunitarie. Il risultato è stato la genesi di una vera e propria configurazione comunitaria dei principi e dei diritti fondamentali,468 che ha visto la Corte assurgere al ruolo di supremo giudice della conformità degli atti comunitari al sistema di garanzie comunitarie ed a svolgere una funzione di nomofilachia. Ragionando sulla base di queste premesse, si comprende come nel corso degli anni si siano sviluppati in parallelo, due diversi sistemi di tutele: uno costituito dai principi e dai diritti costituzionali nazionali, ed uno di origine comunitaria469. Partendo dal considerare i diritti come strutture di valore aventi carattere relazionale470 e muovendo da un’accurata analisi dei

467 CARTABIA, op. ult. cit. p.224.

468 Cfr. M.CARTABIA, Taking dialogue seriously. The renewed need for a judicial dialogue at the

time of constitutional activism in the European Union, Jean Monnet Working paper, 12/2007.

Vedi anche A.VON BOGDANDY, The European Union as a human rights organization? Human

rights and the core of the European Union, Common market law review, XXXVII 2000, , p.1307-

1338.

469 A questi si è affiancato il sistema di tutele Cedu basato sulla Convenzione europea dei diritti

dell’uomo e facente capo alla Corte di Strasburgo.

470 M. CARTABIA, Principi inviolabili ed integrazione europea, Milano, 1995, p.32. La portata di

un diritto riconosciuto ad un soggetto è il frutto della trama di relazioni che vengono ad istaurarsi tra i differenti valori che fondano un dato ordinamento. Un singolo diritto è sempre in rapporto con un altro diritto di contenuto confliggente o con il medesimo diritto riconosciuto ad altri soggetti dell’ordinamento, o ancora con altri interessi collettivi e generali che operano come limite al diritto preso in considerazione.

contenuti e dei significati che in modo ricorrente gli sono stati attribuiti dalla Corte di giustizia, un’autorevole dottrina ha concluso per la non equivalenza delle tutele interne rispetto a quelle comunitarie. A conferma di questa tesi può innanzitutto essere posta la teoria comunitaria dei limiti ai diritti fondamentali, che impone di non considerare i diritti come prerogative assolute, bensì, situazioni giuridiche da contemperare con le esigenze del mercato comune e con gli obiettivi d’interesse generale perseguiti dalla Comunità471. Se in una prima fase, la Corte di giustizia sembra subordinare a questi obiettivi solo i diritti economici,472 a partire dalla sentenza Wachauf del 13 luglio 1989 in causa 5/88, il giudice del Lussemburgo affermerà che tutti i diritti sono suscettibili di subire limitazioni. La Corte pone dunque gli scopi economici della Comunità sullo stesso piano dei diritti fondamentali ed a volte su un piano più alto: la loro tutela risulta così fortemente condizionata dagli obiettivi generali dell’integrazione europea ed in

primis da quello del mercato comune473.

Se per un verso, guardando ai rapporti tra diritto interno e comunitario è oggettivamente possibile rilevare due distinti sistemi di valori, due distinti ambiti di competenze e due giurisdizioni supreme chiamate ad interpretare ed a giudicare sulla conformità delle disposizioni rispettivamente, nazionali e comunitarie, alle Costituzioni interne ed ai trattati, in realtà tale linea di demarcazione non risulta in fin dei conti essere così netta come appare. Innanzitutto perché come prima accennato, la Corte di giustizia attraverso lo strumento del rinvio pregiudiziale da parte dei giudici nazionali è riuscita ad ampliare il dominio dei principi fondamentali comunitari. Spingendosi al di là delle richieste d’interpretazione, la Corte di giustizia ha finito per esercitare un vero e proprio giudizio di legittimità

471 Tali limitazioni dovranno essere effettuate nel rispetto del principio di proporzionalità dei

mezzi utilizzati in funzione degli scopi e non intaccando il nucleo essenziale dei diritti.

472 Sentenza della Corte di giustizia Nold del 14 maggio 1974 in causa 4/73 e sentenza Hauer del

13 dicembre 1979 in causa 44/79.

473 M. CARTABIA, cit., p.40. Cfr. J.COPPEL E A.O.NEILL, The European Court of justice taking

rights seriously?, Common market law review, 1992, p. 669-692. «The Court has employed

fundamental rights instrumentally so as to accelerate the process of legal integration in the Community. It has not protected fundamental rights for their own sake. It has not take these rights seriously». E ancora, la Corte viene accusata di avere compiuto una «Instrumental manipulation of the nature and importance of fundamental rights protection. The Court has manipulated the usage of fundamental rights principles endowing these principles with just enough significance in Community terms to allow for the triumph of the Community will». Vedi anche J.H.H.,WEILER, N.J.SLOCKHART, “Tacking rights seriously” seriously: the European Court and its foundamental

comunitaria in riferimento a disposizioni nazionali adottate per dare attuazione a politiche comunitarie o per varare misure legittime in deroga al diritto comunitario474. Tale tendenza verso l’ampliamento del campo di applicazione dei principi comunitari è stata inaugurata con la sentenza Klensch del 25 novembre 1986 in causa 202/85, in cui la Corte del Lussemburgo ha rilevato la violazione, da parte di un atto del governo lussemburghese, del milk quota system e quindi del divieto di discriminazione tra produttori nella Comunità, in quanto specificazione del principio generale di eguaglianza, rientrante tra i principi generali del diritto comunitario. Da qui la necessità espressa dalla Corte che un atto nazionale debba conformarsi al principio di eguaglianza per come da essa interpretato. Guardando a questa problematica dalla prospettiva degli ordinamenti intesi come sistemi di fonti di produzione del diritto, si deve sottolineare come gli atti che pongono maggiori esigenze di coordinamento tra ambiti normativi nazionali e ambiti normativi comunitari, non siano gli atti comunitari ad applicazione diretta. Sulla base del principio del primato del diritto comunitario sul diritto interno o eventualmente dell’effetto diretto, in caso di conflitti con norme interne, il diritto comunitario immediatamente efficace prevale sul diritto interno contrastante, che deve essere disapplicato. Dubbi interpretativi nascono, soprattutto in riferimento a materie su cui a livello comunitario, all’uniformizzazione delle discipline si è preferita la strada dell’armonizzazione, allo scopo di tenere conto delle specificità territoriali e delle differenti tradizioni giuridiche nazionali. Un esempio è dato dalle direttive che, dovendo essere recepite attraverso atti normativi nazionali, spesso, pongono il giudice di fronte al problema di risolvere contrasti tra disposizioni interne e disposizioni di recepimento di atti comunitari. L’espandersi della sfera di operatività dei principi comunitari negli ordinamenti interni per un verso, e la dottrina dei controlimiti da un altro, forniscono l’esempio concreto di come all’avanzare del processo di integrazione economica si affianchi un crescente interelarsi dei sistemi di garanzie di valori. E segnatamente, è con

474 Queste sentenze esplicano un effetto diretto, sono immediatamente vincolanti e fungono da

precedente, alla stregua di quanto previsto negli ordinamenti di common law in base al principio dello stare decisis. Principio che in ambito comunitario viene però temperato dalla possibilità conferita al giudice interno di chiedere alla Corte di esprimersi su un atto che sia già stato da essa in precedenza interpretato. Di solito ciò accade quando il giudice auspica che la Corte modifichi il proprio indirizzo giurisprudenziale fornendo un’interpretazione evolutiva dovuta al mutato contesto socio economico o al cambiamento del quadro normativo in cui l’atto s’inserisce.

l’affermarsi del principio di sussidiarietà proclamato nel Trattato di Maastricht che tale tendenza si è corroborata producendo l’effetto di rendere difficoltosa la distinzione tra ambiti di competenza comunitaria e nazionali475. Questo intreccio dimostra come, allo stato attuale, sia la prospettiva monista (integrazione) riconducibile al principio gerarchico di soluzione delle antinomie tra fonti configgenti, che quella dualista basata sul principio di competenza (separazione e coordinamento), non siano in grado di spiegare in modo efficace le relazioni che in questa fase storica vengono ad istaurarsi tra gli ordinamenti interni e l’ordinamento dell’Unione. Oggettivamente è possibile rilevare che ciascun sistema concorre con l’altro a formare, nel rispetto dei propri ruoli e poteri d’autonomia, il sistema normativo dell’Unione Europea.476 Alla luce di queste constatazioni pare condivisibile l’approccio ai rapporti tra ordinamenti che trova fondamento nella cooperazione interordinamentale tra istituzioni nazionali e comunitarie e sul cosiddetto pluralismo costituzionale.477

2.5. IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA NELL’ORDINAMENTO UE IN