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Storicizzazione del principio generale di eguaglianza

Nel linguaggio scientifico con la parola eguaglianza si indica generalmente la relazione di parità assoluta che esiste tra due termini posti a confronto fra loro. Nel linguaggio della matematica tale significato viene indicato con il segno = ed utilizzato per la prima volta nel 1557343 dal matematico inglese Richard Recorde. Nell’ambito della sfera politica l’eguaglianza costituisce uno dei valori fondamentali a cui le filosofie e le ideologie politiche di tutti i tempi si sono ispirate. Per esprimere un giudizio di eguaglianza in riferimento a due o più termini appartenenti al linguaggio giuridico o politico, sarà necessario innanzitutto precisare quale delle loro molteplici caratteristiche costitutive si sta prendendo in considerazione, ovvero, a quale profilo di analisi ci si riferisce344. Quando i termini considerati sono valutabili esclusivamente sotto un determinato punto di vista, si configura un rapporto di eguaglianza relativa e non di eguaglianza assoluta345. A questo riguardo risulta opportuno precisare come nel linguaggio comune, da cui deriva poi quello giuridico, le definizioni cardine analizzate dagli studiosi di logica siano tre: identità, eguaglianza e somiglianza. Il concetto di

343 In base alla proprietà riflessiva se un termine è uguale a se stesso sarà diverso da ogni altro che

non possa dirsi uguale (a = a, a # non a). Per la proprietà simmetrica se un termine è uguale ad un altro sarà vero anche il contrario (a = b, b = a), mentre per la proprietà transitiva se un termine è uguale ad un altro e il secondo è uguale ad un terzo, anche il primo sarà uguale al terzo (a =b, b =c, a =c).

344 «Ciò dipende dal fatto che in tutti i contesti in cui l’eguaglianza viene invocata, si tratta sempre

di un’eguaglianza determinata, o secundum quid, che riceve il suo contenuto assiologicamente rilevante proprio da quel quid che ne specifica il significato». N.BOBBIO, Etica e politica. Scritti

di impegno civile, Milano, 2009, p.904-905.

eguaglianza assoluta coincide con quello di identità: identici sono gli oggetti che hanno in comune ogni aspetto e nessuno esclusivo. Ma dal momento che, in rifermento a due oggetti diversi, tale concordanza in tutti gli elementi e caratteristiche non è riscontrabile nella realtà concreta, appare corretto sostenere che identico346 a se stesso, debba essere necessariamente solo un singolo oggetto347.

Il concetto di eguaglianza implica, invece, l’esistenza di due termini non identici in tutto ma solo sotto alcuni aspetti. Tale elemento comune può essere rappresentato da un carattere qualitativo o quantitativo, dal fatto che due oggetti abbiamo istaurato con altri la medesima relazione (eguaglianza come proporzione matematica), ma anche riconducibilità di due termini ad un concetto più astratto, oppure ad un medesimo insieme. Si usa poi il concetto di somiglianza per esprimere una diversità minima e quindi distinguerla da ipotesi di diversità più marcata348.

Da quanto prima osservato è possibile dedurre il carattere indeterminato che nel linguaggio politico-giuridico la nozione di eguaglianza viene ad assumere, presupponendo sempre l’istaurarsi di una relazione formale tra due o più gruppi di fatti o di concetti. Tale relazione può quindi essere riempita dei più diversi contenuti prendendo in considerazione un certo punto di vista, un certo profilo di analisi. Se non specificato o riempito, il concetto di eguaglianza non significa nulla. Quando si parla di eguaglianza è quindi necessario porsi innanzitutto due interrogativi: eguaglianza tra chi? Eguaglianza in che cosa349? Al contempo sarà necessario precisare quale profilo si assume comune. Nel linguaggio della logica tale profilo viene definito tertium comparationis, terzo elemento necessario a mettere a confronto i due fenomeni considerati350. Dunque i due termini saranno

346 Sulla base dello stesso ragionamento, il Cerri nega il concetto di diversità in senso assoluto:

tutti i fatti concreti e tutti gli oggetti possono essere ricondotti ad una qualche categoria più generale (all’essere concetti o fenomeni, quanto meno) ed in questo rapporto di riconducibilità a tale categoria sono appunto, eguali, analoghi o parzialmente identici. A. CERRI, Eguaglianza

giuridica ed egualitarismo, L’Aquila- Roma, 1984, p.12.

347 C.ROSSANO, L’eguaglianza giuridica nell’ordinamento costituzionale, Napoli, 1966, p.224. 348 CERRI, Eguaglianza giuridica…, p.13-15. L’autore fa inoltre rifermento al concetto di analogia

spesso utilizzato sia nel senso di eguaglianza che di somiglianza.

349 BOBBIO, Etica, p.904-905 e CERRI, Eguaglianza giuridica…, p.16. Deve essere definito il bene

della vita da attribuire o da distribuire.

ritenuti eguali, simili o identici in riferimento ad un dato elemento a cui in una data sfera spazio temporale viene attribuita rilevanza.

Oggi l’eguaglianza viene intesa come parità di trattamento351 così che si considerano egualitarie tutte quelle regole di distribuzione che non si basano su caratteristiche personali volte a realizzare distinzioni irragionevoli tra gli individui. Si deve però evidenziare come tale visione sia il prodotto di recenti sviluppi del pensiero politico-filosofico occidentale, ovvero, il portato dell’avvento dell’età moderna. Nel pensiero politico classico, infatti, le differenze esistenti tra gli uomini erano considerate essere più rilevanti rispetto agli elementi che questi avevano in comune, di conseguenza, egalitarie, erano ritenute essere le regole di distribuzione che davano rilievo alle differenze esistenti tra gli individui, trattandoli diversamente in base al gruppo sociale a cui appartenevano. L’idea per cui gli uomini debbano essere considerati eguali piuttosto che diversi, comincia a diffondersi in tempi successivi grazie ai pensatori stoici e cristiani (eguaglianza derivante dall’essere tutti allo stesso modo figli di Dio). Tale idea rinasce con nuovo vigore durante la Riforma, assume dignità filosofica in Rousseau e nei socialisti utopisti fino a divenire vera e propria regola giuridica nelle dichiarazioni dei diritti dalla fine del Settecento ad oggi.

Ma in quel momento storico, come fa opportunamente notare Norberto Bobbio, a fare scalpore non è la proclamazione dell’eguaglianza di per sé, ma il fatto che il concetto venga esteso a “tutti”. La parola assume un significato rivoluzionario e polemico e si diffonde in contrapposizione a situazioni ed ordinamenti in cui non tutti, anzi pochi o pochissimi fruivano di beni e diritti di cui gli altri venivano privati. Dopo essere stato solennemente proclamato nella Rivoluzione francese e nelle costituzioni che ad essa fecero seguito, il principio dell’eguaglianza formale352 viene codificato nel Code Napoleon. Tale codificazione, oltre a segnare il più forte momento di rottura con la società per ceti configurata dall’Ancien

351 Cfr. I. BERLIN, Equality in The concept of equality, Minneapolis, 1969, p.14 per cui

l’eguaglianza di trattamento non ha bisogno di una specifica giustificazione, mentre occorre sempre un motivo valido per differenziare.

352 Sancisce il principio di eguaglianza giuridica per cui tutti sono uguali dinanzi alla legge. «Il

principio ha quindi prima di tutto un significato storico, bisogna ricollegarlo non tanto a quello che afferma quanto a quello che nega, bisogna cioè intenderne il valore polemico. Il bersaglio principale dell’affermazione che tutti sono uguali dinanzi alla legge è lo stato di ordini o di ceti in cui i cittadini sono divisi in categorie giuridiche diverse e distinte, disposte in ordine gerarchico rigido, onde le superiori hanno privilegi che le inferiori non hanno». BOBBIO, Etica.., p.119.

Regime, rappresenta il definitivo superamento di quel particolarismo giuridico,353 che per secoli aveva visto la contemporanea vigenza di una vasta pluralità di ordinamenti, avente ciascuno come destinatari, singole categorie di soggetti accomunate dall’appartenenza ad un medesimo gruppo sociale.

Nella Francia rivoluzionaria, infatti, uno dei significati più sentiti della proclamata eguaglianza fu innanzitutto quello di stabilire la soggezione di tutti i cittadini alle stesse fonti normative, di abolire quindi le leggi particolari dei diversi ceti, i tribunali di casta etc.

Ma se per Bobbio l’aspetto più dirompente della proclamazione del principio doveva essere rintracciato nel profilo dell’efficacia, secondo altri giuristi tra cui Cerri, l’esigenza più forte che l’affermazione dell’eguaglianza ha portato con se, è la necessità di pervenire alla produzione di norme universali attributive di eguali doveri ed eguali diritti in identiche situazioni e non con riferimento a qualità meramente soggettive. L’esigenza di differenziare le discipline delle varie situazioni, in collegamento con l’esigenza di riferire ogni differenziazione a tutti, e cioè di non riferire la differenziazione al soggetto come tale, conduce alla definizione classica di eguaglianza contenuta nell’Etica Nicomachea di Aristotele secondo cui, deve essere ricollegato pari trattamento a pari situazioni e diverso trattamento a diverse situazioni354.

E’ inoltre importante sottolineare come nessuna delle concezioni dell’eguaglianza elaborate nel corso della storia è stata interpretata come richiedente che tutti gli uomini siano eguali in tutto355: gli uomini devono essere trattati da eguali rispetto a quelle qualità che, secondo le diverse concezioni dell’uomo e della società, costituiscono l’essenza dell’uomo, ovvero, la natura umana distinta dalla natura degli altri esseri, come il libero uso della ragione, la capacità giuridica, la libertà di possedere, la dignità sociale (articolo 3 Costituzione italiana) o la dignità

353 Per particolarismo giuridico deve intendersi la mancanza di unitarietà e di coerenza dell’insieme

di leggi vigenti in una data sfera spazio- temporale, individuata in seguito ad un giudizio di valore secondo il quale nella stessa sfera vi dovrebbe essere, o “ci si aspetterebbe vi fosse”, unità e coerenza di leggi. Vedi G.TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, Bologna, 1995, p.28-

29.

354 CERRI, Eguglianza giuridica.., p.46-47.

355 CERRI, Eguglianza giuridica.., p. 26. «Ordinare la società significa riconoscere ad esempio

diversi doveri e diritti al creditore ed al debitore, al compratore ed al venditore, a chi ha commesso un delitto e a chi non lo ha commesso. Da qui l’idea per cui l’eguaglianza assoluta è incompatibile con l’ordine normativo, sarebbe altresì realizzabile solo in condizioni di piena libertà (ad esempio lo stato di natura configurato nel pensiero di Rousseau) o di totale mancanza di diritti».

(Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo). Una volta interpretato il significato specifico dell’eguaglianza sulla base delle idee morali, sociali e politiche della dottrina che l’ha formulato, il suo significato emotivo dipenderà dal valore che ogni dottrina attribuisce a quella qualità rispetto a cui si esige che gli uomini siano trattati in modo eguale356.

Chiarito quindi come il concetto di eguaglianza in ambito politico e giuridico assuma una connotazione relativa, è importante evidenziare come tale relatività sia strettamente dipendente dai giudizi di valore o di rilevanza che stanno a fondamento delle dottrine a cui Bobbio faceva riferimento.

Nel corso della storia, tali dottrine sono state di volta in volta utilizzate dalle forze politiche al governo di ciascun paese, nella misura in cui sono risultate rispecchiare gli obiettivi politici da esse ritenuti fondamentali e coerenti con i valori costituzionali a cui in quel periodo l’ordinamento e la forma di stato erano improntati. Volendo fare un esempio concreto basti pensare a come nel nostro ordinamento, partendo da differenti giudizi di valore, sia stata attribuita una diversa rilevanza ad elementi che poi sono stati determinanti ai fini del riconoscimento dei diritti politici a categorie sempre più ampie di individui. Nell’Italia liberale l’età, il censo, l’istruzione e l’appartenenza al sesso maschile furono, sulla base di un preciso giudizio di valore, considerati elementi cardine ai fini dell’attribuzione del diritto di voto. La scelta di tali requisiti da cui dipendeva il riconoscimento del diritto di voto, rispecchiava la volontà di realizzare una forma di stato conservatore, a base borghese, in cui solo una minima parte della popolazione doveva contribuire alla formulazione delle scelte di politica generale del paese. Con l’avvento dello stato sociale, invece, l’ancoraggio del diritto di voto al solo requisito della maggiore età, mostra come solo uno degli elementi in precedenza presi in considerazione venga considerato rilevante. Sono cambiate le finalità che l’ordinamento inteso come Costituzione materiale357 si prefigge di raggiungere, ovvero, pervenire ad un’organizzazione politica del paese che sia non solo liberale, ma al contempo democratica e pluralista.

Fatte queste dovute premesse, si passerà ora all’analisi del principio di eguaglianza giuridica espresso nel testo della Costituzione italiana.

356 BOBBIO, Etica.., p. 917.

Enunciato nell’articolo 3 Cost., il concetto di eguaglianza giuridica oltre ad assurgere al rango di principio generale fondamentale, costituisce, come dichiarato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.175 del 1971, un principio supremo358 dell’ordinamento. «I principi359 generali tracciano le linee di svolgimento dell’ordinamento giuridico, lo caratterizzano nel suo complesso come un tutto, delineandone la inconfondibile fisionomia360». I principi generali devono essere inquadrati all’interno del sistema di garanzie costituzionali poste dal costituente a tutela della posizione di suprema fonte del diritto riconosciuta nel nostro ordinamento giuridico alla Carta costituzionale.

In un sistema come il nostro, in cui è stata prevista una costituzione rigida e un controllo accentrato di costituzionalità delle fonti primarie, i principi generali sono chiamati innanzitutto a colmare le lacune esistenti nel sistema normativo ai sensi dell’articolo 12 delle Disposizioni sulla legge in generale contenute nel

358Successivamente la Corte costituzionale farà espresso riferimento alla categoria dei principi

supremi dell’ordinamento nella sentenza n.1146 del 1988. Vedi primo capitolo, paragrafo 1.10.1. e Cfr. A.CERRI, L’eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Milano, 1976, p.62, nota 46.

359 I principi generali dell’ordinamento si distinguono in principi costituzionali e principi generali

tratti dalla legislazione ordinaria. Mentre i primi sono il portato delle scelte effettuate dal potere costituente, i secondi sono opera del potere costituito. A loro volta i principi costituzionali possono essere impliciti, ovvero, non dotati di copertura costituzionale (principio di legalità, principio d’irretroattività della legge, principio di unità e totalità dinamica dell’ordinamento, principio della responsabilità per danno, principio di obbligatorietà delle norme, principio di logicità). Sono principi costituzionali espliciti e fondamentali quelli contenuti nei primi 12 articoli della Carta costituzionale.

360 E.BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1971. Secondo l’autore, nei

principi si rinviene un’eccedenza di contenuto deontologico o assiologico rispetto a quello proprio delle comuni norme giuridiche. A ciò l’autore affianca la tesi della non normatività dei principi generali, tesi, di contro, rigettata, da Crisafulli che li considera vere e proprie norme. (V. CRISAFULLI, Sull’efficacia normativa delle disposizioni di principio della Costituzione, in La

Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952, p.37). Romano, Donati e Modugno, hanno invece, visto dei principi generali delle fonti di norme. Modugno, in particolare, sottolinea come, in ragione della idoneità dei principi generali allo svolgimento della cosiddetta funzione normogenetica, questi debbano essere classificati come fonti fatto. Se il principio fosse diretta e immediata qualificazione o valutazione di fatti, di situazioni, di azioni, esso si ridurrebbe a norma più generale o comprensiva di altre che vi si possono raccordare, ma perderebbe la sua alternatività funzionale, ossia la capacità di venire adattato alla qualificazione di casi imprevisti, la sua funzione normogenetica >. Inoltre, ai fini dell’individuazione e della qualificazione di un principio non basta limitarsi all’elemento formale della dichiarazione in Costituzione, è necessario l’intervento dell’operatore a cui spetta il compito di svolgere un’attività di tipo ermeneutico- ricostruttiva basata su delle scelte di valore: «Il principio generale è dunque strutturalmente una costruzione dell’interprete-operatore- a partire dalle norme ritenute vigenti in un dato ordinamento positivo o ritenute implicite nelle sue istituzioni- che consiste in un fascio indeterminato di valutazioni o qualificazioni di oggetti, fatti, situazioni, stati di cose, comportamenti, potenzialmente idoneo a sciogliersi a concretarsi di volta in volta, in qualificazioni determinate, puntuali e quindi applicabili a concrete fattispecie» F. MODUGNO, Principi generali

Codice civile361. Accanto a questa originaria funzione integrativa, è pacifico in dottrina il riconoscimento ai principi generali della capacità di svolgere sia una funzione programmatica, volta all’indicazione di indirizzi ed orientamenti per il legislatore, che una funzione interpretativa, attraverso la quale a disposizioni di incerta o dubbia accezione, viene attribuito un significato coerente con il principio, così che esso assurge al ruolo di strumento, canone di valutazione a disposizione dei giudici e del legislatore.

Considerare i principi non come norme in sé ma come fonti di norme applicabili a singole fattispecie, conduce a qualificarli come principi di valutazione e non valutazione in atto. Da qui la necessità di un’attività d’intermediazione da parte dell’interprete. Avvalendosi degli enunciati normativi, delle regole grammaticali, dei contesti culturali, nonché della semantica e della sintassi, l’operatore andrà ad enucleare dal principio la norma da applicare alla fattispecie.

Oltre a svolgere le tre funzioni che a vario titolo sono attribuite ai principi generali, i principi supremi si connotano per la loro immodificabilità. Ponendo delle istanze irrinunciabili e caratterizzanti in sommo grado il nostro ordinamento, i principi supremi non possono essere sottoposti a procedimento di revisione costituzionale. Sono contenuti nei primi dodici articoli della Costituzione e si caratterizzano per l’irretrattabilità, l’inalterabilità e l’inderogabilità del loro contenuto essenziale. I principi supremi non possono essere derogati da quei principi generali costituzionali che offrono copertura costituzionale ad uno specifico settore di produzione normativa, come ad esempio il principio del primato del diritto comunitario sul diritto interno362 e il principio concordatario363. Le norme deducibili da principi supremi possono però essere derogate da norme formalmente costituzionali, legislative o deducibili da altri principi supremi. Tale cedevolezza richiede una specifica giustificazione di necessarietà, adeguatezza, ragionevolezza. Alla base della scelta di qualificare come supremi tali principi, sta

361 «Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle

disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato». Art 12.2 Disposizioni preliminari del Codice Civile.

362 Le sentenze della Corte costituzionale n. 98/1965, 183/1973, 170/1984 hanno vincolato al

rispetto dei diritti inviolabili e dei principi fondamentali il diritto sovranazionale comunitario.

363 Le sentenze della Corte costituzionale n. 30 e 31/1971, 12/1972, 175/1973, 1/1977, 18/1982

in primis una valutazione di fondo effettuata dai costituenti ai fini

dell’edificazione di una forma di stato democratica e pluralista e al contempo, l’operato della Corte costituzionale che, effettuando nei suoi giudizi dei bilanciamenti tra i vari principi, ha introdotto una graduazione di valore all’interno degli enunciati costituzionali. Non solo le leggi ordinarie ma anche le leggi costituzionali e le leggi di revisione devono, infatti, essere conformi ai principi supremi così che essi fungono da norme parametro di vertice nei giudizi di legittimità costituzionale364.

2.2. IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA NELLA COSTITUZIONE