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Due casi emblematici di discriminazione a rovescio e

2.5. Il principio di eguaglianza nell’ordinamento Ue in rapporto

2.5.1 Due casi emblematici di discriminazione a rovescio e

Sia il principio d’eguaglianza interno che il principio di eguaglianza comunitario, in forza rispettivamente, del principio di legittimità costituzionale e di quello del primato del diritto comunitario, svolgono un’azione conformatrice nei confronti degli atti legislativi nazionali. A questo punto viene da chiedersi se la legge italiana possa in ogni caso conformarsi simultaneamente ad entrambi, ovvero, se per adeguarsi all’uno, non finisca, in determinati casi, per entrare in contrasto con l’altro, a causa del diverso modo in cui il valore dell’eguaglianza è concepito e tutelato, rispettivamente nell’ordinamento comunitario e nella Costituzione italiana486.

Un esempio emblematico di tale forma di contrasto è stato fornito dalla legge n.580 del 1967 (Disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari), finita sotto la scure della Corte costituzionale perché generava, a seguito del giudicato di una precedente sentenza della Corte di giustizia487, una discriminazione a rovescio488 a danno delle imprese

485 Neanche l’ampia formulazione utilizzata nella Carta di Nizza dei diritti fondamentali vale ad

estendere l’applicazione del principio al di là delle materie di competenza comunitaria. Adottata nel 2000, la Carta ha positivizzato l’intero portato dell’esperienza giurisprudenziale maturata attraverso l’attività della Corte di giustizia in materia di tutela di diritti e principi. Si deve precisare però come la Carta non vada ad ampliare l’ambito delle competenze riservato dai trattati alla Comunità, così che la conformità ai diritti ed ai principi contenuti nel testo, dovrà essere garantita solo in riferimento agli atti comunitari ed agli atti degli stati membri adottati per dare attuazione al diritto comunitario. Tutti gli altri atti statali non saranno vincolati al rispetto dei parametri comunitari in materia di diritti umani.

486 GHERA, op. ult. cit., p. 224.

487 L’originario principio del trattamento nazionale, che poneva a garanzia delle singole libertà di

circolazione la possibilità per merci, servizi e operatori economici di circolare in uno stato membro diverso da quello di origine alle stesse condizioni previste per le merci, i servizi e gli operatori nazionali, viene accantonato, in quanto, laddove le legislazioni nazionali non coincidevano con quelle degli stati di destinazione, tale principio creava degli ostacoli agli spostamenti. Notevoli problemi sono stati, infatti, causati dalle differenze esistenti in materia di normative tecniche per la produzione delle merci: alcuni paesi membri, per adeguarsi agli standard di produzione dei paesi di destinazione, qualora più alti rispetto a quelli previsti dalle loro normative, erano costretti a

italiane produttrici di pasta di grano tenero. Con la sentenza 16-30 dicembre 1997 n. 443 la Corte costituzionale dichiarava la violazione dei principi di eguaglianza e di libertà economica operata dall’articolo 30 della legge n.580/1967. Prevedendo il mantenimento in vigore del divieto di produzione e vendita di pasta prodotta con farina di grano tenero in capo alle imprese italiane,489 tale norma generava effetti distorsivi all’interno del mercato concorrenziale della pasta, provocati dalle imprese comunitarie a danno delle imprese italiane.

A seguito della sentenza Zoni del 14 luglio 1988 in causa 90/86, la Corte di giustizia aveva ritenuto incompatibile con gli articoli 30 e 36 del Tce, la legge italiana n. 580/ 1967 disciplinante la produzione ed il commercio delle paste alimentari, nella parte in cui estendeva ai produttori che importano in Italia, il divieto di vendere pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro. Di fronte all’esigenza imperativa di tutela dei consumatori, invocata dal governo italiano a giustificazione delle limitazioni generate dalla previsione nazionale, alla libertà di circolazione delle merci, la Corte aveva replicato che, l’obiettivo di garantire che la pasta sia di qualità superiore e rispetti le tradizioni alimentari italiane, poteva essere soddisfatta con mezzi che non sostenere maggiori costi di produzione e quindi a praticare prezzi finali superiori a quelli previsti sullo stesso tipo di merci dai produttori nazionali. Da qui il transito al principio del mutuo

riconoscimento, che elaborato dalla Corte di giustizia, impone a ciascuno stato membro di

riconoscere le normative di carattere tecnico vigenti negli altri stati membri come equivalenti alle proprie e dunque consentire che le merci importate accedano ai propri mercati conformemente alla normativa del paese di origine. Il diritto comunitario consente delle deroghe a questo principio per i motivi menzionati all’articolo 30 TCE ed anche qualora vi siano delle esigenze di carattere imperativo quali: protezione della salute pubblica, efficacia dei controlli fiscali, lealtà dei negozi commerciali, difesa dei consumatori (sentenza Rewe Zentral del 20 febbraio 1979 in causa120/78). Previsto inizialmente nell’ambito del settore della libera circolazione delle merci, questo principio è stato poi esteso anche a quello dei servizi e degli operatori economici. F.GHERA, cit., p.99-100. In merito vedi anche, M.P.MADURO, We, The Court, Oxford, 2002.

488 Con l’espressione discriminazioni a rovescio si fa riferimento a quelle disparità di trattamento

che, l’adempimento di obblighi comunitari da parte degli stati membri può provocare all’interno dei rispettivi ordinamenti, a danno di soggetti o di merci di origine nazionale. Tali disparità si determinano tra le imprese e le merci nazionali, e i cittadini, le imprese e le merci provenienti da altri stati membri. F. GHERA, op. cit. p.118 e M.V. BENEDETTELLI, Il giudizio di eguaglianza

nell’ordinamento giuridico delle Comunità Europee, Padova, 1989, p.223. Si deve inoltre

precisare come, qualora tali discriminazioni, si riverberino esclusivamente all’interno di uno stato membro, senza coinvolgere il libero movimento di persone, merci o servizi, non rientrando nell’ambito di applicazione del trattato Ce, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia, non configurano una violazione del divieto di discriminazioni basate sulla nazionalità, che, come sancito dall’articolo 12 TCE, resta valido solo in riferimento agli ambiti che ricadono ratione

materiae nel trattato.

489 Essendo il divieto di vendita per gli importatori comunitari già stato abolito a seguito della

ostacolino l'importazione di prodotti legalmente fabbricati e posti in commercio in altri Stati membri e, in particolare, con l’obbligo di apporre un’etichetta

appropriata, che specifichi le caratteristiche del prodotto venduto. All’ulteriore

argomento addotto dall’Italia della esigenza di tutelare la salute pubblica, la Corte opponeva la mancata fornitura da parte del governo italiano di dati comprovanti che, la pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro, contenesse necessariamente additivi chimici o coloranti. Da qui la conclusione per cui un divieto generale di smerciare paste d'importazione recanti i suddetti ingredienti, fosse in ogni caso contrario al principio di proporzionalità e non giustificabile da ragioni di tutela della salute pubblica ai sensi dell'art. 36 Tce. A seguito di tale pronuncia, in ragione del principio del mutuo riconoscimento- quale garanzia della libertà di circolazione delle merci- e considerata l’assenza di una normativa comunitaria uniforme, così come di direttive in materia, il divieto di produzione e commercializzazione della pasta di grano tenero continuava a vigere solo in capo alle imprese nazionali490. Nella sentenza n.443 del 1997, la Corte costituzionale constata come, in mancanza di una normativa derivata in grado di uniformare la regolamentazione di tale settore, il principio di non discriminazione tra imprese concorrenti nello stesso mercato, opererebbe quale istanza di adeguamento del diritto interno ai principi stabiliti dall’articolo 30 Tce491 (divieto di restrizioni quantitative alle importazioni e misure di effetto equivalente), ovvero, nel senso di impedire che le imprese nazionali siano gravate

490 «Salvaguardato il principio di libera circolazione delle merci ed assicurata nei rapporti tra gli

stati l’attuazione del divieto di restrizioni quantitative all’importazione o di misure di effetto equivalente, gli stati membri resterebbero liberi di adottare unilateralmente una normativa che senza toccare i prodotti importati, tenda a migliorare la qualità della produzione nazionale o a mantenerla conforme alle tradizioni alimentari interne, anche oltre quanto necessario ad assicurare la tutela della salute umana e degli altri valori che nel trattato fungono da limite al principio di libertà della circolazione delle merci». Punto 5 del considerato in diritto sent. 443/1997.

491 In mancanza di una normativa comunitaria in materia di produzione e commercio di una

determinata merce, gli stati membri sono liberi di regolarne la fabbricazione, il consumo e la distribuzione nell’osservanza della garanzia della libera circolazione. Le eventuali limitazioni a tale libertà derivanti dalla difformità delle diverse discipline nazionali, sono ammissibili solo se necessarie a soddisfare esigenze imperative tassativamente fissate dall’art.36 TCE o puntualmente indicate nella sentenza Cassis De Dijon del 20 febbraio 1979 in causa 120/78. La Corte di giustizia tende a interpretare l’articolo 30 in senso ampio così da ricomprendere tra le misure equivalenti alle vietate restrizioni quantitative all’importazione, gli ostacoli tecnici rappresentati da discipline nazionali non razionalmente giustificabili secondo gli scopi del trattato. La Corte tende spesso a dichiarare le legislazioni interne di qualità, incompatibili con le norme sulla libera circolazione delle merci. A. VEDASCHI, L’incostituzionalità delle discriminazioni a rovescio. Una resa al

di oneri, vincoli e divieti che il legislatore non potrebbe imporre alla produzione comunitaria492. A giudizio della Corte costituzionale, l’irrilevanza delle discriminazioni a rovescio per l’ordinamento comunitario, lascia presupporre, che tra ordinamento interno e ordinamento comunitario debba necessariamente sussistere un rapporto fondato sul principio della separazione delle competenze, che porta quella medesima disciplina interna a risultare, di contro, rilevante per l’ordinamento italiano e quindi sindacabile dal giudice delle leggi493. Dunque, non potendo, in ragione del principio del primato, ri-estendere la portata della norma494alle imprese comunitarie produttrici di pasta, una volta constatata l’omogeneità delle situazioni in cui versano le due categorie, la Corte costituzionale rileva innanzitutto la violazione dell’articolo 3 Cost. Ma il tertium

comparationis in questo caso da cosa è dato?

Secondo Sorrentino495 dovrebbe essere rinvenuto nella normativa comunitaria e segnatamente nel principio del mutuo riconoscimento che impone l’accettazione per lo stato di destinazione, delle modalità di produzione estere, anche se più vantaggiose rispetto a quelle nazionali e quindi tali da generare distorsioni nel mercato interno.

E’ interessante osservare come qualche anno prima, in riferimento al divieto in questione, la Corte costituzionale nella sentenza n.20 del 12 febbraio 1980, avesse giudicato ragionevoli le limitazioni da esso apportate all’esercizio della libertà d’iniziativa economica, perché giustificate da ragioni di utilità sociale connesse all’obiettivo normativo di proteggere alcune caratteristiche qualitative proprie della legislazione nazionale ritenute meritevoli di salvaguardia. Con la sentenza n.

492 Punto 6, considerato in diritto sentenza Corte cost. n.443 del 1997.

493 Punto 5, considerato in diritto sentenza n.443 del 1997. A questo proposito Pinelli fa osservare

come nonostante «La disciplina dettata in un certo ordinamento risulti irrilevante per un altro, ciò non discende necessariamente dall’ipotesi che fra i due intercorra un rapporto di separazione (e reciproca coordinazione). Un ordinamento derivato da un altro ovvero reso autonomo dal primo ben può introdurre una disciplina operante esclusivamente nel proprio ambito fin quando l’ordinamento sovraordinato glielo consenta. L’irrilevanza per l’ordinamento sovraordinato di tale disciplina nasconde allora un consenso sovranamente prestato e sempre suscettibile di venire ritirato, alla disciplina derogatoria, anziché un rapporto di separazione previamente disposto fra i due ordinamenti». C. PINELLI, Adeguamento al diritto comunitario e interpretazione

costituzionale, Giur. Cost. 1997, p.3915 ss.

494 Se le limitazioni alla normativa sulla produzione di pasta sono costituzionalmente legittime

perché giustificate dalla clausola dell’utilità sociale, di contro esse risultano illegittime per il diritto comunitario.

495 F.SORRENTINO, L’eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di

443/1997 la Corte costituzionale rompe con il consolidato indirizzo giurisprudenziale che fino ad allora l’aveva condotta a giudicare infondate tutte le limitazioni alla libertà d’iniziativa economica basate sulla necessità di perseguire finalità d’interesse generale496. Questo caso s’inserisce nel più ampio quadro di pronunce comunitarie in materia di prodotti alimentari, rispetto ai quali la prevalente opinione suggerisce che avrebbero generato l’effetto di spingere verso il basso, il livello qualitativo di talune produzioni attraverso l’impiego di tecniche e criteri di produzione di larga diffusione. Gli stati che producono beni con minore carico normativo di qualità, riescono, infatti, ad imporsi sui mercati superando i collaudati sistemi di fabbricazione di prodotti tipici realizzati da paesi che vantano antiche tradizioni alimentari. La Corte di giustizia per favorire l’espansione del principio di libera concorrenza ha finito sempre più spesso con il penalizzare beni, frutto delle migliori tradizioni culturali ed alimentari europee497. Si deve, inoltre, evidenziare come nel corso degli anni la Corte sia andata ad ampliare l’ambito di applicazione della libertà di circolazione. Esercitando su questa materia, un sindacato poco rigoroso, il giudice del Lussemburgo è giunto a considerare qualsiasi discriminazione subita dal cittadino comunitario dentro lo stato ospitante, come incidente sulla libertà di circolazione e quindi rilevante per il diritto comunitario. Il contenuto della sentenza Bickel- Franz, 24 novembre 1998 in causa 274/96 è emblematica di tale tendenza e mostra al contempo l’approccio della Corte europea rispetto alle così dette discriminazione indirette sulla base

della nazionalità498. La Corte ha ritenuto incompatibile con il divieto di

discriminazione in base alla nazionalità e quindi con la libertà di circolazione

496 C.PINELLI, cit. p.3915 e ss. L’autore parla in merito di una vera e propria «[…]Riscrittura della

giurisprudenza sui rapporti economico-sociali giocata sull’ istanza di adeguamento dello stesso diritto costituzionale al diritto comunitario».

497 A.VEDASCHI, cit, p.287.

498 Mentre le discriminazioni dirette sono generate da norme che esplicitamente assumono il dato

di appartenere ad uno dei due sessi od il fatto di essere cittadino o straniero, quale elemento integrante delle fattispecie cui raccordano conseguenze giuridiche di favore o di sfavore, le discriminazioni indirette derivano da norme che, attraverso altri elementi di differenziazione producono risultati sostanzialmente equivalenti a quelli che discenderebbero da norme apertamente discriminanti. Sono indirettamente discriminatorie le norme degli stati membri che riservano situazioni soggettive di vantaggio ai soli residenti, in quanto il requisito della cittadinanza interna è di fatto soddisfatto da una percentuale superiore di cittadini nazionali che di cittadini di altri stati membri. La discriminazione indiretta è quindi il risultato della combinazione tra una determinata disparità sostanziale ed una determinata differenziazione normativa. F.GHERA,

delle persone, quelle norme che attuando lo statuto del Trentino Alto Adige,499 non estendevano ai cittadini comunitari di lingua tedesca in transito su quel territorio, il diritto- riservato solo ai residenti di lingua tedesca- a che i processi civili e penali venissero celebrati in tedesco. La Corte di giustizia parte dal mettere in luce le ragioni che la conducono a considerare rilevante per l’ordinamento comunitario la questione portata in giudizio. In primis richiama la sentenza Cowan del 2 febbraio 1989 in causa 186/87500 e poi l’articolo 18 Tce, affermando che, qualora un cittadino europeo eserciti il proprio diritto di circolare e di risiedere nel territorio di uno stato membro, tale situazione rientra nella sfera di applicazione del Trattato ai fini del divieto di discriminazione effettuata sulla base della cittadinanza. La difesa italiana sottolinea come la normativa italiana controversa, miri unicamente alla tutela di una specifica minoranza linguistica presente in Italia riconoscendone l’identità etnica e culturale. Essa non può quindi applicarsi ai non residenti, in quanto non prendenti parte al contesto sociale, alle condizioni di vita e ai problemi che sono specifici ed esclusivi dei residenti della provincia di Bolzano. Sarebbe, inoltre, del tutto sproporzionato consentire all'imputato di optare per l'uso della propria madrelingua, al fine di salvaguardare i diritti della difesa, in quanto tali diritti vengono salvaguardati con altri mezzi, in

primis il diritto ad avere gratuitamente un interprete, in conformità delle pertinenti

disposizioni della Convenzione EDU e del Patto internazionale sui diritti civili e politici501. Secondo la Corte di giustizia, invece, la circostanza per cui la

499 L'art. 6 della Costituzione italiana stabilisce che la Repubblica tutela le minoranze linguistiche.

In attuazione di tale norma, l'art. 99 del DPR n. 670/1972 prevede che nella Regione Trentino - Alto Adige il tedesco goda del medesimo status dell'italiano, lingua ufficiale dello Stato. L'art. 100 del decreto stabilisce, inoltre, che i cittadini di lingua tedesca della Provincia di Bolzano abbiano diritto ad usare la propria lingua nei rapporti con le autorità giudiziarie di tale provincia. Per «cittadini» si intende coloro che risiedono a Bolzano.

500 Nel caso Bickel- Franz la Corte generalizza le conclusioni tratte dal caso Cowan affermando

che i diritti di un soggetto imputato in un processo penale vanno considerati come fondamentali e costituenti un corollario della libertà di circolazione.

501 Riguardo a quest'ultimo punto il governo italiano fa riferimento alla sentenza della Corte

costituzionale 29 gennaio 1996, n.15 in cui si afferma che l'ambito di applicazione delle norme a tutela delle minoranze linguistiche è diverso da quello delle norme sui diritti della difesa. Queste ultime, relativamente al regime linguistico, mirano all'adeguata comprensione da parte dell'imputato degli aspetti processuali, potendosi supporre che questa verrebbe a mancare qualora l'interessato non abbia una perfetta conoscenza della lingua ufficiale. Le norme a tutela delle minoranze linguistiche sono invece conseguenza di una speciale tutela costituzionale, corrispondente al patrimonio culturale di un particolare gruppo etnico, e, pertanto, prescindono dalla circostanza concreta che l'appartenente alla minoranza stessa conosca o meno la lingua ufficiale. Il governo italiano ne trae la conclusione, che il diritto dei residenti della Provincia di

disciplina derogatoria502 viene applicata ai soli residenti, in maggioranza cittadini italiani, configura una violazione indiretta del principio di non discriminazione in base alla nazionalità ai danni dei cittadini comunitari di lingua tedesca non residenti, esclusi dal dominio di tale norma. L’estensione della portata della norma andrebbe così a favorire la libertà di circolazione, senza pregiudicare l’obiettivo cui tende la norma nazionale, di protezione delle minoranze linguistiche. Volendo ora considerare la questione nell’ottica utilizzata dalla Corte costituzionale per esercitare il sindacato di costituzionalità rispetto al principio di ragionevolezza, si deve partire dall’estrapolare la ratio che sta a fondamento della normativa italiana controversa. Questa deve essere individuata nella circostanza per cui il legislatore italiano ha previsto che, in deroga al primo comma dell’articolo 3, una legge possa stabilire un trattamento “discriminatorio” e segnatamente, l’attribuzione di diritti linguistici speciali, allo scopo di tutelare le persone che appartengono alla minoranza linguistica tedesca e risiedono nel territorio della provincia di Bolzano. Questa disposizione è il risultato di un bilanciamento di valori da parte del legislatore che ha inteso sacrificare il principio di eguaglianza formale (divieto di discriminare in ragione della lingua) a vantaggio di un obiettivo di eguaglianza sostanziale che trova tra l’altro fondamento nell’articolo 6 Cost. Fatta questa premessa, si deve osservare come la Corte di giustizia, ai fini della valutazione della violazione del divieto di discriminazioni in base alla cittadinanza, piuttosto che procedere, con il raffrontare le fattispecie per valutarne l’omogeneità, rilevare la riferibilità ad entrambe della stessa ratio e quindi decidere eventualmente di estendere la portata della norma controversa, molto approssimativamente dichiara che l’estensione del diritto ad esprimersi nella propria lingua davanti alle autorità giudiziarie della provincia di Bolzano, nei confronti di un cittadino comunitario di lingua tedesca in transito nella provincia, non pregiudica il fine della tutela della minoranza linguistica e per altro verso serve a facilitare l’esercizio della libertà di circolazione e soggiorno.

Bolzano di optare per l'uso del tedesco, non dipende dalla loro capacità o meno di usare la lingua italiana.

A giudizio di una parte della dottrina,503 tale sentenza, attribuendo una diversa

ratio di matrice comunitaria -alla disposizione nazionale collegata con la libertà

comunitaria di circolazione- finisce con il piegarla al soddisfacimento di interessi diversi da quelli per cui era stata posta in essere. In tal modo la normativa nazionale viene resa ancora più derogatoria rispetto a quanto già non fosse504 e pare chiaramente in contrasto con il dettato costituzionale505.