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Il “Dialogo di Federico Ruysch e le sue mummie” e il sentimento della morte.

3. IL MONDO E' CADUTO, E NIUNO S'E' MOSSO 79 : LEOPARDI E LUCIANO TRA REALTA', IMMAGINAZIONE E

3.2. La satira e il sistema filosofico leopardiano:

3.2.2. Il “Dialogo di Federico Ruysch e le sue mummie” e il sentimento della morte.

Dopo aver spaziato attraverso le diverse tematiche che hanno caratterizzato le operette precedenti, vediamo l'autore tornare a immergersi nell'atmosfera di commedia e di comico per affrontare motivi a lui cari.

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Ciò che immediatamente richiama l'attenzione nel

“Dialogo di Federico Ruysch e le sue mummie” è la

struttura bipartita tra versi e prosa: il dialogo, infatti si apre con una canzoncina in rima identificata come “Coro di morti” che in un primo momento, con la sua raggelante spettralità, sembra prevalere sull'inclinazione umoristica che poi andrà a caratterizzare alcuni passi del testo. Di fatto il coro iniziale delinea l'andamento tragico che si nasconde tra le righe dell'operetta e che riguarda il fatto che tutti prima o poi dovranno morire, tutti dovranno essere consegnati all' “ignuda natura” proprio come i morti recitano nei loro versi.

La presenza di questo coro e della composizione poetica che risulta tra le più singolari nel repertorio leopardiano, torna a sottolineare la tendenza dell'autore a mescolare poesia e razionalità del pensiero generando una scrittura dall'immancabile effetto drammatico che qui si manifesta apertamente.

La trama vede l'anatomista Federico Ruysch essere svegliato da questo coro intonato dalle sue mummie: la comicità risulta immediatamente evidente dopo la tonalità tragica della canzone, proprio attraverso le parole di Ruysch che si chiede “chi ha insegnato la musica a

questi morti, che cantano di mezza notte come i galli?”117. Qui ci troviamo di fronte a un chiaro esempio di satira menippea dato dalla mescolanza di prosa e versi e dalla

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creazione di forti dissonanze che derivano proprio dal passaggio dalle voci cantate dell'aldilà alla normalità del mondo terreno a cui appartiene Ruysch, che svegliato alla mezzanotte si affaccia stupito all'uscio. Continuando a cercare richiami nell’opera di Luciano vediamo emergere un nesso con una specifica opera che riporta proprio un brusco risveglio notturno causato dal canto di un gallo, così come accennavano le parole dello stesso anatomista. Nel dialogo “Il Sogno, o il Gallo” Luciano descrive l’improvviso risveglio del calzolaio Micillo a causa del canto del suo animale. In questo senso si coglie il riferimento al fatto che i galli debbano cantare a mezzanotte: Federico Ruysch si chiede chi è che canti a tale ora proprio come i suddetti animali, mentre nel caso di Micillo lo stupore è dovuto al fatto che il suo gallo ha iniziato a cantare prima dell'ora abituale. Si deve sottolineare anche la reazione del personaggio lucianeo che, per il trauma dell’improvviso risveglio, accusa la bestiola di aver interrotto il suo sogno dolcissimo in cui si sentiva felice e privo dei tormenti della vita che tornano di colpo a travolgerlo non appena viene svegliato.

Si tratta di una tematica nota e già frequentemente affrontata dal Leopardi, quella di individuare nel sonno il rimedio ai mali e dolori della vita, un sonno, quello prediletto e sollecitato dall'autore delle Operette, privo di sogni e di immaginazioni che risulterebbero essere

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soltanto artifici palliativi al dolore che ogni mattina torna a pungere l'uomo.

Qui sembra instaurarsi la sottile differenza nella riflessione dei due autori a confronto: entrambi attenti allo snodarsi dell'animo umano e alle condizioni dell'essere, uno si concentra poi sulla materialità dei fatti legati al lavoro quotidiano, alla ricchezza e alla povertà passando attraverso una forte vena spassosa che vede il gallo parlare come un umano e presentarsi addirittura come reincarnazione di Pitagora; dall'altro lato Leopardi affronta in maniera più complessa la tematica del sonno come rimedio ai mali (si veda ad esempio in maniera più completa nel “Dialogo di Malambruno e di Farfarello”), ponendo qui il risveglio dello scienziato Ruysch come punto fondamentale di contatto con il mondo dei morti, che anch'essi sperimentano il sentimento del risveglio e riescono a comunicare con i vivi.

L'anatomista realizzando di avere la possibilità di entrare in contatto con l'aldilà per quindici magici minuti prima che i morti tornino a essere mummie, vuole conoscere il sentimento della morte, vuole cioè interrogare i suoi interlocutori sulla percezione fisica che si ha al momento esatto del trapasso, scoprire se si prova dolore o piacere anche in base al tipo di morte a cui si va in contro, se violenta o per malattia o di vecchiaia. Si tratta di un'indagine che proprio si addice a uno scienziato materialista, pratico, uso a trattare i corpi morti. Ma

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quello che emerge dal dialogo corale è solo la rassicurazione che niente viene più percepito, che ogni cosa poco a poco si affievolisce fino a svanire del tutto facendo acquietare e scomparire anche il dolore. È qui che possiamo veder riemergere con forza la vicinanza tra sonno e morte accomunati dalla sensazione di non-essere che qui l'autore associa al piacere.

Di fatto in questa operetta ci troviamo immersi in un'atmosfera del tutto surreale, finora non così esplicitamente presente nel resto dei testi della raccolta: il coro di morti, la moltitudine indefinita che rappresenta, va a evocare quel non-essere infinito che tutti cercano e a cui tutti tornano. E la mescolanza tra surreale quasi fantascientifico e drammaticità del contenuto è arricchita dalle numerose facezie e battute ironiche sia nelle parole del morto che in quelle di Ruysch.

Il quarto d'ora che era stato concesso alla comunicazione dei due mondi termina118 lasciando lo scienziato con ancora domande irrisolte, come “ma come vi accorgeste

in ultimo, che lo spirito era uscito del corpo? Dite: come conosceste d'essere morti?”119. La conclusione rimanendo sospesa riguardo temi estremamente angosciosi, vede Ruysch uscire di scena con lo stesso macabro umorismo con cui era comparso, con lo stesso tono scherzoso che lo

118Gli stessi morti fanno riferimento al compimento dell'anno “grande e matematico” ovvero l'anno platonico

considerato come periodo di tempo dopo il quale i sette pianeti tornavano ad avere la stessa posizione che avevano al principio del loro moto. Cfr. Giacomo Leopardi, Laura Melosi (a cura di), Operette Morali, BUR, Milano, 2019, p. 362.

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ha accompagnato per l'intero dialogo: tasta le mummie, appura che sono “rimorte ben bene”, quindi avendo compreso di non poter avere più risposte, annuncia di tornarsene a letto con un sospiro di sollievo non dovendo preoccuparsi di essere svegliato nuovamente dal coro. Il comportamento e l'atteggiamento di Ruysch nella chiusura dell'operetta denotano una certa vicinanza con un altro dialogo presente nella raccolta dei Morti di Luciano, si tratta in questo caso di “Menippo, Amfiloco e

Trofonio”, in cui Menippo accusa i due personaggi delle

imposture e falsità commesse in vita, essendosi fatti credere profeti e avendo ottenuto così dopo la morte di essere onorati come dei. Questo è certamente un tema caro a Luciano e preponderante all'interno dei suoi dialoghi ma il tratto qui interessante è proprio la ripresa della battuta finale che vede Menippo sostenere la mancanza di divinità nelle due anime defunte riconoscendole appunto come “tutte morte”. Questo ribadire, sottolineare lo “stato di morte del morto”, come avviene per le mummie da parte di Ruysch, è il tratto comico che Leopardi ha scelto di evidenziare attraverso il riferimento lucianeo che ancora una volta si offre come efficace fonte a cui attingere.

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