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Al termine dei voli menippei il ritorno sulla terra: la chiusura riflessiva e filosofica delle Operette Morali.

3. IL MONDO E' CADUTO, E NIUNO S'E' MOSSO 79 : LEOPARDI E LUCIANO TRA REALTA', IMMAGINAZIONE E

3.3. Al termine dei voli menippei il ritorno sulla terra: la chiusura riflessiva e filosofica delle Operette Morali.

La conclusione delle Operette Morali, ormai distante dalla satira puramente menippea dell'inizio, vede tre dialoghi fortemente significativi nel pensiero filosofico leopardiano. Si tratta, in ordine di comparizione, del

“Dialogo di Plotino e di Porfirio”, del “Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere” e del “Dialogo di Tristano e di un amico”.

Ormai fuori dal nucleo tematico delle Operette del '24 incentrate sui motivi della noia, del piacere e del dolore siamo qui di fronte a una nuova produzione di dialoghi che vedono, come nel caso di “Plotino e di Porfirio”, la dimostrazione della legittimità del suicidio, da una parte e la difesa in favore della vita dall'altra. Qui torna la volontà

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di abbandonare l'esistenza con lo scopo di raggiungere una pace simile alla felicità agognata, ma allo stesso tempo emerge nelle parole di Plotino la considerazione del suicidio come atto contro natura spingendo l'amico, che pur porta avanti degne considerazioni, a lottare, a difendersi e resistere al dolore dell'esistenza.

Le successive due operette risalgono entrambe al 1832: il

“Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere” si presenta come parentesi leggera

attraverso il dialogare di due personaggi, sicuramente maggiormente verosimili rispetto a tutti quelli finora comparsi nella raccolta. Anche qui la teatralità prende il sopravvento e va a delineare uno tra i meglio riusciti dialoghi leopardiani, tutto volto alla scoperta della verità da parte dell'ambulante che si trova a confrontarsi con le teorie e dimostrazioni pessimistiche del passeggere. Si mantiene qui ancora un certo attaccamento alla vita e alla speranza dopo il desiderio di suicidio portato avanti nel dialogo precedente. Si arriva infatti alla conclusione che potrebbe essere accettabile rivivere la vita soltanto se si trattasse di una vita futura che non si conosce, mentre non sarebbe sopportabile rifarla tale come la si è già vissuta130, evidenziando così la consapevolezza dell'esperienza dell'infelicità.

Infine, la degna conclusione scelta da Leopardi stesso è racchiusa nel “Dialogo di Tristano e di un amico”: se il

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“Timandro ed Eleandro” aveva rappresentato la prefazione ideale delle Operette Morali, i due personaggi dell'ultimo dialogo si fanno portavoce di una vera e propria postfazione che racchiude in sé i temi principali fino a questo punto affrontati dall'autore.

Il “Dialogo di Tristano e di un amico” viene inserito nel corpus delle Operette del '27 soltanto nel 1834 con la proposta di dare alle fiamme l'intera raccolta. Leopardi infatti assume il tono di una falsa palinodia per ritrattare le verità fino a quel momento raggiunte: aver visto sfumare il fantasma dell'amore, le illusioni del piacere e del sentimento, lo scemare della passione per gli studi a causa della salute vacillante, la caducità di una gloria irraggiungibile, l'affermarsi sempre più forte della filosofia dei contemporanei e per finire la bocciatura delle

Operette Morali al concorso indetto dall'Accademia della

Crusca nell'anno 1830, lo conducono a una amara ma falsa ritrattazione della sua intera opera.

Queste verità quasi inaccettabili aprono un dialogo malinconico e desolato portato avanti da un personaggio come Tristano che sembra aver accettato tutto del secolo in cui vive, le sue contraddizioni, le sue credenze, la perfettibilità umana e le verità comunicate dalle gazzette131. Ma è questo il vero spirito della palinodia, ritrattare le proprie idee vere e profonde fingendo di affidarsi a ciò che si è sempre negato.

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La volontà di essere compreso dal pubblico si perde nel confronto con le verità radicate nell'infelicità degli individui, e senza che ormai l'interlocutore riesca più a ribattere Tristano riconosce di essere pronto ad abbandonare questo mondo che non l'ha mai accettato e nonostante la lontananza che egli percepisce con i suoi contemporanei si appresta a congedarsene, lasciando, di fatto, ai posteri la sua intera opera.

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Conclusioni.

Lo studio svolto nel corso di questa trattazione ha avuto l’obiettivo di portare alla luce il rapporto che intercorre tra due autori temporalmente e apparentemente lontani: Giacomo Leopardi e Luciano di Samosata.

Si è scelto di approfondire questo legame attraverso una lettura critica delle Operette Morali di Leopardi chiedendoci quanto e sotto quali aspetti siano state influenzate dall’opera di Luciano.

In seguito a un’attenta immersione nei testi di entrambi gli autori è emersa l’evidente presenza della fonte lucianea che si è cercato di interpretare il più esaustivamente possibile attraverso la ricerca di riscontri tematici e stilistici presenti nelle singole operette di ispirazione menippea.

Seguendo la domanda di fondo riguardante il tipo di rapporto che lega i due autori, sono state analizzate le trame e i contenuti delle Operette Morali e dei dialoghi di Luciano isolandone i tratti distintivi e comuni: personaggi ricorrenti, modalità espressive colloquiali e riduttive tipiche del comico, presenza di divinità imborghesite, di mondi soprannaturali, riflessioni sulla condizione umana e critiche alla società contemporanea.

Proponendo questa specifica analisi dei riferimenti leopardiani ai testi di Luciano ne è risultato un confronto che coinvolge su più piani le opere trattate: a partire dallo stile contrassegnato dall’utilizzo della forma dialogata

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congiunta allo spirito della commedia, fino al livello tematico con la presenza di personaggi portavoce degli autori, e alla critica velata proprio da quell’umorismo che dai dialoghi scaturisce.

Sicuramente è stato colto a primo impatto come l’utilizzo del dialogo e l’idea di creare una raccolta di “dialoghi satirici alla maniera di Luciano” siano determinanti per il progetto di Leopardi e rappresentino il dato che ha condizionato l’indirizzo di questo studio.

Aver scelto tra le numerose fonti classiche proprio quella legata all’opera di Luciano di Samosata ha infatti consentito la focalizzazione sull’intento comico delle

Operette che per Leopardi nasce dalla reazione

all’insensibilità del mondo e alla sua volontà di smascherarlo passando attraverso la costruzione fantastica di mondi tipicamente lucianei.

Inoltre nonostante la varietà di spunti e approcci che potevano derivare dalla lettura delle Operette Morali si è scelto di proseguire nella strada aperta da Luciano proprio perché essa ha offerto a Leopardi una visione fantasiosa che ha arricchito la sua creatività immaginativa nel plasmare un mondo tra mitologico e terrestre in cui la sofferenza, il dolore, la morte portano a un riso malinconico che è segno distintivo dell’intera riflessione leopardiana.

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BIBLIOGRAFIA