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Personaggi scomodi in un'autobiografia nascosta:

3. IL MONDO E' CADUTO, E NIUNO S'E' MOSSO 79 : LEOPARDI E LUCIANO TRA REALTA', IMMAGINAZIONE E

3.2. La satira e il sistema filosofico leopardiano:

3.2.3. Personaggi scomodi in un'autobiografia nascosta:

“Detti memorabili di Filippo Ottonieri” e “Vita di Demonatte”.

Il testo che si passa ad analizzare è immediatamente successivo a quello appena osservato. La quindicesima operetta intitolata “Detti memorabili di Filippo Ottonieri” è stata scritta da Leopardi tra agosto e settembre 1824 seguendo il sottogenere letterario greco-latino proprio dei detti memorabili120 in cui generalmente viene presentato un personaggio illustre colto nell'enunciare i propri pensieri ma anche paradossi. Sicuramente ci allontaniamo dai toni drammatici e surreali dell'operetta precedente e anche dalla sua intensità poetica per entrare in un filone interno alla raccolta che si può definire prevalentemente autobiografico e che percorre testi come “Il Parini, ovvero della gloria” e “Dialogo di

Timandro e di Eleandro”.

Quello che Leopardi ha da sempre con i classici non è un mero rapporto di imitazione passiva, di appropriazione indebita, e anche qui, attraverso i detti di Ottonieri l'autore riesce a creare un vero e proprio personaggio che maschera con maestria il proprio ritratto autobiografico sotto numerosi aspetti. Il protagonista dell'operetta si presenta isolato, odiato da chi lo circonda, additato come “diverso” e proprio per questo ancor più detestato.

120Si prendano come esempi il “Factorum et dictorum memorabilium libri IX” dell'autore latino Valerio Massimo (I sec.

a. C.-I sec. d. C.), contenente detti e comportamenti positivi e negativi di personaggi famosi a quel tempo, e i

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Queste sembrano immediatamente apparire come caratteristiche direttamente riconducibili all'esperienza autobiografica dell'autore e questo legame compare ancor più forte nello scoprire che un personaggio così odiato dai suoi contemporanei come è Filippo Ottonieri sia però interiormente bellissimo e sensibile, a differenza di come appare nell'aspetto esteriore (è evidentemente brutto). Questi tratti che accomunano autore e personaggio sono anche gli stessi che hanno reso entrambi in grado di manovrare la propria vita attraverso una giusta dose di ironia, quella con cui l'Ottonieri propone la sua visione del mondo, le sue battute umoristiche, le sue riflessioni e appunto i suoi detti. La scelta di narrazione autobiografica attraverso una serie di detti, aneddoti e risposte che vanno a delineare la figura di Filippo Ottonieri serve a sottolineare la delusione e la malinconia dell'autore nei confronti della contemporaneità, nonostante si tratti di quella malinconia ironica che sembra essere diventata proprio la colonna portante delle Operette Morali.

In questo dialogo emerge quindi esplicitamente l'importanza che per Leopardi ha l'ironia e ciò avviene attraverso le parole di questo alter-ego che non teme di esprimere la condizione di infelicità in cui l'uomo vive, anzi lo fa sempre riuscendo a mantenere solida questa sua attitudine ironica, di lucida visione distaccata e di grande capacità di giudizio.

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Nel descrivere l'ironia di Ottonieri, immancabilmente Leopardi descrive la propria, associandola però anche a un altro personaggio, Socrate, anch'egli escluso e rifiutato dalla società: Ottonieri, infatti, si vantava di chiamarsi Socratico nel ragionare filosofico e nell'intrattenere amici e familiari con massime e precetti, “e per verità non avea

di Socrate altro che il parlare talvolta ironico e dissimulato. E cercando l'origine della famosa ironia socratica, diceva: Socrate nato con animo assai gentile, e però con disposizione grandissima ad amare; ma sciagurato oltre modo nella forma del corpo; [...]”121. Certamente si intravede in questa descrizione l'identificazione di Leopardi che nascondendosi sotto la presunta definizione di ironia socratica mostra in realtà la sua distintiva espressione ironica e satirica.

L'antecedente lucianeo diretto per la stesura di questo dialogo è una delle poche opere dell’autore in forma non dialogata, ma di racconto biografico, così come la stessa operetta leopardiana compare nella forma di trattatello diviso in capitoli e non nella tipica e prediletta forma di dialogo. Si tratta di “Vita di Demonatte” in cui troviamo l'analoga costruzione di un personaggio pubblico rappresentato dalla figura del filosofo Demonatte dietro al quale l'autore nasconde parte di se stesso, quella parte esclusa dalla società, la parte anticonformista e che lo

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porta quindi a essere malvisto dai suoi concittadini a causa delle sue opinioni sulla società.

Anche nel testo greco si nota immediatamente un riferimento a Socrate in chiave opposta rispetto alle intenzioni e all'analisi proposta riguardo Leopardi: Demonatte infatti sembrava avvicinarsi a Socrate dal punto di vista filosofico ma non possedeva la sua ironia,

“ma piuttosto era pieno di grazie attiche nella maniera di conversare”122.

La presenza di Luciano è inoltre esplicitamente citata da Leopardi all'interno dell'operetta (capitolo sesto) quando i detti di Ottonieri iniziano a spaziare sulle letture attuate

dal personaggio, soprattutto biografiche e

autobiografiche di autori antichi.

Filippo ci appare come solito leggere o farsi leggere opere di autori classici e di appuntare note e riflessioni scaturitegli da quella lettura, così come faceva Leopardi stesso che qui parla di sé attraverso le abitudini del suo personaggio.

Citando le sue varie interpretazioni di autori come Diogene Laerzio, Plutarco o Cicerone che scrissero biografie di uomini illustri arriva a menzionare l'imperatore Giuliano l'Apostata (331-362 d.C.) che, conosciuto anche come abile “autore sofistico”, qui viene portato come esempio di sagacia per il suo Misopogene (“Contro alla barba”) in cui parla unicamente di se stesso

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e per se stesso rispondendo alle maldicenze che gli antiochiani dichiaravano contro di lui. Sicuramente il capitoletto leopardiano, che riguarda principalmente la riflessione sul parlare di sé secondo il proprio punto di vista e l'osservare gli avvenimenti del mondo e delle altre persone unicamente dalla propria centralità (la critica è ancora volta all’antropocentrismo tipico dell’uomo moderno), non arriva a caso a citare Luciano come termine di paragone per sottolineare le abilità artistiche e letterarie di Giuliano l'Apostata. Leopardi sostiene infatti che l'imperatore non sia molto inferiore per ingegnosità comica e per acutezza a Luciano, riuscendo adeguatamente nel suo intento umoristico.

Essendo Luciano lo scrittore satirico per eccellenza nella considerazione leopardiana è qui importante sottolineare questa esplicitazione che riguarda proprio il ruolo dell'autore greco in quanto ispirazione, non solo per Leopardi ma per tutti coloro che abbiano voluto scrivere efficacemente opere ricche di arguzie.

Per tornare quindi a confrontare direttamente l'opera dei due autori vediamo che Demonatte e Ottonieri rappresentano uomini saggi con idee e pensieri da comunicare a un mondo che non sa ascoltarli e che tende a escluderli, e se continuiamo a seguire la scia interpretativa che li vede come alter-ego dei loro autori, sicuramente comprendiamo la necessità da parte di

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entrambi di poter essere accettati e soprattutto di poter fare ascoltare il proprio pensiero.

Così il Demonatte lucianeo viene presentato come esempio da seguire in una contemporaneità dove i valori si stanno perdendo e dove si tende a seguire la strada aperta da imbroglioni e falsi profeti; attraverso i detti che si susseguono rapidamente per mano di Luciano, viene costruita la figura di questo filosofo che compare magnanimo e pronto ad assistere chiunque abbia bisogno, si delinea sempre più la figura di un saggio

apprezzato da tutta la comunità ma che

fondamentalmente resta escluso proprio a causa dei suoi profondi e sinceri interessi filosofici, per la sua sensibilità e la sua lealtà nell'affrontare i rapporti e le richieste di aiuto. Luciano costruisce così il suo alter-ego dando voce alla realtà contemporanea che egli stesso recepisce come incapace di comprendere e accettare totalmente personaggi come Demonatte nonostante i tratti descritti siano unicamente fatti di valori positivi.

Sulla scia di questo susseguirsi di detti che vanno a comporre la vita del personaggio, anche Leopardi costruisce la struttura della sua operetta, dandole forma di trattatello suddiviso in capitoli e sicuramente più lungo ed elaborato rispetto alla rassegna lucianea mossa da vivacità e scherno. Ma di fatto anche per Leopardi delineare il proprio personaggio è un pretesto sotto cui nascondere la propria personalità difficilmente compresa

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e proporre al pubblico una dettagliata analisi dei propri pensieri tra i più disparati e tra i più disperati.

Ottonieri affronta numerose tematiche attraverso il suo filtro ironico che è diventato mezzo per poter mutare la propria sofferenza in opera produttiva, anche in grado di fargli ottenere successo o consensi.

Le tematiche affrontate dunque sono varie e rispecchiano il percorso evolutivo compiuto dal pensiero dello stesso autore che qui, attraverso i detti pronunciati dal suo alter- ego, ripropone in chiave ironica: il “capitolo secondo”, che risulta infatti essere il più coerente dal punto di vista artistico e ideologico, raccoglie pensieri tipicamente leopardiani riguardanti la contemporaneità, la condizione di irriducibile infelicità a cui l'uomo è condannato, il dolore e il timore che rendono difficile la vita e la ricerca di uno stato, una sensazione che però non sarà mai felice. Tale capitoletto si conclude proprio con una massima che sembra riassumere i pensieri precedenti “Dimandato a

che nascano gli uomini, rispose per ischerzo: a conoscere quanto sia più spediente il non esser nato”123 e che nella coerenza del sentimento dell'infelicità dominante evidenzia lo sdegno verso la vita che ci porta a nascere soltanto per conoscere il dolore e per agognare quella felicità che avremmo conosciuto se non fossimo nati. Gli altri capitoli che costituiscono l'operetta si distinguono per il variare della coesione tematica: nel capitolo quinto,

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ad esempio, troviamo riflessioni già affrontate più volte dall'autore e che sviluppano ampiamente i pensieri che le hanno generate all'interno dello Zibaldone. Qui vediamo emergere la teoria riguardante l'idea di amor proprio che Leopardi utilizza nel senso moderno di egoismo, specificando che questo è una derivazione dell'altro e si ha proprio quando un individuo va a riporre questo suo amor proprio nel pensare a se stesso e nel compiere azioni tutte rivolte al proprio interesse personale. Questa è appunto una delle affermazioni riprese dallo Zibaldone risalente all'anno 1823, ma qui nell'operetta piuttosto che essere precisata o arricchita rimane scarna e non affrontata esaustivamente. Un altro tema invece già più volte approfondito si trova a conclusione di questo stesso capitoletto e si tratta della riflessione sull’“occupare la vita”, azione intesa come una dei più grandi bisogni umani, così come è già stato ampiamente sottolineato nell'analizzare “La Scommessa di Prometeo” o “Dialogo di

un fisico e di un metafisico”: anche l'Ottonieri arriva a

individuare questo come il bisogno maggiore dell'uomo. Attraverso l’immersione nel susseguirsi di capitoletti colmi di riflessioni si giunge al capitolo conclusivo (il settimo) in cui i detti abbandonano ogni principio di coerenza tra loro e si susseguono in maniera vivace e creativa; questo risulta essere anche il luogo in cui le riflessioni zibaldoniane vengono addirittura citate senza essere rielaborate o talvolta semplicemente arricchite di

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piccole precisazioni, innalzate di tono per intensificare il grado di narratività e arrivare a chiudere l'operetta all'apice dell'umorismo con la creazione, da parte di Ottonieri, della propria epigrafe.

Le operette che seguono sono varie e aprono la strada alla conclusione tematica del libro, il “Dialogo di Timandro e

di Eleandro”. Proseguendo nell'ordine scelto dall'autore

all'interno della raccolta troviamo il “Dialogo di Cristoforo

Colombo e di Pietro Gutierrez” che immerso nella

drammaticità della navigazione e nella disperazione di chi non vede terra, affronta la mancanza di azione e di vita con la volontà dello stesso Colombo di incarnare quest'impeto d'azione unita però alla meditazione, alla poesia e alla contemplazione, in contrapposizione alla ricerca di risultati pratici e immediati richiesti dal compagno Gutierrez. Sicuramente Leopardi raggiunge qui, grazie anche al percorso evolutivo compiuto attraverso la scrittura dei dialoghi precedenti, una notevole maturità riflessiva che nasce proprio dai dubbi e le perplessità del suo personaggio che non ha alcuna certezza di arrivare a toccare terra.

L'operetta successiva è l'“Elogio degli uccelli” (ottobre- novembre 1824), una sorta i parentesi artistica elaborata e studiata ma che si allontana dalle implicazioni filosofiche che caratterizzano la prosa tipica delle Operette Morali. Si potrebbe infatti considerare il testo come un vero e

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proprio esercizio di stile in cui Leopardi guarda alla tessitura retorica e alle risorse della prosa rifacendosi alla tradizione classica dell'elogio124.

La raccolta prosegue con il “Cantico del gallo silvestre” scritto nel novembre 1824 e posto ad alto epilogo delle

Operette dello stesso anno: si tratta di una conclusione

drastica e severa che Leopardi racchiude nella negazione della felicità, ribadita dalla metafora dello svegliarsi dal sonno, tregua dal dolore, al canto del gallo. La vita viene vista aprirsi a un'esile speranza per poi comprenderne immediatamente la vanità e la totale infelicità. Questo annuncio profetico è compiuto proprio dall'animale che dà nome al titolo e diventa inesorabile condanna al dolore e alla morte per tutti gli uomini dell'universo125.

Si giunge infine al “Frammento apocrifo di Stratone da

Lampasco”: scritto nell'autunno del 1825 si ricollega al

filone filosofico delle tipiche operette del '24 portando avanti un risoluto materialismo che si evolve in forte pessimismo nei confronti della natura andando contro gli spiritualisti di quel tempo.