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Tra universo senza uomini e sonno senza sogni, analisi del “Dialogo di un folletto e di uno gnomo” e

3. IL MONDO E' CADUTO, E NIUNO S'E' MOSSO 79 : LEOPARDI E LUCIANO TRA REALTA', IMMAGINAZIONE E

3.1. Mito, infelicità e decadenza nella satira Menippea delle Operette Morali.

3.1.2. Tra universo senza uomini e sonno senza sogni, analisi del “Dialogo di un folletto e di uno gnomo” e

“Dialogo di Malambruno e Farfarello”.

La rassegna di dialoghi di matrice menippea e di ispirazione satirica lucianea prosegue con il “Dialogo di un

folletto e di uno gnomo” collocato alla quinta posizione

nella raccolta delle Operette Morali, scritto tra il 2 e 6

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marzo 1824. Qui ci si trova di fronte a una situazione tipicamente satirica in cui si suppone una vera e propria estinzione dell'umanità, ci si trova di fronte a un esplicito esempio di satira antifinalistica che Leopardi mette in scena attraverso una sottile ironia volta a risaltare la nullità dell'uomo nel cosmo, a discapito della superbia che esso prova e sostiene. Anche qui, per provocare la caduta di questo antropocentrismo, vengono messi in atto procedimenti ironici e riduttivi: l'accostamento di termini alti e bassi; la parodizzazione della figura divina (come la caricatura della Fortuna che da dea bendata viene raffigurata con gli occhiali per osservare meglio il mondo e le sue vicende); lo spiccare di battute fulminanti.

Creare un'atmosfera da scena di commedia in cui la comicità emerge proprio da quegli abbassamenti verso un tono colloquiale e familiare è tecnica tipica, come già visto, dei dialoghi lucianei.

Si torna inoltre nell'ambito riflessivo che aveva caratterizzato le prime operette: principalmente riemerge il tema della scomparsa degli uomini dalla terra, come si presagiva e preannunciava nel “Dialogo di Ercole e di

Atlante”, qui inoltre il motivo è arricchito dalla polemica

contro la superbia umana che vede il mondo costruito a suo uso e consumo sfociando nella sopracitata critica antropocentrica92.

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I toni dell'autore diventano anche molto aggressivi e soprattutto la descrizione dello stato di desolazione in cui versa la il globo riesce a creare un'ambientazione del tutto fantastica nel dibattito tra i due personaggi che discutono delle superbe e vane presunzioni umane, facendolo però, curiosamente, dal loro punto di vista: ponendosi cioè al centro, come accade nella visione antropocentrica propria dell'uomo, cadendo ironicamente nella trappola di ciò che loro stessi stanno criticando.

Il dialogo leopardiano vede protagonisti due personaggi soprannaturali, un folletto e uno gnomo, la cui presenza può essere definita come una sorta di evoluzione di quei personaggi animali presenti negli abbozzi “Dialogo tra due

bestie p. e un cavallo e un toro” e “Dialogo di un cavallo e di un bue”.

Anche negli abbozzi, di fatto, si trovava quello snaturamento che ha condotto all'estinzione dell'uomo, a un mondo desolato a causa di guerre, pandemie a cui l'uomo da sempre va ricercando una causa che lo soddisfi, una cosiddetta causa finale che lo ponga al centro. Queste tematiche portano sicuramente alla creazione della versione finale dell’operetta con protagonisti folletto e gnomo, ma allo stesso tempo vanno sfumandosi poiché l'autore porrà sempre maggiore attenzione nei confronti della riflessione sull'infelicità strutturale che caratterizza la vita umana93.

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I due personaggi fantastici affrontano l'assenza del genere umano dal mondo con reale ma sarcastico stupore e ognuno di loro, attraverso battute affettate, esprime la propria visione della realtà ponendo se stesso al centro dell'universo, così come ugualmente il mondo ha valore per l'uomo solo se considerato dal proprio centro, attraverso una visione antropocentrica, appunto.

Ma quello che Leopardi vuole fare è proprio cercare di smontare questa visione e per farlo ha bisogno di nuovi e differenti punti di osservazione, affidati a personaggi totalmente al di fuori dell'ottica umana. Lo stesso faceva Luciano in dialoghi come il “Caronte” o il IV dei Dialoghi

dei morti intitolato “Caronte e Mercurio” in cui, in

entrambi i casi, il nocchiero dell'Ade si sposta sulla terra incuriosito dalle abitudini degli uomini, con la volontà di scoprirne i modi di fare e le azioni.

Inoltre la sparizione del genere umano che si può osservare già compiuta all'interno del dialogo leopardiano ritrova una sorta di spiegazione, certamente voluta e ricercata dall'autore, proprio in quel IV Dialogo dei morti in cui Mercurio illustra al suo interlocutore come muoiano gli uomini facendo distinzione tra le morti valorose del passato e quelle mediocri del loro presente94.

94 “Ma quegli antichi, o Caronte, ti ricordi che omaccioni erano! Tutti robusti, pieni di sangue, e tutti morti di ferite! Ora

chi muore avvelenato dal figliuolo o dalla moglie, chi per intemperanza ci porta tanto di pancia e di piedi gonfi: tutti scialbi, frollati, e ben diversi da quelli. Molti ci vengono a cagione delle ricchezze, per le quali sogliono farsi mille insidie tra loro.” Cit. Luciano di Samosata, Tutti gli scritti, a cura di Diego Fusaro, Milano, Bompiani, 2007, p. 306.

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Anche nello scritto leopardiano ritroviamo dunque una ricerca delle cause della sparizione del genere umano, dell'assenza dell'uomo nel mondo, attraverso immagini di un vero e proprio mondo senza gente che ricorreranno in seguito nelle Operette in tono più o meno nostalgico, proprio come accade in questo dialogo. Qui la sfumatura può essere intesa come nota di commosso stupore e nostalgia trovandoci ancora un poco distanti dalla forte e imperiosa denuncia dell'autore alla natura maligna. Qui il mondo disabitato resta ancora legato a termini che possono essere definiti ignoti e stupefacenti, per chi come il folletto e lo gnomo osserva dalla propria realtà.

Per tornare però a osservare gli attributi lucianei all'interno di tale dialogo, vediamo che essi emergono anche da semplici termini usati dagli interlocutori per descrivere l'umanità, sbeffeggiandola e di fatto sminuendola: lo gnomo definisce “furfante” il genere umano, ma anche i termini di “ciurmaglia” sempre in riferimento agli uomini o “bolle” per indicare i regni che sono scomparsi esplodendo come bolle di sapone servono sicuramente a mettere in atto il processo ironico-riduttivo tipico della satira lucianea. E proprio la similitudine di mondi che scoppiano come bolle è ripresa dal Leopardi ancora dal “Caronte” lucianeo, di cui apprezzava soprattutto le espressioni figurate come questa “io voglio

dirti, o Mercurio, a che mi paiono simili gli uomini, e tutta la vita loro. Hai veduto mai le bolle che si levan nell'acqua

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sotto la cascata d'un torrente, alcune di esse son piccine e subito si rompono e svaniscono; ed alcune durano un poco più, confondendosi con altre crescono e gonfiano molto, e infine scoppiano anch'esse”95 a cui segue anche un'elencazione delle attività tipiche dell'uomo, come quella affrontata dal folletto per arrivare a individuare le cause dell'estinzione96 e come quella sui modi di morire già citata dal passo di “Mercurio e Caronte”.

Sulla scorta del dialogo appena analizzato vediamo nascere un nuovo confronto che per la prima volta ha come protagonista un uomo, anche se ancora legato all'ambito del soprannaturale poiché si tratta di un mago. Leopardi con il “Dialogo di Malambruno e Farfarello” collocato alla posizione numero sei della raccolta (scritto tra l'1 e il 13 aprile), ci catapulta in una dimensione ancora onirica e fantasiosa: il mago Malambruno, avendo grande esperienza della vita e avendo dunque compreso la vanità di tutti i piaceri, si trova a rivolgersi alle potenze dell'inferno. La voce che gli viene inviata è quella di Farfarello a cui il mago non esita a chiedere che gli sia concesso un momento, un istante di felicità. A un susseguirsi di negazioni da parte di Malambruno alle tipiche offerte diaboliche, segue una sorta di scambio di

95 Cit. Luciano di Samosata, Tutti gli scritti, a cura di Diego Fusaro, Milano, Bompiani, 2007, p. 553.

96“Parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l'un l'altro, parte ammazzandosi non pochi di

propria mano, parte infracidando nell'ozio, parte stillandosi il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando in mille cose; infine studiando tutte le vie di far contro la propria natura e di capitar male.” Cit. Giacomo Leopardi,

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ruoli segnata dalla fatidica richiesta “fammi felice per un

momento di tempo”97 che per Farfarello è impossibile da realizzare. Questa volontà impraticabile, e il fatto che neanche il diavolo in persona qui chiamato con il nome di Belzebù sia in grado di concedere felicità all'essere umano, apre la riflessione del poeta che è tutta rivolta al perenne stato di desiderio e quindi di pena a cui l'uomo è condannato.

Troviamo qui la svolta riflessiva leopardiana secondo cui se la felicità non può essere raggiunta si può soltanto cercare di essere liberi dall'infelicità anche solo per un momento, attraverso gli stati di incoscienza o il sonno: sarà proprio ciò di cui il mago si persuaderà, chiedendo a Farfarello di lasciarlo libero da quel senso di infelicità che lo opprime. Di fatto neanche questa richiesta può essere esaudita, ma si arriva alla conclusione leopardiana che vede la soppressione momentanea del dolore come unico seppur provvisorio rimedio al male e alla sofferenza radicati nella vita umana. La sospensione del dolore, anche solo per un istante viene vista come soluzione a quella condizione di desiderio implacabile che l'uomo costantemente vive sperando di raggiungere una felicità agognata ma mai realizzabile, se non appunto, come Leopardi in questi anni sostiene, attraverso una parentesi momentanea, attraverso stati di quiete dovuti a una sorta di vera e propria incoscienza (il sonno senza sogni è per

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eccellenza il momento topico della sospensione dei mali) che si avvicinano alla morte.

L'analisi tematica di questa operetta, utile per osservare e affrontare l'evoluzione del pensiero leopardiano, non sembra essere tipicamente lucianea. Ma di fatto il tono utilizzato nello scambio di battute tra i personaggi riporta la nostra attenzione proprio verso il confronto tra i due autori: il tono familiare appunto, la carenza di aggettivi, l'uso di un vocabolario realistico e allo stesso tempo del tipico parlar figurato, accompagnato all'uso serrato dell'iperbole, riconducono certamente al comico lucianeo.

Inoltre, da sottolineare è il fatto che questa operetta, seppur ancora collocata nelle cosiddette “menippee”, porta con sé un nuovo emblema che ricorrerà in vari testi successivi: si tratta del primo testo a svilupparsi secondo la tecnica maieutica tipica del dialogare socratico- platonico, ripresa dallo stesso Luciano come ispirazione per i propri dialoghi. Vediamo appunto emergere l'efficacia di questa modalità espressiva grazie alla presenza della formula “così è”, rappresentativa del sistema di riflessione socratica che procede attraverso l'interrogazione dell'interlocutore.

Nel dialogo tra Malambruno e Farfarello tale formula va a segnare la coincidenza tra i punti di vista dei due protagonisti, trasformando il dialogo sostanzialmente in

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un monologo98: è preceduta e seguita da una serie di risposte brevi e lapidarie (“no”, “sta bene”, “si certo”, “non mai”, “si”) che portano a un crescendo fondamentale per l’individuazione del ruolo associato al dialogo platonico-socratico.

Proseguendo la rassegna affidandoci all'ordine di comparizione dei dialoghi all'interno della raccolta, ci si trova di fronte a una pausa dai temi e contesti lucianeschi con il “Dialogo della natura e di un'anima” dove troviamo un approfondimento del binomio vita- felicità introdotto dal precedente “Malambruno e Farfarello” e dove si osserva da vicino l'infelicità delle anime grandi attraverso il punto di vista della “teoria del piacere”. La matrice autobiografica è forte e sembra velare un vero e proprio scontro tra la Natura e l'autore andando a mettere in pausa, per il momento, il modello lucianeo finora dominante. Predominante qui è infatti una tonalità tragica e riflessiva, per poi tornare nell'atmosfera immaginativa nel dialogo immediatamente successivo.

98 Farfarello esplica la sentenza che nessun animale e così l'uomo possano essere felici in vita, ma lo saranno

probabilmente soltanto dopo la morte. Questa conclusione lapidaria seguita dalla risposta “così è” di Malambruno, siglano l'inizio di quella coincidenza di pensiero che fino a questo momento non era presente ma anzi vedeva uno scambio rapido di battute tra loro contrastanti.

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3.1.3 “Il Dialogo della Terra e della Luna” e “La

Scommessa di Prometeo”. Viaggi lunari, terrestri e mitici

nell'affrontare i mali che affliggono l'umanità.

Proseguendo, dunque, ci troviamo di fronte a quello che può essere considerato come maggior emblema di quel progetto iniziale che erano le “operette alla maniera

di Luciano”: si tratta del “Dialogo della Terra e della Luna”

scritto ancora in successione cronologica tra il 24 e il 28 aprile 1824.

I personaggi tornano qui a essere inumani: protagoniste sono infatti la terra e il suo satellite. Si tratta di una scelta che certamente ci ricollega a quella matrice fantastica che ha accompagnato finora i dialoghi di tipico stampo lucianeo, ma di fatto è prerogativa dello stesso Leopardi creare o rispolverare personaggi immaginari, della tradizione magica oppure dare vita, senno e parola a entità come in questo caso i pianeti.

La vena di principale ispirazione è quella del viaggio lunare, questione di spicco anche tra i contemporanei di Leopardi, e qui riadattato seguendo quella ispirazione soprannaturale che arriva direttamente dal mondo fantastico creato da Luciano.

La luna come entità sconosciuta e mistica, con “poteri” in grado di influenzare uomo e natura, la si vuole scoprire, esplorare, sapere se è abitata da esseri alieni o uguali a noi, quanto misura, quanto dista dalla terra. Dall'interesse

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puramente magico a quello scientifico numerosi autori sono rimasti impigliati in questa tela luminosa99.

Gli studi scientifici, inoltre, sono molto prolifici proprio a partire dalla metà del '700 e si sviluppano in opere di spicco, certamente note al Leopardi, come il “Traité

d'Astronomie”100 che l'autore cita proprio all'interno dell'operetta in relazione alla presenza di vita sulla luna101. Di fatto l'ispirazione dominante in questo dialogo è ancora di matrice lucianesca: i viaggi compiuti dal suo Icaromenippo o all'interno della “Storia Vera I” confermano i dubbi leopardiani e incentivano la ricerca di risposte legate alla scoperta di vita sulla luna, alla ragione della sua luminosità, alla verità sul suo conto tanto interessante per i filosofi di ogni epoca. Ma soprattutto ciò che si ripercuote in maniera vividissima nel dialogo leopardiano è la potente ironia, la sagacia che caratterizza lo scambio di battute tra terra e luna; battute senz'altro colloquiali, dal tono familiare ma che in parte restano legate alle notizie scientifiche contemporanee all'autore, dalle quali però Leopardi sembra unicamente volersi allontanare criticandole sarcasticamente.

Osservando nel dettaglio le fonti provenienti da

“Icaromenippo” vediamo che questo può essere

99 Si deve certamente citare Ariosto che vi fa approdare prima il senno del suo paladino Orlando poi il prode Astolfo con

lo scopo di recuperarlo.

100 Trattato scientifico scritto dall'astronomo francese Jérôme de Lalande (1732-1807).

101 Si veda il passo “Terra: […] Dimmi: sei tu popolata veramente, come affermano e giurano mille filosofi antichi e

moderni, da Orfeo sino al De la Lande?” in Giacomo Leopardi, Laura Melosi (a cura di), Operette Morali, BUR, Milano,

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considerato come diretto precedente del dialogo che si va analizzando, soprattutto per quanto riguarda la presenza iniziale delle varie ipotesi cosmologiche e della conseguente intolleranza provata dalla luna nei confronti dei filosofi. Si tratta di elementi chiaramente visibili nel testo leopardiano e risultano fondamentali per la resa ironica del dialogo: Luciano stesso aveva usato l'umorismo come arma nel narrare il viaggio di Menippo sulla luna. Quello rappresentato nell'opera lucianea è un viaggio mosso dalla curiositas ma allo stesso tempo è indirizzato alla volta del comico; è un viaggio che nasce da un intento scientifico di base con lo scopo di verificare o sfatare le teorie filosofiche che riguardano la luna e che conducono all'evidente critica e ridicolizzazione da parte dell'autore102.

Osservando da vicino il dialogo costruito da Leopardi vediamo che Terra e luna, vicine da secoli, non avevano mai avuto modo di conversare poiché la prima era stata continuamente impegnata nello sbrigare e gestire le faccende legate agli uomini, ma adesso che essi si trovano in uno stato di torpore e inerzia essa trova finalmente del tempo per rivolgersi al suo satellite.

Si nota immediatamente l'antropomorfizzazione dei due corpi celesti che sembrano iniziare a colloquiare come due vecchi conoscenti; si tratta ancora di un rimando al

102 Cfr. A.A Schoysman e Massimo Fusillo, Le miroir de la Lune. L'Histoire vraie de Lucien de la satire à l'utopie, in

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tratto mitologico che Leopardi non ha ancora del tutto abbandonato, ma certamente i termini in cui viene posta questa rappresentazione antropomorfica sono del tutto privi dell'alone sacro che caratterizzava le figure divine, per essere costruita piuttosto in funzione della resa di un tono casalingo e familiare, di confidenza amicale103. Il dialogo esordisce sottolineando i “negozi ridotti” della terra facendo entrare il lettore immediatamente nel cuore della tematica della decadenza del genere umano (già emersa nel “Dialogo di Ercole e di Atlante” e nel

“Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo”) e di conseguenza

del mondo stesso.

La prima domanda che la terra pone alla sua compagna è se essa sia abitata, una curiosità questa, motore anche dell'“Icaromenippo”104 e della “Storia Vera I”, portata avanti da parte dei loro protagonisti che di fatto si imbatteranno nel popolo dei Lunari105.

103 Cfr. Ferruccio Monterosso, Il dialogo della Terra e della Luna (1824), in Leopardi tra noi: perché non possiamo non

dirci leopardiani, Baroni Turris Spes, Viareggio-Cremona-Milazzo, 1999, p. 57.

104Menippo narra del suo viaggio lunare a un amico: il tratto fondamentale dell'impresa riguarda il fatto che appena

giunto sul satellite la terra gli sembrò minuscola. Non poter vedere nulla della terra provocò inquietudine nel protagonista, che sarà consolato soltanto dall'arrivo del filosofo Empedocle che lo guida nell'osservare finalmente la vita umana dall'alto, nel guadare l'affanno e la miseria in cui l'uomo è costretto paragonato alla formica

105Dopo sette giorni e sette notti di navigazione, avendo superato le colonne d'Ercole, Luciano e i suoi compagni

giungono sulla luna che scoprono subito, dall'incontro con Endimione, essere in guerra con il Sole. I naviganti accettano di aiutare gli abitanti della luna in questa guerra (la descrizione dell'esercito lunare passa in rassegna le fantastiche schiere di Aglipugnanti, Scagliamiglio, Pulciarceri, Corriventi) e vengono dotati di un Ippogrifo e di armatura. La battaglia fu aspra e sanguinaria e si concluse con la vittoria dei Solani e i conseguenti trattati di pace. Luciano, voce narrante e protagonista dell'episodio, afferma il suo stupore legato a ciò che vide durante il suo soggiorno sulla Luna: i figli nascono dai maschi e non dalle femmine, le nozze avvengono tra maschi, di femmina non si conosce neanche il nome, fino ai 25 anni ognuno e moglie per poi diventare marito, vengono ingravidati nei polpacci, questi uomini hanno genitali posticci fatti di avorio mentre i poveri li hanno di legno, da anziani non si muore ma si diventa fumo che svanisce nell'aria, si nutrono del fumo dei ranocchi che vengono arrostiti e per bere spremono l'aria; è ritenuto bello chi è calvo e chi ha chioma viene aborrito.

Le usanze lunari proseguono in un ricco e comico elenco costruito dal narratore e il racconto di questa avventura termina con i naviganti che giungono nella terra di Lucernopoli.

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Un tratto prettamente ironico che emerge dal continuo interrogare da parte della terra è dato dalla descrizione che, generata dall'innocenza dei bambini, ritrae la luna dotata di occhi, naso e bocca; questa immagine fanciullesca derivata dalla “vista acutissima” dei più piccoli porta la terra a concludere che la luna sia in grado di parlare e rispondere alle sue domande.

Inoltre, va immediatamente osservato, la terra compie ogni riflessione attraverso il proprio punto di vista, attraverso quell'antropocentrismo che dà per scontato che la luna sia anch'essa abitata sicuramente da uomini, che abbia montagne, fiumi e laghi come quelli del mondo umano così come province, strade, e che i suoi abitanti