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Il ritorno alla mitologia nella teoria di infiniti mondi: “Il Copernico Dialogo”.

3. IL MONDO E' CADUTO, E NIUNO S'E' MOSSO 79 : LEOPARDI E LUCIANO TRA REALTA', IMMAGINAZIONE E

3.2. La satira e il sistema filosofico leopardiano:

3.2.5. Il ritorno alla mitologia nella teoria di infiniti mondi: “Il Copernico Dialogo”.

L'operetta che immediatamente segue quella precedentemente analizzata è “Il Copernico. Dialogo” appartenente al repertorio dell'anno 1827 insieme alla successiva “Dialogo di Plotino e di Porfirio” che vanno a segnare il ritorno di quella commistione di prosa e di poeticità caratteristica delle maggiori operette scritte nel 1824.

Leopardi si rimette qui in gioco con un grande esempio di ripresa lucianea nei temi e nello stile di realizzazione: il

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dialogo si presenta come uno scambio dal tono teatrale che nonostante sia ormai lontano dalle prime operette tutte menippee, rallegra ancora il lettore attraverso la presenza di personaggi celesti che conversano vivacemente tra loro grazie a uno stile sciolto e colloquiale tipicamente riconducibile al dialogare lucianeo.

L'ambientazione mitologica che vede dialogare il Sole con l'Ora prima all'interno della Scena Prima dell'operetta si vede porre in contrasto con le chiacchiere dal tono familiare che ne derivano generando un effetto di comica leggerezza che si riscontra apertamente nei Dialoghi degli

dei di Luciano dove gli stessi personaggi divini,

imborghesiti e umanizzati, compiono conversazioni fatte di battute e legate alla materialità della vita quotidiana. Questo contrastante effetto comico ovviamente è sfruttato dal Leopardi per mettere in atto una critica reale nei confronti del sistema tolemaico in difesa di quello copernicano a cui lui stesso sembra affidarsi. Si può riscontrare quindi una vera e propria presa di posizione da parte dell'autore ancora una volta nei confronti di alcune ridicolaggini umane come le concezioni filosofiche e religiose basate sull'antropocentrismo e geocentrismo. L'intera operetta infatti si costruisce seguendo un'impostazione battagliera e aggressiva ma soprattutto satirica, volta a sottolineare proprio questi aspetti e andando ad arricchire il racconto di inevitabile immaginativa fantastica che trova la sua espressione più

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tipica nel viaggio compiuto dall'Ora ultima sulla terra per richiamare Copernico all'attenzione del Sole (l’astro non intende più svegliarsi e svolgere il suo dovere) e successivamente nel viaggio compiuto da Copernico stesso al cospetto dell’astro.

Per comprendere meglio le implicazioni lucianee che da questi accenni sembrano emergere, si reputa necessario osservare da vicino la trama dell'operetta: la Scena Prima si apre con un dialogo tra il Sole e l'Ora prima, volto a introdurre la novità che coinvolgerà l'intero universo, cioè il fatto che il Sole intende rinunciare alla propria attività, nel caso contingente quella di svegliarsi e di iniziare a girare attorno alla terra e quindi di portare luce all'umanità. Gli uomini vengono infatti definiti come

“quattro animaluzzi che vivono in su un pugno di fango”129 che nonostante la sua buona vista l'astro non riesce a vedere talmente sono piccoli. Proprio attraverso questa ironia nei confronti dell'essere umano degradato a minuscola posizione, il Sole chiama a cospetto l'Ora prima de giorno per sollevarla dal suo incarico disinteressandosi totalmente di qualsiasi necessità possa derivare dalla sua abdicazione. L'Ora infatti prova a elencare i danni che deriverebbero all'uomo, oltre la mancanza di luce, quella di calore, di fuoco per cucinare e nutrirsi.

Il gesto imperativo del Sole e l'umorismo che suscita nella lettura vuole in realtà evidenziare un sistema di credenze

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scientifiche ormai superato, quello tolemaico, secondo il quale il sole gira attorno alla terra. Nella creazione fantasiosa del dialogo, la decisione del Sole porterebbe alla rivoluzione copernicana: grazie alla protesta dell'astro di non compiere più il suo consueto percorso che gli costa sforzo e fatica, la terra sentirà bisogno di avere luce, calore, fuoco, alternanza di giorno e notte e sarà spinta a uscire dal proprio stato di pigrizia e iniziare lei stessa il suo giro intorno al sole, mettendo effettivamente in atto ciò che sostiene la rivoluzione copernicana.

Ovviamente si parla a posteriori dato che il Leopardi del suo tempo vive in un mondo che ha già conosciuto i benefici di tale scienza, ma la comicità sta proprio nell'osservare questa costruzione letteraria che ci fa assistere alla versione mitologica della nascita di una teoria scientifica volta però sempre a criticare, non solo la superata teoria tolemaica, ma anche i modelli culturali arretrati a cui i contemporanei dell'autore si affidano. La Scena Seconda vede quindi il personaggio in questione, Copernico, osservare il cielo spaesato di fronte a un sole che non sorge e un giorno che non incomincia: egli incarnando però l'immagine dello scienziato e pensatore del suo tempo si ritrova intento a elucubrare ipotesi riguardo ciò che sta accadendo. La sua comparsa sulla scena mantiene la vena umoristica di tutta l'operetta, vedendo un personaggio storico di grande importanza essere scaraventato giù dal piedistallo del proprio ruolo

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per vivere stupefatto, nei panni quotidiani, quello che sta accadendo, cercando di scoprire le motivazioni anche scientifiche di una tale lunga notte che egli stesso va a paragonare a quella prolungata da Giove per possedere Alcmena, moglie di Anfitrione.

Tale episodio noto certamente nella versione di Plauto sembra però essere ripreso da Leopardi dalla narrazione che ne viene fatta all'interno di un Dialogo degli dei di Luciano, quello di “Mercurio ed il Sole” in cui il messaggero degli dei si reca dal Sole con l'ordine da parte di Giove di non uscire per almeno tre giorni, generando una lunga notte per consentire al re degli dei di trascorrere più tempo possibile con l'amata Alcmena. Anche qui vengono citate le Ore che libere dal loro incarico possono sciogliere i cavalli, così come il Sole, perplesso, deve spegnere il suo fuoco. Nel dialogo lucianeo però l'astro, titubante alla richiesta di Mercurio, si preoccupa e duole anche della condizione degli uomini domandandosi come possano vivere nelle tenebre senza la sua luce e il suo calore e il messaggero lo rassicurerà che saranno colti da un lungo sonno che non gli consentirà di percepire la durata esagerata della notte che verrà.

Il problema della condizione umana abbiamo visto essere per Leopardi la colonna portante dello spirito critico di questo dialogo che si muove a ribadirne la piccolezza così come l'incredulità nei confronti di possibili infiniti mondi.

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L'animo umano è infatti sempre più percepito come afflitto dalla nullità di un tutto che più o meno consapevolmente percepisce, così come già illustrato nei dialoghi mitologici precedenti “Dialogo di Ercole e di

Atlante” e “Dialogo della Terra e della Luna” in cui la

grandezza dell'universo veniva intuita ma la forte autoreferenzialità moderna impediva all'uomo di accettare l'esistenza di altri mondi oltre al proprio.

Tornando allo svolgimento dei fatti si osserva un rapidissimo dialogare tra l'Ora ultima scesa sulla terra e Copernico, che viene invitato al cospetto del Sole per ricevere da lui l'incarico di comunicare all'uomo le nuove disposizioni riguardo il moto di rotazione e rivoluzione. Così nella Scena Quarta Copernico si trova di fronte all'illustrissimo Sole, avendo compiuto un viaggio celeste riconducibile ancora una volta a quello di Menippo narrato nell' “Icaromenippo” di Luciano, per ricevere l'incarico che corrisponde storicamente alla sua scoperta scientifica della rotazione dei pianeti intorno al sole. Torna così a emergere, ancora in maniera concisa e puntualizzante, l'ironica critica verso l'uomo che si pone al centro dell'universo, come causa finale di tutto ciò che esiste dalle stelle ai pianeti, fino al sole, generando la tipica polemica antifinalistica che ha accompagnato l'intero percorso tematico delle Operette Morali.

Sarà la voce di Copernico a concludere che i “tempi nuovi” sono giunti e gli uomini proveranno smarrimento e rabbia

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verso un sistema che inizialmente non comprendono e dal quale si vedono detronizzati, confusi dal dover accettare il moto della terra non più al centro di un universo da loro stessi creato.

Sono stati questi temi affrontati apertamente, nascosti unicamente da un velo di ironia nella voce di personaggi celesti, a costringere l'autore a pubblicare questa operetta soltanto nell'edizione del 1845. Quella fusione non solo tra poesia e prosa ma tra fisica e metafisica che prevede la possibilità di nuovi e altri mondi non veniva facilmente accettata dai contemporanei di Leopardi.

3.3. Al termine dei voli menippei il ritorno sulla terra: la