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Le Operette Morali tra comico e malinconia, all'ombra di Luciano.

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E

LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

ITALIANISTICA

Le Operette Morali tra comico e malinconia,

all’ombra di Luciano.

CANDIDATO RELATORE Alice Arianna Miallo Chiar.mo Prof. Marcello Ciccuto

CORRELATORE

Chiar.mo Prof. Giorgio Masi

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Ai miei genitori e alle mie zie, che mi hanno accompagnata, aspettata e supportata da sempre.

A Nicolò, compagno, roccia, supporto e ispirazione senza cui non potrei essere dove sono.

Ai miei amici, di cui fare i nomi potrebbe essere superfluo perché loro già sanno il posto che occupano nel mio cuore e non mi hanno mai abbandonata, Federica, Laura, Francesco.

Alle mie cugine del cuore Matilde e Alessia, compagna di vita.

Ma più di tutti a mia sorella, Irene.

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INDICE

Introduzione……….……..……... p. 5

1. NEL LABORATORIO DELLE OPERETTE MORALI DI GIACOMO LEOPARDI………. p. 9

1.1. Pensare le Operette Morali……...….…..……..…….... p. 9 1.2. Filosofia e poesia………..……….... p. 17 1.3. “Rifare la prosa dal di fuori e dal di dentro”…..…. p. 21 1.4. I modelli classici……….……….….….…. p. 25 1.5. L’influenza di Luciano sulle Operette Morali…..…. p. 29 1.6.Il piantoeil riso:Operetteaffettedalucianismo…..p. 35

2. LUCIANO DI SAMOSATA: LA FORZA DELLA SATIRA E DELLA FANTASIA……….………. p. 41

2.1. Luciano e l'Eloquenza……….………… p. 42 2.2. Scelte letterarie……….………. p. 50 2.3. Mondi fantastici……….………… p. 58 2.4. Luciano e la filosofia……….…….. p. 65 2.5. Luciano autore del ridicolo……….……... p. 67

3. ILMONDOÈ CADUTOE NIUNO S'E' MOSSO: LEOPARDI

E LUCIANO TRA REALTA', IMMAGINAZIONE E

MORTE………..…. p. 77

3.1. Mito, infelicità e decadenza nella satira Menippea delle Operette Morali………..….... p. 78

3.1.1 Il “Dialogo di Ercole e di Atlante”: dalla mitologia

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3.1.2. Tra universo senza uomini e sonno senza sogni,

analisi del “Dialogo di un folletto e di uno gnomo” e “Dialogo di Malambruno e Farfarello”……….….. p. 86 3.1.3 “Il Dialogo della Terra e della Luna” e “La Scommessa di Prometeo”. Viaggi lunari, terrestri e mitici nell'affrontarei mali che affliggono l'umanità…....…. p. 95 3.2.La satirae il sistema filosoficoleopardiano:riflessioni trala vitae lamorte……..….……….…….. p. 111 3.2.1 “Dialogo di un fisico e di un metafisico” e l'introduzione del sistema filosofico leopardiano…... p. 111 3.2.2. Il “Dialogo di Federico Ruysch e le sue mummie” e il sentimento della morte………..………….………… p. 116 3.2.3. Personaggi scomodi in un'autobiografia nascosta: “Detti memorabili di Filippo Ottonieri” e “Vita di Demonatte”………. p. 122 3.2.4. La chiusura del cerchio con il “Dialogo di Timandro e di Eleandro”………... p. 131 3.2.5. Il ritorno alla mitologia nella teoria di infiniti mondi: “Il Copernico. Dialogo”………..…. p. 139 3.3. Al termine dei voli menippei il ritorno sulla terra: la

chiusurariflessivaefilosofica delleOperette Morali..p. 145

Conclusioni………..…….. p. 149

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Introduzione.

Il problema delle fonti nella letteratura leopardiana è molto ampio ed è stato assai spesso trattato sotto diversi punti di vista.

La scrittura di Giacomo Leopardi sia in prosa che in poesia è infatti strettamente legata alla ripresa e al riutilizzo di generi e autori per lo più classici, con l’intento di riportare l’antico alla vita e soprattutto di creare uno stile espressivo totalmente nuovo e personale, quale è quello proprio dell’autore.

La presenza di figure come Cicerone, Ovidio, Orazio, Virgilio ma anche Plutarco, Esiodo e Omero ha segnato la nascita e la costruzione delle Operette Morali, e certamente sarebbe un’impresa ardua e pretenziosa quella di racchiudere all’interno di una così breve trattazione riflessioni riguardo tutte le fonti classiche utilizzate da Leopardi nello sviluppo della sua opera. Nello specifico di questo elaborato ci si è concentrati piuttosto, attraverso uno studio il più possibile esaustivo, su una ricorrente fonte nell’immaginario leopardiano, quella di Luciano di Samosata.

Lo scopo di questo studio è proprio quello di andare a individuare all’interno delle singole operette della raccolta leopardiana, quelle che, ognuna a modo proprio, presentano un legame tematico o stilistico con lo scrittore greco. Leopardi stesso considera Luciano come il maggiore scrittore satirico di tutti i tempi e viene da lui

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suggellato a modello infallibile di umorismo e comicità menippea nella creazione di dialoghi dal sapore filosofico, critico e morale.

Attraverso i tre capitoli dell’elaborato si vuole passare in rassegna l’opera leopardiana e quella lucianea per arrivare a un vero e proprio confronto finale in cui si possano osservare tutti i legami e i riferimenti presenti nelle Operette Morali.

Affidandoci alla ricerca degli aspetti che caratterizzano il rapporto tra i due autori, il primo capitolo ha focalizzato l’attenzione su come Leopardi sia giunto alla creazione delle Operette, quali siano state le intenzioni che hanno mosso l’autore ad allontanarsi dalla poesia dei Canti per sviluppare concretamente, attraverso la forma dialogica, la sua riflessione riguardo la presenza dell’uomo nell’universo e la costante di sofferenza che lo caratterizza.

Sempre all’interno dello stesso capitolo, attraverso la serrata critica dell’autore agli usi e costumi contemporanei, si inizierà a osservare la spinta derivata dai rapporti con lo scrittore Luciano e con la sua opera, in particolare i Dialoghi dei Morti e i Dialoghi degli Dei. Il secondo capitolo è volto a presentare un’analisi panoramica sugli scritti lucianei concentrandosi principalmente su quelle opere che sappiamo essere state di ispirazione per il Leopardi tralasciando di fatto molti, seppur importanti, testi del grande bagaglio di Luciano.

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Analizzando quindi lo stile, le intenzioni e i temi fondanti di entrambi gli autori si arriva al terzo capitolo avendo a disposizione tutti i mezzi per poter definire la presenza della fonte lucianea nell’opera leopardiana.

Attraverso la lettura completa delle opere di Luciano poste a confronto e la corrispondenza con un attento e analitico studio delle Operette Morali si è giunti a compiere un concreto approfondimento riguardante il legame tra le due raccolte e a osservare come l’elaborazione attuata da Leopardi sia totalmente basata sulla sua personale lettura dei testi lucianei, di cui si serve per esprimere la propria intenzione satirica. Vengono infatti studiate con particolare attenzione tutte quelle operette che contengono citazioni e riferimenti all’autore classico, volgendo principalmente l’interesse sulla costruzione tematica e la presenza di personaggi ricorrenti.

Questo approccio ha permesso l’individuazione di punti salienti nell’intero sistema di pensiero leopardiano, portando all’attenzione la vena comica e umoristica che spesso viene tralasciata o nascosta dalle apparenze di un’opera densa e complessa come sono le Operette

Morali.

La riflessione che ha animato lo studio e lo sviluppo dell’elaborato è andata a scoprire una risata malinconica che l’autore fa emergere attraverso le parole di personaggi che hanno preso atto dell’irrealizzabile felicità

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umana e questa malinconia diventa il filo conduttore dell’intera raccolta e il collegamento immaginifico con i protagonisti e i contesti creati da Luciano.

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1. NEL LABORATORIO DELLE OPERETTE MORALI DI GIACOMO LEOPARDI.

1.1. Pensare le Operette Morali.

Nel 1819 Leopardi ha già in cantiere certi “dialoghi

satirici alla maniera di Luciano”, un insieme di piccole

commedie e scene di commedie.

L’autore ha volontà di offrire al panorama letterario italiano un saggio sul comico e pensa che il linguaggio della commedia e la satira di Luciano di Samosata possano essere la giusta fonte di ispirazione. Nel 1820 infatti Giacomo scrive all’amico Giordani di aver “immaginato e

abbozzato certe prosette satiriche” proprio per parlare del

mondo e dei costumi contemporanei: di fatto si tratta di abbozzi e appunti (trovati tra le carte napoletane) ma il cui stile è molto simile a quello delle Operette Morali che noi conosciamo, così come i suoi contenuti.

Gli abbozzi di cui si parla sicuramente erano molto più numerosi rispetto a quelli rinvenuti; Leopardi nella successiva scrittura delle Operette sembra rifarsi ai dialoghetti “Dialogo tra due bestie”1 (poi “Dialogo di un

cavallo e un bue”) e il “Dialogo...filosofo greco, Murco senatore romano, popolo romano, congiurati”2 (che

1 Si tratta di una satira volta a snaturare la specie umana dal punto di vista straniante dei grandi quadrupedi (in questo

caso un cavallo e un toro, poi un cavallo e un bue) che sono sopravvissuti all’estinzione degli uomini.

2 Si tratta di una rappresentazione comica della crisi politica e morale dell’umanità iniziata con il fallimento della

congiura attuata da Bruto e Cassio, che avrebbe invece dovuto condurre alla restaurazione delle antiche virtù repubblicane. Emerge il contrasto tra virtù antica e decadenza moderna, tema poi maggiormente e dettagliatamente sviluppato nella fase definitiva delle Operette Morali attraverso uno sguardo disincantato che qui non è ancora proprio del Leopardi.

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dovrebbe risalire alla seconda metà del ’20), anche se per questi testi, considerati delle vere e proprie proto-operette, non possiamo affidarci a datazione certa3. Tra il 1821 e il 1822 Leopardi scrive altri due abbozzi: la “Novella di Senofonte e Niccolò Machiavello”4 e il “Dialogo Galantuomo e Mondo” (considerata come una vera e propria apostasia della virtù) da cui emergono i temi che si ritroveranno nelle future Operette, insieme anche ad altri affrontati e ragionati all’interno dello

Zibaldone e poi ripresi, drammatizzati e messi in scena nei

dialoghetti abbozzati dal giovane autore. Nell'opera infatti andranno a confluire e a unificarsi i pensieri scritti e raccolti nello Zibaldone, già a loro volta rappresentati nella scrittura in versi. Quindi si può notare che anche nei testi appartenenti alla cosiddetta preistoria delle

Operette, ci si trova immersi nella materia dei pensieri

zibaldoniani che qui prendono forma più matura: possiamo notare come il pensiero legato a un idillico stadio primitivo in cui l’uomo viveva in stretto rapporto con la natura, rapporto in grado di creare illusioni, errori che portavano l’individuo alla felicità, sia qui già soppiantato dall’arida ragione che ha condotto l’autore verso la consapevolezza della fallacia di tali illusioni. Le illusioni giovanili, la agognata felicità promessa da una natura che si rivelerà solo più tardi come matrigna,

3 Cfr. Nicoletta Fabio, L’ ‹‹entusiasmo della ragione››. Studio delle Operette Morali, Le Lettere, Firenze, 1995, pp. 10,11. 4 Questo dialogo tratta la tematica anti-tirannica da sempre cara a Giacomo, fin dalle battaglie romane con i fratelli nel

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vengono così svelatedall’epoca della ragione che conduce però la società moderna verso il dominio della barbarie. Per i temi trattati e per la vivacità della prosa che soltanto in un primo momento riesce a nascondere le profonde critiche nei confronti dell’umanità contemporanea all’autore, le Operette Morali sono spesso considerate come l’opera più ardita di Giacomo Leopardi. Sicuramente nel leggerle è necessario tener conto della loro storia editoriale e tematica, per poter comprendere la loro essenza sotto ogni aspetto.

Il lavoro di Leopardi va dal 1824 al 1832 ma il progetto nasceva già, come visto, intorno al 1820; si tratta di anni in cui il nostro autore si dedica ad approfondire argomenti filosofici e ad affinare la lingua, per arrivare a offrire il più grande esempio, a quel tempo, di lingua italiana in prosa. Le Operette però sembrano aver preso corpo prevalentemente nell’intenso anno 1824, nonostante sia evidente come i presupposti precedenti e gli studi compiuti fino a quel momento siano stati fondamentali e necessari. Le tracce della preparazione alle Operette sono, come visto, rintracciabili nello Zibaldone (anch’esso nato intorno al 1817) ma anche nell’epistolario (definito come “autobiografia intellettuale” da Ugo Dotti nel suo saggio

La missione dell’ironia in Giacomo Leopardi) dai quali

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usare l’ironia come arma verso l’immobilità dell’uomo moderno5.

Già in questa fase che potremmo definire “preparatoria” emerge in maniera molto forte il già citato Luciano di Samosata, che anche in questi abbozzi di dialoghi e novelle spicca dall’intonazione satirica e dall’intento ironico assunto dal Leopardi.

È necessario sottolineare il fatto che gli abbozzi citati non saranno inseriti nel progetto delle Operette Morali ma che, nonostante ciò, riescono a emergere con i loro tratti caratteristici che andranno a configurare l’aspetto definitivo delle Operette. Si tratta innanzitutto dell’utilizzo della forma dialogica, che proprio in quegli abbozzi inizia a concretizzarsi nella scrittura del Leopardi per divenire poi la modalità favorita, e ovviamente si tratta anche dell’inserzione di personaggi del mondo animale (nel caso degli abbozzi il Cavallo e il Bue) che nelle Operette saranno sostituiti da personaggi pur sempre non umani ma soprattutto soprannaturali: lo gnomo, il folletto, la luna, l’anima, la Natura, i morti di Federico Ruysh6; infine possiamo sottolineare il carattere comune che unisce le due precedenti caratteristiche, ovvero il far comunicare tali personaggi attraverso un fitto dialogo grazie a cui poter affrontare i problemi del mondo in cui l’autore vive e per potergli far compiere una vera e propria analisi della

5 Cfr. Ugo Dotti, La missione dell’ironia in Giacomo Leopardi, in «Belfagor», vol. 39, fasc. IV, Leo S. Olschki, Firenze, 1984,

pp. 377, 378.

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realtà attraverso l’espressione di tesi, ipotesi e idee che vengono confutate continuamente dal personaggio con cui si sta confrontando.

Ci troviamo inoltre in anni ferventi per la mente del giovane Leopardi, anni in cui il suo pensiero è in continua evoluzione, per giungere con ogni nuovo testo poetico o in prosa a una nuova ed esaltante conclusione sulla condizione umana.

I temi cari a Giacomo sono quelli ricorrenti anche nella raccolta dei Canti; questi diventano fulcro della sua attenzione ed elaborazione letteraria e possono essere così brevemente sintetizzati: l’infelicità umana, o meglio, l’irraggiungibile felicità da parte dell’uomo, la misera condizione di vita a cui l’uomo è costretto, la ricerca di pace nella morte.

Sono certamente conclusioni notevoli e soprattutto scomode per gli intellettuali contemporanei all’autore; ma queste riflessioni sono le colonne portanti dei temi e motivi che ne nascono e che ricorrono nelle Operette

Morali e che di conseguenza diventano anche gli

argomenti maggiormente attaccati dalla critica.

Il rifiuto nato nei confronti di quest’opera, fa capire a Leopardi che c’è un profondo divario tra lui e il pubblico, anche intellettuale, del suo tempo. Molti editori infatti rifiuteranno di pubblicare quella che ad oggi può essere considerata come l’opera di più grande riflessione filosofica e morale di quell’epoca. Le Operette Morali, in

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questo senso, sono un parto doloroso per il Leopardi, che solo a partire dal 1832 mette in atto una vera e propria difesa della sua scrittura, introducendo un nuovo dialogo

“Dialogo di Tristano e di un amico” nella forma della falsa

palinodia, cioè dissacrando e rinnegando con grandissima abilità linguistica e feroce ironia tutto quello che le

Operette contengono; di fatto questo nuovo dialogo

posto a conclusione dell’opera mette in evidenza i limiti della condizione umana e delle umane illusioni, proprio andando a sottolineare come i contemporanei non riescano ad accettare e comprendere le sue riflessioni7. Le varie edizioni delle Operette, infatti, sono state soggette a censura nonostante ne venisse esaltata la purezza dello stile e della lingua e nonostante il Leopardi avesse celato le argomentazioni più scomode sotto maschere e finzioni.

La prima edizione ufficiale risale al 1827 presso l’editore Stella: questa pubblicazione non conteneva ancora, proprio per timore della censura, il “Frammento apocrifo

di Stratone da Lampasco”, il “Dialogo di Plotino e di Porfirio” e “Il Copernico. Dialogo” nonostante fossero stati

scritti proprio nello stesso 1827. In questo periodo fiorentino Leopardi rafforza e valorizza maggiormente il significato da lui stesso dato all'uso della prosa andandolo a consolidare proprio in questi due dialoghi8.

7 Cfr. Giuliana Benvenuti, Un cervello fuori moda. Studio sul comico nelle Operette Morali, Pendragon, Bologna, 2001,

pp. 17-18.

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Dunque le Operette continueranno a evolversi fino al ’32 quando Leopardi vi aggiungerà il “Dialogo di un venditore

di almanacchi e di un passeggere” e il “Dialogo di Tristano e di un amico”. Ma come possono confermare gli

autografi conservati prima dall’amico Antonio Ranieri e poi passati alla Biblioteca nazionale di Napoli, correzioni e mutamenti attuati dall’autore sono presenti e visibili ma non sono tanto rilevanti per quanto riguarda lingua, stile e forma delle operette in se stesse; piuttosto si dovrà attendere per avere una struttura definitiva dell’intera opera, così plurivoca tanto quanto unitaria.

Sicuramente i nuovi dialoghi inseriti in questa edizione si presentano sotto un aspetto più moderno e meno accademico rispetto ai precedenti, di fatto vanno a delineare quello che sarà il nuovo periodo di riflessione leopardiana rappresentato in maniera essenziale dal “Tristano”: una maggiore forza e solidità caratterizzano l'autore che trova adesso la soluzione definitiva nella morte.

Come accennato, l’opera si presenta come una raccolta molto eterogenea di testi in prosa, contenente scritti di diversi argomenti di ispirazione filosofica o cosmologica in forma di favole mitologiche, trattatelli, raccolta di massime, commedie, operette satiriche e soprattutto dialoghi.

Il senso di totalità è dato dal fatto che l'intera opera può essere considerata come un'unica storia dell'umanità, del

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rapporto tra uomo e infinità del tempo, che parte proprio dalle sue origini con la “Storia del genere umano” (che è l’operetta che apre la raccolta). Inoltre la coerenza di un libro così variegato deriva probabilmente dalla potenza della tematica di fondo che accompagna la stesura di ogni testo: si tratta del dilemma legato alla felicità dell'uomo. Di fatto ciò che possiamo evidenziare è un mutamento di tono dopo la prima edizione: va radicalizzandosi il pensiero negativo leopardiano derivato da un sempre più intenso interrogarsi sul nulla che caratterizza la vita dell’uomo. Questa radicalizzazione è però ciò che va a intensificare e perfezionare il pensiero filosofico del Leopardi, che attraverso un’opera letteraria in prosa come le Operette riesce a comunicare pienamente i sentimenti e le emozioni già presenti nei testi poetici e nei pensieri personali, morali e filosofici appuntanti nello

Zibaldone. Probabilmente è proprio questa linea di

pensiero, che risulta man mano sempre più chiara, a sconvolgere i contemporanei, loro stessi vittime della ferrata critica che Leopardi conduce verso il genere umano e che lo porta a evidenziare la sua nullità nel sistema della natura, della terra e dell’universo9.

Le operette stesse esprimono un'evoluzione interna: vediamo una prevalenza di personaggi divini appartenenti soprattutto alla tradizione lucianea costellare le prime

9 Cfr. Giuliana Benvenuti, Un cervello fuori moda. Studio sul comico nelle Operette Morali, Pendragon, Bologna, 2001,

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operette, favorendo la creazione fantastica di spiriti, personificazioni, allegorie; successivamente, seguendo una suddivisione in fasi elaborata da Enzo Noè Girardi, possiamo notare come i temi trattati si avvicinino all'interesse per la filosofia, la storia, la civiltà e la scienza (si tratta dei dialoghi che vanno dal “Dialogo di un fisico e

di un metafisico” all' “Elogio degli uccelli”); infine

prevarranno personaggi come Timandro ed Eleandro, il venditore di almanacchi, Plotino e Porfirio, Tristano che sono quasi espliciti alter ego dell'autore e ci presentano la sua visione del mondo e della realtà ormai avvolta da un più cupo pessimismo, privo di ogni speranza nei confronti della cultura contemporanea e dell'intera umanità10. Di fatto il messaggio che Leopardi vuole mandare non è più racchiuso nella sua personale infelicità e malinconia tipica dei Canti, ma si fa qui messaggio universale per l'uomo, per quei filosofi, scienziati e letterati le cui verità diventano prestigiosi mezzi per comunicare con gli uomini di quel tempo11.

1.2. Filosofia e poesia.

La nostra mente, ritiene Leopardi, ha bisogno di immaginare e di creare per giungere al momento della scoperta, cioè al punto centrale della propria riflessione,

10 Cfr. Martinelli Bortolo (a cura di), Leopardi oggi. Incontri per il bicentenario della nascita del poeta. Brescia, Salò,

Orzinuovi 21 aprile-23 maggio 1998, Vita e Pensiero Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano,

2000, pp. 98-100.

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con la consapevolezza di essere arrivato alla conoscenza che risulta essere sempre un momento poetico; dall'altra parte però l'autore è anche consapevole del ruolo da attribuire alla razionalità, seppur essa sia legata strettamente alla logica terrena, al tempo, allo spazio e al contesto, a differenza della volatilità e malleabilità della poesia. Così, da una parte l'innalzamento immaginativo, dall'altra la catalogazione logico-scientifica di nozioni12: Leopardi riesce a combinare queste due modalità di scoperta e soltanto unendo e mescolando la malinconia poetica assieme all’aspetto più scientifico di indagine della realtà arriva a una conoscenza superiore, a un sentire più elevato, in cui la ragione regola i palpiti del cuore e viceversa.

Di fatto l'autore è consapevole della carenza rappresentativa che il linguaggio ha rispetto alle immagini della realtà ed è per questo che ha prediletto la lingua poetica come mezzo che più si avvicina a descrivere esaustivamente ed espressivamente la realtà delle cose. La lingua poetica in questo senso è più potente di quella prosastica poiché è in grado di creare suggestioni e sensazioni che simulano la vaghezza, l'infinito e indefinito, pur restando lontana da raffigurare la totalità del materiale13.

12 Cfr. Nicoletta Fabio, L’ ‹‹entusiasmo della ragione››. Studio delle Operette Morali, Le Lettere, Firenze, 1995, pp.

125-127.

13 Cfr. Martinelli Bortolo (a cura di), Leopardi oggi. Incontri per il bicentenario della nascita del poeta. Brescia, Salò,

Orzinuovi 21 aprile-23 maggio 1998, Vita e Pensiero Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano,

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Leopardi però riesce a coniare la perfetta espressività delle Operette Morali conciliando questi aspetti, che sono quelli che caratterizzano anche la sua personalità, la sua esistenza: la fantasia, la realtà, la favola e la verità. Nasce così un'opera che possiamo considerare come una vera e propria miniera di riflessioni in cui la materia di queste, materia di ragionamento, di ipotesi e tesi, viene espressa attraverso la forma narrativa, cioè attraverso la letteratura e la poesia. Inevitabilmente le Operette diventano simbolo di questo dualismo che coinvolge l'autore e oscillano tra creatività artistica e dinamica razionale, contrasto, se così vogliamo definirlo, che si palesa fin dalle parole che compongono il titolo: “operette” indubbiamente risultato di lavoro artistico-letterario che trattano di tematiche “morali”14.

Nonostante si tenda a scindere in due la figura di un Leopardi filosofo opposta a quella di poeta, le Operette

Morali ci confermano che per trattare la materia filosofica

resta comunque più forte la modalità poetica: “è la ricerca

del bello, la tensione verso l'inconoscibile a giustificare anche il discorso filosofico e non viceversa”15.

Di fatto, molti critici a partire da De Sanctis e Croce hanno portato avanti con decisione l'immagine di un Leopardi d'indole poetica totalmente distinto dal Leopardi di indole

14 Cfr. Martinelli Bortolo (a cura di), Leopardi oggi. Incontri per il bicentenario della nascita del poeta. Brescia, Salò,

Orzinuovi 21 aprile-23 maggio 1998, Vita e Pensiero Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano,

2000, p. 90.

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filosofica, considerando il primo superiore,

qualitativamente e spiritualmente, al secondo. Ma

avendo osservato attentamente le riflessioni

precedentemente fatte, si nota come in realtà filosofia e poesia siano divenute una sola entità, così come il ruolo di filosofo e poeta assunto dal nostro autore. Ciò può essere reso evidente dal fatto che nella poesia leopardiana vi è già implicito il pensiero: “in quanto il

sentimento, del quale si nutre la poesia, è nel Leopardi riflesso di un pensiero, è esso stesso pensiero”16: si tratta di un'attitudine appurata, quella del Leopardi, di trasformare in lirica il pensiero, anche filosofico e in questo senso, come osservato da Gentile, le Operette

Morali possono essere viste non soltanto come opera di

speculazione filosofica ma anche come opera di carattere puramente artistico, essendo esse stesse una risoluzione poetica del pensiero dell'autore. E come si vedrà meglio più avanti i metodi attraverso cui avviene tale risoluzione sono proprio l'ironia, la satira, il fantasticare che offrono all'autore la possibilità di esprimere le proprie riflessioni attraverso la voce di personaggi più o meno immaginari17.

16 Cit. Ferruccio Monterosso, Gentile critico delle Operette, in Leopardi tra noi: perché non possiamo non dirci

leopardiani, Baroni Turris Spes, Viareggio-Cremona-Milazzo, 1999, p. 250.

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1.3. “Rifare la prosa dal di fuori e dal di dentro”.

“Dunque l’effetto ch’io vorrei principalmente conseguire, si è che gli scrittori italiani possano essere filosofi, inventivi e accomodati al tempo, che in somma è quanto dire scrittori e non copisti, né perciò debbano quanto alla lingua esser barbari ma italiani.”18

Già a partire dal 1821 Leopardi compie una scelta anti-romanzesca19: la sua scrittura in prosa si distacca dal romanzo e dalla tragedia, sicuramente diffusi a quell’epoca. Di fatto la sua scrittura ha la funzione di mettere in ridicolo proprio queste modalità di espressione.

La scelta di utilizzare la prosa per scrivere le Operette

Morali è certamente un atto da sottolineare e analizzare:

si tratta sostanzialmente di una prosa filosofica che Leopardi sceglie poiché gli appare come l’unico mezzo efficace per poter comunicare le verità che le sue operette contengono e per poter coinvolgere il lettore, muovendo i suoi affetti, così come farebbe il dramma, cosa che all’autore sembra piuttosto difficile nell’era del trionfo dell’arida ragione.20

Qui l’intento dell’autore è principalmente, come abbiamo potuto osservare, quello di legare la poeticità che è

18 Cit. Zibaldone 1056-1059, 13 luglio 1819.

19 Per Leopardi è fondamentale allontanarsi dal tipo di scrittura di successo del suo tempo; si tratta della scrittura in

prosa divulgativa di giornali, gazzette e romanzi (ad esempio il romanzo manzoniano legato a un sistema linguistico borghese a cui Leopardi non vuole essere associato). Da qui si arriva alla ricerca di una certa complessità formale caratteristica della sua opera che rende anche le Operette Morali un testo elitario.

20 Cfr. Giuliana Benvenuti, Un cervello fuori moda. Studio sul comico nelle Operette Morali, Pendragon, Bologna, 2001,

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propria delle sue personali esigenze espressive e che rispecchia l’indole della letteratura italiana, con la filosofia moderna portatrice di verità e che sembrerebbe non avere nulla di poetico. Ma di fatto Leopardi, pur affidandosi alla ragione, alla logica e alla filosofia stessa, riesce a creare un’opera veramente filosofica proprio perché non va a disperdere la sua unicità di scrittore, di poeta, che grazie all’esercizio immaginativo crea e rende vivi i propri processi mentali: la capacità di interiorizzare ogni piccola esperienza della vita quotidiana e farne una creazione originale spunto per riflessioni morali e

filosofiche diventa per Leopardi il passaggio

fondamentale nella scrittura delle Operette. Egli, infatti non vuole affidarsi unicamente a una ragione e una logica inevitabili fonti di conoscenza, che lui stesso recepisce come fredde e impersonali, piuttosto preferisce vivere a pieno le proprie sofferenze, le proprie ferite.

Possiamo concludere che gli aspetti opposti che caratterizzano le varie operette si completano e vanno a creare il linguaggio unico della prosa filosofica leopardiana.21

Inoltre si sottolinea che la scrittura filosofica fino a quel momento era stata un passo impossibile da compiere per gli autori italiani, per il semplice fatto che il nostro paese

21 Cfr. Nicoletta Fabio, L’ ‹‹entusiasmo della ragione››. Studio delle Operette Morali, Le Lettere, Firenze, 1995, pp.

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era rimasto fuori dal rinnovamento scientifico e filosofico che aveva coinvolto il resto dell’Europa.

In un’Italia rimasta esclusa, rimasta indietro rispetto ai passi veloci della modernità, Leopardi sceglie di farsi portavoce e quindi innovatore del pensiero e della scrittura filosofica; inoltre, data la mancanza di una vera e propria letteratura di tal genere, Leopardi si divertirà nel forgiare questo nuovo tipo di linguaggio riscrivendolo anche ironicamente, rifacendosi al linguaggio adottato dalla filosofia nelle altre lingue (ad esempio quello Francese).

Il confronto con le altre lingue e le altre culture in questo senso è fondamentale, sarà Leopardi stesso a dare una definizione della lingua italiana che andrà a rispecchiare precisamente la lingua che ritroviamo nelle Operette: “La

lingua italiana […] è piuttosto un complesso di lingue che una lingua sola, potendo tanto variare secondo vari soggetti, e stili, e caratteri degli scrittori ec. che quei diversi stili paiono quasi diverse lingue” (Zibaldone 321)22. Lo studio di altre lingue porta quindi all’apertura verso la filosofia, che nel caso delle Operette è mezzo espressivo e allo stesso tempo soluzione di ardui quesiti sull’uomo:23 la morte, l’inerzia, l’immobilità che Leopardi percepisce come caratteristiche preponderanti e deleterie della società a lui contemporanea, diventano il punto di

22 Cfr. Liana Cellerino, La lingua delle Materie Filosofiche nella genesi delle Operette Morali in Dall’ateneo alla città.

Lezioni su Giacomo Leopardi, a cura di Marco Dondero, Fahrenheit 451, Roma, 2000 pp. 134-136.

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partenza di questa profonda riflessione che getterà le basi anche per la ricerca di un nuovo pensiero filosofico da parte dello stesso autore.24

Quindi Leopardi, con l’intento di dar vita a un nuovo linguaggio con il quale poter esprimere al meglio le proprie idee, inizia un vero e proprio lavoro di ricerca riguardante l’utilizzo della lingua che risulti più appropriato per poter esprimersi, data la grande duttilità e libertà propria della nostra lingua italiana; sempre in

Zibaldone 321 Leopardi ne descrive i caratteri

fondamentali, “libertà, potenza, ardire, varietà, ricchezza,

adattabilità, pieghevolezza”.

Allora Leopardi si muove alla ricerca di nuove modalità di espressione letteraria per rinnovare la prosa e allontanarsi, come già accennato, dal romanzesco e dalla tragedia.

Attraverso questo percorso si avvicinerà al registro comico-satirico che diventerà ispirazione e modalità preponderante per la stesura della sua raccolta di operette; è necessario porre attenzione sul fatto che per quanto riguarda la ricerca di un rinnovamento dal punto di vista linguistico-stilistico della letteratura italiana, Leopardi ebbe appoggio e approvazione da parte dei suoi contemporanei che ne apprezzarono le innovazioni. Mentre per quanto riguarda la scelta del registro comico i

24 Cfr. Ugo Dotti, La missione dell’ironia in Giacomo Leopardi, in «Belfagor», vol. 39, fasc. IV, Leo S. Olschki, Firenze,

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critici contemporanei non accettarono le conseguenze delle accuse velate sotto tale comicità.

Di fatto l’intento di Leopardi è proprio quello di rinnovare la prosa italiana moderna non soltanto dal punto di vista filosofico ma vuole anche dotarla del registro comico che fino a quel momento era sostanzialmente assente e di fatto l’operazione messa in atto è quella di cercare anche di riscattare la comicità, adattandola e usandola in relazione ad argomenti seri, con l’intento di farla uscire dalla sua condizione di minorità.

L’attenta riflessione alle esigenze della letteratura nella contemporaneità va a fondersi con il continuo riferimento e utilizzo dell’antico, non soltanto in quanto bagaglio da cui attingere per cogliere fonti preziose, ma proprio come ispirazione linguistica, come modello di perfezione e di chiarezza. Di fatto la forma stilistica delle Operette, mossa dallo spirito innovativo del suo autore, si caratterizza proprio attraverso la continua variazione tematica, linguistica, lessicale diventando sotto ogni aspetto “sperimentale”, pur conservando la chiarezza, la limpidezza del linguaggio di questa prosa.

1.4. I modelli classici.

Sicuramente la fonte classica di Luciano, finora citata, è la preponderante in quella serie di prime Operette che mantengono un disegno basato sulla resa fantastica della realtà unita alla presenza di personaggi immaginari; ma

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sicuramente l'elaborata storia delle Operette Morali conduce il libro a divenire un insieme di diversi generi e contenitore di una pluralità di temi e motivi derivanti da fonti e autori differenti e distanti da Luciano. Inoltre i classici vanno a essere identificati non più come modello di civiltà felice a cui ispirarsi e da imitare, ma diventano piuttosto serbatoio di temi e motivi per arricchire un linguaggio volto a chiarezza e limpidezza.

Mantenendo il legame con lo stile classico e antico Leopardi vuole arrivare a ottenere l’effetto inverso, quello di apparire ed essere recepito come moderno, perfettamente in linea con il suo tempo, e grazie alle caratteristiche della lingua poco fa accennate, è proprio ciò che riesce a fare.

“Il classicismo leopardiano accetta così nelle Operette l’ardua sfida di dare voce alle verità dell’epoca moderna a partire dalle potenzialità espressive dell’antica lingua italiana e si propone di rimodernarla”25 per far sì che questa nuova lingua italiana diventi una vera e propria continuazione diretta di quella antica.

Quindi si può dire che il forte legame con il classicismo entra, nella prosa e nella poesia leopardiana, in rapporto con un egualmente forte esigenza di rinnovamento e innovazione che parte sì dall’imitazione degli antichi, ma

25 Cit. Giuliana Benvenuti, Un cervello fuori moda. Studio sul comico nelle Operette Morali, Pendragon, Bologna, 2001,

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diventa poi totale novità nell’ambito dello stile, della lingua, dei temi.

Potremmo considerare questo meccanismo come una sorta di ricezione26, come l’aveva definita Jauss27: in riferimento ai classici e al patrimonio culturale proveniente dalle epoche passate la ricezione porta a nuove produzioni di testi, vere e proprie nuove creazioni che a loro volta sono destinate a diventare “classici”, così come lo sono per noi oggi le opere di Leopardi, poiché con le loro intenzioni innovative hanno infranto l’orizzonte culturale della loro epoca andando a rideterminare il canone di un dato genere o sistema letterario.

Leopardi dunque si rifà a modelli classici quali Socrate, Platone, Ovidio e Cicerone, ma il preponderante nella costruzione sia linguistica che tematica delle Operette

Morali è certamente Luciano di Samosata.

Per quanto riguarda la presenza di questo modello nella scrittura leopardiana, esso può essere riscontrato nella naturalezza della prosa priva di abbellimenti e arricchimenti e nella presenza di tematiche e personaggi ricorrenti che Leopardi consapevolmente sceglie dalla fucina di Luciano.

26 Con estetica della ricezione Hans Robert Jauss delinea l’insieme di riflessioni legate ai problemi dell'esperienza estetica

e della storiografia letteraria; secondo l’ottica della ricezione la storia letteraria è intesa come un processo comunicativo di scambio tra autore, opera e pubblico, tra passato e presente. Quindi interpretare i testi letterari e artistici significa tener conto dei loro effetti e dunque anche della storia della loro ricezione, cioè dell'esperienza che quei testi presuppongono e a cui danno luogo.

27 Marco Fernandelli, Ricezione: così l’estetica tedesca trasformò l’idea di tradizione classica, in «Il Manifesto: Alias

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L’aspetto principale resta sicuramente quello di voler creare qualcosa di nuovo ma su delle solide basi, come risultano essere proprio le fonti lucianee: il progetto risalente già agli anni precedenti la vera e propria scrittura delle Operette, vedeva un Leopardi intento nella composizione di dialoghi, quei “dialoghi satirici alla

maniera di Luciano, ma tolti i personaggi e il ridicolo dai costumi presenti o moderni, e non tanto tra morti, giacchè di Dialoghi de’ morti c’è molta abbondanza, quanto tra personaggi che si fingano vivi, ed anche volendo, fra animali […]; insomma piccole commedie, o Scene di Commedie: (conforme diceva Luciano che i suoi erano un composto da lui per primo inventato, della natura del Dialogo e della Commedia, e ciò nel trattatello «A chi gli diceva: Tu sei un Prometeo nella parola») le quali potrebbero servirmi per provar di dare all’Italia un saggio del suo vero linguaggio comico che tuttavia bisogna assolutamente creare, e in qualche modo ance della Satira […]”28. Questa lunga citazione risulta utile per osservare le due volontà principali del giovane Leopardi: da una parte quella di creare un’opera dal nuovo sapore, un’opera satirica in grado di comunicare le verità più scomode sull’umanità, un’opera moderna ma allo stesso tempo nata dalle basi della grande comicità greca di Luciano; dall’altra, troviamo invece la volontà di dare finalmente all’Italia una propria prosa moderna, filosofica sì, come

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abbiamo visto, ma anche necessariamente comica e satirica, un tipo di prosa che fino a quel momento mancava e che Leopardi, consapevole della propria sensibilità e delle proprie capacità si sente in dovere di rendere ufficiale.

1.5. L’influenza di Luciano sulle Operette Morali.

Leopardi coltivò fin dall'infanzia la passione per la letteratura, lo studio, le traduzioni; sicuramente fu agevolato e incentivato dalla fornitissima biblioteca del padre Monaldo (era composta da circa 16000 volumi) così da trascorrere gli anni più fruttuosi della sua vita all'interno della stessa.

Oltre alle cospicue letture, tradusse i classici dal latino e riuscì a imparare facilmente il greco da autodidatta, iniziando così a leggere e tradurre con disinvoltura anche i testi di prosa e poesia greca. Le prime traduzioni, come accennato, risalgono indubbiamente alla giovane età, quando si trattava di compiere un lavoro puramente scolastico e di erudizione ed esse riguardavano autori minori come Porfirio, per poi arrivare a contatto con la poesia, in particolare omerica ed esiodea.

Intorno agli anni '30 Leopardi giunse alla traduzione di autori come Epitteto, Senofonte, Platone e finalmente Luciano, già a lui caro nelle letture giovanili, a cui vi si era avvicinato con l'esigenza di scoprire un proprio stile che fosse vicino a quello dell'autore greco.

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Il primo approccio di Leopardi con Luciano va dunque definito come puramente filologico (come del resto con gli altri testi greci); successivamente, con l'intensificazione dell'opera di traduzione Leopardi riuscì a incentivare sempre più la propria creatività, avvicinandosi a quello che sarà definito come il suo proprio stile.

Nella traduzione dal greco delle opere lucianee Leopardi aveva probabilmente come unico supporto la versione latina di Benedictus (nell'edizione Amsterdam, 1687) la quale sarà sempre citata all'interno dello Zibaldone; mentre gli altri testi della biblioteca di casa Leopardi non gli furono molto utili poiché si trattava soltanto dei Selecti

Dialogi (Roma, 1591) e Dialoghi de' morti (Milano, 1813)

che erano in entrambi i casi traduzioni incomplete e di soltanto alcuni testi sugli ottanta che vanno a comporre il corpus lucianeo29.

Di fatto una traduzione italiana completa dell'opera di Luciano non esisteva ancora e tra tutti gli autori greci che passarono sotto gli occhi e la penna di Leopardi fu lui in particolare che grazie al suo stile letterario diventò fondamentale, principalmente come fonte di ispirazione nell'utilizzo del dialogo e quindi nella scrittura delle

Operette Morali.

Di fatto però il primo testo in cui compare il nome di Luciano di Samosata non è quello delle Operette Morali,

29 Cfr. Emilio Mattioli, Leopardi e Luciano in Leopardi e il mondo antico. Atti del V Convegno Internazionale di studi

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bensì un’opera giovanile risalente al 1812, posta in risalto dall'uso del dialogo. Si tratta del “Dialogo filosofico sopra

un moderno libro intitolato «Analisi delle idee ad uso della gioventù»” in cui l’allora quattordicenne Giacomo va a

trattare il delicato tema del libero arbitrio confutando l’opera di Mariano Gigli dell’ordine dei barnabiti, intitolata appunto Analisi delle idee ad uso della gioventù, accusando l’autore di essere un falso sapiente che crede nella materialità e mortalità dell’anima. Ciò che risulta interessante è l’utilizzo della forma dialogica già in età giovanile, sottolineandone la sua predilezione e citando già in quel 1812 la figura di Luciano come grandissimo autore che fece uso del dialogo. Inoltre è interessante il fatto che Leopardi strutturi la sua confutazione intorno a tematiche morali (modalità che diverrà tipica nelle

Operette), ma soprattutto risulta qui evidente l’esplicita

presenza di Luciano che emerge nella critica di un personaggio identificato come falso sapiente (Luciano stesso attaccava coloro che si presentavano come filosofi, sapienti, insegnanti quando di fatto erano solo “falsi profeti” e approfittatori).

Lo stesso vale per la scrittura del Saggio sopra gli errori

popolari degli antichi (ancora lavoro giovanile, 1815) che

Leopardi arricchisce con una lista delle fonti da lui utilizzate, in cui spicca la presenza di Luciano, di cui ha ormai una conoscenza approfondita, con passi citati e tradotti dall'autore stesso: si tratta di “Icaromenippo, o il

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Passanuvoli”, “Storia di Demonatte”, “Della morte di Peregrino”, “Ermotimo, o delle sette”, “Storia Vera”, “Timone o il misantropo”, “Alessandro, o il falso profeta”, Dialoghi de' morti. All'interno di questo diligente lavoro di

erudizione giovanile si trovano anche altri numerosi rinvii bibliografici e citazioni che vanno ad attestare la volontà dell'autore di avviarsi verso l'utilizzo della forma dialogica nella scrittura in prosa; si tratta di un procedimento simile a quello che si riscontra nelle stesse Operette, in cui Leopardi lega strettamente la creazione fantastica con la morale filosofica30.

Come accennato, sia per questi scritti giovanili che per le

Operette Morali, Luciano funziona da fonte di notizie

biografiche, storiche e astronomiche, ed è di ispirazione per la creazione o ripresa di personaggi. Nel caso del

Saggio sopra gli errori popolari degli antichi Luciano si

presenta inoltre come figura di riferimento, uomo savio, autore anch’egli paladino della difesa della purezza di filosofia, letteratura e delle proprie idee anticonformiste a cui Leopardi si ispira per contrastare quegli errori degli antichi. Ma ciò che è importante osservare è l’attenzione che Leopardi stesso dedica ai tratti comici, grotteschi e ironici dei giochi fantastici e fantasiosi compiuti nella scrittura di Luciano.

30 Cfr. Nicoletta Fabio, L’ ‹‹entusiasmo della ragione››. Studio delle Operette Morali, Le Lettere, Firenze, 1995, pp.

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Dunque il riso, il comico, la satira di ispirazione greca diventano le colonne portanti dell’intenzione dissacrante messa in atto all’interno delle Operette, ne divengono le vere e proprie caratteristiche fondanti.

Per l’autore questo tipo di comicità si confà perfettamente ai temi che sceglie di trattare: la satira greca, come anche quella latina, ha infatti una forte aderenza alla realtà e nell’epoca moderna di Leopardi questa solidità diventa ancora più efficace se legata alla trattazione di tematiche filosofiche, letterarie e morali. È questo il punto di partenza per i testi delle Operette che si avviano a diventare opera fortemente innovativa e prorompente che colpisce i contemporanei a colpi di battute feroci velate sotto maschere fittizie alter ego dell’autore.

Queste caratteristiche brevemente elencate sono frutto di un’elaborazione volontaria di un vasto materiale antico di cui Leopardi si serve per attuare l’ambiziosa rivalutazione del linguaggio comico italiano, da lui reputato sostanzialmente assente. Così come per l'attenzione volta alla nascita di una lingua filosofica, come precedentemente osservato, Leopardi si dedica alla comicità con questo intento di realizzazione e modifica nei confronti di un linguaggio che in questo ambito si è rivelato carente di stile e temi.

Leopardi si basa sull'idea di un comico che susciti riso ed egli stesso sostiene che sia fondamentale quella capacità

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dei comici antichi di saper dare corpo al ridicolo in grado di provocare ilarità nel pubblico; riguardo ciò compie varie riflessioni già all'interno dello Zibaldone, andando proprio a sottolineare la differenza tra il comico degli antichi e quello dei moderni: “quello consisteva in immagini,

similitudini paragoni, racconti insomma cose ridicole, questo in parole, generalmente e sommariamente parlando, e nasce da quella tal composizione di voci da quell'equivoco, da quella tale allusione di parole, da quel giucolino di parole, da quella tal parola appunto, di maniera che togliete quella illusione, scomponete e ordinate diversamente quelle parole, levate quell'equivoco, sostituite una parola in cambio di un'altra, svanisce il ridicolo. Ma quel de' greci e latini è solido, stabile, sodo, consiste in cose meno sfuggevoli, vane, aeriformi, come quando Luciano nello Zeus Confutato31

paragona gli Dei sospesi al fuso della Parca ai pesciolini sospesi alla canna del pescatore”32.

Attraverso questi riferimenti vediamo come l'irrisione di Luciano verso alcune tipologie di uomini (filosofi o falsi profeti) sia stata punto di partenza per la satira dell'antropocentrismo sviluppata da Leopardi (si scaglia contro le pretese antropocentriche dell'uomo e le

31 Lo Zeus Confutato insieme allo Zeus Tragedo e al Concilio degli Dei rappresenta una dissacrazione nei confronti di Zeus

e quindi nei confronti della religione greca; in questo dialogo il dio non sa ribattere ad alcune accuse mosse contro l'inutilità degli dei e verso la falsità delle loro promesse o castighi che destinano all'uomo dopo la morte. Dunque la forza velenosa di Luciano si scaglia proprio verso Zeus che nonostante sia il padre degli dei non è in grado di rispondere e ribattere a chi li accusa e li smaschera.

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tendenze antropomorfizzanti nei confronti della natura da parte dell'uomo) proprio in quei dialoghi in cui spicca maggiormente il legame con Luciano. Le invenzioni fantastiche e la satira stessa qui si concentrano sugli interlocutori, ovvero i personaggi presi di mira, andando a colpire la presunzione umana, i vizi, gli errori comunicandoli attraverso uno sguardo e un linguaggio intrisi di malinconia e passione.33

La missione di Leopardi contro antropocentrismo e finalismo, quali veri e propri temi fondanti delle Operette, si concretizza: oltre a voler spalancare i propri occhi sulla verità del mondo per comprendere la falsità di una felicità tanto agognata, vuole soprattutto aprire gli occhi degli uomini su questo apocalittico panorama.

1.6. Il pianto e il riso: Operette affette da lucianismo. Il fantastico, l’immaginativo, le atmosfere ultraterrene e favolistiche in cui l’autore ci immerge nel corso della lettura delle varie operette, proviene a sua volta dalle letture lucianee come i Dialoghi dei morti e i Dialoghi degli

dei principalmente, che diventano, a fronte di questo

progetto, il motore in grado di offrire un vero linguaggio comico italiano.

Queste atmosfere suscitano in Leopardi la capacità di voler anch’egli esprimersi attraverso la costruzione di

33 Cfr. Nicoletta Fabio, L’ ‹‹entusiasmo della ragione››. Studio delle Operette Morali, Le Lettere, Firenze, 1995, pp.

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mondi irreali, fantastici, frutto della sua immaginazione ma anche appartenenti alla memoria collettiva, e questo gli serve per creare, di conseguenza, personaggi a loro volta fittizi, maschere divertenti o cupe che possano però comunicare quello che è il vero messaggio dell’autore, ovvero, rendere consapevole l’uomo della sua condizione di inettitudine di fronte alla natura e alla vita, e di conseguenza criticare gli uomini della sua epoca che non sono in grado di comprendere questo messaggio di verità. Al momento della creazione delle prime Operette sicuramente Leopardi aveva ben chiaro il progetto di mettere in piedi tale struttura retorica (che troviamo già nei primi “dialoghi satirici”) ma ciò che ancora mancava erano le tematiche da dover affrontare all’interno dei vari dialoghi.

Probabilmente quando Leopardi arriverà a esprimere le sue intenzioni con la citata espressione di “prosette

satiriche” arriverà ad avere anche maggiore chiarezza su

temi, argomenti e motivi che ricorreranno nell’opera. Luciano con il suo atteggiamento critico verso i suoi contemporanei conduce Leopardi in questa direzione, accrescendo la sua volontà di creare una letteratura comica: il grottesco, lo straniante, il parodico creati dal tipo di ambientazione poco sopra citata portano Leopardi verso una forma letteraria molto trasgressiva e che fonda

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le sue radici nella Satira Menippea34, a cui lo stesso Luciano è fortemente legato.

Dunque è primariamente la struttura dell’opera a risentire dell’influsso lucianeo: la creazione di una raccolta di “operette”, perlopiù dialoghi, che mettono in atto una sorta di gioco di specchi per far stare il lettore in bilico tra ciò che viene svelato e ciò che viene occultato, riconduce il tutto sotto le sembianze di un’opera totalmente “seria”. Questa modalità è inoltre amplificata dal ruolo affidato alla satira filosofica, dato che la maggior parte delle operette portano in sé un messaggio di verità che si innalza ulteriormente proprio per l’analisi umoristica che Leopardi fa di quel messaggio.

Dunque il primo passo compiuto dall'autore è quello di scegliere la prosa come espressione delle sue idee, unico mezzo per dare forma ai suoi racconti, e l’influenza di Luciano anche qui è evidente: il romanzesco immaginifico che caratterizza tutta l’opera dell’autore di Samosata, si pensi all’ “Icaromenippo” o alla “Storia Vera”, si ripercuote in maniera molto forte nelle scelte compiute da Leopardi. Il recanatese, infatti, in un certo qual modo rinnega il romanzo del suo tempo, quello del Manzoni inevitabilmente. Ma ciò che sceglie di fare è riportare in vita il romanzare greco antico che rispecchia molto di più

34 Definizione che deriva dal nome Menippo di Gàdara (III sec. a.C.), esponente della letteratura e della filosofia

cinico-stoica, nella quale si combinavano prosa e poesia, talora con la presenza di parti dialogate e con la tendenza a introdurre nella riflessione morale elementi fantastici e parodie ironiche; fu inaugurata a Roma da Terenzio Varrone e vi sono ricondotte opere come l’Apokolokyntosis di Seneca e il Satyricon di Petronio.

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le sue esigenze: si tratta di un romanzesco dal sapore poetico, in cui le atmosfere già conosciute negli idilli riescono perfettamente a ripresentarsi e a essere descritte efficacemente, a diventare racconto. Si tratta della natura, dei paesaggi infiniti, delle notti lunari che erano già protagonisti indiscussi del Leopardi poeta e che diventano sfondo e ispirazione per il Leopardi della prosa. Nella creazione di questa modalità, dunque, ha sicuramente influito Luciano, che per i suoi stessi dialoghi aveva basato gran parte della carica letteraria su l’esplorazione di spazi indefiniti, esotici, sul raggiungimento di un incognito (mondi, tempi, luoghi) grazie soltanto alla forza dell’immaginazione35, sulla creazione di personaggi reali e materiali sulla base di una fantasia fanciullesca.

In breve, è questo che ritroviamo fortissimo nella struttura dell'opera e nella volontà che Leopardi ha di creare una nuova prosa.

Altro tratto importantissimo nell’affrontare il rapporto intenso tra i due scrittori è sicuramente la già citata mescolanza di pianto e riso che diventa tratto fondamentale per comprendere l’opera leopardiana: non solo le Operette Morali, ma di fatto l’intera produzione dell’autore.

35 Cfr. Giuseppe Sangirardi, Leopardi, Luciano e il romanzesco in Dall’ateneo alla città. Lezioni su Giacomo Leopardi, a

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Con mescolanza di pianto e riso si intende quella consapevolezza del reale e delle condizioni della vita umana che viene raggiunta da Leopardi; consapevolezza tragica, appunto, che viene però espressa attraverso le modalità del comico e della satira, attraverso espedienti che portano al riso, al sorriso e alla caricatura. Per l'autore il riso è fondamentale nella sua duplice funzione di consolare e allo stesso tempo di dissacrare gli errori che vengono perseverati nella società a lui contemporanea, di smascherare la falsità del sapere tradizionale.

Questo è ancora una volta ciò che faceva Luciano nei suoi dialoghi, anch'egli autore prodigo nella difesa del riso; leggendo le sue opere infatti il Leopardi assiste alla morte degli dei, alla distruzione dei tradizionali valori della società e questo gli consente di legare questa possibilità offerta dal riso a una franchezza di espressione che si fa enorme nella prosa delle Operette36.

Questa spinta iniziale è quella che conduce il nostro autore a osservare soprattutto il modello formale della scrittura satirica per poi plasmarla a seconda delle proprie esigenze: “Di lucianismo si è infatti arrivati a parlare non

come di una zavorra che frena lo slancio lirico e filosofico del libro leopardiano, ma al contrario, come di un modello di scrittura fantastica che tratta questioni morali e filosofiche, un modello che si offre a Leopardi col prestigio

36 Cfr. Ugo Dotti, La missione dell’ironia in Giacomo Leopardi, in «Belfagor», vol. 39, fasc. IV, Leo S. Olschki, Firenze,

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che gli deriva dalle imitazioni più o meno illustri di cui è stato oggetto a partire dall’umanesimo italiano, e che le Operette portano poi inscritto per così dire nel loro codice genetico”.37

Facendo riferimento agli studi compiuti da Giuseppe Sangirardi possiamo tornare a osservare come il romanzesco e nello specifico quello che potremmo definire “romanzesco lucianeo” abbia contribuito alla nascita delle Operette Morali.

Questo tratto romanzesco diventa fondamentale nella scrittura leopardiana proprio perché va a fondersi con tutti gli elementi satirici appartenenti al bagaglio dello stesso Luciano e con il loro modello formale, creando, attraverso la spinta immaginativa di Leopardi, uno stile del tutto nuovo di romanzo ma anche di prosa comica. Sostanzialmente, fondendo i due modelli ripresi da Luciano (satira e romanzo), Leopardi riesce a creare il motore fondante delle sue Operette quando ancora ne stava ipotizzando la creazione, come sappiamo intorno al 1819-20.

37 Cit. Giuseppe Sangirardi, Leopardi, Luciano e il romanzesco in Dall’ateneo alla città. Lezioni su Giacomo Leopardi, a

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2. LUCIANO DI SAMOSATA: LA FORZA DELLA SATIRA E DELLA FANTASIA.

Riguardo la vita dello scrittore siriano Luciano di Samosata non si hanno notizie certe; i dati biografici che lo riguardano ci portano a collocare la data della sua nascita intorno al 120 d. C. nel luogo che gli donò il nome, Samosata, città siriana lungo il fiume Eufrate.

Un altro dato sicuramente certo riguardante l'autore è il suo interesse per la conoscenza e il suo conseguente avvicinamento alla lingua e alla cultura greca. Il poco che ci è dato di sapere spesso è stato estrapolato da fatti e notizie raccontati dallo stesso Luciano all'interno delle sue opere, sotto il segno dell'esplicita biografia o attraverso la costruzione di maschere.

La mancanza quasi totale di fonti lascia quindi questo autore avvolto da una sorta di aura di mistero che si dipana soltanto grazie alla presenza più o meno cospicua di riferimenti, aneddoti, episodi autobiografici che emergono dalla lettura della sua intera opera, nella quale sicuramente è messa in risalto anche la consapevolezza storico-letteraria del ruolo di scrittore che Luciano, a quel tempo, aveva di sé.

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2.1. Luciano e l'Eloquenza.

La cultura fu per Luciano l'attività di maggiore interesse e quella da lui svolta con maggiore entusiasmo; secondo le abitudini del tempo (siamo intorno al II secolo d. C.) i più alti livelli di sapere che potessero condurre a un certo grado di fama e status sociale, erano accessibili attraverso attività come la retorica.

Luciano ebbe una educazione classica in grammatica e retorica greca e così la sua veste di retore lo portò a peregrinare per le regioni del mondo conosciuto, come era tipico per i sapienti del tempo che si facevano strada manifestando le proprie abilità stilistiche: sostò in Asia Minore, in Antiochia e giunse poi a Roma, trascorrendo però la maggior parte dei suoi anni (circa venti) ad Atene. Vivere nel II secolo d. C. per Luciano ha probabilmente segnato lo sviluppo del proprio pensiero critico: si tratta di un periodo in cui il dogmatismo e il fanatismo emergono con sempre più forza, legati all'avvicinarsi della Cristianità; si creano così contesti in cui filosofi e credenti abbandonano lo sviluppo di un proprio pensiero raziocinante e si limitano a citare le posizioni di coloro che hanno più autorità, si affidano a un ipse dixit che esclude la loro stessa capacità di riflessione, ragionamento e dialogo.

Lo stesso clima culturale era fortemente dogmatico e avverso all’esercizio di un libero pensiero, per questo si può constatare come la categoria filosofica che guida

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Luciano nelle proprie riflessioni e nella sua scrittura, sia di fatto un vero e proprio anti-dogmatismo mosso dal desiderio di demolizione che caratterizza l'autore e che diventa la forza della sua arte. Si tratta di un aspetto che, in extremis, lo condurrà a credere che quella distruzione potesse essere l'unica via per il raggiungimento della verità.

La sete di scoperta che anima Luciano, lo porta a voler elaborare un pensiero filosofico critico in grado di smontare i tradizionali capisaldi portatori di una verità che è soltanto presunta, e si tratta di capisaldi quali la religione, la filosofia e la poesia.

Nelle sue opere l'autore cerca di reagire al fanatismo dilagante, cerca di far aprire gli occhi ai propri contemporanei attraverso le sue parole mettendo in evidenza gli errori che caratterizzano la società e la falsa percezione di una realtà che conduce tutti verso un vortice di superstizione38.

Si noti però che l’obiettivo di Luciano non era quello di offrire soluzioni o costruire una nuova corrente di pensiero, bensì quello di distruggere, attraverso satira e riso, tutte le false credenze, le dottrine e le ideologie del suo tempo39; l'oggetto privilegiato e più amaramente colpito dalla sua ironia è l'intera tradizione classica, poeti, storici e filosofi del passato (V e IV sec. a. C.). Ma,

38 Cfr. Luciano di Samosata, Tutti gli scritti, a cura di Diego Fusaro, Milano, Bompiani, 2007, p. 16. 39 Cfr. ivi p. 17.

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nonostante la sua forza critica e la volontà di smascheramento di dogmi inconsistenti portati avanti dai contemporanei, Luciano resta escluso dall'essere considerato come un vero e proprio filosofo: la sua critica non lo condurrà a rimpiazzare i punti di vista criticati e come sostiene Diego Fusaro nell'introduzione alla raccolta di opere dell'autore, egli rimarrà sempre sulla soglia della filosofia non entrandovi a far parte. Lo stesso si può dire di Leopardi che, come abbiamo osservato nel precedente capitolo, nonostante si sia avvicinato a profonde riflessioni filosofiche e se ne sia fatto portavoce in un'opera come le Operette Morali, non è mai stato considerato filosofo, ma soltanto autore letterato. Entrambi gli scrittori vivono in una sorta di “terra di

confine: tra letteratura e filosofia”, sempre per usare le

parole di Fusaro, che li lascia spesso incompresi da parte dei contemporanei. Ma Luciano, in parte, è come se volesse esonerarsi da questo ruolo per evitare il rischio di cadere lui stesso nella trappola del dogmatismo; quindi è come se svalutasse il proprio pensiero, dipingendosi come un autore poco serio.

Tornando a osservare le modalità di studio e di azione dell'autore va sottolineato, come già detto, che Luciano è siriano, quindi si trova a essere straniero in Grecia, la terra che sceglie come patria e che a sua volta, a quel tempo, faceva parte dei territori del vasto e prosperoso Impero Romano. In questa condizione di “straniero” l'autore

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riesce ad apprezzare l'importanza della cultura ellenica che si trova a voler imparare e sceglie di mettere in atto confronti con altre culture che ritroviamo all'interno della sua stessa opera; possiamo citare come esempio la presenza degli sciiti, individuati in ben tre opuscoli lucianei “Lo scita, o il protettore del forestiero”, “Tossari,

o l'amicizia”, “Anacarsi, o dei ginnasi” che hanno l'intento

di sottolineare l'importanza della lingua greca, come apprenderla, come usarla, quali sono le sue diverse modalità di espressione. Proprio identificandosi con questi personaggi stranieri che si trovano catapultati nel mondo della cultura greca, Luciano riesce a esprimere al meglio la propria abilità oratoria attraverso il dibattito e il dialogo tra questi personaggi sciiti e il greco Solone o il personaggio di finzione Mnesippo40.

Queste riflessioni sulla lingua riguardano Luciano stesso, che in quanto “barbaro” si è trovato nella condizione di apprendere la lingua greca e soprattutto, grazie a questo, è stato condotto verso la vocazione letteraria che lo ha portato a scrivere anche della propria esperienza personale. Infatti, uno dei tratti della scrittura lucianea, evidente anche nel caso di questi testi segnati dalla presenza di una cultura barbara confrontata con la cultura ellenica, è la capacità di esprimersi con inconfondibile maestria permettendo così a personaggi stranieri come

40 Cfr. Valérie Visa-Ondarçuhu, Parler et penser grec: Les Scythes Anacharsis et Toxaris et l'expérience rhétorique de

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