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Diario autentico e diario finzionale: due estremi difficilmente delineabili

Diari? Un segno del tempo. Diari se ne pubblicano tanti. È la forma più comoda, più indisciplinata. Bene. Forse si finirà con lo scrivere soltanto diari, perché si trova insopportabile tutto il resto.

[…] Non è arte. Non deve esserlo. A che serve parlarne tanto? (R. Musil, ante 13 febbraio 1902)

Il diario è una forma che si presta ad aggiungere vero o presunto realismo allo scritto, e dà una sensazione di quiddità superiore all‟autobiografia. Questo spiega perché, ad esempio, Chateaubriand abbia inserito nelle Memorie dell‟oltretomba più passi diaristici, o perché tanta letteratura contemporanea affidi a tale forma pensieri altrimenti difficilmente credibili. Anche per questo, Musil ha abortito l‟idea di un diario-opera, tacciando la tendenza primonovecentesca al diario come scappatoia da una scrittura più complessa. In realtà, nel presente paragrafo, verificheremo come la maschera finzionale possa farsi anche necessaria cautela in tempi di censura.

Iniziamo tuttavia da alcune necessarie premesse teoriche. Ci si chiede spesso se e come si possano distinguere i diari finzionali da quelli autentici. Anzitutto, con l‟osservazione di spie extra-testuali, come la differenza tra il nome del protagonista narratore e quella dell‟autore in copertina, o affidarci alle dichiarazioni rilasciate dagli stessi diaristi in lettere e interviste, ma la letteratura insegna quanto diffidare delle ovvietà, per scavare invece nel celato. Allora conviene ricercare tra i dati interni al diario stesso, e dall‟analisi testuale potremo solo ipotizzare con maggiore o minore probabilità l‟autenticità di un diario. L‟ambiguità è minacciosa, a causa della «tentazione» e della «facilità» con cui le figure di personaggio e scrittore si sovrappongono o si sostituiscono:

Poiché questi parla di quello, lo scivolamento verso l‟autonomia del personaggio, ovvero lo svincolamento dell‟immaginario dalla referenzialità circoscritta e concreta è continuamente in agguato. Non si tratta qui del caso contemplato di un romanzo che assuma la forma del giornale intimo: s‟intende invece una condizione di movimento da un genere ad un altro, di un‟azione che comincia come ricerca ed espressione di sé e si trasforma in invenzione, ovvero in allontanamento da sé, sostituzione di sé con un altro.105

105 R. SCRIVANO, «La penna che spia» : giornale intimo e scrittura, in “Journal intime” e letteratura moderna,…, 32.

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

Secondo Musarra, un primo segnale è da ricercarsi nella struttura del diario. Come si è detto, la discontinuità e l‟imprevedibilità lasciano la libertà di agire solo in parte sul proprio scritto: un frammento con una domanda può restare sempre senza risposta, e ci si può contraddire senza giustificarsi. Oppure si cambia completamente opinione su una persona o un avvenimento, in base a fattori che lo scrivente non è tenuto a precisare. Omissioni e ritrattazioni apparentemente incoerenti (perché non spiegate) sono molto frequenti. In più, il diarista autentico

si occupa molto delle piccolezze e monotonie di ogni giorno, che fa i suoi appunti anche quando non ha assolutamente niente da dire (Amiel, Gide, Pavese), mentre il narratore nel romanzo-diario si occupa dei fatti decisivi della sua vita. Ma anche qui le frontiere fra non-finzione e finzione rimangono fluttuanti.106

Altro criterio, può essere ricondotto all‟analisi delle date e alla loro frequenza: un diario finzionale tende a raccogliere frammenti di un periodo limitato e particolarmente significativo, che tradisce un nucleo semantico forte, velatamente romanzesco. Al contrario, il diario autentico copre un arco temporale più vasto, spesso senza coerenza:

mentre nel diario autentico i fatti raccontati nel loro insieme non costituiscono mai un‟“azione” intera e conclusa e la “storia” tende sempre a svanire dietro i piccoli avvenimenti giornalieri, nel romanzo-diario, in cui il codice del diario interferisce con quello del romanzo, c‟è in genere un‟azione coerente e in un certo senso drammatica, un‟azione concentrata intorno ai momenti decisivi della vita dell‟“io”.107

Inoltre, si può controllare se l‟autore e il narratore condividono gli stessi valori etico-morali, cosa che non avviene nella pseudo-autobiografia o nello pseudo- diario, che invece premiano una grande complessità strutturale, con la frequentazione e la combinazione di più generi. Secondo Lejeune, il “diary-novel”, ovvero il diario-romanzo è un ibrido «trying to reconcile two contrasting aesthetics. The diary-novel is based on what I will call a series of effects de journal, just as Barthes speaks of an effet de reel, effects that by their intent point to the text as fiction».108 La narrazione sfrutta gli elementi diaristici che più le convengono,

106 U. MUSARRA, Il diario intimo e la “scrittura autobiografica”, in “Journal intime” e letteratura moderna…,77.

107 Ivi, 77-78.

lottando contro problematiche che appartengono al diario reale, come la lunghezza o la presenza di persone-personaggi scomodi e fatti da censurare. Inoltre, nella narrazione mancano le ripetizioni, l‟assenza di incoerenza o di fatti irrilevanti, gli impliciti e le allusioni. Soprattutto, il diario narrativo conosce a priori la propria fine e, anzi, viene costruito allo scopo di raggiungere quel finale. Dunque, alla contingenza del diario si sostituisce la provvidenza del narratore: qualsiasi effetto di immediatezza proviene da una strategia a tavolino.

Un caso particolare è dato dai diari immaginari di gente reale, che Lejeune considera un tentativo fallimentare, di poco tatto e sprovvisto dell‟effetto-sorpresa tipico del diario autentico. Coerentemente con questa posizione, lo studioso francese conia il calco “antifiction”, in chiara e polemica opposizione alla moda dell‟“autofiction”, termine ormai nell‟uso corrente, cui ha contributo Paul Ricoeur con la nozione di “narrative identity”.109 La mescolanza di elementi biografici con

elementi finzionali è depistante per il lettore, che non sa dove si operano i travasi dal reale e dove questo si compromette con strategie narrative.

Definire il diario come “antifiction” non comporta che sia anche anti- soggettivo, né che sia una forma di “anti-arte”: «What distinguishes fiction from its opposite, and gives the word its meaning, is that someone exercises the liberty of inventing rather than setting out to tell the truth».110

La parola si distingue dal più generale contenitore della “non-fiction”, che include tutti i testi non dedicati alla narrazione, dunque con una definizione negativa. L‟“anti-fiction” si applica invece ai testi che dichiaratamente rifiutano la finzione (definizione positiva). Dal contatto con la finzione, il diario esce ammorbato, come dichiara Lejeune in un‟efficace metafora medica:

The diary grows weak and faints or breaks out in a rash when it comes into contact with fiction. Autobiographies, biographies, and history books are contaminated: they have fiction in their blood.111

È denaturato poiché l‟elemento finzionale opacizza il «magnyifying glass» dell‟“anti-fiction”, invece votato a magnificare il reale.

Ciò non toglie che uno scrittore possa sposare contemporaneamente il genere del diario in tutte le sue declinazioni. Così, Delfini oltre al diario personale, più

109 ID., Le journal comme antifiction, «Poétique», 149, febbraio 2007, 3-14. Lo si legge in traduzione:

ID., The Diary as „antifiction‟, in ID., On Diary…, 201-210.

110 Ivi, 203. 111 Ivi, 204.

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volte citato nel presente studio, scrive molti diari finzionali, come il suo forse più celebre Misia Bovetti e altre cronache.112 O ancora, molto interessanti e degni di nota

sono i “doppi” diari di Papini e di Flaiano. Partendo dallo scrittore fiorentino, sappiamo che ha tenuto a lungo diari personali e autentici a partire dal 1899. Tuttavia, quando desidera pubblicare una denuncia sulla società contemporanea, non può consegnare le proprie note private: negli anni Trenta, all‟apice della censura fascista, decide quindi di offrire al pubblico il suo Gog, un diario allografo in cui finge, come già detto (cfr. par. 1.5), di essere curatore delle note di un malato di nervi. Questa istanza, permette a Papini di prendere preventivamente le distanze dal suo personaggio, definito spesso «falso» e «negativo», e al tempo stesso dà una libertà d‟espressione quasi totale, nel delineare con satira feroce tanti stereotipi contemporanei, nonché «temi demoniaci, eretici, satirici», accontentando lo «scarico del lato mefistofelico e sadico» della sua mente.113 I personaggi, le

realtà, gli ambienti incontrati esercitano il gusto per il paradosso, accentuatissimo anche nel nuovo libro di Gog, che esce a distanza di vent‟anni, nel 1951, col titolo di Libro nero. Questa seconda parte, ideata già nel 1946, è stata scritta nell‟anno stesso dell‟uscita,114 in un momento delicatissimo della storia italiana. L‟allografia ma la

mancata finzione del diario sono giustificate anche da dati esterni: in una lettera del 20 gennaio 1952, Soffici scrive a Papini lodando il nuovo Gog, «buonissimo dal punto di vista della scrittura» («Naturalmente!»), ma «terribile» quanto ai contenuti («Lessi dunque il tuo impressionante libro con piacere, insieme, e spavento»).115 Così conclude Soffici:

Ho ben riconosciuto come tu abbia fatto pensare e dire a Gog quello che è tanto terribile non poter esprimere direttamente a ragione della sua distruttività tragica. Certe verità paurose siamo in pochi a poterle sopportare.116

112 A. DELFINI, Misia Bovetti e altre cronache, Milano, All‟Insegna del Pesce d‟Oro, 1960. Sull‟argomento, cfr. almeno T.SPIGNOLI, La “vita inventata” di Antonio Delfini, in Memorie, autobiografie e

diari…, 283-290.

113 Lo si legge in una nota del diario del 19 maggio 1946 (G.PAPINI, Diario…, 416).

114 Troviamo le testimonianze nelle note diaristiche: in data 4 giugno 1951, Papini confessa: «Mi è

tornata, viva, l‟idea di scrivere un secondo volume di Gog. Ho moltissimi spunti e mi paiono eccellenti. È un libro che posso scrivere, senza troppa fatica, nell‟estate» (ivi, 692). Proseguirà, a fine anno, il 16 dicembre 1951: «Ho lavorato tutta l‟estate al “Libro Nero” […]. Non so dire perché proprio oggi mi son ricordato di questo diario. Forse perché ho avuto la visita di Mario Viscardini, che non vedevo da vent‟anni, e ch‟è diventato, nel frattempo, assai simile a uno degli strani personaggio che incontra assai spesso il mio Gog» (ivi, 695-696).

115 G.PAPINI –A.SOFFICI, Carteggio. 1919-1956 Dal primo al secondo dopoguerra, a cura di M. Richter, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura per la Fondazione Primo Conti, 2002, IV, 285.

L‟altro caso cui si faceva cenno è Un marziano a Roma di Flaiano: il testo, uscito su «Il Mondo» di Pannunzio il 2 novembre 1954, viene poi incluso nel Diario notturno nel 1956 e nel successivo Un marziano a Roma e altre farse.117 Risultato

di un‟intricata questione filologica118 e oggetto di una deludente trasposizione

teatrale da parte della Compagnia del Teatro Popolare Italiano di Vittorio Gassman nel 1960, nel 1983 è stato portato al cinema con lo stesso titolo da Bruno Rasia e Antonio Salines. Flaiano non sceglie un personaggio mentalmente instabile come Gog, ma il marziano Kunt, dotato di grande sensibilità e pazienza, nonché di una visione distaccata e ancora ingenua del mondo. Più che concentrarsi sulla sua percezione del mondo, interessa la reazione (dis)umana dei romani, che lo accolgono il 12 ottobre 1953. L‟autore racconta nel suo diario la parabola che porta dalla curiosità iniziale per Kunt (ricevuto dal Presidente, dal Papa e spopola sui quotidiani), al progressivo inasprimento dei rapporti, con atti di prevaricazione e di violenza contro l‟inerme alieno, fino al completo disinteresse. Il marziano rinuncia all‟iniziale proposito di integrazione e con la satira Flaiano chiude il suo viaggio romano:

Più tardi, tornando a casa ho visto Kunt che si dirigeva, solo, a lunghi passi morbidi, verso Villa Borghese. Sopra le chiome dei pini brillava il rosso puntino di Marte, quasi solitario nel cielo. Kunt si è fermato a guardarlo. Si parla infatti di una sua prossima partenza, sempre se riuscirà a riavere l‟astronave, che gli albergatori hanno fatto, si dice, pignorare.119

La contemporaneità è presentissima, come si rileva già dall‟insistito «si parla» e «si dice» di questo frammento: a ciò si aggiungono l‟ambientazione cronologica vicina, quindi la presenza di personaggi storici e letterari viventi, amici dello scrittore, come Ercole Patti o Mario Soldati, riconoscibili da poche pennellate caricaturali e umoristiche; e ancora, si cita «Il Mondo», la rivista che ospita Un marziano a Roma. Il tutto, a rendere verosimile e metadiaristico questo «esame di coscienza sotto la specie del grottesco»: «sembra concludere che non esiste potere dell‟intellettuale, egli non ha voce di fronte alla forza statica di una società libertina

117 E.FLAIANO, Diario notturno…, 265-287. Quanto a Un marziano a Roma e altre farse, si ricorda che è uscito come terzo dei «Quaderni del teatro popolare italiano» per i tipi einaudiani nel 1960, con l‟introduzione di Luciano Codignola.

118 Si rimanda perlomeno all‟Introduzione di M. CORTI in E.FLAIANO, Opere. Scritti postumi, a cura di M. Corti e A. Longoni, Milano, Bompiani, 1988, XXIX e sgg.

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

e degradata».120 Ancora più interessante è raffrontare il marziano, così come nasce

nel diario, alla farsa teatrale: «si rileva la tecnica o meccanismo di metamorfosi del diegetico o descrittivo in mimetico; come dire che l‟autore scrive il testo teatrale tenendo davanti agli occhi il diario».121 E in questo senso, il diario finzionale si

trasforma in avantesto per un‟altra opera (cfr. anche par. 3.5).

I due casi qui presentati, benché esigua campionatura di una realtà vasta e particolarmente eterogenea, sono però sufficienti a mettere in dubbio l‟istanza di “anti-fiction” proclamata da Lejeune: finzionalità a volte non è sinonimo di mascheramento e di inautenticità, ma unica garanzia per una totale libertà d‟espressione.