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Facciamo un bilancio: la sfida dei giorni

La vita è la marcia di un tassametro, davanti al quale siamo seduti da anni e anni, che cammina e cammina col violento ticchettìo di un orologio e segna una somma sempre più favolosa che non si sa come pagare. Il conducente è voltato di spalle e non gli si vede il viso: se gli si vedesse, forse si vedrebbe che è il viso d‟un teschio. Non si può scendere e non si sa come pagare (a Pennsylvania Station, la mattina che arrivai, di ritorno dal Messico). (Emilio Cecchi)

Quando un uomo si trova «nella nuda verità della sua natura», per dirla con Rousseau, o nella presunta verità della sua natura, il diario diventa raccolta di appunti sulla propria vita, registrata con scrupolo nelle sue mancanze, debolezze o rimpianti («In giorni come questi, la mia vita tutta mi torna alla gola come un pranzo indigesto»).66 In questo appuntamento periodico con la raccolta dei propri

scarti esistenziali e scrittorei, il diarista ripercorre i punti fermi della sua vita, e unisce talvolta i singoli frammenti con un bilancio, spesso seguito da un giudizio su di sé e sul proprio operato, dal momento che «queste divisioni di anni non contano, perché il tempo non si spezza e le persone restan le stesse»; eppure servono come «sosta per guardare indietro e orientarsi».67 Ottieri denuncia la

propria «mania di tirare continuamente le somme della vita, minuto per minuto, a freddo, con la testa», fermando il flusso dei giorni, vero cruccio di questa «bilanciomania» da contabile: «mentre allineo gli addendi e faccio i conti all‟inseguimento del totale, sto fermo».68

Anche Sanminiatelli percepisce l‟«ombra ossessiva» dell‟età che avanza, e conteggia in toni ragionieristici «quanto ha vissuto, quanto ha da vivere», nonché «quanto erano lunghi gli anni dell‟infanzia», ormai conclusi per sempre.69 Ne

66 G.PREZZOLINI,Diario 1968-1982…, 105.

67 ID., Diario 1900-1941…, 333. 68 O.OTTIERI, La linea gotica…, 25.

69 B.SANMINIATELLI, Quasi un uomo…, 113. Il 15 giugno 1963 scrive: «Stanotte, svegliandomi da un sogno, mi sono sentito oppresso dalle dimensioni metafisiche del tempo. Avanzava inesorabile, avvolgendomi insieme a una immane folla di morituri mossi al rallentatore come una sequenza di topi in

consegue, che pur avendo appena imparato a vivere, debba ormai «cominciare a imparare a morire», dove l‟incoativo rimanda al processo faticoso della resa.70

Infatti, cercare di seguire il proprio percorso è in realtà un‟illusione:

C‟è un altro me stesso al di fuori, al di sopra, una grande ombra impassibile che mi accompagna. Ciò che ho fatto è vano. Abbandono la vita con l‟angoscia di non essermi espresso (che è l‟unico modo di morire in pace), di lasciare di me qualcosa come un bric-à-brac che verrà spazzato via dopo la morte, quando apriranno le finestre e daranno aria alla stanza. Almeno trovassi un angelo buono, alle soglie dell‟altro mondo, che, prendendomi dolcemente per mano, mi dicesse: “Je t‟attendais à la source”.71

Anche voltarsi e riesaminare il cammino è deleterio, perché «subiamo la vita e il tempo che ci trascina»: finché ci si mantiene entro il flusso vitale, si resta «miopi» e di successo, «ma se guaderai lontano senza esser prima passato attraverso l‟approvazione mondana […] novanta su cento passerai inosservato».72 La

contemplazione atarassica è una fuga dalla vita che non ricompensa; ogni momento di ozio è infatti vissuto come perdita di tempo in un bilancio al negativo («Dicembre 30. Perdo tempo. Non mi utilizzo. Soffro per quello che il cielo mi ha donato»).73 Il 6 novembre 1959, Morselli scrive un frammento che si apre e si

chiude circolarmente sul tema dell‟inutilità, nell‟angoscioso rintocco delle negative, iterative e martellanti, disposte a parallelismo e a chiasmo in una struttura che potrebbe potenzialmente ripetersi all‟infinito:

Tutto è inutile.

Ho lavorato senza mai in risultato; ho oziato, la mia vita si è svolta nella identica maniera. Ho pregato, non ho ottenuto nulla; ho bestemmiato, non ho ottenuto nulla. Sono stato egoista sino a dimenticarmi dell‟esistenza degli altri; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho amato, sino a dimenticarmi di me stesso; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho fatto qualche poco di bene, non sono stato compensato; ho fatto del male, non sono stato punito. – Tutto è ugualmente inutile.74

un‟acqua densa, che altro non era se non la massiccia astrazione del tempo: l‟astratta fisicità dei sogni dove le cose s‟identificano, al di là della superficie, nella loro interiore realtà in cui ogni luce o bellezza sono abolite» (ivi, 34). E il giorno successivo: «Io sento che la mia vita si consuma nel molteplice e nel discontinuo. Piuttosto che vita sono frammenti di vita. Il mio io è composto di un sovrapporsi e succedersi di più strati e momenti. Il tempo è costretto in una morsa di impuri interessi mondani. L‟esistenza non ha che un ordine apparente e la mia persona nessuna importanza in sé […]» (ibidem).

70 Ivi, 212.

71 ID., Il permesso di vivere…, 25. 72 Ivi, 82.

73 Ivi, 91.

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

Il ticchettio inesauribile si acuisce in date particolari, che segnano la propensione alla sosta riflessiva: le feste personali (come compleanni e anniversari) e i momenti liminari dell‟anno. È in occasione del suo ventottesimo compleanno che il 19 dicembre 1889 Svevo denuncia «un malcontento suo di sé che non potrebbe essere maggiore», in campo professionale, economico, ma anche nelle relazioni sociali. Barilli lamenta di non essere altro che «il ritratto di sé stesso», e di essere rimasto tale, rilevando l‟impasse di una situazione senza sbocchi:

Io non sono più che il ritratto di me stesso. [Così sono rimasto] un ritratto (da appendere – pendre – impiccato – senza cornice).

L‟ho fatto io in 67 anni. L‟ho dipinto per 67 anni.

Ma la tela che c‟è sotto s‟è bruciata e i colori son fuoco che continuano a bruciare fin che non sarà più che cenere.

Così io voglio che vengano bruciate anche le mie opere. Bisogna inventarle…75

Scrivere tutto questo ha la funzione di tracciare un bilancio da rileggere a distanza di anni, per provare sollievo o per marcare un ulteriore peggioramento:

Noto questa mia impressione perché forse di qui a qualche anno potrò darmi una volta di più dell‟imbecille trovandomi anche peggio, o potrò consolarmi ritrovandomi migliorato. La questione finanziaria va divenendo sempre più acuta, non sono contento della mia salute, non del mio lavoro, non di tutta la gente che mi circonda. Sta bene che non essendo io stesso soddisfatto del mio lavoro non posso esigere che altri lo sia […]. Due anni or sono precisi cominciai quel romanzo che doveva essere Dio sa cosa [riferimento a Una vita]. È invece è una porcheria che finirà col restarmi sullo stomaco. La mia forza era sempre la speranza e il male si è che anche quella va affievolendosi.76

Come preannunciavamo, l‟inizio e la fine dell‟anno sono per loro stessa natura uno dei momenti in cui si concentrano i bilanci, sia personali che storico-sociali. All‟inizio del 1944, Buzzati fronteggia la proiezione di sé stesso (marcata dall‟uso insistente della seconda persona singolare) andando a rimestare nel passato di un ricordo a lungo accantonato. L‟effetto è quello di un‟inquisizione narrativizzata, in cui non sono fatti sconti:

GENNAIO 1944. Un giorno lontano, ti ricordi?, hai aperto una porta che sapevi di

non dover aprire. Una questione di pochi secondi. Poi hai continuato la tua vita tranquilla e quel fatterello da niente è scomparso dietro di te con altre infinite cose

75 B.BARILLI, Taccuini…, 120.

che si possono dimenticare senza pericolo. Un niente insomma concedesti al demonio, proprio una sciocchezza, poco più di un pensiero. Tuttavia apristi una porta che sapevi non era bene aprire. E ti sei rovinata la vita.77

Così, non sono ammesse apologie («Con questi e altri pretesti cerchi ora di giustificarti ma intanto sei impallidito e balbetti»):78 il demonio torna a chiedere i

conti anche «mentre l‟uomo preme ancora la polvere di questa terra».79 La

conclusione è totalmente negativa, senza possibilità di ripensamenti: «In un giorno lontano tu hai aperto una porticina sapendo che era vietato. E hai firmato la tua condanna. Per quella inezia? Per quella stupidaggine? dici tu. Bastava».80 Anche a

fine anno, i bilanci di Buzzati sono altrettanto dissacranti: il 1960 viene analizzato in un‟intervista fittizia realizzata a domande e risposte, che danno vita a un interrogatorio contraddittorio e sostanzialmente vacuo:

STORICO E STUPENDO. “Signore, il 1960 per te è stato un anno felice?”

“No”.

“Ti ha dato pene più che gioie?” “Sì”.

“Dunque una schifezza d‟anno, nel complesso?” “Esatto”. […]

“Sarai contento che se ne vada, immagino”. “No”.

“Tu sei un uomo assurdo, signore. Chi ti ha fatto del male se ne va, e tu non ne gioisci”.

“Mi ha fatto del male, è vero. Ma questo male è rimasto dentro di me, in questo preciso posto, e mi nutre”.

“Ti nutre?”

“Sì. E poi, per brutto che sia stato, per dispiaceri che mi abbia portato, il 1960 è finito per sempre, non tornerà più, passassero pure diciassette miliardi di sestiquilioni di secoli, le cose di cui era fatto il 1960 non si ripeteranno più, con rigorosa e categorica matematica più non si ripeteranno, erano uniche e perfette nella loro miseria e perciò sono già diventate lontanissime, piene di una loro misteriosa e romanzesca fatalità (che al momento mi sfuggiva). Capisci?”

“Mica tanto, a dir la verità”.

“Sì. Il 1960, con tutti i suoi guai, è stato un anno bellissimo, qualcosa di storico e stupendo, che per tutta la vita ricorderò con amore”.81

77 D.BUZZATI, In quel preciso momento…, 12. 78 Ibidem.

79 Ivi, 13.

80 Ibidem. Cfr. anche il frammento del 1° gennaio 1962, ivi, 289-290. Porte e ascensori tornano

anche nel successivo “Ricordo di un poeta” (ivi, 290-294), come metafora della vita e dell‟attraversamento di passaggi senza via di ritorno.

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

Più concentrate sull‟io ma non meno impietose, le note di fine anno. Se in psicologia sono solitamente tappe personali e soggettive a mettere in crisi il soggetto e a portarlo a riepilogare il trascorso, nel diario il calendario influenza notevolmente anche i contenuti. Gadda, alla fine del 1915, «tira le somme» e verifica un «miglioramento nelle sue condizioni», in pieno contrasto con la «spaventosa tragedia» dei molti.82 A fine anno del 1920 si conclude per Prezzolini

l‟esperienza letteraria cruciale per la sua formazione, ovvero il tentativo di dare vita a una nuova «Voce», «trasportata a Firenze in mano di incapaci»: ne consegue la delusione, «parte per la sua inabilità come uomo di affari, parte per la compagnia scempia», «parte per i tempi difficili».83 Permane la sensazione di bruciante

fallimento, in un vanitas vanitatum moderno e laico che coglie l‟inutilità della propria fatica:

Il torto maggiore della mia vita, dal punto di vista del successo, è stato di non aver ambizione, insomma di preferire sempre la soddisfazione interna (la conoscenza, la rivelazione, l‟amore) a quella esterna (ossia la posizione, la considerazione, in denaro). […]84

De Libero è affetto da maggiore malinconia alla fine dell‟anno, quando valuta spietatamente sé stesso, e nel dicembre 1939 «chiude il suo esame di coscienza come un libro letto con gli stenti dell‟uomo miope e meticoloso»,85 giudicando

con amarezza pessimistica gli eventi trascorsi. Anche il 1940 non è un anno migliore: la guerra trasmette l‟«agonia lentissima e crudele» del tempo, «che pure eternamente non discende mai chine, pare voglia fermarsi stanco e limitare l‟infinito a una landa desolata dai vivi e dai morti».86 Lo scenario apocalittico è

rivolto alla gente che, «cupa di pensieri e di affanni, talvolta inasprita non cela il suo costante disprezzo per le contingenze»,87 davanti alla disfatta che si

preannuncia disastrosa. Ciò spiega lo spirito con cui, due giorni dopo, a San Silvestro, De Libero torni nella propria stanza prima della mezzanotte, per ritrovare e distruggere «lettere e fogli di appunti», riordinare libri e leggere qualche

82 C.E.GADDA, Giornale di guerra e di prigionia…, 84.

83 G.PREZZOLINI, Diario 1900-1941…, 332. 84 ID., Diario 1968-1982…, 32.

85 L.DE LIBERO, Borrador…, 42. 86 Ivi, 61.

estratto da quelli non ancora aperti: «Ho frugato nei cassetti, in fondo ai bauli, ho bruciato qualche documento della mia vita trascorsa».88

D‟altro lato, mentre il conto dei giorni si fa sempre più alto, il diarista fronteggia la morte, eclissata solo temporaneamente con il proposito di lasciare il proprio “libro dei giorni” quale testamento. Così, l‟avvertimento dell‟effimero, legato a doppio filo alla malattia e alla vecchiaia, aumenta paradossalmente le speranze di vita: «Non vorrei che la morte mi colpisse in questo momento, e che il mio diario si chiudesse così su questa nota d‟orrore, su questa vergogna per tutta la mia specie»,89 scongiura Sibilla Aleramo il 14 giugno 1944. Tempo per lavorare,

dunque: Ottieri lamenta di non aver «fatto che un quinto – diciamo – di quello che spera di fare durante la vita», e di non voler «lasciare a metà una riunione, dove tutti parlavano e noi pensavamo intensamente, con molte cose da dire, senza però avere ancora, mai, aperto bocca».90 Riflettendo sulla sua vecchiaia, Svevo

rimpiange non tanto «di non aver goduto abbastanza», ma «di non aver fissato tutto questo periodo di tempo»: in caso contrario, «povera umanità! Quante autobiografie!».91 La morte probabile è connessa alla cessazione del diario anche

nella nota di Prezzolini, nel 1962, ovvero vent‟anni prima della morte effettiva:

7 luglio 1962

Questo sarà forse l‟ultimo mio quaderno. In tre mesi mi par di aver perso dieci anni. Non cammino più bene, sento di perdere l‟equilibrio, anche dentro una stanza. La mia mano fatica a tener la penna, non è più un servitore agile dei miei desideri, ma un peso morto che si abbatte sulle cose che orrei prendere, e talvolta invece le rovescia. […]92

La salute precaria spinge Prezzolini compilare il diario «sotto l‟emblema della morte», perché convinto «che sarebbe morto presto oppure che sarebbe stato costretto ad ammazzarsi per evitare una decadenza lunga, disgustosa, pesante e costosa».93 Così, la presenza costante di sintomi debilitanti («Brutta notizia della

mia pressione: sono di nuovo a 170, la testa mi ballonzola come un battaglio di

88 Ivi, 65.

89 S.ALERAMO, Un amore insolito…, 400. 90 O.OTTIERI, La linea gotica…, 139.

91 I.SVEVO, Pagine di diario…, 745.

92 G.PREZZOLINI, Diario 1942-1968…, 331.

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

campana») fa sì che il diario diventi depositario delle proprie volontà testamentarie:

Rimuginato nella mente raccomandazioni a Pigia nel caso della mia morte. Il diario 1942 ad oggi potrebbe esser pubblicato da lei, con riserve, tagli e annebbiamenti. So bene che è un‟illusione degli uomini di volere continuare e regolare le loro cose dopo la morte. So benissimo che ci saranno eventi personali o generali che modificheranno quei miei desideri. Più di tutto mi premerebbe non lasciarla povera, quando sarà sola. […]94

Quando teme la morte, Papini calcola quanto ha vissuto: una prima volta il 21 dicembre del 1942, in concomitanza con l‟aggravamento della guerra e delle sue condizioni di salute. Ne trae un «esame di coscienza» piuttosto crudele, in cui il tono apologetico, pur presente, è sferzato dall‟ammissione di un‟eccessiva «compromissione», da ricondursi però all‟amore per gli uomini e per Cristo.95

Torna sull‟argomento il 1° gennaio 1944, a causa di un vecchio appunto diaristico di trent‟anni prima, in cui pronosticava la propria morte proprio nel ‟44. Il consueto (forse superstizioso?) rimpianto per le opere che si lascerebbero incompiute, in Papini si trasforma in un proposito di lavoro più alacre:

1 gennaio 1944

Durante l‟altra guerra, nel 15 o nel 16, scrissi in un mio taccuino: «Morirò nel 1944». Era un calcolo fondato sopra un sistema fantastico assai più che sul presentimento. E il 44 mi sembrava, allora, così lontano che dopo non ci pensai più. Al 1944 sono arrivato. E il mondo è così sconvolto e l‟Italia così piena di odio e di pericolo che tutto è possibile – anche l‟avveramento della mia vecchia profezia. Il 31 dicembre potrò dire – se ci arrivo – che quella data era un ghiribizzo di gioventù. Ma ho voluto che in questo diario ne restasse traccia.

Mi dorrebbe soltanto di non lasciare compiuto e corretto il «Giudizio Universale». Mi propongo di lavorare con più assidua lena nei mesi prossimi.96

Sei mesi dopo, invece, benché Papini si dica «preparato e rassegnato a tutto – anche al peggio», per via delle «notizie paurose» dal teatro della guerra, rimpiange

94 Ivi, 369.

95 «Penso che questi potrebbero essere gli ultimi giorni della mia vita. Faccio un po‟ d‟esame di

coscienza. Riconosco di aver commesso molti errori. Ma non tutti quelli che mi rimproverano. “Mi son compromesso” - dicono. È vero. Mi son compromesso per amor di Cristo e anche per amore dell‟Italia. Ho per ricompensa l‟odio di molti cattolici e di molti italiani. Ma il mio errore massimo fu l‟esagerata fiducia negli uomini; errore imperdonabile, che forse sconterò con la morte violenta. E sia pure. Qualche cosa ho pur fatto; qualche memoria di me, forse, resterà. A Dio solo mi affido» (G.PAPINI, Diario…, 73- 74).

di abbandonare la famiglia e gli amici, in caso di morte. Nuovamente, ammette gli errori del proprio operato, come uomo e come scrittore, ma apologeticamente specifica di aver agito «sempre per impulso di fantasia e di sentimento, per ingenuità e precipitazione – mai, MAI, per calcolo, interesse o malvolere o malizia»,97 ribadendo quella rettitudine che anche Prezzolini difende nell‟istanza

prefativa.98 Resta la speranza che parte della propria esperienza confluisca nelle

opere.

Sconcertante e totalmente negativo, ma continuamente riproposto è il bilancio di Cassola: lo scrittore sessantenne costruisce l‟intero Fogli di diario (che si estende dal 1969 al 1973) sul rassegnato e triste confronto tra il passato della sua giovinezza e il presente, di cui avverte tutta la disillusione («Ho sperimentato, in brevi periodi, che senza un‟illusione non ho più voglia di vivere»).99 L‟insistenza

quasi maniacale sul confronto è segnata da una crescente nostalgia per quanto non potrà tornare: l‟infanzia e l‟adolescenza, benché non mitizzate, sono le uniche età autentiche e «con un volto» per Cassola.100 Inoltre, la giovinezza ha imposto

modelli che in età avanzata non si possono mantenere: ciononostante, il loro riverbero ideale pesa sul diarista, che non sa come collocare il proprio presente. Il doppio piano è giocato anche a livello temporale (cfr. par. 2.2) e porta alla resa definitiva il 2 ottobre 1972:

Di tutte le cose che apprezzavo, non me n‟è riuscita fare una. Non sono mai stato buono di scagliare un sasso con forza e precisione (e vidi un mio compagno sfiorare un gatto almeno a venti metri di distanza), non m‟è riuscito mai appassionarmi per la meccanica, non sono mai emerso in nessuno sport. Quel che è peggio, qualsiasi cosa facessi, mi vedevo farla; o non mi sembrava d‟essere io a farla. Questo senso di incredulità, mi sembra che si sia impadronito di me molto spesso.

Ma ripeto, bene o male a quel tempo ho vissuto. Ho fatto esperienza del mondo […]. L‟infanzia, l‟adolescenza, la prima giovinezza, sono stagioni indimenticabili. Dopo comincia la routine. Si tornano a rifare sempre le stesse cose.101

97 Ivi, 195-196.

98 «Mi permetto di ricordare che oggi l‟autore ha passato i 96 anni e per tutta la vita è stato

estraneo ad ambizioni, a concorrenze, a esami, a richieste di posizioni e di stipendi. Tutto il meglio che ottenne nella vita gli fu offerto e non fu ricercato da lui. Di nessuno rapì una pensione o una decorazione. È uno dei pochi italiani che non sia costato allo Stato, salvo per il tempo del suo servizio militare; persino il posto al cimitero lo ha scelto in terra semistraniera e l‟ha pagato con i propri soldi» (G.PREZZOLINI, Preparazione alla lettura, in ID., Diario 1900-1948…, 10).

99 C.CASSOLA, Fogli di diario…, 93. 100 Ivi, 102.

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

In questo passo, si nota proprio lo straniamento che accusa Cassola, ovvero il distanziamento da sé e dagli eventi necessario per avviare un‟autoanalisi, la più oggettiva possibile. Ciò non significa che la presunta obiettività conduca a un bilancio veritiero. È dunque un bilancio rivedibile, da riaggiornarsi continuamente: «il tempo incide sempre più in fretta sull‟aspetto dei luoghi e sulle condizioni di vita. Il contrasto tra il vecchio e il nuovo diventa sempre più drammatico».102 E