• Non ci sono risultati.

Il frammento: forma dell‟hic et nunc?

Veramente non si segnano, così, che i frammenti di pensieri: i pensieri nascituri o abortiti. (Emilio Cecchi, 2 gennaio 1912)

Si dibatte molto su quale forma sia più appropriata alla resa del presente sulla pagina. Secondo Barthes, più istantaneo del diario è soltanto l‟haiku.61 Per il caso

specifico del diario in Italia (di cui si è tracciata una rapida storia nel par. 1.3), è bene soffermarsi sulla letteratura primonovecentesca, per rilevare quanto l‟attenzione al soggetto abbia influenzato. All‟inizio del XX secolo l‟Italia, definita

60 D.BUZZATI, In quel preciso momento…, 287-288.

61 Cfr. R.BARTHES, La preparazione del romanzo. Corsi (I e II) e seminari al Collège de France [2003], introduzione, cura e traduzione di E. Galiani e J. Ponzio, Milano-Udine, Mimesis, 2010.

più volte il secolo dei giovani,62 intesi come movimento generazionale, è provata

dallo sbando politico-sociale. Anche in ambito letterario, si registra la crisi delle forme tradizionali e, in particolare, del romanzo, osteggiato dalle avanguardie, poiché non rappresenta più «le anime sconclusionate, irrequiete, quasi in uno stato di fusione continua, che sdegnano di rapprendersi di irrigidirsi in questa o quella forma determinata».63 Si rifiuta il romanzo naturalistico, nonché gli eredi

dell‟estetismo dannunziano: stilisticamente, si critica la forma continua e duratura, perché vetusta e in disaccordo coi tempi. Nel 1907, nell‟articolo Di un carattere della più recente letteratura italiana,64 Benedetto Croce osteggia l‟«egoarchia»,

l‟«egocentricità» e la «megalomania» dei moderni, frutto dell‟abbandono della filosofia e del conseguente ripiegamento su di sé; quindi rifiuta ogni arte che sia «indizio di un determinato stato psichico reale».

Il violento richiamo all‟ordine resta però inascoltato, e l‟esito più produttivo è quello del frammento lacerbiano e vociano, che hanno per modelli Nietzsche della Gaia Scienza e dello Zarathustra, Rimbaud di Una stagione all‟inferno e Baudelaire: il loro io alienato, diviso e combattuto trova echi innegabili nel primo Novecento. Attiva dal 1908, «La Voce» sperimenta il discontinuo, il caos, il fluire della propria interiorità sulla carta, con sconnessioni sintattiche e linguistiche laddove esondi l‟urgenza intimista.65 Così il lacerto, con la sua brevità scapestrata e umorale, con

l‟interscambio tra prosa e poesia, rappresenta appieno la storia altrettanto frammentaria e soggetta a continue sfaldature. Secondo Briganti, l‟autobiografia dei vociani non può che essere parziale, senza consuntivi e bilanci: la giovane età

62 Cfr. Storia dei giovani, a cura di G. Levi e J.-C. Schmitt, Roma-Bari, Laterza, 1994, 2 voll; Il secolo

dei giovani, Le nuove generazioni e la storia del Novecento, a cura di P. Sorcinelli e A. Varni, Roma, Donzelli, 2004; da far interagire con La vita privata. Il Novecento, a cura di P. Ariès e G. Duby, Roma-Bari, Laterza, 1988.

63 L.PIRANDELLO, Non conclude, in appendice al miscellaneo Effetto Sterne, Pisa, Nistri-Lischi, 1990, 439.

64 Uscito sulla «Critica» nel 1907 (anno V, 177-190), è ripreso in Letteratura della nuova Italia, Bari,

Laterza, 1915, IV, con il nuovo titolo Della più recente letteratura italiana; lo si legge nella quarta edizione (ivi, 1942, 128-206).

65 Per un seppur breve rassegna di contributi recenti sull‟esperienza vociana, cfr. il più volte citato

Memorie, autobiografie e diari, con particolare attenzione ai saggi di A.BATTISTINI, C.MARTIGNONI (in cui si trova anche una folta bibliografia critica aggiornata e ragionata, da cui sono tratti molti spunti di approfondimento). Inoltre, cfr. il prezioso contributo, pieno di nuovi spunti di rimandi bibliografici, di A.CORTELLESSA, Il “momento” autobiografico, in Scrivere la propria vita…, 191-244; A.GOLDONI, Frammenti di autobiografia /autobiografia in frammenti, ivi, 159-176.

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

degli scrittori limita lo scopo documentario e memoriale delle testimonianze, a vantaggio di un «riconoscimento metafisico» e «morale» della personalità.66

In Speranze di un disperato, uscito sulla «Voce» nel giugno 1911, Papini, parlando della propria generazione (di cui si fa ostinatamente portavoce), rileva l‟abbandono della forma tradizionale per dedicarsi «all‟arte interna», come ha fatto nel suo Uomo finito e già in Maschilità. Cecchi mostra ambiguità nei confronti della scrittura dell‟io: sempre sulla «Voce» nel 1911, in Arte provvisoria si schiera dalla parte degli antichi, riprendendo le teorie crociane, ma pur rimanendo interno alla causa. Conferma che la frammentarietà alimenta la concentrazione lirica, ma è antinarrativa. La critica vociana nei confronti del romanzo non è aprioristica, secondo Cecchi, ma legata alla difficoltà italiana nell‟adottare il genere. Poco tempo dopo (il 1912, ovvero l‟apice dell‟esperienza vociana), nei Taccuini dichiara la propria incapacità di scrivere un romanzo: «Io non potrei mai scrivere un romanzo, e finora, infatti, ho cominciato, ma non ho mai continuato. Il personaggio mi diventa, in me, la lirica di sé stesso, e mi pare disonestà seguitare a darlo al grado di personaggio di romanzo».67 L‟ispirazione autobiografica è

costitutiva e innegabile: essere scrittore per Cecchi in quello stesso anno è «prendere la sostanza della propria vita e passarsela per le mani, continuamente; plasmandola quasi in una maniera insensibile, poi con impeto, poi con nausea; ma essendo sempre al suo fatale contatto». Questo «brancicare» prepotente dell‟io è una «prigionia», provoca «nausea», ma l‟abitudine porta a disporsi meglio verso «questo senso di morte che è nel contatto germinale di sé con la propria anima».68

Intanto Soffici, nel suo Giornale di bordo, sosteneva che «il romanzo, la novella, il dramma sono forme d‟arte ibride, transitorie destinate a sparire per lasciar libero il campo al puro lirismo», quindi «all‟autobiografia».69

Di due anni successivo è L‟uscita dal labirinto sulla «Riviera Ligure», in cui Boine, dedicando con «rigore mistico» e «punte di ironia»70 plausi e botte alla

letteratura contemporanea, parte dalla critica accesa a un libro appena uscito della Tartufari, per poi attaccare il romanzo in generale. Lo accusa di essere soffocante e potenzialmente dannoso per la “maschilità”, che da sempre l‟autore associa al

66 P. BRIGANTI, I trentenni alla prova: l‟autobiografia dei vociani, in L‟autobiografia, il vissuto e il parlato, numero monografico dei «Quaderni di retorica e poetica», 1, 1986, 165-174.

67 E.CECCHI, Taccuini…, 93. 68 Ivi, 73.

69 A.SOFFICI, Giornale di bordo…, 25.

lirismo, ma non attacca la struttura a frammenti del romanzo della Tartufari.71

Boine è senza dubbio tra gli esponenti più interessanti del frammentismo vociano: dopo Il peccato, romanzo autobiografico, con Frantumi, Frammenti e Delirii sperimenta uno «“pseudodiario” espressionista e liricizzante fino alla prosimetria».72

Sono gli anni in cui si avvicendano le pubblicazioni di autobiografismo «metafisico», per riprendere la definizione invalsa di Contini nella Letteratura dell‟Italia unita: in ordine cronologico, i Frammenti lirici di Rebora, Poemi lirici di Bacchelli, Pianissimo di Sbarbaro (che istituisce il genere del diario lirico),73 I canti

orfici di Campana. Possiamo aggiungervi i frammenti sulla «Riviera Ligure» di Boine e Cecchi (1915-‟16), nonché i Prologhi di Cardarelli e il Bacchelli del 1916 di Memorie e Riepilogo sulla «Voce». Alcune scritture dell‟io sperimentano accessi espressionistici: sono i casi di Rebora, Boine, alcune parti di Ragazzo di Jahier, ma anche gli Orfici, per quanto non appartengano pacificamente al Vocianesimo.

I «negatori del romanzo», come li definisce Debenedetti, non elaborano però un genere definito e non fanno scuola, ma ricalcano individualmente la spontanea alogicità della scrittura simultanea, mobile, veloce, slegata, che tanto ha in comune con il diario. Se diffusa è la domanda di spontaneità stilistica, le risposte saranno diverse, spesso rivolte all‟indagine metalinguistica quale scoperta di sé: Soffici, il più impressionistico dei Vociani, trasforma la materia personale in racconto epico nel Lemmonio Borèo del 1912; l‟anno dopo su «Lacerba» pubblica gli appunti quotidiani e spiccioli, per quanto piacevolissimi, del Giornale di bordo che tuttavia è un diario pubblico e non ha nulla di intimo; nel 1914 raccoglie in volume Arlecchino, un taccuino con appunti di viaggio; e nel 1918 sperimenta con La giostra dei sensi. Slataper nel 1912 scrive l‟operetta in prosa lirica (ci si domanda ancora se si possa parlare di prosimetro) del Mio Carso, in cui la drammaticità dei contenuti si riversa nei dialoghi e nel monologo verso o contro qualcuno, dal momento che il verbo snida l‟interlocutore. Nello stesso anno, Boine consegna alla «Voce» Un

71 Negli stessi anni, Boine sperimenta la scrittura romanzesca del Peccato, ove la linearità procede

giustapposta in più piani e divisa in tre parti. Tuttavia, il tentativo di dare simultaneità è avvertito come un fallimento. Cfr. almeno G.CONTINI, Alcuni fatti della lingua di Giovanni Boine [1939], in ID., Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Torino, Einaudi, 1970, 247-258; V. COLETTI, La lingua

“maschia” di Giovanni Boine, in Giovanni Boine. Atti del convegno nazionale di studi, a cura di F. Contorbia, Genova, Il melangolo, 1981; C. MARTIGNONI, I «Frammenti» di Giovanni Boine: aforisma, autobiografia,

divisione dell‟io, «Autografo», 15, ottobre 1988.

72 A.CORTELLESSA, Il “momento” autobiografico…, 196.

73 Qualche dubbio per quanto riguarda Trucioli: secondo Mengaldo, l‟opera è più vicina al distacco

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

ignoto, che finge di pubblicare il testamento di uno sconosciuto: il testo, singolarissimo per sprezzature e inversioni continue, dà prova dell‟irriducibilità dell‟io (egotista e ipersoggettivo) e della scarsa sfiducia nella trasmissibilità dell‟esperienza. Il suo linguaggio, appartenente a più registri e contaminato dalla lettura dei mistici, sperimenta la dimensione dell‟aforisma, non difeso strenuamente ma consigliato per rappresentare i guizzi più intimi.

Papini preferisce consegnare la sua soluzione all‟arrogante autoritratto di Un uomo finito, mentre tra 1913 e ‟14 Sbarbaro, Bacchelli, Campana e Rebora declinano l‟autobiografismo in espressionismo lirico. Jahier, con Ragazzo, uscito in volume all‟estremo dell‟esperienza vociana (1919) ma anticipato in rivista entro il 1914, sviluppa un‟autobiografia generazionale in otto frammenti dalla lunghezza variabile, in cui si sconfessa la linearità nella progressione narrativa, invece sbriciolata tra iterazioni dall‟andamento salmodiante-evangelico e impennate poetiche, prova di espressionismo strutturale.

Tra il 1914 e il ‟16, quando alla direzione della «Voce» si siede De Robertis e accresce l‟attenzione per la letteratura, dichiarando la completa estraneità ai moventi politici, il frammentismo si fa ancora più “lirico”, non espressionista, con anticipazioni rondiste.

Nel 1912, in una lettera di Slataper a Soffici, si medita il progetto di staccarsi dalla «Voce» per fondare una rivista più letteraria, dove il «lirismo si espliciterà nel genere del diario». Dall‟idea originaria si svilupperà «Lacerba», che tra il 1913 e il ‟15 porta sotto la guida di Prezzolini e Soffici, che mal si adattavano al clima della «Voce», il frammento e l‟aforisma, nonché il bozzetto impressionista, con l‟obiettivo di esprimere il genio individuale dell‟artista. Siamo davanti a quella che Simonetti definisce una «prosa antinarrativa di derivazione impressionistica»,74 che

si inserisce tra la tradizione del bozzetto-frammento lirico e lo sperimentalismo d‟avanguardia (come nell‟efficace formula sofficiana «rivoluzionari per vocazione, ma moderati per tradizione», in data 23 febbraio). Come nel successivo Arlecchino, cui il Giornale di bordo si riconnette per forti richiami intertestuali (come l‟alter-ego Menalio) e stilistici, si rivendica una scrittura libera e spontanea (1° gennaio), autobiografica a dispetto della tradizione romanzesca (cfr. 28 febbraio e anche par. 2.3), in cui il valore della parola sta a sé (cfr. 11 febbraio) ed è oggettivante (cfr. 13 maggio). A questo ideale di concretezza si ricollega il fine dell‟arte, ovvero l‟esasperazione dei sensi (cfr. 2 dicembre), e qui forse una delle maggiori tangenze con le provocazioni avanguardistiche di inizio secolo. È piuttosto evidente che

74 La definizione è stata coniata per Arlecchino (nell‟introduzione all‟edizione per i tipi fiorentini di

una simile concezione dell‟arte non passasse sotto silenzio: lo stesso Soffici riflette sulla spendibilità della propria letteratura (cfr. 15 aprile), e senza apologie ribadisce la propria preferenza per una letteratura in cui domina la brevitas ammiccante e allusiva. Non tutti recepiscono il messaggio vitale, talvolta sarcastico, immoralistico e cinico di Soffici: c‟è un continuo movimento tra approvazione e scontro da parte dei compagni vociani. In particolare, il lato sentimentale che emerge in non pochi punti dell‟opera (i più ironici che smontano paradossi assodati, come 10 giu. – 15 sett.) non viene mai apprezzato dagli amici futuristi milanesi (cfr. 8 ago). Difficile e combattuto è il rapporto che unisce Soffici ai futuristi, pur ritenendo che il futurismo sia necessario, come forma di svecchiamento dell‟arte italiana, per via della sua carica eversiva («l‟unico movimento a cui possiamo associarci» scrive nelle lettere). Le soluzioni tecniche sono però diverse (in Soffici convivono un desiderio di ordine di precisione e di chiarezza che manca al futurismo milanese): «Siamo per l‟eleganza, la raffinatezza e lo spirito, contro la violenza, il virtuosismo e la serietà», si legge nell‟ultimo numero di «Lacerba».

Pertanto, Soffici non aderisce mai davvero al futurismo imperante, ma l'incontro-scontro con il gruppo di Marinetti offre comunque un efficace chiarimento della propria posizione: Soffici rifiuta la morte dell‟io, il paroliberismo (che, anzi, critica con giudizi piuttosto impietosi) e soprattutto ritiene che la natura e l‟arte siano un fatto di cuore. Questa posizione lo porta a un isolamento di cui è consapevole, al punto da non nascondere un certo compiacimento orgoglioso (cfr. par. 4.2) che possiamo ricondurre ad esempio allo Zarathustra e a Cardarelli, in quanto la solitudine è riconosciuta come necessaria al creatore. Non manca neanche una traccia di titanismo post-romantico, che ha una forte vicinanza al Rimbaud di Aube. Solo nella memoria il poeta potrà quindi trovare il rifugio per sentirsi poeta e cantare sé stesso. Dunque, Soffici è un uomo che rifiuta la morale tradizionale e si sente misura ed interpretazione dell‟universo (cfr. 28 ott.), al punto da rinunciare a una serenità religiosa (cfr. 14 genn.). D‟altra parte, è invece la fusione con la natura, descritta spesso “solarmente”, a testimoniare un‟assoluta adesione alla vita (cfr. 1 apr., in cui il valore rigenerante dell‟acqua richiama lo Slataper del Mio carso).

Questi sono solo alcuni dei tantissimi stimoli che conducono gli scrittori primonovecenteschi a scegliere il frammento. E, citando Barthes, dal frammento «si scivola al “diario”. Da quel momento lo scopo di tutto ciò non è forse di darsi il diritto di scrivere un “diario”?».75 È interessante notare che il diario, benché

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

frequentato da molti vociani, e addirittura pensato come base per una rivista, resta perlopiù una scrittura privata, che verrà consegnato alla stampa solo postumo, semmai con sporadiche anticipazioni in rivista. Forse pesava ancora sulle spalle dei vociani il pensiero che «conciare l‟anima nell‟inchiostro» fosse pur sempre un «diavolerio» riservatissimo?76 Slataper, Boine, Campana, Papini non stampano i

propri taccuini e diari; Soffici pubblica opere che solo in parte possiamo definire diari, e certamente non journal intime; Prezzolini giunge all‟idea di lavorare e pubblicare i suoi volumi di diari solo negli anni Quaranta.

2.4 «Pensieri scritti a penna corrente» o diari letterari?

No consciousness of perfection must enter the diary. (Anaïs Nin)

Si può pensare che la bontà di un diario sia slegata dalle sue modalità espressive? E che un diario letterario sia insincero e abbandoni le promesse di autenticità? La critica annaspa tra dicotomie improduttive perché troppo schematiche, e spesso gli studiosi si schierano apertamente chi per il diario come pratica, chi per il diario come opera. Alla base di questa distinzione vi è l‟idea che il diario non possa avere uno stile o che meriti l‟etichetta di genere letterario. D‟altro lato, come Starobinski sostiene per lo stile dell‟autobiografia, è impossibile e fuorviante parlare di norma, dal momento che la ricerca della verità di ogni scrittura dell‟io deborda da prescrizioni stilistiche e dalla tradizione. Al contrario, il diario rispecchierà il carattere del suo scrivente, e sarà quindi da studiarsi in rapporto con il soggetto, semmai da mettere a sistema in un secondo momento con il resto della produzione, e solo alla fine con la tradizione diaristica.

La sua eteronomia rispetto all‟opera letteraria conclusa, nonché il continuo scivolamento fuori dalle convenzioni, suscitano numerosi interrogativi: Lord Ponsonby, autore di una precoce opera sui diari inglesi, critica la letterarietà come indice di scarsa sincerità in una scrittura che deve invece essere ampiamente democratica, perché universalmente praticabile: un uomo di media cultura non penserebbe forse mai di scrivere un‟autobiografia, ma ha gli strumenti per

accostarsi al diario.77 Secondo Fothergill, invece, anche il diarista può sviluppare

un‟idea di opera, a mano a mano che il diario cresce in lunghezza e in sostanza: suggerisce l‟impressione dell‟opera che potrebbe diventare (il cosiddetto “book- that-might-be”, in cui si noti però il basso tasso di probabilità del “might”). Il diario è allora concepito come libro: i diaristi stessi lo attestano con riferimenti diretti, grande cura per le condizioni fisiche del manoscritto (trascrizioni, indici, commenti,…) e domande sui possibili lettori contemporanei o posteri. In questo senso, il diario è un testo: il diarista può allora intervenire e apportare modifiche, in linea con una struttura letteraria entro cui incanalare l‟esperienza soggettiva, in una modalità che avvicina il passaggio attuale tra passato e futuro. Si può parlare allora di “book-of-the-self”, quando il diarista ha coscienza della letterarietà di quanto va a scrivere. Quando invece si esamina la dimensione orizzontale del diario, ovvero quanto il diario permette di conoscere una coscienza, allora Fothergill parla di “imprint”, il marchio lasciato sulla pagina da una persona vivente.

L‟unità di un diario non sta dunque in un principio estetico (la natura frammentaria non lo permetterebbe), ma nell‟interrelazione di tutti i passi filtrati da una singola coscienza. Considerare un diario come “book-of-the-self” autorizza ad analizzarlo con gli strumenti retorico-stilistici e linguistici in nostro possesso. Non contano solo le proporzioni di come gli elementi diversi della giornata (percezioni interiori e dati esterni) vengono combinati, ma anche le modalità dell‟organizzazione: tradizionalmente, si espongono gli eventi secondo un ordine narrativo e cronologico; da qui è poi possibile inserire giudizi, commenti dell‟io, unificando il tutto col giusto stile, tra procedimenti consci e inconsci. Il risultato sarà “a day-in-the-life”, come lo definisce Fothergill, il giorno di una vita trascritto sulla carta. Lo spirito con cui Sanminiatelli scrive appartiene a questa linea, che rintraccia una forma di unità nella pur nativa precarietà del diario:

77 Fothergill nel suo Private Chronicles, cita il seguente passo dallo studio di Ponsonby, indicativo

delle prevenzioni verso il diario letterario: «People of all ages and degrees who may never have ventured to write a line for publication and may be quite incapable of any literary effort, are able to keep a diary the value of which need not in any way suffer from their literary incapacity. On the contrary, literary talent may be a barrier to complete sincerity. Diaries may or may not be called literature, some undoubtedly have literary value, but this has nothing to do with their merit as diaries. (R. A. FOTHERGILL, Private Chronicles…, 39; cfr. l‟intero capitolo Diary as Literature, ivi, 38 e sgg.). Anche Soldati, riflettendo sulla differenza tra letterati e artisti figurativi, commenta indirettamente che i primi possono creare un‟opera interessante se intervengono fattori esterni; al contrario, «pittori e musicisti, anche piccoli pittori e piccoli musicisti, bisogna nascerci; bisogna, come dicevano i nostri vecchi, averci la bosse. Laddove alcuni uomini intelligenti, grazie a particolari esperienze e stati d‟animo, possono, non diciamo diventare grandi scrittori, ma scrivere a un dato momento della loro vista una pagina interessante, una bella lettera, un diario che abbia vero e proprio valore artistico» (M.SOLDATI, Empietà o pietismo dell‟arte moderna, «Città», 14 dicembre 1944; lo si legge ora in ID., America e altri amori…, 994-995).

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

1° Gennaio [1971]. Penso che un diario dovrebbe esprimere con compiutezza una linea di pensiero, o almeno i moti dello spirito di chi lo scrive. Senonché io vivo su un‟altalena o su una sbarra da equilibrista, e sempre lì lì per fare il capitombolo. La linea di pensiero e i moti dello spirito vanno ricercati fra i capitomboli che mi minacciano a ogni spinta, a ogni passo, sospeso come sono nel vuoto; ma soprattutto su quel punto che debbo fissare per mantenermi ancora in piedi e che mi attira come una voragine.78

Lo spazio dato ai singoli passi può variare, ma solitamente in un diario si adotta uno stile, o comunque si registrano lievi cambiamenti nel corso del tempo;