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Tempo narrato e tempo della narrazione

Pretendere di scrivere, di descrivere un incidente mentre esso avviene. (Ottiero Ottieri)

Sembrerebbe ovvio che tempo della narrazione e tempo narrato, nel diario, coincidano. E a lungo questa asserzione non è stata messa in dubbio.31 In realtà,

sulla carta non si ha mai un vero presente ma un «quasi-presente»32 o, per dirla

con Rousset, «rétrospection de fauble portée, écart minimum, mais écart entre le discours et le narré»:33 più che scrivere il presente, il diarista scrive a partire

dall‟istante presente. Vero fattore di distinzione sarà quindi il “dosaggio retrospettivo” che varia da frammento a frammento. Secondo Girard, che si tratti di ore o di giorni, sempre un intervallo di tempo segna la distanza tra fatto narrato e tempo della narrazione: la scrittura del diario non è introspezione ma retrospezione; pertanto, si inserisce a diritto nel tempo.34 E, come ricaduta

filosofica, non è mai possibile una piena coincidenza tra l‟io e il sé.35 Nel

31 Sorprendentemente, torna in C.SEGRE, Esperienze di scrittura e parametri autobiografici, in Scritture nel tempo…, 14. Si legga anche la traduzione italiana di quanto scritto da R.PASCAL: «mentre l‟autobiografia riesamina la vita passata da un momento particolare, il diario, per quanto possa essere anch‟esso frutto di una riflessione, procede attraverso una serie di momenti temporali distinti. L‟autore del diario registra ciò che in quel momento gli sembra importante, senza cogliere il senso ultimo e di lunga portata di quello che gli accade» (in Teorie moderne dell‟autobiografia…, 19-32).

32 U.MUSARRA, Il diario intimo e la “scrittura autobiografica”, in “Journal intime” e letteratura moderna…, 73.

33 J.ROUSSET, Le journal intime, texte sans destinataire?..., 435.

34 A.GIRARD, Le journal intime…, 514. E ancora : «On considère généralement que le journal est contemporain de l‟événement, de l‟émotion, ou de la pensée qu‟il rapporte. La remarque est vraie par rapport aux mémoires ou souvenirs, rédigés bien de mois ou des années plus tard. Mais rien n‟est pourtant plus inexact en soi. Un délai plus ou moins long, de quelques heures, ou au moins de quelques minutes, sépare nécessairement le moment où une impression atteint la conscience de l‟intimiste, et celui où il la consigne sur le papier. Tout journal est donc un effet du retentissement, toute notation dans un journal porte sur un événement déjà passé qui reste présent dans la mémoire. Il y a là un point essentiel à ne jamais perdre de vue. Cela n‟implique pas que seul un «secondaire», chez qui le retentissement est fort durable, soit susceptible de tenir un journal. Un «primaire», ou même un «surprimaire» en est très capable. […] Seulement, le dosage respectif de l‟une ou de l‟autre n‟è pas le même» (ivi, 123).

prenderne atto, Prezzolini rimarca il rimpianto di non poter «segnare in questo quaderno le pagine più calde, i segni più evidenti, le parole più dolci, le attese più soddisfatte e certe lunghe liste di tempo senza parole e senza atti che passano guardandoci».36

Non si trova mai perfetta aderenza tra l‟avvenimento e la scrittura. Per Genette, tra l‟atto e la scrittura si realizza un tempo intercalato,37 mentre Lejeune

ritiene che quando il diarista si mette a scrivere non ha idea di quanto gli accadrà poi, e quindi non è mai intercalato poiché non conosce nulla del suo futuro, ed è invece un tempo progressivo. In ogni caso, il diarista può decidere deliberatamente di anticipare i fatti appena conclusi per l‟urgenza del racconto («Accadono delle cose che sono obbligato a scrivere sul diario. Scrivo subito le più recenti»)38 o di

frapporvi una distanza («3 maggio [1927]. Ho fatto a pugni, questa sera, con quel Carroux, per una porcheria, commessa da lui al giuoco. Domani voglio, in queste pagine, raccontarmela meglio»),39 per poi recuperare eventi passati («Vorrei

scrivere, con uno sforzo di ricordi, quello che ho passato dacché non noto più niente nei diari»).40 Questi estratti dai diari di Delfini attestano come ci si muova

con scioltezza attraverso analessi, anche a distanza di tempo, o sfumate prolessi. L‟indolenza e la pigrizia delfiniane non sono l‟unica ragione per posticipare i frammenti: spesso sono raccontati a posteriori episodi particolarmente traumatici per il diarista. Il vissuto non trova immediato sfogo sulla pagina, perché è da introiettare e riesaminare: Santi appunta in apertura del diario quel che dovrebbe o avrebbe dovuto scrivere, ma al momento della scrittura è stato colto dall‟ineffabilità, anche perché i fatti più brucianti vanno lasciati a decantare:

Credo che accada sempre così del resto, di ciò che ci preme: non è possibile annotare in un diario: solo fra molto tempo l‟immagine di A., come filtrata nel sangue, potrà farsi strada in quel che scriverò, ma indirettamente e disinteressatamente.41

36 G.PREZZOLINI, Diario 1942-1968…, 37.

37 Cfr. G.GENETTE, Figure III. Discorso del racconto [1972], Torino, Einaudi, 1976. 38 A.DELFINI, Diari 1927-1961…, 246.

39 Ivi, 12. 40 Ivi, 67.

41 P.SANTI, La sfida dei giorni…, 64. Si veda anche: «22 settembre [1944] – Vorrei scrivere ma non posso. Tristezza, tristezza, tristezza. Non saprei meglio definire il mio stato d‟animo. Ora, che i pericoli sono passati e Dio mi ha fatto rimanere vivo, mi domando: per che cosa? Dovrò parlare, ma non stasera, dei giorni passati, così crudeli. Ma mi sembra, ora, che non vi sia crudeltà maggiore e dolore maggiore di quelli di ascoltare l‟ora che passa senza agire profondamente dentro me stesso» (ivi, 57-58).

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

Sono i gravissimi avvenimenti della storia a essere irraccontabili,42 ma anche i

fatti privati, come la fine temporanea della relazione con Paolo Marini, che lascia Santi senza «forza» per scriverne nel febbraio del 1966. Nel frammento successivo, di marzo, Santi dichiara che quando si riprenderà, «un giorno bisognerà che tutto sia chiaro, questi fatti maledetti e schifosi li giudicherò insieme agli uomini che li hanno provocati».43 D‟altro canto, il tempo intercalato tra i fatti

e la loro narrazione calma l‟urgenza della confessione:

11 luglio [1944] – L‟attesa si fa sempre più acuta. I giorni si susseguono morti: gli avvenimenti stessi che a me ancora accadono, i miei avvenimenti, non violentano, come un tempo avveniva, il sangue delle ore, ma anzi sembrano spengersi; tutto è inutile, queste giornate non sono vissute. Avverto un senso di provvisorio dovunque. Sembra che, dopo, tutto sarà possibile, la vita potrà riprendere il suo cammino; e si fanno progetti di ogni genere. Certo, anche qui è un‟illusione: quando la guerra sarà terminata, noi rimarremo col peso di noi stessi: che è questo, alla fine, che ci tormenta sempre.44

Solo dopo determinato tempo Bianciardi trova il coraggio di affrontare per iscritto i racconti della guerra, e compare nei suoi frammenti la stessa attesa di Santi perché il filtro del tempo tamponi il dolore:

Volevo cominciare prima, perché aspettavo che le impressioni si posassero ed io potessi raccoglierle limpide, serene, senza risentimenti, ma mi accorgo che il tempo è passato (un mese ormai) e tutto è rimasto uguale. […] Ma bisogna, bisogna scrivere le cose per superarle, guardandole come oggetti, facendone insomma la storia: vediamo di cominciare.45

Il trauma, come per Santi, può essere anche di ordine personale: Prezzolini, che è un diarista piuttosto intimo, rimanda di parlare della morte della moglie per ben ventuno giorni, come lui stesso nota, e solo il 31 gennaio del 1962 si ripropone di scriverne «con assoluta schiettezza».46

42 «8 settembre [1944] – Avrei avuto l‟intenzione, qualche tempo fa, di narrare con precisione di

particolari tutto quel che è avvenuto durante le settimane nelle quali la guerra è stata a Firenze; ma l‟uomo è così fatto che dimentica assai presto il dolore e, soprattutto, il sentimento di paura. Rimane dentro di me, ancora, il senso di quei giorni, ma non ho più la violenza del desiderio di ricordare qui gli avvenimenti. Basterà che mi rimandano nell‟anima certe sensazioni estreme a cui non ero mai giunto» (ivi, 58).

43 Ivi, 197. 44 Ivi, 53.

45 L.BIANCIARDI, Diario di guerra…, 1994.

Tuttavia, non è necessario un fatto tanto grave per giustificare un frammento dedicato a un evento passato, ma deve a volte aspettare il momento più opportuno, come ricorda Meneghello in data 10 gennaio 1965: «È inutile: per scrivere le cose bisogna che le cose si decantino. Finché sono in sospensione intorbidano il mezzo. Poi cascano, formano cristalli sul fondo».47

Anzi, il diarista non si deve mai giustificare, poiché il diario non ha le strutture tecniche del racconto, e tuttavia quanto scritto finora smentisce l‟idea di Scrivano: il diario «esclude lo svolgimento, esattamente come esclude la visione retrospettiva, si fonda sulla casualità, non ha necessità di rispondenze diegetiche, non dà alcun rilievo al prima e al poi, spesso non ne dà neppure al tempo in generale».48 Per quanto il suo tempo sia parcellizzato e arbitrario, il diarista

deciderà se un istante appena trascorso o passato da tempo può essere recuperato, gonfiato o, al contrario, ristretto a poche annotazioni tachigrafiche. E tali scelte non sembrano prive di senso, né casuali. Il recupero del passato è particolarmente presente nel diario in pubblico, quando la necessità di pubblicare un contributo con scadenze regolari pone al diarista il problema ideativo; rifugiarsi nella memoria può allora salvare dall‟impasse del momento, o far recuperare un episodio rappresentativo. Ne troviamo molti esempi nei “notes” soldatiani: gli episodi sono introdotti da formule come «ricordo che tanti anni fa»,49 «un mese fa»,…50

Talvolta il ricordo è innescato da fatti di cronaca,51 a dimostrare che muoversi nel

tempo sia possibile, a livello contenutistico, ma anche usando il presente storico, l‟imperfetto durativo o altri artifici grammaticali che soggettivano il racconto:

28 marzo [1959]. Non mi si accusi se in questo diario io guardo spesso al passato. Sarebbe accusa superficiale e ridicola. La mira è sempre l‟avvenire. Del resto gli avvenimenti che lasciano una traccia, o alterazione, non seguono un ordine logico, né potrei giurare che siano proprio come io li racconto. Posso pensare anche di averli inventati. O son loro che hanno inventato me. Quel modo di saltarmi addosso può

47 L.MENEGHELLO, Le carte…, I, 113.

48 R.SCRIVANO, «La penna che spia»: giornale intimo e scrittura, in “Journal intime” e letteratura moderna…, 15.

49 M.SOLDATI, Titoli, in ID., America e altri amori…, 730.

50 ID., Lo sport inquinato, «Il Giorno», 27 settembre 1970; poi in ID., Lo specchio inclinato…, 380;

quindi in ID., America e altri amori…, 674.

51 «La recente pubblicazione delle lettere di Svevo alla moglie mi riconduce col pensiero a un

piccolo episodio, che forse stavo per dimenticare. A Trieste, una decina di anni fa. Un amico mi presenta, per telefono, a Livia Veneziani, la vedova di Italo Svevo, e le chiede a mio nome se posso renderle visita […]» (ID., Nella casa di Italo Svevo trovo “l‟estranea” (Notes), «Il Giorno», 1° marzo 1967; poi in ID., Lo specchio inclinato…, 190; quindi in ID., America e altri amori…, 802).

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far credere al lettore che non abbiano né capo né coda, paesaggio, divagazione o ritratto che sia: invece ognuno ha un‟esistenza a sé, e tutti hanno un nesso profondo, sono immersi in un unico elemento ignoto e misterioso. Posso forse averli vissuti in altra esistenza, dato che io sono sicuro di averne vissute parecchie nel corso della mia vita mortale. Il passato ha per me un significato relativo. Io sono soltanto in quel momento in cui comunico e mi esprimo (e cioè vivo), anche se sono momenti di esistenze passate: ché passato e futuro non hanno più confini per chi ha raggiunto la libertà. Per il lettore certi momenti così diversi (impressioni, monologhi ecc.) dovrebbero forse esser legati con maggior coerenza, ed è questo non poter chiudere tutto in una parola, o in una pagina, o in un‟opera, che continuamente mi ossessiona.52

Quando Sanminiatelli scrive queste righe è nel pieno della sua scrittura diaristica, affianca a momenti di vita vissuta a riflessioni teoriche come questa, atte a giustificare «l‟ossessione del tempo, l‟ansia di non arrivare». D‟altra parte, il suo interrogativo è anche di ordine ontologico: il 17 gennaio 1966 si chiede apertamente se il tempo reale sia «l‟attuale o il passato»: risolve che «“l‟attimo fuggente” senza linee riconoscibili di sviluppo» e la «storia dove tutto è meravigliosamente calettato secondo un ordine e uno scopo» hanno pari dignità ai suoi occhi.53 E talvolta non ha neanche senso precisare data e luogo degli eventi,

dal momento che sa «soltanto che gli sono familiari», mentre «le esistenze anteriori non ci sono state per ora rivelate».54

L‟intero diario di Cassola si muove oscillando tra un presente deludente di sostanziale inattività verso il ritorno all‟infanzia e all‟adolescenza. Un memoriale strutturato episodicamente: Fogli di diario contraddice l‟importanza della data presente, annotata fedelmente, ma inutile per ricostruire una scrittura proiettata al passato fin dall‟incipit: «Quando ero all‟università, andavo tutti i pomeriggi al cinema […]», già sintomatico di un imperfetto frequentativo che supera di gran lunga il passato remoto e il presente. A questo si aggiunge l‟abuso di sintagmi quali «da giovane», «da ragazzo», spesso a inizio frase.55

D‟altra parte, lasciar passare del tempo dalla scrittura è inevitabile per chi, come Landolfi, accusa una «prestezza» degli avvenimenti molto superiore alla sua «capacità di registrazione, per vero assai limitata»: così nella BIERE giustifica

52 B.SANMINIATELLI, Il permesso di vivere…, 14-15. 53 ID., Quasi un uomo…, 216.

54 Ivi, 221.

55 Cfr. almeno C.CASSOLA, Fogli di diario…, 10 («da ragazzo»); 11 («da giovane»); 24 («quando ero giovane»); 34 («Da bambino, da ragazzo, da giovane»); 35 («una volta»);…

l‟attenuamento dei dettagli, ridotti a un «senso più o meno preciso» delle cose vissute.56

Se passiamo dal tempo narrato al tempo della narrazione, vediamo come nel diario novecentesco non si riscontri un uso preponderante del presente, che difficilmente indica la simultaneità: spesso è gnomico, iterativo, storico- attualizzante. In caso contrario, è di solito legato all‟atto stesso della scrittura del diario.

L‟impiego del passato immediato è spesso indice di un “atto mancato”, e l‟intero passato è una successione di atti mancati, di cui il diarista cerca di impossessarsi, con risultati alterni.57 Allo stesso tempo,

le journal intime est la fabrique du souvenir; il enregistre des clichés fixant les personnages de la scène dans une attitude définie une fois pour toutes, à la manière des photographies rassemblées dans un vieil album et montrant des visages immobilisés dans une expression entre toutes celles dont ils étaient susceptibles.58 Questa ansia di bloccare il passato in immagini ferme giustifica la preferenza per un tempo concluso come il passato remoto, che d‟altra parte va rarefacendosi nel Novecento, in pieno accordo con quanto avviene nell‟italiano dell‟uso. Già Landolfi nella BIERE accusa di possibile inautenticità i frammenti al passato remoto, cioè quelli che adottano lo stile letterario della tradizione: d‟altro lato, potrebbe trattarsi di una percezione soggettiva del tempo:

Ebbene, mi piacerebbe ora sapere perché io sia in queste paginette scivolato dal passato prossimo al remoto. Ma la spiegazione deve essere la più semplice e qui le preoccupazioni letterarie non devono entrare per nulla. Questa cosa è avvenuta ieri, e a me già sembra d‟un lontano passato: tanto debole è la mia coscienza della realtà.59

I tempi futuri non sono del tutto avulsi dal diario, ora impiegati come predizioni inquietanti, ora come augurio per l‟avvenire. Addirittura, Buzzati scrive

56 T.LANDOLFI, LA BIERE DU PECHEUR…, 28.

57 Così per Girard: «Son passé immédiat se présente à lui comme un acte manqué, et son passé

entier comme une succession d‟actes manqués, qu‟il essaie de reprendre et d‟arracher au temps» (A. GIRARD, Le journal intime…, 513-514).

58 G.GUSDORF, Le journal: dire ma vérité, in ID., Lignes de vie 1…, 332.

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

una riflessione grammaticale che passa dall‟aspetto morfologico e fonetico a quello contenutistico, con una netta critica alla prima persona del futuro semplice:

IMPRUDENZA GRAMMATICALE. Che strana voce grammaticale la prima persona del

tempo futuro. Io farò, io partirò, io conquisterò. Chi fu il pazzo a inventarla? Quell‟o accentato finale, che ridicolo, con quella sicurezza di sé. Io comprerò, io costruirò, io scriverò. E se non ce ne fosse il tempo? Non l‟ha calcolata, il padre ignoto della lingua, questa tenue possibilità? Più decente l‟inglese: I shall do, I will do, c‟è una intenzione, una volontà, niente di più, non si intende ipotecare il futuro. Mentre noi! Poveri diavoli, che marciamo con il petto in fuori, gli occhi fissi alle lontananze, e magari a mezzo metro c‟è la buca.60

Come si è visto nel par. 2.1, l‟imperativo è sfruttato alla seconda persona singolare quando il diarista ha bisogno di promemoria e di incitarsi al cambiamento. Talvolta è sostituito dall‟infinito, a tratti generalizzante, a tratti prescrittivo, molto usato da Alvaro quando annota consigli di scrittura o memoranda (cfr. par. 7.4). Un ultimo accenno meritano i participi passati, impiegati largamente soprattutto quando il diarista adotta lo stile nominale.

Dunque, l‟adozione varia e temporanea di tutti i tempi verbali dell‟italiano dell‟uso, nonché le strategie analettiche e prolettiche mettono in crisi il luogo comune del diario come contenitore del presente. Muovendo da queste premesse, nel prossimo paragrafo ci si chiederà se il frammento sia davvero la forma deputata della quiddità.