• Non ci sono risultati.

Qui occorre ancora un rigo, che sto scrivendo, per poi passare a pagina nuova. Poi: quando?

(Tommaso Landolfi, 29 maggio 1960)

Nel domandarsi circa le modalità di chiusura del diario, è fondamentale partire dal breve ma efficacissimo saggio How do Diaries end? di Lejeune.165 Se il diario è

spesso marcato nei suoi inizi, difficilmente avviene lo stesso con i finali, perché solitamente neanche l‟autore sa quale sarà l‟ultima pagina. Da questa riflessione vanno estromessi i diari che, per loro stessa natura, hanno una durata premeditata: i diari di viaggio, di lavoro o di ricerca, di una gravidanza, di un evento particolare,… La loro limitazione «is simultaneously chronological and thematic».166 Fin dal

principio, infatti, si sa che l‟esperienza sarà a termine: nel caso del viaggio, l‟estensione del diario è compresa tra data di partenza e data di arrivo, con un possibile sconfinamento minimo per i preparativi e un bilancio al ritorno; i diari di lavoro o di ricerca sono strettamente connessi all‟opera che si va a creare;… Nei diari universitari, Luciano Bianciardi propone le esperienze vissute tra il 1939 e il 1942: un centinaio di pagine manoscritte in “bella copia” su quaderni scolastici conservano un vademecum di goliardia, incontri amorosi, lettere mai spedite ad affascinanti compagne di studi, ma anche riflessioni sulla facoltà di Filosofia, che spaziano dalla riflessione esistenziale al gossip spicciolo. Ma tutto è a tempo: con la conclusione dell‟esperienza universitaria, anche il diario non ha più ragione d‟esistere:

165 P.LEJEUNE, How do Diaries end ?, «Biography: An Interdisciplinary Quarterly», XXIV, 1, inverno 2001. Già in francese in ID., Genèses du Je: Manuscrits et Autobiographie, a cura di P. Lejeune e C. Viollet, Paris, CNRS, 2000, 209-238. Lo si legge ora in ID., On Diary…, 187-200.

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

Ancora una volta devo provarmi a concludere: questo quaderno è un diario spirituale senza essere una cronaca, perché c‟è tutto di me, i progressi e le soste, gli slanci, i salti, gli erramenti e i capitomboli.

Guardiamo cosa ho fatto quest‟anno: il diario lo mostra, una ventina di pagine […]. Grosseto, Luglio 1942167

Al contrario dell‟autobiografia, che è perennemente voltata verso il passato e sa, quindi, quale sarà il suo finale e semmai ha qualche incertezza sugli inizi, il diario di vita virtualmente dura quanto l‟esistenza: «finish a diary means to cut it off from the future and integrate that future in the reconstruction of the past».168 Come

scrive Sanminiatelli nel suo ultimo diario, «questi appunti […] potrebbero andare avanti all‟infinito, così come potrebbero terminare in tronco senza soffrirne; o perdersi nel nulla che galleggia nel mio cervello nei momenti di ozio».169

Siamo davanti a diverse tipologie di finali, che è opportuno riassumere, a partire dal saggio di Lejeune:

- un finale evanescente, non annunciato, che coincide con la semplice sospensione della scrittura;

- un finale esplicito e volontario, causato da fattori esterni;170

- la distruzione del diario (una chiusura energica e definitiva, con alto valore simbolico);

- una rilettura cui seguono annotazioni, tavole dei contenuti, indici,…;

- la pubblicazione, ovvero una trasformazione che comporta una forma di chiusura deliberata.

Per quanto ogni giorno il diarista si muova tra moniti di perseveranza e tentazioni alla rassegnazione, la fine è sempre da scongiurarsi. Date queste premesse empiriche, Lejeune si interroga sull‟orizzonte di attesa del diario: «By writing today, you prepare yourself to be able to live tomorrow, and to piece together, in a predetermined framework of writing, the story of what you will have lived».171

La premessa di scrivere almeno un‟altra volta pare connaturata, e innesca una ritualità giornaliera, come un‟«assicurazione annuale sulla vita»: scrivendo ogni

167 L.BIANCIARDI, Diario Universitario…, 1961.

168 P.LEJEUNE, How do Diaries end?..., 191.

169 B.SANMINIATELLI, Ultimo tempo, in ID., Pagine di diario…, 379.

170 Secondo Simonet-Tenant, «c‟est parfois le monde extérieur qui dicte au diariste la durée de son

journal» (F.SIMONET-TENANT,Le journal intime. Genre littéraire et écriture ordinaire…, 104).

giorno, il diarista sconfigge la morte o, perlomeno, la sua idea («Ho potuto constatare che a scrivere un diario il tempo passa presto: credo che non farò altro fino alla morte invocata», scrive Landolfi il 17 agosto 1958);172 e anche l‟incubo del

decadimento corporeo è combattuto dalla ricostruzione di sé che il diarista opera sulla carta quotidianamente. Oltre alla garanzia di un‟istante di immortalità, secondo Gusdorf, il diario dà anche la transustanziazione del vissuto.173 Ce ne offrono la

dimostrazione i diari di malattia, che seguono il soggetto attraverso l‟agonia e spesso mistificano l‟aggravarsi dei sintomi, perché sulla carta l‟io può sentirsi identico a quando ha iniziato la scrivere. In questi casi specifici, la fine del diario è legata all‟impossibilità fisica di scrivere o all‟arrivo della morte, anticipata dal rarefarsi degli interventi: «Anche questo diario risente della mia enorme stanchezza, e stenta a proseguire».174 È il 4 agosto del 1959, quando Sibilla Aleramo, in Diario di

una donna constata l‟indebolimento progressivo dovuto alla vecchiaia e alla malattia. Così si lamenterà qualche mese dopo, il mattino del 14 ottobre 1959: «Non ho neppur più quel minimo di energia per continuare il diario!».175 A questo punto, la

morte blocca il diario, ma non cancella le pagine già scritte, che sopravvivranno al loro autore.

Invece, è la Storia a fermare il privatissimo Giornale di bordo di Loria, che si chiude con un‟immagine angosciosa, datata 11 settembre 1943: «Stamane, poco prima delle 10, i tedeschi sono entrati in Firenze. Da oggi vita difficile…».176 E la

reticenza veicola tutta l‟ansia per un futuro che si fa sempre più incerto, alla luce del quale è impossibile l‟otium letterario. Al contrario rispetto a Loria, la fine della guerra svuota di senso i giornali gaddiani: oltre alla pigrizia e alla mancanza di tempo, lo scrittore milanese prevede di abbandonare il diario perché «ormai ha già notato quanto basta per descrivere la sua vita di guerra; su per giù sarà sempre la stessa, salvo qualche maggior sofferenza pel freddo».177 Ora avverte l‟inutilità diaristica

nella quotidianità: «le note […] non potrebbero contenere se non la storia di una

172 T.LANDOLFI, Rien va…, 118.

173 «Ecrire est défier la mort, faire vœu d‟immortalité» (G.GUSDORF, Le journal: dire ma vérité, in ID.,

Lignes de vie 1…, 332).

174 S.ALERAMO, Diario di una donna. Inediti 1945-1960, a cura di A. Morino, Milano, Feltrinelli, 1978, 455.

175 Ivi, 468.

176 A.LORIA, Giornale di bordo…, 156.

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

inutile, monotona vita».178 Tre note successive, tutte datate 31 dicembre 1919,

marcano con risolutezza la decisione di abbandonare la scrittura privata. Gli eventi dei mesi precedenti sono segnati con essenzialità, come se si trattasse di un‟agenda, fino al ricordo di un anno prima, quando Gadda stava per partire dal campo di prigionia di Celle e per incontrare «il più orrendo dolore della sua vita» oltre la prigionia, ovvero la morte del fratello Enrico. Da qui l‟ultima parte della nota prende un andamento programmatico:

Lavorerò mediocremente e farò alcune altre bestialità. Sarò ancora attivo per debolezza, ancora egoista per stanchezza, e bruto per abulia, e finirò la mia torbida vita nell‟antica e odiosa palude dell‟indolenza che ha avvelenato il mio crescere mutando le possibilità dell‟azione in vani, sterili sogni. –

Non noterò più nulla, poiché nulla di me è degno di ricordo anche davanti a me solo. Finisco così questo libro di note. –

Milano, 31 dicembre 1919. Ore 22. In casa. –179

In realtà, si tratta di uno pseudo-finale, poiché la stessa sera seguono altre due note, sempre datate e firmate: la prima («Qui finiscono le note autobiografiche del periodo post-bellico; e non ne incominciano altre né qui né altrove») ribatte la categoricità della decisione; la seconda («Fine delle mie note autobiografiche e di tutte le note raccolte in questo libro») accresce la determinazione della scelta, anche grazie allo stile nominale e al congedo da «tutte» le note private.

Si incontra un altro pseudo-finale (ma dovuto a fattori esterni) nel diario di Papini. L‟irrompere dei soldati nel 1944 avrebbe dovuto fermare la scrittura del diario, che il 16 giugno dovrebbe essere sotterrato insieme il manoscritto del Giudizio Universale. Papini sente il rischio della fine: «Forse son queste le ultime parole che mai ci scriverò».180 Contrariamente alle aspettative, vi è un

ripensamento, e già il giorno successivo Papini racconta di aver tolto il diario «dalla cassa dei manoscritti e deciso di portarlo con sé», prima in Bulcianella.181 Il vero

finale del diario avviene quasi dieci anni dopo, quando le condizioni di salute di Papini peggiorano e i frammenti si rarefanno. Già nell‟ottobre del 1952, la parziale cecità e sordità, aggiunte alla mobilità sempre più scarsa, limitano anche l‟attività intellettuale, al punto che «anche lo scrivere comincia a esser penoso e malagevole.

178 Ivi, 433. 179 Ivi, 435.

180 G.PAPINI, Diario…, 195.

Comincia la vera vecchiaia, l‟odiosa vecchiaia».182 La salute si aggrava nell‟ultimo

frammento, l‟unico del 1953, che nella malinconia della pagina bianca lascia presagire la morte (del diario, mentre la morte fisica giungerà solo tre anni dopo):

10 marzo 1953

Ho passato lunghi mesi di malinconie e di sofferenze. Ho sopportato tutto per la speranza di guarire. Mi hanno bucato centinaia di volte, mi hanno massaggiato braccia e gambe. Ma non posso camminare senza aiuto e la mano destra dura fatica a tener la penna.183

Come in questo caso, non è scontato che i diari di vita si concludano esattamente con la morte dell‟autore. Ciò non toglie che si propongano di seguire il divenire dell‟io il più a lungo possibile, «l‟écrit accroché au temps»:184 la chiusura

può seguire un momento particolare, e in questo caso la decisione viene spesso marcata esplicitamente. Così, ad esempio, Ardengo Soffici decide di chiudere il Giornale di bordo con la fine dell‟anno e significativamente intitola ADDIO l‟ultimo frammento, presente solo nell‟edizione in volume e non in rivista.185 Il bilancio e il

congedo sono camuffati solo in parte dalla metafora nautica e dall‟iterazione ritmata di «addio»:

31 dicembre ADDIO.

È un anno che si naviga, un anno per l‟alto mare. Dell‟umile terra lontana abbiamo appena i ricordi con noi, i frondami delle dure terre, dei mondi, i ricchi colori, l‟alchimia delle stagioni […]. Abbiamo avuto degli amori e delle schiavitù. Il bruciore di un bacio, il suono di una parola, uno sguardo antico, una stretta ci avvincono ancora a un mondo che non è più nostro. Ma la perfetta solitudine è prossima e la totale libertà. La prua dritta nella chiarezza della mattina, strappiamo questi legami tenui, questi fili di ragno interoceanici, e senza rimpianti, con forse appena un‟ultima ombra di malinconia vi gridiamo addio a tutti voi che restate costaggiù tra le brume.

Addio a voi e ai vostri falsi tesori, alle vostre prigioni dissimulate. Ragioni morali, tradizioni, addio. Addio anche a te che ci fosti più cara di tutto, arte. Addio.

La prua dritta nella chiarezza del mattino, macchina avanti a tutta forza nelle sete variopinte degli orizzonti, nella liquidità gemmata, nella verità ebbra del futuro.

Verso la grandezza o l‟imbecillità, che importa? Navigare.186

182 Ivi, 699. 183 Ivi, 703.

184 P.PACHET, L‟œuvre des jours, Paris, Circé, 1999, 104.

185 Cfr. S.GIOVANNUZZI, Soffici e il «Giornale di bordo», in Memorie, autobiografie e diari…, 219-225.

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

Un‟altra causa di chiusura può essere la fine del supporto materiale: si termina un quaderno, un‟agenda e si desidera rileggere il tutto prima di iniziare la successiva. Non sono rari i casi in cui ci si congeda dal diario ormai alla fine, soprattutto se il diario è considerato un compagno o un testimone della propria esistenza. Cosparsa di ironia è la nota che chiude In quel preciso momento di Buzzati, in cui è palese la scusa del supporto per porre fine a quasi vent‟anni di diario: il titolo depistante è solo l‟inizio di una concatenazione di eventi che hanno influenzato la scelta di smettere:

LA SEGRETARIA. La segretaria a cui dettavo i miei poemi di è sposata e ha due figli,

quando la incontro mi saluta, ecco che cos‟è rimasto dell‟amore.

La mia macchina da scrivere l‟ho prestata a un amico, addio addio. Che simpatico ragazzo (parlava però con l‟erre) da cinque anni è lontano, avremo mai più sue notizie? La mia stilografica si è rotta. L‟ho lasciata cadere per sbaglio, il pennino d‟oro si è fessurato. A uno di quei banchetti specializzati che posteggiano sulle piazze mi hanno detto che non c‟è niente da fare.

E la antica mia penna che adoperavo da bambino – ci deve essere ancora – chi è più capace di trovarla? Avevo anche per scuola, un piccolo calamaio tascabile, vi ricordate? Ma miliardi di uomini nel frattempo sono morti e nati, e con essi deve essere stato sepolto.

Perciò scrivo con la matita. Un mozzicone veramente, trovato in una vecchia scatola, per caso. Gli ho fatto la punta, amici miei, e sulla poca carta bianca che rimane stasera io scrivo.187

Il congedo di Buzzati, tutto in minore, ha perso l‟asprezza del penultimo frammento, in cui si scagliava contro i lettori (cfr. par. 6.1), che anzi qui chiama «amici miei». Si concentra piuttosto su una professione di modestia che riduce la scrittura diaristica ad “avanzo”, come è stato spesso fatto. Anche per Sanminiatelli l‟ultimo frammento è preceduto da una riflessione sulla funzione del diario, che si avvicina sempre più all‟idea di opera e prende le distanze dallo “scarto”:

Dicembre 24 [1962]. Terminato il diario, che è per l‟autore una specie di palazzo minoico, di “labirinto”, va idealmente rimesso insieme e ascoltato nella sua nuova dimensione, nella sua unità, tenendo lontana ogni tentazione di narcisismo. Il diario non dev‟essere un susseguirsi di note (che portano a galla le scorie morte della nostra persona), ma deve consolidarsi in modo da formare un corpo compatto e conseguente, una serrata unità spirituale. Può essere che io non vi sia riuscito. Come in parecchi insetti la larva muore allorché esce alla luce l‟animale perfetto, così l‟autore deve sacrificarsi e morire di fronte alla propria opera ormai terminata. Un sacrificio richiesto

per dar vita a quella cosa che era dentro di lui e lentamente maturava. Ma quanto ha divorato, quanto ha digerito prima di portare a fondo l‟animale perfetto?188

Solo a questo punto Sanminiatelli si lascia andare alla nota finale, datata simbolicamente 31 dicembre e caratterizzata dalla lapidarietà e da una tripartizione destrutturata (anche graficamente). Il pensiero va al tempo, Leitmotiv di tutti i suoi diari, nella percezione di un vanitas vanitatum contemporaneo, che chiude il diario con toni lugubri:

Dicembre 31[1962]. Ho ancora da sbarazzarmi del bagaglio di tante cose inutili, ma il tempo ha più fretta di me. . . . . . La vecchiaia mi colpirà prima della maturità, come un infortunio d‟infanzia. . . . . . Non ho mai detto: “Addio giovinezza, divento un uomo”. Dirò soltanto, a suo tempo: “Addio infanzia, divento un morto”.189

Per quanto riguarda la distruzione del diario, secondo Lejeune la scelta è connessa all‟impulsività di chi ha confessato molto: nel 1913, Cecchi annota di aver distrutto «questo libretto IV [...] in una sua prima copia, in un accesso di furore in giugno»; quindi di aver «rintracciata parte del materiale che lo costituiva, e riunita; e poi condotto avanti insieme agli altri: V, Vi chiusi alla fine di luglio».190 Mettere per

iscritto le proprie emozioni significa estrometterle da noi stessi, affidarle a un altro luogo e, latamente, liberarcene. È chiaro il significato simbolico della distruzione fisica del diario, specialmente se la confessione è legata allo sfogo momentaneo e non alla conservazione della memoria.191 Così scrive Pavese alla fine del Mestiere di

vivere:

Tutto questo fa schifo.

Non parole. Un gesto. Non scriverò più.192

188 B.SANMINIATELLI, Il permesso di vivere…, 340.

189 Ibidem. Il pensiero dell‟addio come congedo dal diario è presente anche nell‟explicit precedente

Mi dico addio: «20 dicembre [1958]. Mi guardo allo specchio come uno che si dice addio», a cui si ispira il titolo dell‟opera (ID., Mi dico addio…, 552).

190 E.CECCHI, Taccuini…, 149.

191 Così per Dessì, che richiama l‟attenzione del suo destinatario inesistente sulla pagina strappata:

«Mio caro, | vedi questo foglio strappato? Certo tu lo vedi, benché non esista […]. Ma torniamo al nostro argomento: vedi questo foglio strappato? Io lo strappai perché vi avevo scritto una cosa tragica, proprio tragica. La quale cosa tragica per la sua stessa tragicità mi parve ridicola subito scritta e mi inspirò l‟idea felice di strappare il povero foglio innocente […]» (G.DESSÌ,Diari 1926-1931…, 19).

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

Un finale esplicito e dichiarato può essere causato dalla fine della solitudine. Se la scrittura dell‟io racchiude spesso il desiderio di comunicare per iscritto quanto non si riesce a voce, un incontro fortuito o qualsiasi altra infrazione del blocco comunicativo iniziale fa decidere di abbandonare il diario. Una fase intermedia potrebbe anche consistere nel mostrare il diario alla persona incontrata.

Quando l‟obiettivo principale non è comunicare ma riflettere su una problematica, la risoluzione della stessa pone fine all‟esigenza del diario. Ad esempio, Landolfi nel suo Rien va associa il diario alla necessità di digerire il tempo, e la ripresa del suo Landolfo VI di Benevento e dell‟attività giornalistica mette in dubbio l‟esistenza stessa del diario:

26 [luglio 1958]

In questi giorni passati ancora il Landolfo, sia esso quello che si vuole e sia strana la mia ostinazione. E così, privo della sua funzione prima, questo diario si dissolve… Per il momento, ché tornerà certo, lo stato di atroce ozio dal quel è partito. Inoltre ho dovuto finalmente cedere e accettare un lavoro in sé non abbietto, eppure…193

19 [agosto 1958]

Neppure il ronzinesco (di brenna arrembata, vecchia, bolsa e mezzo addormentata che cammini a testa bassa per una carreggiata), neppure il ronzinesco piacere di questo diario notturno mi sarà concesso ancora a lungo: dovrò cominciare o ricominciare qualcuno i quei lavori tanto più faticosi quanto più inutili. E proprio stamane è venuto da ultimo il momento di scrivere una certa lunga, estenuante lettera d‟affari…194

In realtà, la scrittura landolfiana proseguirà fino al 29 maggio 1960 con un explicit volutamente studiato: : «Qui occorre ancora un rigo, che sto scrivendo, per poi passare a pagina nuova. Poi: quando?».195 Il rimando alla «pagina nuova»

rimanda contemporaneamente al supporto materiale ma soprattutto a una svolta di vita; inoltre terminare con un‟interrogativa senza risposta riconferma la completa assenza di certezze di Landolfi.

La pubblicazione comporta la sospensione del diario, preceduta da una possibile fase di revisione e/o riscrittura di porzioni testuali. Viene da chiedersi se con i diari pubblicati in vita sopravviva l‟idea del “finale evanescente” e casuale: all‟autore è infatti lasciata l‟ultima parola, e quando, ad esempio, D‟Annunzio sceglie di terminare il Solus ad solam con la mera data «*5 ottobre – lunedì», pare

193 T.LANDOLFI, Rien va…, 90. 194 Ivi, 121.

inverosimile che non vi fosse una ratio. Anche De Libero, nel suo privato Borrador chiude con una visuale sfumata su un io larvale, escluso (o autoescluso?) dalla società, vacua e per questo da tenere a distanza:

14 settembre 1955

Torno sempre in mezzo alla gente come un‟ombra. Ma è stato così da quando cominciai ad essere uno che scrive. Solo con me stesso riacquisto un corpo e la mia anima si riposa. Perciò io trascorro in mezzo agli altri senza trovar pace e i loro discorsi mi sembrano fatui e vuoti.196

Explicit calibratissimi raccordano i diari di Sanminiatelli, pensati evidentemente per la pubblicazione. I diari sono segmentati per gruppi di annualità, che si offrono complete ai lettori, da gennaio a dicembre. Di conseguenza, la chiusura dicembrina favorisce il tema del bilancio (cfr. par. 3.2) e l‟addio al tempo e al sé stesso passato, con toni nostalgici e mortuari. Come si è visto (cfr. par. 1.5), anche i titoli si rincorrono, in una caccia al tema meditativo del tempo che passa. I finali sono dunque ulteriore legame tra titolo e tema, con un‟importante funzione di sintesi (ri)epilogativa. In Mi dico addio, Sanminiatelli si congeda con un lapidario «mi guardo