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Oggi comincio un diario; completamente contro quelle che finora sono state le mie abitudini, ma per un bisogno chiaramente visto. Dopo quattro anni di dispersione, deve darmi occasione di ritrovare la linea di sviluppo spirituale che ritengo mia. Cercherò di portarvi “le bandiere di una battaglia mai combattuta”.

(Robert Musil, 2 aprile 1905)

Le parti liminari del diario non hanno uguale pregnanza agli occhi dell‟autore: gli incipit sono sempre desiderati, risultato di una decisione più o meno affrettata, meditata, talvolta combattuta. Come vedremo, lo stesso non avviene con i finali, che possono essere imprevedibili e indesiderati dal diarista. Secondo Simonet-

138 Ivi, 497. 139 Ivi, 498.

140 Ivi, 501 (corsivo nel testo). 141 Ivi 504.

Tenant, più che l‟età a determinare l‟inizio del diario sono il vacillare dell‟identità del soggetto e la sua vulnerabilità.142 Ciò può essere provocato da esperienze fisiche

di sofferenza, di trasformazione o malattia; da crisi affettive, spirituali, intellettuali; ma anche da periodi di profondo sconvolgimento storico, in cui il caos collettivo ha ricadute sul piano individuale. Quest‟ultima affermazione pare molto efficace per i diari nel Novecento, secolo di rivolgimenti drammatici, che scuotono il diarista e lo portano non tanto a un ripiegamento interiore come avveniva nel Romanticismo, ma a un ruolo atarassico di osservatore, disincantato e cinico, a tratti disgustato dalla contemporaneità.

Molto spesso, il diario spontaneo nasce in medias res, senza attribuire particolare solennità al primo frammento. È il caso dei taccuini, che raccolgono il disordine delle idee, e non intendono seguire un filo cronologico dichiarato. Così, ad esempio, per Boine, Campana, Cecchi: l‟incipit immerge il lettore senza alcuna introduzione, né espressione della funzione del presente diario o presentazione dell‟autore. È un testo tenuto per sé, e pertanto il diarista intrattiene con il proprio supporto un rapporto basato sull‟utilità.

Capita però che il diarista si senta in obbligo di offrire una presentazione di sé e del proprio vissuto, o di giustificare la propria scelta del diario, spesso con toni iniziatici (d‟altra parte, la parola stessa inizio, da “in-ire” implica il penetrare in luoghi prima sconosciuti): «Incipit vita nova» viene ripetuto da Bianciardi all‟inizio di ogni diario universitario,143 e acquarellato da Michelstaedter in un taccuino.144 O

142 «Il est d‟autres critères que celui de l‟âge; l‟écriture du journal souvient le plus souvent lorsque

l‟identité du sujet se voit mise en danger ou, tout au moins, se trouve dans une situation de vulnérabilité» (F.SIMONET-TENANT, Le journal intime. Genre littéraire et écriture ordinaire…, 95).

143 Si veda almeno: «INCIPIT VITA NOVA. Ricordi baldanzosi e pieni di promesse del secondo anno di Università. | “Giustifichiamo il motto latino” | Ma è proprio vero che comincia una nuova vita? Certo, perché è fuori di dubbio che il mio so muove e anch'io son cambiato, e che sulla mia tessera ci son due bolli: si tratta solo di dire quale sarà questa nuova vita, lasciando andare i bei proponimenti e le rosee speranze. | Quest'anno, rientrando tra le colonne grigie di Sapienza, mi son sentito smarrito: mi son domandato quale sarebbe stata la mia parte nella vita del 41-42, quale il mio nuovo abito mentale di fagiolo e non ho trovato la risposta giusta. I compagni e le compagne dell'anno passato erano quasi tutti scomparsi, le matricole troppo distanti da me. Ed io sentivo il bisogno di assumere un contegno qualsiasi, per avere almeno l'illusione di non essere assente. Ma ho trovato ostilità. | Poi son venuti gli amici di Grosseto, è cominciata la "moseca", ma anche allora ho sentito che dovevo far qualcosa di meglio, che non ero soddisfatto. | Solo ieri sera mi son ritrovato: mentre le castagne bollivano brontolando sul fornello a gas, ed io, soddisfatto di una compagnia con così poche pretese, scorrevo una novella di Pirandello, mi sono sentito contento ed ho avuto la forza di dare un giudizio non del tutto banale su quel che leggevo. Forse sto trovando la strada giusta e lavorerò. E adopero il futuro non ironicamente, ma con la coscienza e la speranza di far qualcosa di buono. In fin dei conti, poi, questo stesso proponimento sincero non è già "qualcosa di buono"? Allora coraggio e all'opera. | Pisa, Novembre 1941» (L. BIANCIARDI, Diari universitari, in ID., L‟antimeridiano…, 1955).

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

ancora, vi è una sorta di volontarismo nell‟intraprendere una scrittura giornaliera, che prevede un impegno costante. Ogni inizio di diario rimette in causa l‟autenticità di questa forma di scrittura. Come abbiamo detto nel paragrafo precedente, spesso gli incipit dei diari fanno propri i temi di un‟eventuale avvertenza. Vediamoli nel dettaglio, attraverso una campionatura di testi rilevanti.

Cominciamo dall‟incipit del diario giovanile di Papini, che nel 1899 si ripropone di cominciare «un nuova vita», improntata a colmare le lacune «spesso vergognose» della propria formazione:145

COMINCIANDO

Se altri sapesse ch‟io fo questo diario certo riderebbe di me, che sembro reputarmi uomo così importante che la posterità abbia bisogno di essere informata delle mie azioni e dei miei pensieri. Io non ho invece tal presunzione. Questo diario, che stenderò finché me ne durerà la voglia, dev‟essere una cosa tutta mia e lo scopo per il quale lo faccio è del tutto individuale.

Fra alcuni anni (se pure sarò sempre in vita) mi sarà dolce rileggere queste lontane memorie di giovinezza, di questa che dicono sia la più bella età della vita.

Molto di quello che diciamo, pensiamo e facciamo va ad immergersi nel gorgo dell‟oblio. Io cercherò di sottrarre, fermandola sulla carta, una parte di quest‟io che va così distrutta miseramente ogni giorno.

Queste memorie non hanno interesse che per me, onde prego di distruggerle colui che le ritrovasse dopo la mia morte qualora io non avessi avuto modo di farlo da me. Giovanni Papini, novembre 1899146

Innanzitutto, Papini dichiara l‟intenzione prefatoria fin dal titolo, apposto in maiuscolo a capo del frammento. Quindi, precisa l‟apparente assurdità della sua impresa, ritenuta dall‟opinione comune un‟azione da uomo importante. L‟obiezione viene smentita dall‟arbitrarietà del diario, solo per sé e destinato a durare finché resisterà il desiderio di scrivere. Il valore è racchiuso nel piacere della rilettura dei ricordi di giovinezza, che sfuggiranno così al «gorgo dell‟oblio». Segue, quindi, la preghiera testamentaria di distruggere le carte, qualora cadessero in mani sbagliate. Si tratta di un incipit piuttosto tradizionale, basato sull‟esplicitazione degli scopi e sulla riduzione della propria opera a scrittura privata. In calce, firma e data paiono

144 Interessante notare che anche Hebbel nel 1838 inaugura il suo nuovo diario con questa epigrafe:

«Nuovo errore; nuova vita» (F. HEBBEL, Diario, a cura di S. Slataper, Lanciano, Carabba, 1912, 55). E ancora, Gadda sostiene quanto segue: «La mia vita è tutto un deviamento, uno sciupìo di meravigliose facoltà: potrei dire di me stesso la parola del giudice paradisiaco: la parola messa in bocca a Beatrice: questi fu tal nella sua vita nova» (C.E.GADDA, Giornale di guerra e di prigionia…, 213).

145 G.PAPINI, Il non finito. Diario 1900 e scritti inediti giovanili, a cura di A. Casini Paszkowski, Firenze, Le Lettere, 2005, 7.

stipulare una sorta di accordo con un lettore inopportuno, contraddicendo la privatezza.

Ogni inizio di quaderno per Gadda è significativo: la guerra e la prigionia comportano una scrittura fuori dall‟ordinario, che sia rifugio nei momenti di pausa e che si stringa sui supporti disponibili. Così, iniziare con la minuziosa descrizione della stanza e dello stile che si intende adottare è un tentativo di riaffermare il proprio esserci, fisico e mentale. Allo stesso tempo, la guerra influenza la scrittura, sia nella demarcazione del tempo deputato, sia nella predisposizione al lavoro intellettuale. In tal senso, il diario è una scrittura residuale: non per una sua insufficienza contenutistica, ma perché deposito di quanto resta del giorno, unico sfogo concesso («non ho un libro: perciò mi sfogo a scrivere»).147 Si veda a scopo

esplicativo solo l‟incipit del primo quaderno, e si tenga presente che note simili aprono ogni quaderno:

Edolo, 24 agosto 1915. – Le note che prendo a redigere sono stese addirittura in buona copia, come vien viene, con quei mezzi lessigrafici e grammaticali e stilistici che mi avanzeranno dopo la sveglia antelucana, le istruzioni, le marce, i pasti copiosi, il vino e il caffè. Scrivo sul tavolino incomodo della mia stanza, all‟albergo Derna, verso le una e mezza pomeridiana. Le imposte chiuse e i vetri aperti mi lasciano entrare l‟aria fresca e quasi fredda della montagna, i rumori dei trasporti e le voci della gente: mi impediscono la veduta di un muro, che si trova a due o tre metri in faccia e in cui non figurano che finestre chiuse, e delle rocce del Baitone. –148

Circa vent‟anni dopo, in pieno clima fascista, l‟incipit del diario di Libero De Libero del 1° agosto 1933 contestualizza il proprio testo entro l‟«abitudine» contemporanea alla confessione intima, pur con le dovute distinzioni:

Molta gente ha per abitudine la confessione intima. A una certa età quando meno ci si attende di riflettere alle cose più semplici e ci si va abituando a star più con se stessi, allora si considerano cose che non si dicono ad altri e che nemmeno sarebbero pensate in altra epoca felice: cose del tutto inutili, parole appartenenti a fatti accaduti o a fatti semplicemente pensati e che sono i veri avvenimenti d‟una vita.

Anch‟io sono alla prima pagina d‟un grosso e difficile libro che può stancarmi presto o prendermi in tal modo da non lasciarlo mai. Questo libro oscuro, sul quale non so quando altri occhi si poseranno, porta in giuoco la mia vita. Ma quale verità io potrò dire a me stesso e quali menzogne agli altri? Un secolo fu ossessionato dalla verità, e la verità fu una diavoleria per l‟ottocento che ora va discoprendosi scaltro, volitivo e profondo. I modi di dire la verità sono innumerevoli: dal campionario vistoso ciascuno sceglie i più sgargianti o i più teneri: colori che fanno dimagrire, altri che ingrossano,

147 C.E.GADDA, Giornale di guerra e di prigionia…, 12.

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altri che interpretano l‟umore del personaggio. Non ho mai sentito dir la verità dagli uomini allo stesso modo. Taluni hanno la consuetudine col tacere: ogni giorno presi nel giro della verità, tacciono. In fin di vita sono essi i giudici più perversi che si accomiatano dal tribunale familiare: hanno rifiutato la sentenza.149

Rispetto a Papini, De Libero investe molto di più nel «grosso e difficile libro […] oscuro» della propria vita: un luogo putativo per la confessione privatissima, taciuta agli altri e innescata dalla solitudine. La dicotomia tra verità per sé e menzogna della vita sociale è netta, e l‟interrogativo deliberiano trasmette la preoccupazione di fondo di riuscire a convivere con la natura non del tutto sincera dell‟uomo. Dopo una prima esposizione delle tematiche e dei moventi del diario, De Libero si lascia andare alla riflessione. Manca la precisazione circa la natura dell‟opera, ma sappiamo da una lettera a un amico che il diario doveva essere un esercizio privato.150 Per la profonda interconnessione tra i brani, si prosegue con la

lettura del secondo frammento di De Libero, che ospita riflessioni metadiaristiche rilevanti. Innanzitutto, si noti come la preoccupazione di un pubblico di lettori indesiderati possa condizionare, agli occhi di De Libero, il dettato del diario. Anzi, sostiene che solo il fatto di non pensare a una futura pubblicazione garantì a Leopardi la spontaneità dello Zibaldone:

2 agosto

Quanti uomini hanno scritto un loro diario, il loro giornale intimo, nessuno di loro badava che altri avrebbero poi letto in quelle pagine con l‟avida curiosità di scoprire nelle pieghe segrete chissà quali miserie: vi son taluni che badano molto ai futuri lettori e si fanno o buoni buoni o cattivi cattivi. Leopardi affidò alle pagine del suo Zibaldone non il segreto ma la mente della sua vita e son pochi i lettori che vengono alla fine. Quei pochi ne traggono il vantaggio d‟essere pochi a rispondere al richiamo di lui; e il nutrimento, quasi abbondante banchetto per invitati rari, va al sangue più d‟ogni altra sostanza.151

De Libero passa in rassegna con salacità i diaristi che ha letto: i Goncourt, che avevano per preoccupazione «di raccontare gli avvenimenti cui erano soggetti con il massimo malumore e il peggiore scrupolo»; il caso inspiegabile del successo di Amiel, «un casto per difetto e sensuale per amor del prossimo che sa godere nel

149 L.DE LIBERO, Borrador. Diario 1933-1955…, 5.

150 «Io mi divertiva un tempo a scrivere intere pagine per me: fogli sparsi che abbandonavo e

disperdevo perché nel ritrovarli io potessi riavere il tempo perduto a mia disposizione e ne facessi l‟uso migliore per la mia memoria. Ho detto per me, e non per gli altri». La lettera, datata 1931, e dunque precedente a Borrador, è riportata nella prefazione di Petrucciani.

proprio letto», le cui «eliminatorie spirituali» hanno annoiato De Libero «come alla peggiore conferenza».152 Pur conoscendo anche Mansfield, Barbellion e Constant,

la genesi del diario di De Libero è da far risalire al desiderio di vendetta del giovane collegiale, e quindi per amore, come spiega l‟autore stesso (cfr. par. 4.4). L‟autocritica è accesa e De Libero non si risparmia dal criticare l‟autoreferenzialità e le tematiche futili che lo hanno portato ad accorgersi della finzione del proprio diario. Infine, dopo un‟ulteriore riflessione sulla verità, che viene legata alla morale del singolo, De Libero lamenta la moda dei giornali intimi, «un genere d‟arte da praticare, quasi una figurazione di stretta retorica» per animi che si vogliono proporre a modello. De Libero esercita la propria critica satirica attraverso l‟uso di metafore che accostano il diario a elementi del quotidiano basso come «Giuliani Sorel formato gabinetto».153

Il riferimento allo Zibaldone leopardiano torna nell‟incipit di Loria del 22 marzo 1942, che ha già scelto l‟intertestualità intitolando il proprio diario come Soffici. Seguono le motivazioni per la scrittura diaristica:

Inizio oggi questa specie di “diario” o “zibaldone” che intitolo Giornale di bordo, all‟età di quarant‟anni […]. Qui appunto io terrò notizia di avvenimenti che riguardino la mia

152 Ibidem.

153 «C‟è chi ha esortato al diario, alla confessioni tutti in veste di personaggi esemplari e complicati

dunque. Giuliani Sorel formato gabinetto. Quanta vanità sia in tale consiglio è da vedersi nella maniera spicciola e facilona di togliere al diario il suo valore necessariamente umano, il suo stato e la sua articolazione. Sarebbe il diario un rendiconto di cassa sul tavolo del merciaio, il cesto della cartaccia sotto la scrivania; e dovrebbe sorprendere i posteri della temperatura, dei malvezzi e delle acrobazie di uno scrittore. L‟ambizione è di apparire al disopra della propria fatica, come un nume di sé. Vogliono a tutti i costi togliere i veli da quanto può dannare la vita dell‟uomo: pulizia quotidiana, non altro. | Sono altri che spesso c‟informano “scrivo un diario, qualche pagina al giorno”, “faccio un giornale e mi vendico”; di loro ho pena e vergogna, come se promettessero una calunnia al futuro, come se curassero una malattia alla presenza di tutti. Ciascuno illude la propria maniera di vivere, e il suo cuore e il suo bene o mal stare al mondo. | Consideravo tra me e me queste faccende del diario per liberarmi da un pregiudizio, per soddisfare un mio desiderio che la pigrizia e numerose vicende sinora tradirono, per consolarmi di quanto è stato e avvenuto contro ogni mia volontà. Non so convincermi che l‟uomo non abbia da impedire certi fatti né so rassegnarmi alla perdita del mio tempo adorato, e voglio dire l‟infanzia, nel quale io fui fanciullo sofferente per inauditi spettacoli, ora nel solo dominio dei miei sogni. | Poter riattivare quella corrente e quei paesaggi intorno e quelle figure e quella inesorabile tempesta (in fondo alla grande casa dei miei, una stanza) che ha rivelato al mio corpo la paura e la malizia d‟essere solo. Nel letto della mia infanzia, piccolo e slabbrato, ci si stava con tanta infanzia e capricci e dolori. Non voglio ritrovarmi, ricordare io voglio e soltanto giungere laddove il ricordo assume ogni potere, ogni massima. Bastano al ricordo poche battute, e una sola mano che l‟accechi per tornare ad essere un fatto. Ora la giornata si aggrava di se stessa, e la tristezza non entra in lotta con lei. Alla sera si giunge attraverso una lotta: e veniamo all‟alba come a una fonte di cui per tutta notte s‟è scandito il mormorio lontanissimo. Non è più confine alla notte e all‟alba il limite della luce: ora io posso continuare il mio giorno dentro ogni notte» (ivi, 6-7). La critica all‟usanza di «fare toiletta davanti al pubblico», con la convinzione «che cotesta brutta svergognatezza sia una grande azione» è presente già nel diario di Hebbel nel 1843 (cfr. F.HEBBEL, Diario…, 88).

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vita, di miei propositi di emendarmi da ignavia, vizi, debolezze, di miei progetti di lavoro e ricordo di pensieri e immagini su persone e cose che altrimenti perderei dalla memoria, così come mi è accaduto fino adesso.154

Questi sono incipit di diari non pensati per la pubblicazione, né aspirano a un‟autobiografia: lo scrittore si focalizza anzitutto sulle funzioni del proprio testo, ovvero «raccogliere i materiali» della propria vita, partendo dal quarantesimo anno «che lo trova incerto, malandato in salute e carico di pesanti preoccupazioni per l‟avvenire» suo e dei suoi.155 Ben diverso è l‟inizio, quasi provocatorio, dei diari di

Delfini, mai editi in vita ma pubblicati postumi per volontà dell‟autore. L‟incipit stravolge la tradizionale professione di sincerità, dal momento che la totale trasparenza non sarebbe coerente con la personalità di Delfini:

4 aprile 1927

Incomincio questo diario sperando che venga pubblicato in avvenire.

Io non son fatto per i diarii perché, quello che sento e che ho provato, mi piace tenerlo per me.

Però tenterò d‟incominciare. Non son capace di non nascondere qualche cosa.156

Come precisa Garboli nell‟introduzione, i Diari di Delfini testimoniano l‟intenzione della pubblicazione in ogni loro pagina, «la scrittura non vi è praticata come uno strumento per decifrarsi». E ancora, il critico sostiene che «Delfini ha vissuto e coabitato con se stesso senza mai vedersi, e di questa coabitazione distratta, impaziente, sventata, questi Diari non sono la smentita ma la conferma».157

Anche Sanminiatelli scrive pensando alla pubblicazione dei propri diari (che inizia simbolicamente in gennaio, spesso il 1°). Dedica l‟incipit del Permesso di vivere con la spiegazione della propria opera: «un viaggio “mitologico” verso la sorgente della vita», alla ricerca dentro di sé dell‟«eterna fonte della creazione»; nell‟immediatezza della scrittura, superiore alle altre forme letterarie, ravvisa «pericoli» e «insidie a causa di una parvenza di facilità». Da qui conclude:

154 A. LORIA, Giornale di bordo, in Firenze: dalle «Giubbe Rosse» all‟«Antico Fattore», a cura di M. Vannucci, Firenze, Le Monnier, 1973, 107.

155 Ibidem.

156 A. DELFINI, Diari 1927-1961, a cura di G. Delfini e N. Ginzburg, con un‟introduzione di C. Garboli, Torino, Einaudi, 1982.

Il diarista deve nascondere l‟anima e diffidare della verità, senza mai mentire. Il diario è un confronto finale con se stesso. Deve esservi sempre uno schermo fra l‟anima dell‟autore e la curiosità del lettore. L‟autore non trascrive la propria vita ma lotta invece per liberarsi dalla verità che lo strugge. Questo esercizio quotidiano, questo catalogo di fatti e pensieri, non è che trasfigurazione; e per trasfigurarsi è necessario morire. Non è una raccolta di briciole, ma un‟entità indistruttibile che continuamente si ricrea, e per questo illimitata e libera. Non c‟è libertà senza severità; ed è mediante la lotta, l‟angoscia e l‟annullamento (divorare tutto ciò che ha da essere conservato) che vi siamo giunti. Dobbiamo liberarci dall‟ossessione dell‟analisi. Iniziato come evasione, il diario deve rientrare nella vita come proiezione dell‟autore il quale ha da dominare, trasformare, integrare (in una continua manifestazione vitale) senza nulla lasciare d‟intatto: tutto ricostruendo nel suo equilibrio metafisico. Attento a ogni suo moto interiore, egli deve soprattutto evitare di guardarsi allo specchio. (Divagando su alcune