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È inutile parlare del nostro tempo, Signori. Il nostro tempo fu schiacciato e deriso, smembrato, dilaniato, disperso.

(Antonio Delfini)

Il territorio degli studi sul diario in Italia è piuttosto povero di interventi. La critica europea e d‟oltreoceano ha guardato raramente all‟esperienza diaristica in Italia, e solo in tempi recenti: per quanto riguarda i primi studi, Leleu cita solo Ciano, Leopardi e Mussolini (e si perdoni il singolare accostamento); Girard nomina qualche esempio ma sempre di sfuggita. Va segnalato l‟interesse di un gruppo di studiosi presso l‟Università di Grenoble, riuniti attorno a Michel David, che dal 1975 ha diretto a lungo un Seminario al dipartimento d‟italiano. Come

38 A.GIRARD, Le journal intime…, 20 e sgg.

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segnala lo stesso David, alcuni contributi rilevanti sono emersi da quel seminario: in particolare, riflessioni sui diari pavesiani, sui problemi di semantica del diario, e sull‟immaginario intimo di Calvino. David, che ha sempre sperato di completare una monografia sul diario in Italia, lamenta «la scarsità del materiale da esaminare, o per lo meno, di quanto ne è stato pubblicato, e quindi la scarsità degli studi specifici che una critica poco attenta gli ha finora dedicato».40 Lo studioso, tenendo fermo il

parallelo con la realtà francese, traccia un‟interessante e lucida panoramica sulle proto-forme del diario italiano e sulla prima affermazione di prove diaristiche più o meno a fuoco. Dopo il caso isolato delle Confessioni agostiniane e la prima straordinaria fioritura di libri di conto e di famiglia nel periodo medievale, la scrittura autobiografica sembra giacere in un fondo ovattato per secoli. Tuttavia, le pratiche religiose secentesche andrebbero approfondite, per verificare quanto hanno inciso sulla scrittura privata.

Un ritrovato interesse per l‟autobiografia si traccia a partire dalla triade Gozzi – Goldoni – Casanova che, nel produrre le loro autobiografie negli ultimi due decenni del XVIII secolo, testimoniano la fioritura del genere nell‟area veneziana. Ovvero, dove era forte l‟influenza francese. E così non meraviglia che quando Alfieri nel 1774 si accinge a scrivere i suoi Giornali, scelga il francese per il primo tentativo di diario e, solo dopo un‟interruzione, nel 1777 passa all‟italiano.

Per quanto rilevantissimi e protrattisi fino al Diciannovesimo secolo, i tentativi diaristici restano isolati e, soprattutto, privati. L‟Ottocento italiano e il forte cammino verso l‟Unificazione spostano notevolmente il centro d‟interesse, per quanto Tommaseo scrivesse nel suo Diario intimo «corpo, intelletto, cuore, vita, attributi d‟una sostanza biografica indistinta (o distinta all‟infinito)», per dirla con Contini.41 Tuttavia, non si registrano ad oggi grandi ritrovamenti di diari italiani

duraturi e ricchi come quelli del Tommaseo. Infatti, «sembra che la grande epopea risorgimentale abbia spinto verso l‟azione più che verso l‟introversione psichica che avrebbe favorito la nascita dei diari intimi», anche se «le memorie, i giornali di bordo e gli epistolari rappresentano per il periodo del Risorgimento una gran parte dell‟attività privata e scrittoria degli intellettuali della penisola».42 Sul finire del

40 Il testo risale a una traduzione dello stesso M. DAVID, Il problema del diario intimo in Italia, in Il journal intime e la letteratura moderna…, 79 e sgg. Il testo originale era stato presentato nel 1975 al convegno organizzato dall‟Università di Grenoble (per gli atti, cfr. Le journal intime et ses formes littéraires, a cura di V. Del Litto, Genève-Paris, Droz, 1978). È significativo che a distanza di oltre dieci anni David non rettifichi la sua visione, a testimonianza della lentezza degli aggiornamenti critici sul diario.

41 Cfr. G.CONTINI, Progetto per un ritratto di Niccolò Tommaseo, in ID., Altri esercizî 1942-1971, Torino, Einaudi, 1971, 5-24.

secolo, la proliferazione dei diari pubblicati (cfr. par. 5.3) aumenta la diffusione dei diari, talvolta ibridati con l‟epistolario (come nel caso del Diario per la fidanzata di Svevo del 1896, o il Solus ad solam dannunziano primo-novecentesco), con il libro di lavoro (come per i diari giovanili di Papini dal 1899; o i taccuini pirandelliani tra 1889 e 1910), o con l‟opera filosofica (si fa riferimento, tra gli altri, a Michelstaedter e al suo Sfugge la vita, iniziato nel 1887).

Col Novecento nasce anche in Italia la “moda”43 del diario, la scrittura privata

è ormai sfuggita al vincolo della segretezza, le pubblicazioni roussoiane sono diffusissime e il ruolo della memoria è riconfermato e accresciuto dalla Recherche proustiana. Contemporaneamente, lo studio della psicologia, la diffusione e il dibattito sulle teorie di freudiane hanno alimentato una riscoperta dell‟io, o perlomeno l‟hanno rilegittimata. Lo scrittore, poi, è approdato al Novecento senza la sua aureola e, tra i tentativi per riprendersi dal fango della perdita del ruolo intellettuale, ha provocato i primi rombi avanguardistici mentre calavano e ombre decadentistiche. L‟iniziatore del futurismo italiano Marinetti, benché inneggiasse alla distruzione della letteratura tradizionale, non disdegna i taccuini, che anzi lo accompagnano dal 1915 al 1921 e raggiungeranno oltre le seicento pagine edite.44

Qui Marinetti non viene meno alla sua matrice avanguardistica, che anzi è testimoniata dalla predisposizione «ad una forma di "immaginazione senza fili", aperta alle connessioni più inusitate tra percezione visiva, tattile, uditiva e olfattiva».45

Negli stessi anni i Vociani difendono la legittimità delle scritture dell‟io (cfr. par. 2.3), frequentano il diario e i taccuini senza consegnarli alla stampa: Boine, Papini, Serra e Slataper usciranno postumi; Prezzolini mediterà sulla selezione dei passi e sulla pubblicazione solo dagli anni Quaranta e i volumi usciranno molto più tardi.46 In questo clima di fermento culturale e di animato dibattito sulle riviste

letterarie, sempre più fiorenti, ecco che iniziano a diffondersi diari grazie a Soffici, che ha sperimentato le avanguardie senza mai abbracciarle completamente. Contemporaneamente al primo interesse per il Futurismo, infatti, tiene viva la

43 Negli ultimi decenni l‟attenzione al diario delle persone comuni ha portato alla luce moltissimo

materiale inedito, a testimonianza di come l‟introspezione passasse per iscritto più spesso del previsto. Basti vedere i tantissimi diari ospitati dall‟Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano.

44 F.T.MARINETTI, Taccuini 1915-1921, a cura di A. Bertoni, con introduzione di R. De Felice e E. Raimondi, Bologna, il Mulino, 1987.

45 A. BERTONI, Taccuini e quaderni: un genere novecentesco, «Bollettino „900», 2-3, 1995 (http://www.comune.bologna.it/iperbole/boll900/bertoni.htm).

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collaborazione con gli amici vociani, con «Lacerba» e dà vita alla sua ricerca di scrittura dell‟io. Riconduciamo proprio allo scrittore toscano il primo tentativo di “diario in pubblico” con il suo Giornale di bordo, uscito a puntate su «Lacerba» dal 15 gennaio 1913 e quindi raccolto in volume per la Libreria della Voce due anni dopo con alcune aggiunte.47 Qui sperimenta una forma breve, «riassuntiva, in iscorcio,

sommaria, furbesca, per così dire» (15 aprile), bella ibridazione di quadri impressionistici, narrazione, e io (ma un io molto celato dietro alla maschera creativa e al ruolo di artista poliedrico, visuale, letterato e critico al tempo stesso), in una «frantumata puntigliosità d‟osservazioni».48 D‟altra parte, Soffici stava da

tempo cercando un modo per esprimere sé stesso: dopo il precoce Ignoto toscano del 1909, nel 1912 aveva provato con l‟allotropo Lemmonio Boreo, che tuttavia aveva riscosso più critiche che applausi. Tra il 1918 e il 1919 ferma l‟esperienza bellica in Kobilek e nella Ritirata dal Friuli, ma troviamo anche in questa data un esperimento interessante di contaminazione tra diario e narrazione: La giostra dei sensi, un librettino che registra l‟esperienza erotica di un soldato a Napoli (cfr. par. 4.4). Non molto fortunato l‟episodio autobiografico ma allotropo del Taccuini di Arno Borghi del 1933, e ancor meno apprezzato il Giornale di bordo II, ritenuto povero dell‟ispirazione del primo esperimento. Ricordiamo infine l‟esperimento di Sull‟orlo dell‟abisso, che Soffici scrive in un‟autoantologia con Prezzolini: i Diari 1939-1945 si concentrano sull‟esperienza della Seconda Guerra Mondiale, già a cominciare dalla delimiticazione temporale.49

Dunque, Soffici fa rivivere nelle sue scritture entrambe le guerre mondiali, rivissute in una prospettiva individuale. Questo ci permette di riflettere sul fatto che il primo conflitto mondiale alimenta ulteriormente la diffusione della pratica diaristica (e non del genere), con la volontà di ricordare e di essere ricordati, di lasciare una prova tangibile delle proprie esperienze. Le memorie, appuntate su supporti di fortuna, sembrano sdoganare definitivamente la privatezza del diario.

47 In rivista il «Giornale di bordo» finisce con il 15 dicembre 1913; manca l‟ultima quindicina (lo

leggiamo e citiamo da A.SOFFICI,Opere, Firenze, Vallecchi, 1961, IV). Cfr. par. 5.1.

48 G. MARCHETTI, Ardengo Soffici, Firenze, La Nuova Italia, 1979, 29. Luigi Russo annota precocemente che Soffici ha contribuito alla creazione di un nuovo genere, «che difatti ha avuto molta fortuna tra i nostri scrittori giovani, frammentati, autobiografici, spiritosi, sempre in vena di confidenze; ma per lo scarso favore che gode nella nuova cultura la distinzione dei generi letterari, è assai probabile che i trattatisti dimenticheranno di registrare cotesta che egli ambisce per la sua gloria più originale, e si contenteranno di richiamarsi al genere autobiograafico che è il genere principe della letteratura italiana negli ultimi cinquant‟anni» (L. RUSSO, I Narratori, Roma, Fondazione Leonardo per la cultura italiana, 1923, 194).

49 A. SOFFICI – G.PREZZOLINI, Diari 1939-1945,Milano, Le Edizioni del Borghese, 1962. Se ne parla diffusamente nel par. 3.7; per i problemi relativi alla pubblicazione, cfr. par. 5.3.

Ricordiamo le poche ma intense pagine private di Serra e del suo Diario di trincea, tenuto fino a poco prima di morire; o i tanti giornali gaddiani, tenuti con una cura maniacale per date e luoghi, a dimostrare l‟importanza dell‟esserci. E qui si affermano i diari poetici (il primo era stato inaugurato in ambito vociano dal Pianissimo di Sbarbaro), tra cui è superfluo ricordare Ungaretti dell‟Allegria per la Prima Guerra Mondiale e Sereni con il Diario di Algeria nella Seconda. Secondo Segre, la forte produzione di scritture dell‟io nel Novecento è da imputarsi alla ricerca di testimonianze:

Senza dare soverchia importanza a se stessi, talora non dandone affatto, gli autobiografi hanno ritenuto necessario lasciare memoria di quanto hanno visto o sofferto; oppure di personaggi che hanno frequentato. Sono consapevoli che il mondo moderno ha creato, tramite meccanismi autoritari precedentemente impensabili, orrori altrettanto impensabili, e infatti a lungo incredibili; ma che, specialmente nella seconda metà del Novecento, questo mondo impedisce la maturazione di grandi personalità, rilevate e caratterizzate tanto nel loro lavoro quanto nel loro agire, tanto nel loro parlare quanto nel loro apparire. […] Le autobiografie sperano, o s‟illudono, non solo di enunciare, ma di far rivivere gli aspetti anche meschini e miserabili di quei tempi.50

In quest‟ottica, l‟autobiografo (e così il diarista) non eroico deve puntare sull‟understatement, senza voli pindarici, talvolta sfruttando ironia e sarcasmo. Proprio l‟invadenza della storia agisce sui diaristi italiani, distogliendoli dall‟io rispetto a quanto accadeva ancora in Europa. Lo vediamo nel periodo fascista: non pare una mera coincidenza con il fatto che l‟inasprimento della censura coincida con l‟aumento dei diari. Se negli anni Venti iniziano a scrivere diari Delfini, Dessì, Alvaro, negli anni Trenta si infittiscono le note di tutti, riprendono i taccuini di Papini, iniziano i diari di Bigongiari, De Libero, Pavese, si moltiplicano le note di Prezzolini. Intanto, si diffondevano i diari di Green, Gide e Valéry, esempi senza pari per gli italiani. Tuttavia, le esperienze ravvicinate con la dittatura e con l‟avvicinarsi di un‟altra guerra mondiale mutano le funzioni e l‟idea stessa di scritture dell‟io. Il diario diventa allora un macrocontenitore sempre meno egocentrato, e più soggetto alle influenze del mondo esterno. Da un lato, è proprio la storia a irrompere e a declassare l‟io a cassa di risonanza e cronachista (cfr. par. 3.7); dall‟altro, il mondo viene attraversato e registrato, descritto e fermato in istantanee di viaggio di tanti diaristi, che rileggono in chiave moderna l‟idea del giornale di bordo. Tutta l‟esperienza bellica è seguita da vicino, in diari appositi o nel proprio diario, che fa spazio a tanti frammenti sulla guerra. Sfoghi (Loria),

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cronache (Alvaro, Prezzolini), ansie personali e universali (Santi), esperienze dalle fila dei soldati (Bianciardi) riempiono le pagine dei primi anni Quaranta.

Si spiega meglio, così, la «tentazione» di scrivere cose che

lasciano come un fucile sparato, ancora scosso e riarsi, vuotato di tutto se stesso, dove non solo hai scaricato tutto quello che sai di te stesso, ma quello che sospetti e supponi, e i sussulti e i fantasmi, l‟inconscio – averlo fatto con lunga fatica e tensione, con cautela di giorni e tremori e repentine scoperte e fallimenti e irrigidirsi di tutta la vita su quel punto – accorgersi che tutto questo è come nulla se un segno umano, una parola, una presenza non lo accoglie, lo scalda – e morir di freddo – parlare al deserto – essere solo notte e giorno come un morto.51

Quando Pavese scrive questo appunto è il 27 giugno 1945, la guerra trasuda dal lessico bellico, intrecciato con l‟interesse tutto novecentesco per l‟inconscio, che tuttavia si fonda con la funzione etico-moralistica di registrare via via i cambiamenti del mondo esterno (cfr. par. 3.7). In questa chiave Vittorini giustifica l‟autobiografia, nell‟introduzione al Diario di un soldato semplice di Raul Lunardi, in uscita per i Gettoni einaudiani nel giugno 1952:

In Italia si ha bisogno di autobiografia. Né il saggio storico né la letteratura creativa possono adempiere al compito di registrare i mutamenti cellulari della storia in seno alla vita privata. Resta l‟autobiografia esplicita per poterlo svolgere […].52

Dalla Seconda Guerra Mondiale i diaristi italiani escono disillusi, continuamente frustrati e delusi, come testimoniato nel già citato diario firmato da Prezzolini e Soffici o nel Diario di prigionia di Guareschi. Non si creda però che anche nei periodi bellici le vicende personali siano state completamente abbandonate: non si spiegherebbero altrimenti i diari di Aleramo, dedicati principalmente all‟amore per Matacotta; o i capricciosi frammenti di Barilli, tanto egocentrici e stravaganti; o le avventure erotiche di Santi; o anche le preoccupazioni stilistiche di Cecchi, i tanti incontri di Ojetti. Frammento e discontinuità, sposati con la precisione di data (e talvolta luogo), si incrociano con l‟esperienza solariana, che attribuiva ampia importanza alla memoria, declinata nelle più diverse pratiche. In breve, se la storia è un tema imprescindibile e condizionante, non esaurisce però i diari.

51 C.PAVESE, Il mestiere di vivere…, 317-318.

52 E. VITTORINI, Diario in pubblico. Autobiografia di un militante della cultura [1957], Milano, Bompiani, 1976, 340; anche ID., Introduzione, in R.LUNARDI, Diario di un soldato semplice, Torino, I Gettoni Einaudi, 1952.

Intanto, nel Dopoguerra la ritrovata libertà di stampa richiede un tempo per riabituarsi ai giornalisti e agli scrittori che per anni avevano dovuto trovare altri luoghi per la denuncia del regime: autobiografie mascherate di romanzo, ambientazioni altre, allusioni tanto coperte da passare le censure,… Anche i valori sociali erano stati messi a dura prova: la sopravvivenza aveva surclassato l‟onestà, la dignità, la castità. L‟ironia, quando esercitata, si fa sarcasmo a tratti irritante e scomoda denuncia, come nel dissacrante Parliamo dell‟elefante di Longanesi. E così il Dopoguerra porta con sé non solo le speranze per il futuro, ma una viva esigenza di ricostruzione, fisica e morale. Un primo segnale si trova nei diari dell‟epoca, avviati spesso sulle pagine dei quotidiani: tra gli altri, nel 1947 parte il “Diario” di Brancati sulle pagine del «Tempo illustrato» e del «Corriere della Sera»; proseguono i contributi di Vittorini che confluiranno poi nel Diario in pubblico nel 1957 (cfr. par. 5.1).

Nel privato, si moltiplicano i diari che si preoccupano del tempo che passa: su tutti, si leggano le scritture di Sanminiatelli, ma anche Prezzolini, Papini, Alvaro, Ottieri. Anche il secondo diario di Aleramo, Diario di una donna, dedica la stessa attenzione al mondo circostante e all‟amore. Via via, la critica moralistica più amara (Alvaro) o ironico-satirica (Flaiano) porta gli scrittori a chiedersi come scrivere ancora i diari e a cosa possano servire. Secondo Cortellessa,

laddove il diarista manifestante del primo Novecento accoglieva nel suo capace zibaldone ebdomadario pressoché tutto ciò che gli capitasse a tiro nel ricchissimo “pandemonio” della frenetica città moderna, disponendo con gusto pittorico sulla pagina gli elementi vari colti dal suo agile occhio di impressionista, il diarista malinconico e introflesso del secondo Novecento prova anch‟egli un horror vacui di fronte alla pagina accusatoriamente bianca del suo diario e sente l‟esigenza di riempirla, ma non può farlo in altro modo che con materiali propri, cercando disperatamente un altrove intangibile.53

La dimostrazione più calzante si ha nei tre diari di Landolfi, che risalgono rispettivamente al 1953-1963-1967. In quell‟epoca il diario è ormai un genere riconosciuto; tante rubriche sui quotidiani hanno nel loro nome “diario” e i confini tra scrittura privata e pubblica sono sempre più labili. Lo stesso Landolfi scrive sul «Corriere della Sera» pagine di un Diario a rovescio (17 novembre 1969) e tiene per un po‟ un “Diario perpetuo”, soprattitolo di una serie di uscite del 1976, secondo la

53 A. CORTELLESSA, Caetera desiderantur: l‟autobiografismo fluido nei diari landolfiani, in Le lunazioni del cuore: saggi su Tommaso Landolfi, a cura di I. Landolfi, Firenze, La Nuova Italia, 1996, 77-106.

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

«poco raccomandabile abitudine di mettere il naso tra vecchie carte».54 Così, tipico

del secondo Novecento, alcuni scrittori interpolano il genere con la finzione, lo sfruttano con maggiore libertà, travasandolo continuamente.

Nel 1963 escono Rien va di Landolfi, In quel preciso momento di Buzzati e Il permesso di vivere di Sanminiatelli: i primi due hanno si misurano giocosamente e liberamente con il diario, talvolta criticando il genere con note metaletterarie e deridendo le cristallizzazioni della tradizione; il terzo è invece un diario egovertito e più tradizionale, una scrittura che sembrerebbe privata, se non si sapesse che Sanminiatelli scriveva col pensiero della pubblicazione. Dunque, le tante differenze sono però appianate dall‟idea che in tutti e tre i diari gli autori scardinano gli statuti tradizionali.

Pubblicare in vita i diari è un‟abitudine che non stupisce nessuno, e anzi porta alcuni scrittori a proporre riedizioni accresciute: Santi nel 1968 raccoglie nella Sfida dei giorni il primo diario del 1943-1946, cui si aggiunge un secondo recente (1957- 1968) e inedito. Nel 1973 e nel 1975 Soldati accetta di riunire in volume le prose del suo diario in pubblico tenuto sulle pagine di numerosi quotidiani e partecipa all‟organizzazione cronologica e alla selezione. Nel 1979 esce anche il diario di Sciascia, Nero su nero, che, per quanto non abbia una scansione temporale regolare ed esplicita, fa della scrittura frammentistica, disorganica e umorale, una delle sue costanti. Se i rapporti con Brancati del Diario romano sono innegabili, gli è più distante il Vittorini del Diario in pubblico: Sciascia prende le distanze nell‟operazione di ricostruzione a posteriori, ma riconferma l‟istanza sottesa al diario vittoriniano: la rivendicazione della propria autonomia di giudizio. Strutturalmente, invece, come suggerisce Ricorda, si ha «un presente registrato nel suo divenire, un succedersi di annotazioni solo marginalmente ritoccate nel passaggio dalla primitiva sede di pubblicazione, il giornale»:55 dalla collazione con gli articoli usciti sul «Corriere della

Sera», la studiosa ha riscontrato interventi minimi, con poche ma significative omissioni. Se le convergenze tra i diari di Sciascia e Brancati sono innegabili (letture, valutazioni dei testi, atteggiamento nella società), anche l‟influenza di Alvaro è rilevante. Questo per dimostrare come i diari novecenteschi, pur rinnovandosi continuamente, dialogano (o discutono) in un movimento instancabile tra scrittura, confessione, e lettura dei diari degli altri.

54 I testi sono stati ora raccolti in T. LANDOLFI, Diario perpetuo. Elzeviri 1967-1978, a cura di G. Maccari, Milano, Adelphi, 2012 (cit. ivi, 284).

55 Cfr. R. RICORDA, Sciascia e la forma diaristica, in Non faccio niente senza gioia. Leonardo Sciascia e la cultura francese, Milano, La Vita Felice, 1996, 53-64.

Si è scelto di non addentrarsi nel mondo del diario digitale innanzitutto per necessità di circoscrivere il campo oltremodo sterminato; degli anni Ottanta si riportano le esperienze di Prezzolini e Bigongiari, che hanno proseguito senza mutare sostanzialmente lo stile del proprio diario per lunghissimo tempo (ottantadue anni per il primo; sessantaquattro per il secondo). Se quindi la nostra campionatura si spinge fino al 1997 con Bigongiari è solo perché sarebbe stato insensato fermare l‟analisi a una data arbitraria, quando per stile, funzioni e tematiche i diari testimoniano una continuità.