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Intus et in cute: l‟io in profondità

Nosce te ipsum. Mon moyen, c‟est ce journal. (Stendhal, 10 agosto 1811)

L‟imperativo delfico, qui ripreso nell‟epigrafe di Stendhal, è declinato diversamente nei diari. Al di là delle singole personalità, i cambiamenti storico- sociali e i diversi livelli culturali concorrono a mutare diacronicamente e diastraticamente la ricerca ontologica e gnoseologica dell‟io. L‟identità, quand‟anche realizzata o raggiunta attraverso l‟introspezione, non è mai conquistata definitivamente: non è un trofeo, ma una gara da disputarsi di giorno in giorno.1 Nei suoi Taccuini del 1916 Cecchi commenta: «Chi si trova presto,

presto si perde, perché la vita è soltanto nel cercarsi».2

Nella reciprocità di rapporti tra la vita dell‟individuo e lo spazio circostante, la grafia occupa un ruolo fondamentale: Gusdorf ha intitolato Auto-Bio-Graphie il secondo volume dei suoi Lignes de vie, per sottolineare come la fusione delle tre componenti influenzi la storia umana: «l‟ontogenèse imite la phylogenè»; la grafia permette di esternare pensieri prima limitati all‟interiorità o all‟oralità, di entrare direttamente nella mente di un altro individuo. Con il passaggio dall‟homo loquens all‟homo scriptor, la coscienza, prima prigioniera del presente, ha la possibilità di eternarsi con la scrittura, di prendere le distanze da sé e di misurarsi, perdersi e ritrovarsi nel tempo: «Avec un recul, une efficacité plus ou moins grands, la Graphie énonce l‟identité du scripteur (autos), en un moment précis dans la perspective de sa destinée (bios)».3

1 «On imagine d‟ordinaire l‟identité personnelle comme une réalité fixe, donnée une fois pour

toutes dans un espace abstrait et absolu […]. Or l‟être personnel d‟un humain n‟est pas assuré dans le temps; il varie avec le temps» (G.GUSDORF, Auto-bio-graphie. Lignes de vie 2…, 10-11).

2 E.CECCHI, Taccuini…, 214.

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

Nei diari, parafrasando lo studio di Gilot, si avverte il bisogno di dire qualche cosa di sé, o più ancora, di dirsi qualche cosa, in un processo che passa dallo scopo memoriale all‟esorcismo, quindi dall‟esorcismo all‟invenzione di sé stessi:

La position des auteurs de journaux intimes est très différente: ils semblent avoir écrit d‟abord pour préserver, pour défendre leur personnalité; puis, pour la renforcer; et enfin, après 1780, peut être pour la créer, dans et par l‟écriture.4

Gli studi sulla diaristica si sono chiesti con insistenza anche eccessiva chi siano i diaristi e se vi siano delle condizioni caratteriali più inclini alla ricerca di quella «conoscenza personale» basata sull‟attenzione che coinvolge sé stessi, le altre persone, e in generale il mondo.5 Negli anni Cinquanta Michel Leleu, riprendendo

la scuola di Le Senne, sostiene che un carattere è il risultato della combinazione diversa di tre proprietà: l‟“emotività” e l‟“attività”, proprietà esplicite che esercitano una “funzione primaria”; quindi le “ripercussioni”, che ricoprono una “funzione secondaria”. Quest‟ultima componente è particolarmente importante per il journal intime, se consideriamo che l‟avvenimento è sempre un ricordo, per quanto recente: ogni diario è, in accordo con Leleu, frutto di un ripensamento. Sulla base della predominanza di una componente sull‟altra, Leleu individua tre caratteri generali: il sentimentale (che è emotivo, inattivo, secondario); il nervoso (emotivo, inattivo, primario); il passionale (emotivo, attivo, secondario). Nel corso della vita, i tratti del carattere, talvolta sopiti, possono riemergere grazie alla scrittura intima, strumento incomparabile per trasformare sé stessi o per crearsi. Per Leleu saranno più propensi al diario i caratteri con una componente secondaria, ovvero il tipo sentimentale e il passionale.

La teoria di Leleu, per quanto suggestiva, ha il limite invalicabile di fondarsi su una metodologia tassonomica che pretende di imbrigliare scientificamente personalità umane. Tuttavia, con varie cautele, le sue riflessioni tornano più volte negli studi successivi. Una decina d‟anni dopo, Alain Girard, nel suo Le journal intime, dedica un‟intera sezione all‟immagine della persona entro il diario, e rintraccia punti comuni e differenze tra diaristi francesi vissuti nello stesso periodo. Ne deduce che, pur vivendo gli stessi eventi, cambia come si vivono. Il diarista, nel suo percorso di conoscenza di sé, attraversa tre fasi: innanzitutto la ricerca di sé, quindi la perdita e infine la conquista. La ricerca si innesca quando il diarista non si accetta: si vorrebbe diverso, più aderente a un modello ideale; non

4 M.GILOT, Quelques pas vers le journal intime, in Le journal intime et ses formes littéraires…, 9.

si erige a giudice, né conosce rivolta ed entusiasmo, ma vive nel proprio mondo interiore con solitudine. Conoscersi è un modo per arrivare a essere più semplici e così integrarsi con l‟universo, provando felicità. Quando prevalgono autismo e narcisismo, il diarista sa di essersi perso: attraversa quindi un periodo (di lunghezza variabile) per prendere coscienza del proprio corpo, con frammenti dedicati alle funzioni biologiche e alla salute fisica. Come conferma Alvaro, «il distacco dall‟Io è sempre penoso e coincide quasi inevitabilmente con un pianto disperato».6 Il sentimento onnipresente di fallimento è termometro

dell‟insoddisfazione per il proprio ruolo nella società: «Per la prima volta in vita mia non so essere come mi voglio. Mi trovo pieno di timori, di solitudinerie, non parlo, non imparo, non m‟arrischio», scrive Slataper nel diario di viaggio del 1911.7 Il ricordo dell‟insoddisfazione recente è vissuto come un atto mancato, e

gradualmente l‟intero passato diventa una successione di atti mancati. Secondo Girard, il senso di estraneità del diarista coinvolge non solo i legami sociali ma anche il rapporto con sé stesso:

Le journal apporte une image de la personne dans les moments où elle ne se possède pas elle-même, mais se cherche et s‟interroge parce qu‟elle ne s‟est pas trouvée. Le sujet n‟ignore pas qu‟il ne peut se connaître et se saisir en tant que sujet, hors de l‟acte par lequel il se crée lui-même. Quand il se regarde, parce qu‟il n‟a pu parvenir à se créer, il est tout objet ou toute passivité, absent à lui-même, comme il est séparé de la communauté des hommes, étendant à l‟univers entier le doute qui est en lui.8

A questo punto, il diarista può dedicarsi a conquistare sé stesso, dal momento che la scrittura non è inerte, ma modifica l‟io:

Le moi, qui est dans le corps, et par suite dans le temps comme dans l‟affectivité liée au corps, est aussi dans le temps, incarné dans le temps comme dans l‟espace. Au lieu d‟être un, résistant et semblable à lui-même, il est multiple, friable et successif.9 Da questa caccia all‟io si diramano le diverse funzioni che il diario ha assunto negli anni: dall‟impiego psicoterapico al risvolto etico, estetico, religioso. Infatti, tutte queste funzioni secondo Girard si riducono a una sola (la conquista dell‟io,

6 C.ALVARO, Quasi una vita [1950], Milano, Bompiani, 1959, 286.

7 S.SLATAPER, Appunti e note di diario…, 192. 8 A.GIRARD, Le journal intime…, 513.

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appunto), che spiega il carattere principale di un diario autentico: la sua necessità.10 Si veda il pensiero di Landolfi:

10 [giugno 1958]

Non energia mattinale: quotidiana. Si può giurare che io non avrei, in primo luogo messo penna in carta, e comunque cominciato a scrivere questo diario, non fosse stato per necessità (igienica). Codesto aggettivino tra parentesi è in senso letterale; non di igiene dello spirito si tratta, ma del corpo; queste qualunque pagine son quelle che mi permettono in questi giorni di sopravvivere fisicamente.11

Oltre a esaminare le fasi che attraversa il diarista, Girard sposa con altri studiosi (tra cui Gusdorf) la teoria dello sdoppiamento e, anzi, della reduplicazione dell‟io nel diario. Persona, personaggio e personalità sono distinti: il personaggio principale non è uno solo, ma sono tutti gli individui che vengono conosciuti e incontrati nelle pagine del diario. Quanto al soggetto, questo non si abbandona veramente mai (la perdita di sé è un sentimento transitorio): si duplica in un io- soggetto che guarda e un io-oggetto che si proietta fuori da lui («Qualche volta càpita di sdoppiarsi. Ci si vede come ci vedono gli altri. E si perde prestigio di fronte a se stessi»).12 In questo sforzo di riequilibrare osservazione e vita, l‟io deve

riuscire a «non divaricarsi fino a sbranarsi», per dirla con Ottieri.13 L‟io-soggetto è

l‟“io” della prima persona, il principio attivo che sta dietro i diversi personaggi e li unifica entro una personalità. Personalità che non esiste solo nel presente, ma che dal passato si prolunga fino al futuro, congiungendo le diverse dimensioni temporali.14

In questo processo, secondo Girard i diari non testimoniano il fallimento di una personalità, ma il suo progresso nell‟adattarsi alla vita. Con grande lungimiranza (il saggio è uscito nel 1963), Girard riconosce nell‟intimismo

10 «Le journal, signe tangible de l‟observation intérieure, résultant elle-même de l‟attention portée à

soi, correspond pour le sujet qui l‟écrit à une nécessité impérieuse» (ivi, 526). Cfr. anche ivi, 542 e sgg.

11 T.LANDOLFI, Rien va…, 19.

12 C.ALVARO, Quasi una vita…, 249.

13 «Scrivere significa tirare i remi in barca, tirare la rete, anche se ci rimane solo un pesciolino.

Finché la rete sta sommersa, tutto è possibile, ma nulla ancora esiste. Nello sforzo, nella tensione, fra l‟osservare, il vivere, e il tirare la rete artistica o logica – non divaricarsi fino a sbranarsi» (O.OTTIERI, La linea gotica…, 200).

14 «L‟individu ne s‟abandonne pas. Il se dédouble en un moi-suject qui regarde et un moi-object

qu‟il projette hors de lui. Le moi-sujet, c‟est le « je» de la première personne, le principe actif qui relie entre eux les différents personnages et les unifie dans une personnalité» (A.GIRARD, Le journal intime…, 545).

novecentesco la funzione di «mantenir un principe d‟inquiétude personelle au sein d‟un monde qui s‟en soucie peu»: il ripiegamento interiore è una difesa, non priva di funzioni sociali e religiose.

Gusdorf concorda sulla funzione «rimodellante» della scrittura:

le passage de l‟inconsistance du vécu à la consistance de l‟écrite implique un remodelage de l‟espace du dedans, en vue de sa projection dans l‟espace géométrique à deux dimensions du papier.15

Anche il diarista che sceglie la via del soliloquio, inteso come un flusso coscienziale più o meno vigilato e consapevole, si percepisce come una sorta di «eroe», in una situazione teatrale straniante.16 In questo modo, tra l‟oggetto e la

sua immagine si operano «transubstanziazione», «denaturazione», «disincarnazione», in attesa della successiva «reincarnazione»:17 ancor più che di duplicazione, Gusdorf

suggerisce di parlare di una materializzazione e di una proiezione successiva della coscienza individuale nello spazio esterno.18 Nell‟atto stesso di scrivere di sé, ci si

confronta con la verità storica e l‟autenticità personale: infatti, il diarista si misura con un “dover essere” che mette in causa il passato e il presente, accompagnato da un senso di colpa palese o latente.19 In questo senso, qualsiasi scrittura

autobiografica è riformatrice, perché ha un carattere creatore ed edificante, alla ricerca di una verità che esprima appieno l‟essere intimo: il diarista deve scoprirsi e conquistarsi.20 L‟impresa è tutt‟altro che semplice, poiché questa verità è una

sostanza «fluida», disseminata nell‟intimo: l‟uomo non è «trasparente a se stesso».21

15 G.GUSDORF, Résumé des chapitres précédents, in ID., Lignes de vie. 1…, 14. Si riprendono qui le teorie di Condition et limites de l‟autobiographie, in ID., Formen der Selbstdarstellung, Analekten zu einer Geschichte des literarischen Selbst-porträts, Berlin, Duncher und Humbolt, 1956.

16 «The diarist who more or less consciously identifies his practice of diary-writing with the

soliloquizing habit is perceiving himself by definition in a theatrical situation, the hero, solus» (R. A. FOTHERGILL, Private Chronicles…, 118).

17 G.GUSDORF, Résumé des chapitres précedents…, 22.

18 Cfr. ID., Ecriture comme alchimie, in ID., Lignes de vie 1…, 130 e sgg.

19 «L‟auteur d‟une autobiographie, d‟un journal intime ou d‟un autoportrait se trouve doublement

impliqué dans ses écritures ; il est lui-même la mesure et le critère de ce qu‟il écrit, à la fois meneur du jeu, arbitre du jeu et enjeu du jeu. […] Le caractère propre des écritures du moi serait donc une culpabilité latente, ou du moins une situation à redresser» (ivi, 127).

20 «L‟homme est proposé ou imposé à lui-même comme une tâche, un domaine à explorer et à

conquérir» (ID., Moi Michel de Montaigne, in ID., Lignes de vie 1…, 29).

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Ogni scrittura dell‟io, prezioso «strumento di investigazione personale»,22

risponde a intenzioni analoghe: mette nero su bianco la presa di coscienza individuale, portandola fuori dal dominio interiore.23 Conduce verso la spietata

scoperta di sé, che comporta un giudizio, spesso impietoso, verso il passato ma anche verso la propria persona; non riuscire a raggiungersi è, d‟altro canto, una disperazione pari, se non maggiore: «Non so chi sono, non lo saprò, è il mio eterno tormento», scrive Sanminiatelli il 15 aprile 1963.24 In questo senso, il diario

non è una scrittura indifferente, ma è una «réduplication de la personnalité»:25 Les écritures du moi sont des gloses sur le moi, une gnose du moi. Au départ, l‟expérience ontologique du manque d‟être, l‟appel d‟être. Mais l‟exigence métaphysique se trouve réprimée, comprimée dès le départ, dans les limites de la personnalité; le sujet reste un je, qui se refuse à transférer sa problématique dans l‟ordre du moi.26

Rifiutando di coincidere con la propria immagine,27 il diarista resiste contro il

tentativo della società di appiattire la sua personalità su modelli prestabiliti. Nello studiarsi, proietta nello spazio esterno la propria coscienza implicita, trasgredendo così ai limiti del dominio privato. In particolare, il diario prende atto della progressione della coscienza individuale e della sua autonomia rispetto al resto degli avvenimenti. Contrariamente all‟autobiografia, che postula l‟identità attraverso la narrazione retrospettiva, il diario si muove tenendo una distanza rispettosa dal suo segreto, studiando l‟interconnessione tra mondo interiore e

22 ID., Ecriture comme alchimie…, 126.

23 «À travers la singularité, elle évoque et invoque l‟universel» (G. GUSDORF, Moi Michel de

Montaigne…, 36).

24 B.SANMINIATELLI, Quasi un uomo…, 21.

25 G.GUSDORF, Ecriture comme alchimie…, 130.

26 ID., Prologue dans le ciel. Prolog im Himmel, Faust I, in ID., Lignes de vie 1…., 116.

27 Nel seguente frammento, Sanminiatelli autoanalizza il proprio sentimento di rabbia attraverso la

metafora: «Settembre 7. Da tempo mi accorgo di covare una rabbia che continuamente si rigenera, forse perché coltivata meticolosamente. S‟è infiltrata nel mio sangue, fa parte del mio organismo. Penso a un fungo che cresce da un terreno umido e selvaggio, incappucciato di foglie putre e di sterpi. Se li tira dietro man mano che si solleva e lo nascondono alla vista. È d‟un verde fresco e intenso, liscio, lucido come le raganelle. Lo paragono alla mia crescita. Questo fungo spontaneo, immacolato, l‟ho coltivato con materie velenose, e crescendo alla luce è diventato malefico. Era il solo dono ch‟io potessi fare di me stesso a una società controllata, a una civile collettività. Io sono quel fungo. Sulla mia tomba dovranno buttarci la calce viva come si fa dove si sotterrano i cani idrofobi» (B. SANMINIATELLI, Il permesso di vivere…, 228-229).

mondo esterno.28 Non è raro che la scoperta sia tanto sconvolgente da suscitare

una «fuite devant le moi», nella percezione della sua «vaporisation», «dissolution dans l‟inconsistance».29

Il movimento che compie il diarista è a doppio senso: va da un esterno, rappresentato dal mondo circostante, dispersivo, molteplice, avverso, a un interno, ovvero l‟interiorità ritrovata,30 benché spesso confusa e caotica.31

Nell‟avvertimento della dicotomia oppositiva dentro-fuori, il diario spesso piega verso risvolti morali o metafisici. Soprattutto nell‟Ottocento, la dissociazione dell‟io si declina come scissione tra corpo e anima, che porta al privilegio del primo (come Kierkegaard) o del secondo (Joubert). In entrambi i casi, il diarista è incapace di convivere con le due realtà che lo compongono.

Nel Novecento italiano, l‟intellettuale tende a distinguersi dalla massa; non per atteggiamento snobistico, ma per profonda delusione a causa della corruzione e dell‟omologazione sempre più estreme. Emblematico il frammento di Soffici del 23 dicembre, quando scrive nel suo Giornale di bordo: «Definizione. | Io: Tutti i più

28 Cfr. G.GUSDORF, Aveux complets, in ID., Lignes de vie 1…, 347-385. Già nel suo Conditions et

limites de l‟autobiographie, Gusdorf affrontava l‟argomento. Lo citiamo nella traduzione italiana: «Dialogando con se stesso lo scrittore non tenta in alcun modo di dire una parola definitiva, che siglerebbe la fine della sua vita, ma tenta solo di stringere più da vicino il senso sempre segreto e mai respinto del suo destino» (nella raccolta di saggi a cura di B.ANGLANI, Teorie moderne dell‟autobiografia…, 16); e ancora: «La creazione artistica è una lotta con l‟angelo, in cui il creatore sa di dover perdere di fronte a un nemico che è egli stesso: combatte contro la propria ombra, certissimo com‟è di non poterla afferrare mai» (ivi, 18).

29 ID., Aveux complets…, 371. E così poco prima: «Les journaux intimes authentiques sont rédigés

en premier lieu pour répondre à l‟exigence propre de leurs auteurs, qui s‟y adonnent lors même qu‟ils ont pris conscience de la vanité du projet initial de la connaissance de soi. Le but poursuivi n‟a pas besoin d‟être la chimérique entrée en possession d‟une essence ontologique de l‟être; il peut s‟agir seulement d‟un inventaire des horizons de la personnalité. Se découvrant étranger à lui-même, le sujet entreprend une exploration de cet espace du dedans qui cautionne l‟ensemble de sa vie; il prend du recul par rapport à soi-même et se familiarise avec son être personnel» (ivi, 351).

30 «S‟il est un mouvement constant chez le diariste, c‟est celui qui va d‟un dehors à un dedans. Le dehors, c‟est l‟univers entier: les autres, la vie active ou sociale, le métier, l‟événement historique, les divertissements. Le dedans, c‟est cette bienheureuse intériorité que le journal permet de découvrir, de développer – ou de créer, diront les sceptiques. Cette opposition en recouvre d‟autres, et prend souvent une coloration morale ou métaphysique. L‟extérieur, c‟est la dispersion, la multiplicité, le mal. Le dedans, c‟est le moi retrouvé, l‟unité, le bien» (B.DIDIER, Le journal intime…, 87).

31 Così per Sanminiatelli, che il 14 giugno 1966 scrive: «Quando razzolo nel fondo di me trovo

sempre la medesima confusione, il medesimo intrigo di tendenze contrarie. L‟istinto di difesa mi porta all‟ansia di spersonalizzarmi, l‟angoscia della scelta mi fa invocare l‟assurdo, la scoperta della ragione sotto ai sentimenti che provo scavando nella realtà mi riporta di nuovo al dubbio che è sotto la ragione. Il voler chiarire alla lunga mi ha roso, mi ha distrutto. Questo continuo rischio mi pone ambigui interrogativi nella più affannosa ricerca di me stesso. Ma forse la soluzione è già vissuta senza che io lo sappia» (B.SANMINIATELLI, Quasi un uomo…, 238).

Gloria Maria Ghioni – Quasi un secolo, tra „cronaca‟ e „fantasia‟. Corrado Alvaro e la diaristica italiana

bassi istinti, ma buon gusto abbastanza per non metterli in piazza».32

Contemporaneamente, si ha la percezione del proprio cambiamento nel corso del tempo, e l‟io di ieri non è conosciuto all‟io odierno, come nel seguente frammento di Buzzati:

MIELE E VELENO. “Sa che lei è proprio bravo? Io letto tutto quello che scrive lei.

Sempre interessante. E la sua cosa che mi è piaciuta di più? Aspetti… era un racconto… parlava di una vecchia casa abbandonata…”.

A questo punto capisco. Si tratta di una novella scritta novant‟anni fa, quand‟ero ancora bambino.

Molta gente, nel complimentare un artista, ha questa cattiveria: di lodare non le sue opere recenti, che sono veramente sue, ma lavori vecchissimi il cui vero autore non esiste più. Perché l‟io di vent‟anni fa è per me un estraneo, col quale ho ben poco in comune. E se ha scritto qualcosa di veramente bello, quasi mi fa rabbia. L‟io a cui voglio bene è quello di oggi, tutt‟al più di ieri, dell‟altro ieri. Più in là, è uno straniero sconosciuto i cui meriti non mi fanno né caldo né freddo.33

Essere consci delle proprie caratteristiche, anche quelle deteriori (sempre ammesso che non vi risuoni un compiaciuto maledettismo), non comporta poi la