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I L GOVERNO DELLE ACQUE IN I TALIA

1. D AL FIUME BUROCRATICO ALLA GESTIONE INTEGRATA DEI BACINI L’acqua in Italia 1933-1989: la stagione degli interventi settorial

1.2. La difesa del suolo e la legge

Come già detto, in un‘ottica in cui l‘acqua veniva considerata quasi esclusivamente come fattore per la produzione e per i fabbisogni umani, i corsi d‘acqua erano visti in maniera per lo più funzionale. Per decenni l‘unica forma di ―governo delle acque‖ è stata rappresentata dal controllo delle stesse, o meglio dalla cosiddetta ―difesa del suolo‖ (dalle acque, appunto).

Prima del 1989 questo settore era dominato da un‘impostazione fortemente vincolistica, basata cioè sul ―vincolo idrogeologico‖ come strumento passivo di tutela (Borelli 2008). Nel 1989 la legge 183 sulla difesa del suolo introduceva gli elementi per dare avvio ad una gestione razionale e pianificata della risorsa. La legge suddivideva il territorio nazionale in bacini idrografici, suddivisi in tre categorie (bacini di interesse

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nazionale, interregionale e regionale), prevedendo, per quelli nazionali, l‘istituzione di un‘Autorità di bacino, come organo misto Stato-Regioni, con il compito di definire un Piano di bacino che disciplinasse gli usi delle acque e del suolo e facesse da cornice per tutti i successivi piani settoriali. La legge 183 innovava pertanto gli obiettivi e gli strumenti operativi della difesa del suolo, affermando la centralità della funzione di pianificazione degli interventi.

Dal punto di vista degli obiettivi, preme rilevare il carattere ―onnicomprensivo‖ della ―difesa del suolo‖, nelle intenzioni del legislatore, ma soprattutto nell‘interpretazione delle Autorità di bacino (Zazzi 2003). In uno sviluppo avvenuto spesso extra legem, la difesa del suolo arrivò a ricomprendere tutte le attività responsabili della trasformazione del territorio, divenendo vero e proprio obiettivo strategico ed elemento unificante ―intorno a cui tentare una riorganizzazione di buona parte delle funzioni di tutela ambientale‖ (Zazzi 2003, 26). L‘interpretazione che ne è stata fatta è dunque di tipo funzionale, come mezzo per una più generale tutela dell‘ambiente ed una fruizione razionale delle acque. Se da un lato quest‘interpretazione può definirsi lungimirante, dall‘altro si rivelò anche affetta da limiti, nel momento in cui faceva della pianificazione lo strumento unico per il perseguimento di questi obiettivi.

Nella 183, infatti, il legislatore garantiva l‘unitarietà del governo del bacino attraverso la disposizione che stabiliva la sovraordinazione del piano di bacino a qualsiasi altro strumento di pianificazione a carattere locale (regionale, provinciale o comunale)14. La pianificazione prevista dalla legge riproponeva lo stile tipico dell‘urbanistica dei decenni precedenti e le politiche di difesa del suolo venivano considerate ―non come processi interattivi e incrementali, ma bensì come processi a cascata riconducibili ai rigidi schemi di un piano struttura‖ (Borelli 1999, 52).

L‘impostazione della 183 presenta dunque i limiti comuni a molti interventi legislativi di quegli anni, riconducibili all‘eccessiva razionalità e comprensività dell‘impianto. Se si pensa alla complessità ―tecnica‖ delle questioni da affrontare, alla vacatio legis in cui si inseriva la nuova politica, alla necessità di intervenire su numerose situazioni d‘emergenza, al numero dei soggetti attuatori del piano, o a quello, ancora più ampio, dei soggetti interessati dalle sue prescrizioni, si comprende come tale approccio

14 Il comma 4 dell‘art. 17 definisce i piani subordinati al piano di bacino. Si tratta dei piani agricoli regionali, dei piani di risanamento delle acque, i piani di smaltimento dei rifiuti, i piani territoriali paesaggistici, i piani di disinquinamento e i piani generali di bonifica.

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fosse fondamentalmente irrealistico e destinato ad incontrare difficoltà e resistenze nell‘implementazione.

Fu infatti la Corte Costituzionale, su ricorso di alcune Regioni, a chiarire alcuni dei nodi centrali della 183. In merito al rapporto Stato-Regioni, la Corte sentenziava che tutte le materie regolate dalla legge 183 dovevano essere gestite in forme diverse di diretta cooperazione, piuttosto che attraverso lo strumento dell‘intesa, quale desumibile dal DPR 616. Tale scelta si rifletteva peraltro nella natura giuridica delle Autorità di Bacino, che la Corte definiva come ―organo misto Stato/Regioni‖, di cooperazione tecnico-istituzionale. In relazione alla sovraordinazione del piano di bacino, la disposizione forse più controversa della legge, la Corte stabiliva che i piani di bacino erano da considerare come piani territoriali ―non già per significare che si tratta di strumenti inerenti alla disciplina urbanistica, ma semplicemente al fine di stabilire che i vincoli posti dal predetto piano obbligano immediatamente le amministrazioni e gli enti pubblici, statali e regionali, i quali sono tenuti ad osservarli e a operare in conseguenza (corsivo nostro)‖15.

Le maggiori difficoltà si spostavano, a questo punto, sulle procedure di approvazione del piano e sullo scarso coordinamento con altri provvedimenti legislativi nel frattempo approvati, come la legge quadro sulle aree protette (l.394/91) e la legge di riforma dei servizi idrici (l.36/94).

Nel 1997 il Parlamento, prendendo atto delle difficoltà di implementazione della legge 183, costituì un Comitato Paritetico per un‘indagine conoscitiva sulla difesa del suolo (Commissione Veltri). Pur individuando numerosi ―nodi‖ nell‘attuazione della 18316, il Comitato riconosceva la validità dell‘impianto complessivo della legge e raccomandava, piuttosto, di sottolinearne e rafforzarne alcuni aspetti che si rivelavano in linea con i contenuti della Direttiva Quadro sulle Acque, nel frattempo in discussione a Bruxelles (Passino 2005). Da un lato, infatti, si ribadiva l‘importanza dell‘assetto istituzionale che incardinava la difesa del suolo sulle Autorità di bacino e si sottolineava la coerenza del modello organizzativo di queste ultime con l‘ordinamento comunitario; dall‘altro, si raccomandava l‘ampliamento dei poteri delle Autorità in riferimento alla gestione e al controllo degli usi delle risorse idriche e al rilascio delle concessioni di

15 CC n. 85/1990.

16 I ritardi nell‘attuazione, la classificazione e delimitazione dei bacini idrografici, la natura delle Autorità di bacino, le procedure di approvazione e l‘efficacia dei piani di bacino, il rapporto tra pianificazione di bacino e le attività di protezione civile, la conoscenza del territorio e le strutture tecniche di presidio territoriale (Passino 2005).

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derivazione delle acque pubbliche e si auspicava che venisse garantita l‘autonomia finanziaria e funzionale delle stesse Autorità.

Nel frattempo, a seguito di nuovi gravi eventi idrogeologici17, si verificava un notevole impulso sia relativamente alle attività di pianificazione e programmazione di bacino, sia sotto il profilo di un maggiore impegno finanziario nel settore. Un nuovo complesso sistema di norme quadro nazionali, tutte introdotte tra il 1998 e il 2000, introduceva scadenze perentorie, erogava nuovi finanziamenti, e snelliva la procedura di approvazione dei piani stralcio per l‘assetto idrogeologico o PAI (Zazzi 2003).

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