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I L GOVERNO DELLE ACQUE IN I TALIA

1. D AL FIUME BUROCRATICO ALLA GESTIONE INTEGRATA DEI BACINI L’acqua in Italia 1933-1989: la stagione degli interventi settorial

1.3. Il sistema dei servizi idric

L‘altro macro-settore dell‘acqua è rappresentato dal sistema dei servizi idrici. Il Testo Unico sulle acque e sugli impianti elettrici del 1933, in gran parte in vigore ancora oggi, sanciva la proprietà pubblica di tutte le acque superficiali e subordina ogni loro uso all‘autorizzazione dello Stato, disciplinando il procedimento amministrativo per il rilascio delle concessioni ed il canone d‘uso. Ai Comuni veniva attribuito l‘obbligo del mantenimento degli acquedotti per l‘acqua potabile18

, che è rimasto in vigore fino alle riforme legislative degli anni Novanta19. Allo stato rimaneva il compito di provvedere affinché ogni comunità locale potesse soddisfare i propri fabbisogni, incaricandosi dei necessari interventi infrastrutturali complessi, in particolare attraverso il Piano Regolatore Generale degli Acquedotti20.

Solo successivamente, nel 1976, veniva regolata anche la disciplina degli scarichi. La legge Merli (l.319/1976) introduceva l‘obbligo di autorizzazione per tutti gli scarichi in acque superficiali o in fognatura, vietando gli scarichi diretti sul suolo o in falda. La stessa legge attribuiva inoltre alle Regioni la responsabilità di provvedere ai Piani di risanamento delle acque, attraverso la programmazione ed il finanziamento delle infrastrutture fognarie e depurative.

La gestione comunale degli acquedotti disegnava un sistema di servizi idrici altamente frammentato (Barraqué 1995; Massarutto 2001); inoltre alcuni settori rimanevano esclusi da ogni forma di regolamentazione: quello degli scarichi, fino al

17 Piemonte 1994, Versilia 1996, Sarno 1998, Cervinara 1999, Soverato, Piemonte e Liguria 2000. 18

Testo unico della legge comunale e provinciale, R.D. 383/1934. che è rimasto in vigore fino alle riforme della l.142/90, che ha escluso la gestione in economia per le attività a contenuto industriale ed introdotto l‘azienda speciale, la SpA pubblica e l‘affidamento a privati.

19 La l.142/90 ha escluso la gestione in economia per le attività a contenuto industriale ed introdotto l‘azienda speciale, la SpA pubblica e l‘affidamento a privati.

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1976, e quello delle acque sotterranee, incluse nel regime pubblicistico solamente con la legge Galli del 199421. La frammentazione dei servizi e la parzialità della regolamentazione contribuivano inoltre a determinare ed accentuare uno dei problemi principali del settore delle acque in Italia: cioè quello della carenza e della frammentarietà delle informazioni e delle conoscenze sul territorio (Agricola 2002; CoViRI 2008; Massarutto 2008). Notava infatti B. Agricola, Direttore Generale presso il Ministero dell‘Ambiente, nel 2002:

―La situazione nazionale in materia di dati ambientali è quanto mai disomogenea e disaggregata. Esistono, infatti, moltitudini di dati prodotti e/o elaborati da diversi soggetti (amministrazioni pubbliche, università, enti ed istituti di ricerca pubblici e privati, ecc.) che difficilmente tuttavia vengono divulgati e messi a disposizione delle comunità interessate. A tale realtà, che sembra paradossale in tempi di ―comunicazione globale‖, si unisce il fatto che spesso i dati inerenti medesimi temi risultano disomogenei se trattati da soggetti diversi e quindi difficilmente confrontabili tra loro‖ (Agricola 2002).

La necessità di migliorare il livello di conoscenza e controllo sulla gestione del territorio fu infatti uno dei fattori che contribuì ad aumentare il livello di attenzione sul tema acqua a partire dagli anni Ottanta (Citroni e Lippi 2006). A questo si aggiunsero altre spinte nella stessa direzione.

In primo luogo, come già ricordato, la necessità di implementare le direttive europee sulla qualità delle acque22. In secondo luogo, la situazione critica del sistema idrico nazionale. Nonostante lo sviluppo relativamente recente, infatti, la cattiva manutenzione e una gestione spesso inefficiente avevano determinato un rapido deterioramento dell‘infrastruttura. Massarutto rileva come la pianificazione centralizzata nel campo acquedottistico, fognario e depurativo, se aveva avuto il merito di sviluppare in tempo relativamente breve un sistema idrico capillare, aveva però comportato ovvie imprecisioni, errori di calcolo e standardizzazione delle soluzioni (Massarutto 2008). Infine, tra i fattori che posero i servizi idrici al centro dell‘agenda politica, c‘era stata l‘individuazione, nella relazione del 1988 della Commissione di studio per l‘esame dei

21 Massarutto nota come la grande abbondanza di falde e di sorgenti del territorio italiano rendeva poco utile il controllo fino a tempi recenti, quando eccessi di prelievi in certe zone hanno cominciato a dare luogo a subsidenza del terreno o intrusione di acque salmastre. La necessità della regolamentazione è stata poi aumentata dalle conseguenze, sulle falde, della gestione incontrollata dello smaltimento di rifiuti solidi, lo stoccaggio di sostanze pericolose e l‘impiego di fertilizzanti e fitofarmaci in agricoltura (Massarutto 2008). 22 Si tratta, in particolare, delle Direttive relative alla qualità delle acque di balneazione (76/160/CEE); alla qualità delle acque destinate al consumo umano (80/778/CEE); al trattamento delle acque reflue urbane (91/271/CEE); alla protezione delle acque dall‘inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (91/676/CEE).

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problemi del servizio idrico nazionale, della tariffazione sottocosto come ―strumento improprio di raccolta del consenso‖ (Citroni e Lippi 2006). Fino alla riforma del 1994, infatti, la finanza pubblica si addossava buona parte (il 70% circa) del costo dei servizi idrici (Massarutto 2008).

Dopo un lungo dibattito che attraversò tre legislature (1983-87; 1987-92 e 1992- 94), la legge di riforma dei servizi idrici (l. 36/94), conosciuta poi come ―legge Galli‖, venne approvata a larghissima maggioranza nel 1994. Con essa, fanno notare Citroni e Lippi, il Parlamento inaugurava per la prima volta ―un settore autonomo di policy per i servizi idrici‖ (Citroni e Lippi 2006, 240). La riforma nasceva dalla considerazione, ampiamente condivisa, alla base della riforma era che le criticità principali del settore idrico italiano andavano ricercate nell‘elevatissima frammentazione e nel limitato livello di industrializzazione (Carrozza 2008; Giannelli 2006). A questi problemi la legge Galli rispondeva con:

- l‘individuazione di Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), come ambiti territoriali di riferimento per la gestione della risorsa, attraverso apposite Autorità d‘Ambito; - la separazione della titolarità della risorsa e della programmazione (di

responsabilità pubblica) dalla gestione (ispirata a criteri imprenditoriali);

- l‘individuazione di un unico gestore per ATO, da individuare tra società di natura privata, ponendo fine alle gestioni in economia;

- l‘integrazione delle diverse fasi del ciclo dell‘acqua (estrazione, distribuzione, raccolta degli scarichi e depurazione) nel Servizio Idrico Integrato (SII), di responsabilità del gestore unico;

- infine, la definizione di un sistema tariffario basato su una tariffa unica per ogni ambito che comprende i servizi di distribuzione dell‘acqua potabile, fognatura e depurazione, e che assicura la copertura integrale dei costi di investimento ed esercizio.

Come già la legge 183, la legge Galli esprimeva un disegno riformatore ―neo illuministico‖ (Citroni e Lippi 2006, 243), privilegiando soluzioni ispirate a criteri di razionalità, e destinate a rivelarsi spesso irrealistiche, soprattuto nei tempi di attuazione, di fronte all‘imponente sforzo di adeguamento richiesto al paese (Carrozza 2008; Giannelli 2006; Massarutto 2000). In maniera interessante, ad esempio, la legge Galli sanciva in apertura dei principi generali molto avanzati, come la natura giuridica pubblica di tutte le acque; il suo utilizzo secondo criteri di solidarietà; la necessità di indirizzare gli

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usi delle acque al risparmio, al rinnovo delle risorse e alla salvaguardia dell‘ambiente; la necessità di cicli integrati e dei bacini come confini. Di fatto, finiva poi per occuparsi estensivamente solo dell‘acqua per usi civili (Giannelli 2006; Molinari 2007), contribuendo ad indirizzare il dibattito in quella direzione.

La legge Galli lasciava ampio spazio e responsabilità alle Regioni per la sua attuazione ed implementazione. A queste spettava di decidere i confini degli ATO e di disciplinare le modalità attraverso le quali gli enti locali dovevano affidare la gestione del SII. Sul punto, tuttavia, esisteva una grande incertezza, soprattutto con riferimento alla natura obbligatoria o meno della gara per l‘affidamento a privati. Nonostante ciò, dalla fine degli anni Novanta è possibile riconoscere una graduale ristrutturazione del settore, in termini di ampliamento dell‘ambito territoriale di riferimento dei gestori e di integrazione lungo il ciclo idrico. Come negli altri comparti delle utilities locali, infatti, è stato il settore privato a muoversi prima del versante politico-amministrativo ed a destreggiarsi tra le incertezze dell‘attuazione della legge Galli (Carrozza 2008; Massarutto 2003), realizzando, in parte, le aspettative della legge Galli, seppure attraverso strumenti di mercato (Carrozza 2008, Massarutto 2000).

Nel frattempo le incertezze e le contraddizioni del quadro italiano riformato non erano passate inosservate a Bruxelles, dove la Commissione apriva una procedura preliminare di infrazione nel novembre del 200023. Con questo intervento il dibattito sull‘attuazione della legge Galli, già acceso negli anni 1994–1999, si concentrò definitivamente sulle modalità di affidamento della gestione; in particolare, nota Carrozza:

―avviene uno spostamento delle attenzioni dai problemi strutturali e dimensionali del settore idrico e dei servizi pubblici locali ai meccanismi storici di gestione dei servizi pubblici in Italia, alla loro compatibilità con la direzione chiaramente indicata dall‘UE in materia di concorrenza e mercato interno, ai rapporti fra le imprese dei servizi pubblici e le amministrazioni locali‖ (Carrozza 2008, 12).

Dall‘avvio della procedura preliminare di infrazione, infatti, iniziò un lungo e tortuoso processo di aggiustamento della normativa nazionale sui servizi pubblici locali e sulle loro modalità di affidamento. La finanziaria del 2002 (l. 448/2001, art.35) avviava

23 Questo intervento aveva in realtà come oggetto la disciplina dettata dall‘art. 22 della l. 142/90 e la correlata violazione dei principi di non discriminazione e di trasparenza in materia di appalti pubblici. L‘atto di messa in mora non ebbe comunque conseguenze, poiché nel frattempo l‘articolo in questione era stato abrogato e sostituito dall‘art. 113 del d.lgs. 267/2000 (Carrozza 2008).

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un processo di spinta all‘apertura a soci privati, stabilendo che i servizi pubblici locali fossero affidati a società di capitali selezionate tramite procedure ad evidenza pubblica24. La disciplina sugli affidamenti veniva poi parzialmente riscritta con la l. 326/2003, che eliminava l‘obbligatorietà della gara e, accanto a questa, introduceva due nuove modalità di affidamento (art.14): la società mista pubblico-privato e l‘affidamento in house, che permetteva al Governo italiano ―di salvare tutti gli affidamenti diretti per i quali aveva rischiato un conflitto con la Commissione europea‖ (Giannelli 2006, 297).

A partire dal 2001 si è insomma susseguita una serie di interventi formali ed informali che ha ripetutamente indicato la strada delle procedure competitive ad evidenza pubblica come forma ordinaria e preferenziale di affidamento della gestione dei servizi25. Se si esclude la breve eccezione rappresentata dal disegno di legge cd. ―Lanzillotta‖ (d.d.l. S772 del 30/6/2006), che escludeva i servizi idrici dalla necessità della gara, la tendenza – dal 2004 al recente d.lgs. 135/2009 – è stata quella di restringere sempre più le possibilità di affidamento in house26. È possibile leggere in questi ripetuti interventi del legislatore un chiaro tentativo di semplificare l‘articolato e confuso panorama degli affidamenti, che tuttora prevede deroghe e diversi tempi di adeguamento. Tuttavia il ripetuto succedersi di decreti-legge, decreti legislativi e circolari del Ministero è risultata, in un‘unintended consequence che sembra però rappresentare il leit-motiv del modo italiano di fare politiche, in un generale aumento dell‘incertezza delle forme di gestione dei servizi idrici. Da un lato, infatti, si ripropone il paradosso che Massarutto definiva di ―Achille e la tartaruga‖: ―la risultante di tutte queste spinte contrastanti è una sorta di no contest, in cui poco si muove, le fasi transitorie si dilatano a dismisura, il conseguente quadro di incertezza impedisce agli attori di formulare strategie a lungo termine‖ (Massarutto 2000). Dall‘altro, gli attori pubblici e privati coinvolti nella gestione lamentano sia la ripetuta messa in discussione di affidamenti conformi alle leggi (vigenti

24 Sui contenuti dell‘art. 35 la Commissione Europea avviava una nuova procedura di infrazione, sottolineando come il nuovo provvedimento continuasse a consentire ―numerose ipotesi di affidamento diretto dei servizi pubblici locali al di fuori delle previsioni della disciplina comunitaria‖. Il comma 5 del suddetto art.35, infatti, consentiva l‘affidamento diretto, per un massimo di 5 anni, a società di capitali partecipate dai comuni dell‘ATO e che entro due anni avrebbero dovuto vendere a privati almeno il 40% del capitale.

25 Nella stessa direzione sembra d‘altronde andare l‘Unione Europea, con da un lato indica con forza la direzione del mercato interno, ma dall‘altro lascia aperto un margine di tolleranza all‘esistenza di affidamenti diretti e afferma il diritto degli enti pubblici di autoprodurre i servizi offerti alle comunità locali (Carrozza 2008).

26 I principali interventi sono rappresentati dalla finanziaria 2004 (l.350/2003); dalla circolare del Ministero dell‘ambiente del 6 dicembre 2004, Affidamento in house del servizio idrico integrato; dalla decisione AS 311 dell‘AGCM del 2005; dalla l.133/2008 e dal d.l. 135/2009 (convertito in l.166/2009).

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all‘epoca dell‘assegnazione), sia, soprattutto, le difficoltà finanziarie di operare in un quadro di costante incertezza27. Infine, l‘accento posto sulle forme di affidamento e le ripetute spinte alla liberalizzazione e alla privatizzazione sono risultate in una crescente mobilitazione popolare a favore della ―ripubblicizzazione‖ dei servizi idrici, che ha incontrato il favore di numerose amministrazioni locali (si veda poi il par. 4 ).

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