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L’Inghilterra e la Direttiva Quadro sulle Acque

I L GOVERNO DELLE ACQUE IN I NGHILTERRA

1. D A PRIVATO A PUBBLICO AND BACK AGAIN : L ’ ACQUA IN I NGHILTERRA DALL ’ ETÀ VITTORIANA AD OGG

1.3. L’Inghilterra e la Direttiva Quadro sulle Acque

Insieme alle preoccupazioni circa l‘accessibilità dei servizi, l‘avvento del New Labour ha visto crescere l‘impegno del governo a favore dello sviluppo sostenibile. Alla fine degli anni Novanta si cominciava infatti a discutere di una nuova strategia per la politica delle acque, che avrebbe dovuto affrontare il problema della sostenibilità dei consumi e dello sfruttamento della risorsa.

La strategia, pubblicata nel 2002, si concretizzava nel 2003 in un nuovo Water Act. Questo rispondeva al problema della sostenibilità dello sfruttamento della risorsa idrica intervenendo sul sistema delle licenze di prelievo, rimasto invariato dai tempi della sua introduzione, nel 1963. Il nuovo Water Act introduce tre modifiche di rilievo: stabilisce che tutte le nuove licenze devono essere emesse con una scadenza, mentre il sistema precedente prevedeva che le licenze restassero valide fino ad un‘eventuale revoca; facilita la procedura di revoca delle licenze ed elimina l‘obbligo di compensazioni in caso di danni ambientali comprovati; infine, rende obbligatoria, per le aziende idriche, l‘adozione di Piani di Gestione delle risorse idriche (Water Resource Management Plan – WRMP), prima adottati solamente su base volontaria, ed introduce, per queste, l‘impegno alla conservazione della risorsa.

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Sempre alla fine degli anni Novanta a Bruxelles le discussioni sulla Direttiva Quadro erano ormai in stato avanzato, e durante il semestre di presidenza del Regno Unito, nel 1998, il Consiglio dei Ministri dell‘Ambiente raggiungeva un accordo sul testo della Direttiva. Diversi resoconti testimoniano dell‘influenza del Regno Unito nella formulazione della Direttiva (Griffiths 2002; Kaika e Page 2003), soprattutto per quanto riguarda il principio della full-cost recovery. L‘Environment Agency affermava infatti che la WFD rappresentava ―dal punto di vista intellettuale, esattamente quello che vogliamo‖80

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Dopo un primo mandato turbolento, infatti, nel 1999 l‘Environment Agency si avviava ad assumere un ruolo più significativo nel settore delle acque. Questo fu reso possibile da un lato, dal superamento di un primo periodo di ―rodaggio‖ istituzionale da parte della nuova organizzazione; dall‘altro dal ruolo attribuitole nell‘implementazione della Direttiva Europea.

Sotto il primo punto di vista, il primo mandato dell‘EA (1996-1999) fu più o meno fortemente criticato dalle associazioni ambientaliste, dall‘industria idrica, da quella della pesca, dalle amministratori locali, dal governo e, più sistematicamente, dalla Commissione per l‘Ambiente, i Trasporti e gli Affari Regionali della Camera dei Comuni (Bell e Gray 2001). Le debolezze che si attribuivano all‘Agenzia riguardavano principalmente la mancanza di una vision specifica, un profilo pubblico debole e il fallimento come regolatore, oltre che una percepita mancanza di accountability (ibid.). Ad esclusione di quest‘ultimo, associato alla natura di quango dell‘Agenzia, molti di questi problemi erano tuttavia da attribuire alla frammentazione organizzativa e gestionale del sistema che l‘Agenzia aveva ereditato, considerato che il suo predecessore, la National River Authority, aveva operato solo per pochissimi anni prima di essere trasformata nell‘EA. In ogni caso, già alla fine degli anni Novanta, anche grazie ad un rinnovamento dei vertici, l‘EA si dotava di una vision più definita ed integrata, quella di promuovere l‘ambiente e la sostenibilità ambientale, appunto, e migliorava il suo profilo pubblico attraverso consistenti investimenti nel settore della Ricerca & Sviluppo (ibid.).

Sotto il secondo profilo, l‘EA assumeva un ruolo centrale nel settore delle acque diventando l‘―autorità competente‖ per l‘implementazione della Direttiva, recepita nel 2003 con le Water Environment (Water Framework Directive) Regulations. Il governo venne all‘epoca criticato dalle associazioni ambientaliste, da parte dell‘industria e dalla Commissione competente dei Commons per aver adottato un approccio ―minimalista‖

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all‘implementazione della Direttiva (HoC 2003a, 12). La percezione diffusa era che il DEFRA e l‘EA avessero adottato un atteggiamento eccessivamente ottimista, dando per scontata la possibilità di raggiungere gli obiettivi della Direttiva con facilità. Questo atteggiamento può essere attribuito in parte al ruolo attivo che il Regno Unito ebbe nella formulazione della Direttiva e in parte allo scettico e ―cauto‖ approccio britannico nei confronti dell‘attuazione della normativa comunitaria, manifestato più volte in passato proprio in relazione alle direttive sulle acque (ibid.). Ad esempio, ancora nel 2000 il DEFRA affermava che il 94% delle acque in Inghilterra e Galles raggiungeva uno stato di ―buona qualità‖. Tuttavia, questa valutazione si basava sulla presenza di uno specifico gruppo di organismi (i macroinvertebrati) in una specifica categoria di acque (i fiumi, tralasciando dunque laghi e stagni) e non teneva conto del fatto che la definizione di ―buono stato‖ nella Direttiva dovesse basarsi su un insieme molto più eterogeneo ed impegnativo di parametri. Lo stesso atteggiamento veniva riscontrato nella scelta iniziale di non partecipare alla sperimentazione europea su bacini pilota, sulla base della motivazione che la gestione integrata a scala di bacino ―sia un modo migliore di fare cose vecchie piuttosto che un modo totalmente nuovo di fare le cose‖81

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Dopo la citata relazione della House of Commons, comunque, gli sforzi del governo per la pubblicizzazione e l‘implementazione della Direttiva sono notevolmente aumentati. In generale, tuttavia, si può dire che l‘Inghilterra, pur sottolineando i cambiamenti e gli sforzi, soprattutto economici, richiesti dalla Direttiva, ha mantenuto un atteggiamento di continuità rispetto al passato. L‘individuazione dei distretti idrografici, ad esempio, non ha comportato problemi, poiché già le divisioni regionali dell‘EA corrispondevano, grossomodo, a tale suddivisione geografica. L‘Inghilterra è stata quindi divisa in dieci distretti, tre dei quali transfrontalieri: South East, South West, Thames, Anglian, Humber, North West, Northumbria, Solway Tweed (a gestione congiunta tra Inghilterra e Scozia), Severn e Dee (entrambi con la gestione congiunta di Inghilterra e Galles) (Fig. 5.1).

2.I FATTORI STRUTTURALI.CARATTERISTICHE FISICHE ED ECONOMICHE

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