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I L GOVERNO DELLE ACQUE IN I TALIA

3. I L QUADRO ISTITUZIONALE

La ricostruzione dell‘evoluzione storica del settore delle acque in Italia presentata nel primo paragrafo consente di intraprendere ora una breve analisi dei fattori istituzionali che intervengono, tra gli altri, ad influenzare le modalità del cambiamento di policy.

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In un sistema articolato su almeno quattro livelli di governo principali, a cui vanno ad aggiungersi gli Ambiti Territoriali Ottimali e i bacini/distretti idrografici, i ruoli e le competenze in materia di acqua risultano altamente frammentati e spesso sovrapposti.

Al livello centrale spetta l‘emanazione della normativa-quadro e, con essa, dei principi e degli obiettivi ultimi delle politiche idriche, i quali sono ormai in larga misura coerenti con gli indirizzi provenienti da Bruxelles. Fino alla riforma del 1994 e all‘affermazione del principio della full cost recovery, inoltre, allo Stato spettava anche farsi carico della maggior parte della spesa in conto capitale del settore idrico. Fino alla metà degli anni Settanta, le competenze in materia di acqua erano di esclusiva responsabilità del Ministero dei Lavori Pubblici, fatto, come già ricordato, che contribuiva alla caratterizzazione della politica idrica come politica prevalentemente infrastrutturale (Massarutto 2008). Con l‘istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, nel 197847, gli aspetti qualitativo-sanitari della protezione delle acque vennero affidati a quest‘ultimo; mentre il Ministero dell‘Ambiente, a partire dalla sua istituzione, nel 198648, è riuscito con difficoltà ad erodere progressivamente alcune competenze in materia agli istituti preesistenti (Freddi 2000), arrivando solamente nel 2001 ad ottenere la responsabilità esclusiva in materia di acqua.

Il Comitato di Vigilanza sulle Risorse Idriche (CoViRI), introdotto dalla legge Galli, svolge un compito di raccolta, diffusione e coordinamento di dati relativi al sistema idrico nazionale, ―riempiendo in parte uno storico vuoto informativo con la sua attività‖ (Citroni e Lippi 2006, 257). In realtà nelle intenzioni originali del legislatore avrebbe dovuto avere anche compiti di vigilanza, appunto, e di regolazione, ma interventi legislativi successivi ne hanno progressivamente modificato la normativa costitutiva, restringendone l‘autonoma capacità d‘azione. Dal 2000 è infatti passato sotto la responsabilità del Ministero dell‘Ambiente e nel 2009 è stato definitivamente trasformato in ―Commissione‖ (ANEA 2009).

Alle Regioni spettano la maggior parte delle funzioni di pianificazione e di regolazione. Le Regioni infatti approvano la regolazione di dettaglio, delimitano le dimensioni e l‘organizzazione degli ATO, definiscono le forme di cooperazione degli Enti Locali riuniti nelle Autorità d‘Ambito, definiscono gli obiettivi di tutela dei corpi idrici, disciplinano la pianificazione territoriale e ambientale (secondo le direttive dei Piani di bacino) e le concessioni di derivazione per le acque superficiali. Alle Province è

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L. 833 del 23/12/1978. 48 L. 349 del 8/7/1986.

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demandata principalmente l‘amministrazione delle concessioni di derivazione delle acque sotterranee e di scarico in corpo idrico, mentre i Comuni, che rimangono proprietari delle infrastrutture del servizio idrico, si occupano delle autorizzazioni di scarico in fognatura.

La struttura istituzionale del governo del bacino del Po cominciò a delinearsi già all‘inizio del secolo scorso, quando, dopo le prime grandi piene del secolo, quelle del 1907 e 1917, si sentì l'esigenza di individuare una struttura unica alla quale affidare il coordinamento dell'attività di gestione delle acque di tutto il bacino del Po. Nel 1924, infatti, fu istituito il Circolo di Ispezione del Genio Civile per il Po, con sede a Parma, al quale vennero affidati i compiti di polizia idraulica e di vigilanza sui progetti e sull‘esecuzione delle opere per la sistemazione e la regolarizzazione degli alvei. Fu però l‘alluvione del 1951 a determinare l'istituzione del Magistrato per il Po49

, secondo la prestigiosa tradizione del Magistrato delle Acque di Venezia. Lo scopo era quello di unificare tutte le attività di pianificazione, coordinamento, esecuzione e controllo delle opere idrauliche attinenti l‘asta del Po. Il trasferimento di queste competenze non creò allora particolari problemi, essendo il MagisPo organo decentrato del Ministero dei Lavori Pubblici, e facendo il territorio già capo agli uffici del Genio Civile, anch‘essi soggetti allo stesso Ministero (Baroncini 1992).

In seguito alla legge 183 è stata invece istituita l‘Autorità di bacino del fiume Po (AdbPo) e si è avuta, quindi, una redistribuzione di competenze tra questa e il MagisPo. All‘Autorità di bacino, che si configura come organo misto Stato-Regioni, spetta il compito di elaborare lo strumento di indirizzo e coordinamento del governo delle acque a scala di bacino, il Piano di bacino, che, come ricordato, ha carattere sovraordinato rispetto ai diversi piani settoriali di competenza regionale o locale.

Per quanto concerne il livello della gestione, al MagisPo, che dal 2003 è diventato l‘Agenzia Interregionale per il fiume Po (AIPO), spetta invece la progettazione ed esecuzione degli interventi sulle opere idrauliche e i compiti di polizia idraulica e servizio di piena. Le funzioni di quest‘ultimo sono state chiaramente depotenziate, dando vita, peraltro, ad un sotterraneo ma forte conflitto tra le due istituzioni (Borelli 1999).

Le Autorità d‘Ambito, associazioni obbligatorie di enti locali, sono la controparte contrattuale dei gestori del servizio idrico: elaborano ed approvano i piani di investimento e di sviluppo delle infrastrutture dell‘ATO, controllano l‘erogazione del servizio e approvano le tariffe e i piani finanziari. I Consorzi di Bonifica ed Irrigazione, infine,

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gestiscono il fitto reticolo di canali per l‘irrigazione ed il drenaggio del suolo. I compiti di monitoraggio spettano invece solitamente alle Agenzie Regionali per la Protezione dell‘Ambiente (ARPA), che si occupano di raccogliere ed elaborare le informazioni per supportare gli enti preposti alla pianificazione e gestione delle risorse idriche.

La frammentazione non è solo di tipo verticale, ma si estende al piano ―orizzontale‖: esiste, cioè uno scarso coordinamento tra le fasi di pianificazione e quelle di gestione, e una scarsa integrazione tra i diversi interventi settoriali (Barraqué 1995; Massarutto 2001; Massarutto et al. 2006; Urbani 2003). Sotto il primo punto di vista, può ad esempio osservarsi che i piani di ATO raramente sono armonizzati con i Piani di Tutela (Massarutto et al. 2006). Anche lo stesso meccanismo gerarchico della pianificazione appare confuso: il Piano di bacino distrettuale e anche il Piano di Gestione devono essere elaborati tenendo conto dei contenuti dei PTA, già approvati a scala regionale a seguito del d.lgs. 152/1999. Sotto il secondo punto di vista, invece, i due settori ―storici‖ della difesa del suolo e dei servizi idrici sono ancora facilmente rintracciabili come essenzialmente separati – in termini di processi ed attori coinvolti – all‘interno del decreto 152/2006.

Tra i fattori istituzionali rilevanti ai fini dell‘analisi bisogna poi considerare le caratteristiche della cultura organizzativa delle pubbliche amministrazioni e del modo italiano di fare politiche.

Dal primo paragrafo emerge chiaramente un policy-making articolato in interventi ripetuti ed incrementali del legislatore. Se in una prima fase questo è stato costituito da disegni di legge lungimiranti e dominati dall‘estrema razionalità normativa, la seconda fase è stata invece caratterizzata dal tentativo di ―aggiustare il tiro‖ rispetto alla situazione reale del paese; e, più in generale, dal tentativo di porre rimedio alle difficoltà incontrate nella fase di implementazione, oltre che ad adeguare gli obiettivi di policy al mutare del contesto storico e delle esigenze dettate da Bruxelles. l‘Italia si caratterizza, in altre parole, quanto meno nel settore di nostro interesse, per uno stile di problem solving ―reattivo‖ (Freddi 2000; Richardons et al.1982) ed incrementale. La risposta al problema del cosiddetto implementation gap viene ricercata in un ulteriore intervento legislativo, in un moltiplicarsi e sovrapporsi di norme che rende il quadro sempre più complesso, nonostante i recenti tentativi di semplificazione. Il paradosso è stato raggiunto proprio con il decreto ambientale: nato con lo specifico scopo di semplificare e riorganizzare in maniera organica la legislazione in materia ambientale, ha riscritto completamente

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l‘impianto normativo esistente, in un ennesimo tentativo di gestire e regolare il settore ambientale principalmente attraverso l‘intervento legislativo, senza prestare la dovuta attenzione, tuttavia, al coordinamento dei vari settori e delle varie misure.

L‘esistenza di una cultura fortemente giuridica è d‘altronde uno dei tratti distintivi dell‘azione amministrativa italiana (Pollitt e Bouckaert 2004). Capano riassume così le caratteristiche del paradigma prevalente all‘interno della pubblica amministrazione italiana fino alla metà degli anni Ottanta:

―la prevalenza del diritto amministrativo; il principio della giustiziabilità; l‘identificazione prescrittiva delle funzioni del processo decisionale (decisione generale, indirizzo, esecuzione, controllo); la separazione tra decisione politica ed esecuzione amministrativa; il principio di legalità come strumento essenziale per il raggiungimento degli obiettivi dell‘azione amministrativa; l‘enfasi sulla coerenza complessiva del sistema (cioè dell‘ordinamento giuridico)‖ (Capano 2000, 159-160).

Altra caratteristica del decision-making italiano è l‘approccio ―consensuale‖ (Richardons et al. 1982), piuttosto che impositivo e decisionista, con un‘arena decisionale frammentata e policentrica e, storicamente, permeabile agli interessi ―forti‖ del settore (Borelli 2008).

Bisogna infine considerare tre caratteristiche che il settore delle acque condivide con l‘insieme delle politiche ambientali. La prima riguarda la cultura ambientalista a lungo dominante in Italia, e caratterizzata da un approccio di tipo ―repressivo‖ (Freddi 2000). L‘impostazione ―vincolistica‖ della difesa del suolo e la formulazione dei problemi di inquinamento delle acque come questioni sanitarie ne sono un esempio. In secondo luogo, la carenza di presidi tecnologico-scientifici adeguatamente preparati all‘interno degli apparati ministeriali (ibid.) e la conseguente frequente ―subordinazione delle funzioni tecnico-amministrative alle potenti tecnostrutture dei soggetti regolati‖ (Massarutto 1999, 94). Infine, la storica debole capacità innovativa dell‘apparato ministeriale italiano, soprattutto in settori in cui l‘innovazione ―è sinonimo di concetti quali incertezza, problematicità, sperimentazione […]‖ (Freddi 2000, 413).

4.IL SOTTOSISTEMA DI POLICY: DALLA COMUNITÀ EGEMONICA ALLA SFIDA DEI

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