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G LI OBIETTIVI DELLA POLITICA DELLE ACQUE

U N ’ ANALISI DEL POLICY CHANGE IN I TALIA E NEL BACINO DEL P O

1. G LI OBIETTIVI DELLA POLITICA DELLE ACQUE

Come si è illustrato nel capitolo precedente, di ―settore delle acque‖ in Italia può iniziare a parlarsi propriamente solo dagli anni Novanta, con le due importanti leggi di riorganizzazione del settore: la legge 183 sulla difesa del suolo e la legge Galli di riforma del servizio idrico. Di conseguenza risulta difficile, e in qualche modo fuorviante, individuare degli obiettivi generali di water policy prima di quel periodo, se non nella misura in cui l‘acqua era considerata, come si diceva, un fattore produttivo e dunque funzionale alla politica energetica.

La nostra analisi si basa però sul ventennio che parte dal 1989, per cui gli obiettivi dell‘attuale politica delle acque verranno confrontati con quelli che caratterizzavano lo stesso settore nel decennio precedente l‘approvazione della Direttiva Quadro sulle Acque.

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Gli obiettivi della politica italiana in materia di acque sono racchiusi nella parte terza del cosiddetto Testo Unico Ambientale (d.lgs. 152/2006), e possono essere così sintetizzati (distinguendo gli obiettivi generali – numerati – e quelli specifici – in lettere).

1) La tutela ed il risanamento idrogeologico del territorio (art.53, c.1):

a) la prevenzione del dissesto idrogeologico e la messa in sicurezza delle situazioni a rischio;

b) la difesa e la regolazione dei corsi d‟acqua e la moderazione delle piene; c) il contenimento dei fenomeni di subsidenza dei suoli e di risalita delle acque

marine lungo i fiumi e nelle falde;

d) la mitigazione degli effetti della siccità e la lotta alla desertificazione. 2) Il miglioramento dello stato dei corpi idrici (art. 73, c.1):

a) la riduzione dell'inquinamento delle acque ed il risanamento dei corpi idrici inquinati;

b) il mantenimento della capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici; c) il mantenimento della capacità di sostenere gli ecosistemi acquatici, e quelli

terrestri e delle zone umide direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno idrico;

3) L‟uso razionale e sostenibile delle risorse idriche (art.144, c.2):

a) l‘utilizzo delle risorse secondo criteri di solidarietà, evitando gli sprechi, favorendo il risparmio idrico e salvaguardando le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale;

b) la corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato (art.65, c.1).

c) la riduzione della domanda e della pressione sulle risorse idriche;

d) il mantenimento di un bilancio idrico equilibrato, ―diretto ad assicurare l'equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell'area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi‖ (art. 145 TUA);

e) l‟allocazione efficiente tra i diversi usi, dando priorità al consumo umano; f) il recupero integrale dei costi, anche secondo il principio ―chi inquina paga‖; g) la diffusione di una cultura dell‘acqua.

La tutela ed il risanamento idrogeologico del territorio altri non sono che la cosiddetta ―difesa del suolo‖, già oggetto dell‘intervento legislativo del 1989 che

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inaugurò una nuova stagione per il settore delle acque. Si può anzi dire che questo obiettivo riveste un‘importanza particolare in Italia, a causa delle gravi condizioni di dissesto idrogeologico del territorio e della frequenza degli episodi di ―emergenza‖. La consapevolezza di queste debolezze strutturali risale quanto meno alla fine degli anni Sessanta, all‘analisi della Commissione De Marchi e alle alluvioni del Polesine e di Firenze. Il riferimento esplicito alla siccità e alla desertificazione in questo contesto, invece, rappresenta una novità per la politica italiana delle acque, nonostante la diffusione di questi fenomeni in ampie aree del paese. Questa introduzione è dunque successiva al recepimento della Direttiva Quadro e all‘attenzione crescente che le istituzioni comunitarie dedicano al fenomeno (cfr. EC 2007b).

Per quanto riguarda gli obiettivi relativi al miglioramento dello stato delle acque colpisce in primo luogo la terminologia utilizzata, che riprende in buona misura la normativa comunitaria. Come già ricordato, l‘introduzione di questi obiettivi risale al decreto del 1999, che era stato comunque elaborato tenendo conto dei contenuti della Direttiva Quadro. Di fatto l‘intervento legislativo del 1999 ha operato la riorganizzazione della legislazione nazionale in materia di tutela delle acque, che precedentemente era invece costituita da norme settoriali e poco coordinate, come la legge Merli sugli scarichi, o il D.P.R 236/1988 sulla qualità delle acque destinate al consumo umano. Preme rilevare, inoltre, che gli obiettivi specifici relativi al mantenimento della naturale capacità di autodepurazione e alla capacità di sostenere gli ecosistemi acquatici e terrestri possono essere considerati come obiettivi innovativi, dal momento che rispondono, per la prima volta, alle esigenze dell‘ecosistema legate al corso d‘acqua. Non più l‘acqua come funzionale al consumo o all‘uso umano, ma l‘acqua come elemento naturale, parte integrante ed elemento cardine di un sistema ecologico. Con questi obiettivi il TUA riprende il precedente decreto del 1999, all‘art.1, punto d: ―mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici, nonché la capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate‖; ma, come si vede, il TUA specifica meglio la seconda parte, adottando il riferimento agli ecosistemi acquatici e a quelli terrestri da questi dipendenti, secondo i contenuti della Direttiva Quadro.

Per quanto concerne l‘uso delle risorse idriche, di ―razionale utilizzazione‖ si parlava già nella legge 183 e poi nella legge Galli. Quest‘ultima introduceva i criteri di ―efficienza, efficacia ed economicità‖ per l‘utilizzo delle risorse, specificando dunque a quale ―razionalità‖ si dovesse fare riferimento; ma introduceva anche gli obiettivi di

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―solidarietà‖, di ―risparmio idrico‖ e di salvaguardia dei diritti delle generazioni future. Il riferimento alla ―sostenibilità‖ e all‘―uso durevole‖ risalgono invece al d.lgs. 152/1999, benché già la legge 183 parlasse del rispetto del deflusso minimo vitale. Con il TUA viene inoltre introdotto anche il riferimento al principio dell‘equità. L‘obiettivo di ―corretta utilizzazione delle acque sulla base delle caratteristiche del territorio‖ fa un esplicito riferimento agli equilibri naturali, e dà contenuti ancora più precisi al criterio della ―razionalità‖ degli usi. Si tratta dunque di un uso razionale sulla base delle possibilità offerte dal territorio, nel rispetto di criteri quali il minimo deflusso vitale o la capacità di naturale rinnovo delle falde. Il principio del recupero integrale dei costi, così come il riferimento al principio ―chi inquina paga‖, ai costi ambientali e ai costi della risorsa, sono delle novità introdotte dal TUA. La legge Galli, infatti, includeva tra i costi da recuperare solamente quelli di esercizio e di investimento. Infine, il riferimento alla necessità di contribuire allo sviluppo di una ―cultura dell‘acqua‖, era già presente nella legge Galli del 1994. È bene specificare che il riferimento è contenuto nell‘art. 162 del TUA, dedicato alla ―partecipazione, garanzia e protezione degli utenti‖, ed è un richiamo posto, quindi, in capo ai gestori del servizio idrico. Il legislatore non specifica tuttavia cosa debba intendersi per ―cultura dell‘acqua‖. Considerati i numerosi riferimenti al risparmio idrico, si può interpretare questo obiettivo come volto alla sensibilizzazione del pubblico verso la scarsità e il valore del bene-acqua, e dunque volto a favorire, in ultima analisi, il risparmio idrico.

2.LA GESTIONE INTEGRATA A SCALA DI BACINO

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