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LA DIFFERENZA TRA GENERI PITTORIC

Fino alla fine del sedicesimo secolo, i pittori si erano focalizzati principalmente sulla pittura storica che rappresentava scene religiose, avvenimenti storici importanti ed episodi tratti dalla mitologia greca e romana.

Grazie all’influenza della pittura fiamminga e olandese e anche all’aumento della domanda d’arte non religiosa da parte dei privati, si inserisce nel mercato dei dipinti un nuovo processo che vede la nascita in Italia di nuovi generi pittorici, noto come “differenziazione dei generi pittorici”. Oltre al ritratto, già praticato dal 400, nacquero i generi del paesaggio, della natura morta, delle battaglie e della cosiddetta pittura di genere che ritraeva scene di vita quotidiana e contemporanea.

Ogni singolo genere pittorico iniziò ad identificare uno specifico settore di produzione, i pittori si specializzarono generalmente in un unico tipo riservandosi comunque il diritto e la possibilità di cambiare la loro specializzazione in base alle differenze dei prezzi che si creavano, spinti a seguire le opportunità di mercato in modo da ottenere maggiori profitti.

Questa divisione per generi della pittura produsse anche riflessioni e dibattiti su quali fossero i generi più o meno nobili e più o meno ardui da affrontare:

• La pittura di storia restava la più nobile e rappresentava il grado di maggior difficoltà che un pittore poteva affrontare. La difficoltà dipendeva prima di tutto dal fatto che i quadri di storia comprendevano tutti i generi dalla natura morta al paesaggio e al ritratto, ma in più il pittore doveva anche cogliere e trasmettere il movimento di un’azione che non poteva risultare statica;

• Il genere vedutistico, raffigurante scorci di natura come montagne, colline, laghi o città in diverse prospettive, ebbe una forte successo e si diffuse rapidamente, anche se il valore di questi dipinti, più che di quello degli altri generi, era legato al giudizio soggettivo dello spettatore. Non potendo legare il prezzo solamente al costo del lavoro o a parametri oggettivi come il numero di figure, la grandezza o la precisione della realizzazione, per i committenti più tradizionalisti era difficile se non impossibile attribuirgli un valore;

• La pittura di genere, raffigurante scene di vita quotidiana, era posta ad un livello più basso, questa tipologia venne spesso malconsiderata da alcuni pittori e da alcuni critici che non ne apprezzavano le peculiarità sia sul piano teorico che su quello economico;

• I ritratti erano ritenuti più semplici da realizzare in quanto semplicemente mirati a ritrarre la realtà, anche se il pittore doveva comunque confrontarsi con persone in vita, senza limitarsi alla sola rappresentazione fisica, ma cercando di coglierne anche l’aspetto psicologico. Con poche eccezioni, i ritrattisti ricevevano modesti compensi e quindi per ottenere forti guadagni dovevano puntare sulla maggiore produttività. Gli unici alti compensi ricevuti per questa tipologia sono stati guadagnati da famosi pittori specializzati nella realizzazione di quadri di genere storico che chiedevano alti prezzi per singole figure;

• Con il termine nature morte vengono identificate quelle opere che ritraggono un soggetto inanimato come fiori, frutti, verdura, pesci o selvaggina morta, strumenti musicali ed altri oggetti, generalmente disposti su una superficie piana. L’idea di fare quadri che rappresentassero solo composizione di oggetti inanimati non era mai stata considerata per mancanza di una reale motivazione, ma il dipingere gli oggetti, il più delle volte comuni e quotidiani assunse notevoli valenze simboliche: i fiori, simbolo di purezza, frutta, verdura e cacciagione come simbolo di abbondanza, e tra i tanti oggetti apparvero sempre più spesso un teschio, la clessidra o la candela, a indicare lo scorrere del tempo. I dipinti, rappresentanti le nature morte, erano considerati i meno prestigiosi perché rappresentavano la realtà senza idealizzazione, la trasposizione senza invenzione. Caravaggio (1571-1610), che pur rifiutando questa visione, rinunciò a questo genere non appena gli furono proposte commissioni più prestigiose e redditizie per dipingere opere appartenenti ad altri tipi pittorici.

Da un punto di vista economico è comunque difficile immaginare che nel mercato persistessero grandi differenziali di prezzo fra i generi, perché altrimenti i pittori si sarebbero riversati sui generi meglio pagati. A ben vedere, dipinti di differenti generi

variavano in molti aspetti come la misura, la tecnica utilizzata, il supporto, la destinazione ed il committente, le differenziali di prezzo registrate non necessariamente riflettevano differenze effettive nel compenso dei pittori. Dipingere una piccola natura morta richiedeva meno tempo e lavoro che una grande pala d’altare ed era quindi ovvio che il compenso fosse minore. Una corretta equiparazione dovrebbe controllare per un insieme di fattori.

Secondo Etro, Marchesi e Pagani (2013), finché il mercato rimaneva competitivo e i pittori potevano scegliere liberamente in che genere specializzarsi e, se nel caso, cambiarlo per seguire i profitti che si generavano nel mercato, si poteva difficilmente immaginare che persistessero differenze di guadagno tra i diversi generi.

In equilibrio, i pittori dovevano trovarsi perfettamente allocati tra le commissioni in atto, tanto da ottenere come risultato l’equalizzazione del ricavo marginale per ogni genere pittorico.

Per provare questo gli autori hanno paragonato il mercato dell’arte ad un mercato del lavoro in cui le varie industrie rappresentano i diversi generi pittorici, i datori di lavoro sono i differenti committenti e i pittori sono i lavoratori dipendenti.

Dopo aver verificato le caratteristiche della domanda e dell’offerta e nell’ipotesi in cui vi sia una perfetta mobilità dei pittori nel cambiare genere pittorico e prendendo questo fattore come variabile endogena, si dovrebbe assistere ad un pareggio dei prezzi: questo fenomeno è noto come “equalizzazione del salario tra settori ed imprese”.

Analizzando il mercato dell’arte fra fine 500 e secolo barocco, Etro, Marchesi e Pagani (2013) hanno mostrato che in effetti i prezzi dei vari generi tendevano ad egualizzarsi. Del resto, lo stesso emergere dei nuovi generi durante il 500 italiano fu possibile grazie alla maggiore rimuneratività raggiunta dai quadri di paesaggio o natura morta sul mercato.

E’ interessante notare che questo fenomeno era avvenuto già in precedenza nei mercati fiammingo e olandesi, i cui sviluppi saranno studiati nella seconda parte della tesi.

7. UN’ANALISI EMPIRICA DEL MERCATO DEI DIPINTI