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Anni difficili, anni interessanti

Contravvenendo parzialmente al rabbioso giuramento che si è fatta lasciando la Germania, ovvero di non occuparsi più di argomenti accademici, a Parigi Hannah Arendt frequenta assiduamente le biblioteche, e così ha modo di entrare in contatto con alcuni fra i più importanti intellettuali europei dell'epoca: ritrova Alexandre Ko- jève85 (che conosce dai tempi di Heidelberg), incontra Alexandre Koyré (il quale le

presenta il filosofo Jean Wahl, suo collaboratore alla rivista "Recherches Philoso- phiques"), e dal 1936 frequenta regolarmente Walter Benjamin86 (che è un biscugino

di Günther Stern e si trova a sua volta profugo a Parigi). Con Jean-Paul Sartre87

non le interessa stringere amicizia; Stern però le fa conoscere Arnold Zweig e Bertolt Brecht, che la impressiona profondamente88. Ad ogni modo tutta la sua attenzione è

rivolta ai problemi ebraici89, e quindi ben lontana da interessi accademici, anche

quelli suscitati da una figura interessante e anticonformista come Kojève90. Ciò che

83 H. Arendt a M. McCarthy, lettera del 17 ottobre 1969, in Arendt, 1995b; trad. it. p. 437. 84 Ivi, p. 438.

85 Grazie ad una presentazione dell‟amico Raymond Aron, Arendt e Stern possono prendere parte a di-

versi dei seminari tenuti da Alexandre Kojève all'Ecole des hautes études.

86 Dell‟amicizia tra Arendt e Benjamin si trova traccia ad esempio in G. Scholem, 1975; trad. it. pp.

301-51. Queste pagine sono interessanti anche perché ci forniscono alcuni pareri di Scholem su A- rendt e sul suo pensiero. Arendt scriverà due saggi su Benjamin: 1968b e 1968d. Sulle affinità che in- tercorrono tra Arendt e Benjamin si veda S. Benhabib, 1990.

87 Arendt e Stern conoscono Sartre ai seminari di Kojève. 88 Cfr. H. Arendt, 1948c, 1950d e 1966c.

89 In questi anni Arendt si avvicina molto a Salomon Adler-Rudel (che in seguito assumerà il nome di

Scholem Adler-Rudel). Come Arendt, anche Adler-Rudel (nato nel 1894 e dalla prima guerra mondiale esponente della corrente sionista socialista) ha raggiunto la Francia nel 1933; dopo l'ingresso dei tede- schi a Parigi, egli si trasferirà a Londra, dove diventerà capo della diplomazia dell'organizzazione ebrai- ca di soccorso per i profughi. In questa veste viaggerà instancabilmente alla ricerca di paesi che pos- sano accogliere i profughi – soprattutto Svizzera, Inghilterra, Danimarca e Svezia, oltre agli Stati Uniti, ovviamente – e per contrattare quote d'immigrazione. Si adopererà anche per il trasferimento di profu- ghi in Palestina. A Parigi Arendt discute regolarmente con lui la situazione delle organizzazioni di soc- corso per le quali lavora. Cfr. H. Arendt, 2000b.

90 Arendt lo conosce dai tempi di Heidelberg, dove lui si è laureato con Jaspers. Già allora riconosciuto

specialista di Hegel, la sua interpretazione del pensiero hegeliano viene condivisa dalla stessa Arendt, ma solo per un breve periodo. Un passo di una lettera al suo secondo marito ne testimonia la distanza: «Le cose qui [Parigi] stanno più o meno così: Kojève sostiene che l‟uccisione di sei milioni di ebrei sia priva di interesse, dal momento che essa non è “un evento storico”. Ciascuno qui decide da sé cosa è storia e cosa non lo è. Non si può nemmeno essere sicuri dei fatti, cioè dei fatti riconosciuti come sto- ria. Tutto ciò di cui si può essere certi è che il modello viene da Hegel». H. Arendt a H. Blücher, lettera del 17 aprile 1952, in Arendt, 1996a; ed. inglese p. 157 (traduzione mia). Su Arendt e Hegel si veda S. Forti, 2006, pp. 171-84.

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davvero le preme è tentare di comprendere il mondo in cui vive: vedere come l‟antisemitismo si sia sviluppato in Francia dal tempo dell'affare Dreyfus, e indagare quanto è avvenuto nella storia dell'antisemitismo in Germania. Così comincia ad annotare sistematicamente notizie, citazioni e statistiche, e usa questo materiale per preparare le sue conferenze sulla storia dell'antisemitismo. Tiene parecchie di queste conferenze durante le riunioni della WIZO – in un primo tempo in tedesco, poi, quando verso il 1937 si sente più sicura della sua padronanza della nuova lin- gua, in francese. E ingaggia vivaci discussioni coi membri francesi del gruppo sull'antisemitismo tedesco e su quello francese91. Saranno queste conferenze e que-

ste discussioni a fornirle il materiale per il primo articolo importante che pubbliche- rà negli Stati Uniti, intitolato From the Dreyfus Affair to France Today92. Argomenti

come quello dei parvenu Rothschild e della loro parte nelle attività del Concistoro vengono discussi invece in un gruppo che Arendt frequenta a partire dal 1936, i cui membri, tutti formati alla scuola della teoria e della praxis marxista, prendono il posto di Blumenfeld come suoi maestri e consiglieri politici. Fra essi vi sono Walter Benjamin e, occasionalmente, i suoi colleghi dell'Institut für Sozialforschung di Francoforte; e poi Erich Cohn-Bendit (avvocato), Fritz Frànkel (psicoanalista), Karl Heidenreich (pittore), Chanan Klenbort (che fra tutti questi berlinesi è l'unico Ostju- de) ed Heinrich Blücher. Gli incontri avvengono di solito nell'appartamento di Ben- jamin al numero 10 di rue Dombasle.

Secondo Arendt, la Francia è stata sì il «paese europeo con la più alta quota di im- migrati, che da tempo cercava di disciplinare il caotico mercato del lavoro richie- dendo manodopera straniera nei periodi di bisogno»93, ma soltanto dal 1919 al

1932, e solo per le esigenze della ricostruzione all'indomani della prima guerra mondiale. Con la crisi vengono promulgate leggi per limitare l'immigrazione, mentre si diffonde l'abitudine di riaccompagnare alla frontiera migliaia di stranieri irregolari (questo avviene ad esempio nel 1935 sotto il governo Laval). Di pari passo con l'e- stendersi nel paese dell'atmosfera xenofoba alimentata da leghe, partiti e giornali, si tende a demandare sempre più direttamente al ministero dell'Interno, ossia alla po- lizia, l'applicazione delle norme relative al soggiorno e al lavoro degli stranieri in si- tuazione irregolare. I decreti legge del maggio e del settembre 1938 contro gli „inde- siderati‟ e l'affermazione chiara che le condizioni di ingresso e soggiorno degli stra- nieri in Francia sono essenzialmente una faccenda di polizia danno il definitivo giro di vite, mentre le tensioni internazionali si aggravano. Ecco in quale contesto mi- gliaia di ebrei attraversano fiduciosi il Reno tra il 1933 e il 1938. Gli ebrei sono apo- lidi, di fatto, dal 1935, poiché «le leggi di Norimberga [hanno aperto] la via a un pro- cesso al termine del quale con un decreto si sarebbe potuto privare gli "Staatsange- hörige" di "sangue straniero" della cittadinanza»94. Anche se inizialmente in Francia

i profughi tedeschi vengono accolti con una certa simpatia, essi vengono anche per- cepiti come „boches‟: «siamo stati espulsi dalla Germania perché eravamo ebrei, se non che, dopo aver attraversato con difficoltà il confine francese, siamo stati tra- sformati in "boches"»95. Parigi è meta tradizionale dell'emigrazione tedesca già dalla

91 La situazione si fa sempre più pesante: per le strade di Parigi vengono vendute copie di una versione

francese dell'infame contraffazione intitolata I protocolli dei Savi di Sion*, le librerie sono piene di lette- ratura nazista in traduzione francese, e settimanali parigini a larga diffusione infilano fra le righe dei loro articoli di propaganda fascista tanti motivi antisemiti da diventare indistinguibili dalle riviste di- chiaratamente antisemite.

* Sulla diffusione de I protocolli dei savi di Sion in Francia (e non solo) si veda G. Bensoussan, 2006; trad. it. pp. 194-228.

92 H. Arendt, 1942a.

93 H. Arendt, 1951a, cit., p. 396. 94 Ivi, p. 399.

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metà del XIX secolo: Heine, Marx, Börne96 e rifugiati politici orfani di tutte le lotte

per la libertà vi hanno soggiornato prima o poi. Nonostante «la spiccata ostilità degli abitanti nei confronti degli stranieri, [e] le angherie escogitate dalla locale polizia straniera»97, a Parigi chi non è né politicamente né socialmente integrato e/o inte-

grabile si può sentire un po' a casa. Dei suoi anni di esilio a Parigi Arendt serberà sempre un ricordo lieto, malgrado le enormi difficoltà materiali98: «la povertà, l'esse-

re inseguiti, la fuga […] è stato sì difficile – racconta a Gaus –, ma in un modo o nell'altro, volenti o nolenti, lo abbiamo dovuto affrontare. Così stavano le cose. Ma eravamo giovani. Un po' mi divertiva, persino – non posso negarlo»99. Il piacere che

traspare dai ricordi è legato soprattutto ad elementi dell'esilio quali la ricchezza e la profondità degli incontri con altri esuli, e la vita ai margini, densa di solidarietà e scambi. L'esilio impartisce una lezione fondamentale: l'importanza degli amici, sen- za i quali sopravvivere sarebbe impossibile. Sopravvivere e lottare diventano in que- sti anni una cosa sola per Arendt, coinvolta nel movimento sionista e nelle discus- sioni che lo agitano. Se è stato Kurt Blumenfeld ad aprirle gli occhi sul problema ebraico, è però l'internazionalismo politico di Benjamin e di Heinrich Blücher100 (che

lei conosce nella primavera del 1936 e che diverrà il suo secondo marito) a permet- terle di vedere con maggiore ampiezza quale sia il destino degli ebrei. Blücher fa parte di quella tribù di émigrés – formata da artisti e operai, da ebrei e non ebrei, da attivisti e da paria, la cui lingua è il tedesco, ma il cui atteggiamento verso il mondo è cosmopolita – con cui Arendt discute la possibilità di dar vita ad una politica e- braica nell'imminenza della crisi mondiale che li minaccia.

Anche se Arendt si è convertita ad un sionismo più critico e a una più impegnata politica rivoluzionaria, e parla di azione politica e di Kampf [lotta], né lei, né i sioni- sti, né i giornalisti militanti di “Samedi”, né gli ebrei comunisti vogliono o possono mettere in piedi un'opposizione efficace, e neppure dichiarare guerra aperta. E in- tanto la comunità degli emigrati di Parigi è chiaramente in attesa di una guerra. A Natale del 1938 Arendt trova un altro lavoro all'Agenzia ebraica, dove assiste i profughi austriaci e in seguito cecoslovacchi; sua madre sta per abbandonare Köni-

96 È interessante ricordare che Ludwig Börne – un ebreo d‟eccezione – traduce in parole l'esperienza di

un'intera generazione di ebrei tedeschi assimilati, e anticipa quella di varie generazioni successive alla sua: «Alcuni mi accusano di essere ebreo; altri per lo stesso motivo mi scusano; altri ancora addirittu- ra mi elogiano perché sono ebreo. Ma tutti comunque ci fanno caso» (parole citate in Z. Bauman, 1991; trad. it. p. 135). Anche Arendt cita queste parole di Börne, che a suo avviso riflettono in modo cristallino il desiderio sincero di varie generazioni di ebrei colti di perdere la loro identità. Cfr. H. Arendt, 1951a, cit., p. 89.

97 H. Arendt, 1968b; trad. it. p. 134.

98 A Parigi, Arendt inizialmente vive per qualche tempo insieme al marito Günther Stern, ma la loro re-

lazione ormai non funziona più, e la convivenza è dettata più dall'indigenza che dall'amore. Entrambi si sono allontanati fin dal periodo berlinese, però sono riusciti a mutare la loro relazione in amicizia. La separazione diventa palese quando Stern raggiunge New York nel 1936. Nel 1937 divorziano. Cfr. A. Grunenberg, 2006, cit., p. 208.

99 H. Arendt, 1965a, cit., p. 49.

100 Anche Heinrich Blücher, che è stato un giovane combattente della lega "Spartakus" nelle file dei

comunisti, è a sua volta in fuga, pur non essendo ebreo. In quel periodo Blücher ha già preso le di- stanze dal suo passato comunista e non fa più parte dei funzionari comunisti in esilio. Uomo dalle molte qualità, negli anni '20 ha scritto testi per il cabaret ed è amico del noto poeta e autore di chan-

sons Robert Gilbert, al quale Arendt in seguito si legherà di un‟amicizia che durerà per tutta la vita.

Blücher, nato nel 1899, viene da una famiglia povera. Ha un diploma di maestro, ma non ha mai inse- gnato; si è guadagnato da vivere come giornalista free lance e collaboratore di case di produzione ci- nematografiche o di spettacoli da cabaret. A Parigi conduce la tipica vita dell'intellettuale in esilio: sempre alla ricerca di documenti d'identità, denaro e scambi di idee. Cfr. A. Grunenberg, 2006, cit., p. 211.

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gsberg per raggiungerla a Parigi (lo farà in aprile), così lei e Blücher cambiano ap- partamento101.

La guerra scoppia nel settembre del 1939, ed Heinrich Blücher viene internato in quanto uomo dal passato politico sospetto; viene rilasciato in dicembre grazie all'in- tervento di Lotte Sempell, un'amica sua e di Arendt che ha amicizie „importanti‟. In questa situazione estremamente difficile – resa anche più complicata dalle tensioni fra Martha Arendt e Blücher, che non vanno affatto d‟accordo – Hannah Arendt ed Heinrich Blücher si sposano il 16 gennaio 1940. Il 10 maggio 1940 le armate tede- sche invadono la Francia occupando la parte settentrionale e dividendo il paese in due. Con l'appoggio degli occupanti tedeschi il governo francese firma un armistizio e costituisce a Vichy, una piccola città della Francia centrale, un'amministrazione d'emergenza per la Francia non occupata. Sempre in maggio Blücher viene nuova- mente rinchiuso – fino al 1° luglio – in un campo d'internamento; e in giugno anche Arendt viene fermata e internata nel lager femminile di Gurs, nel Sud della Francia. Da qui, dopo cinque settimane e con documenti falsi, prende parte ad una fuga in massa – tollerata dalle autorità francesi –, poco prima che giungano i servizi di sicu- rezza tedeschi. Ha concordato con Blücher di ritrovarsi a Montauban, una piccola località non occupata nel sud della Francia, nei pressi della quale i Klenbort102

hanno affittato una casa. Incontra in effetti Blücher a Montauban, casualmente, per strada, in mezzo ad una colonna di profughi. Insieme riescono a procurarsi persino un piccolo alloggio in città, sopra uno studio fotografico, dove si può leggere con una certa tranquillità. Arendt legge Proust, Clausewitz e Simenon103, e – nell‟ambito

del suo studio dell'Europa prima e dopo la prima guerra mondiale – scrive un lungo memorandum sui trattati del dopoguerra riguardanti le minoranze104 e lo invia a E-

rich Cohn-Bendit. È interessante spendere qualche parola su questo promemoria, che documenta con precisione l'atteggiamento politico con cui Arendt ha lasciato la Francia e arriverà in America. In sintesi, in queste pagine Arendt sostiene che

«Se già prima delle esperienze degli ultimi anni una solidarietà degli ebrei con le altre minoranze era una cosa estremamente complicata, oggi essa si è di- mostrata dannosa. Tutto ciò che è rimasto della politica delle minoranze è il tentativo di spingerci, in Palestina, in una posizione di minoranza. Molto in- vece gioca a favore di una solidarizzazione diventata sempre più promettente e sensata con le piccole nazioni europee, la cui esistenza non si può più assi- curare col territorio. Forse anche la nazione ebraica, in quanto membro dell'unione europea delle nazioni e di uno Stato europeo, può cercare una zo- na di insediamento o mantenere davvero come tale la Palestina. Ogni inse- diamento al di fuori di tale unione europea e non garantito da essa può essere solo una chimera o significare la deportazione ai lavori forzati»105.

Secondo Arendt, la legislazione delle minoranze ha avuto fin dall'inizio, per gli ebrei, un carattere provvisorio: essa, infatti, è stata la scappatoia verso l'emancipazione, in attesa che anche gli ebrei polacchi, rumeni e altri ricevessero una protezione suf- ficiente in quanto polacchi o rumeni – in attesa cioè che i rispettivi stati raggiunges- sero un grado di maturità civica tale da offrire e garantire una simile protezione come cosa ovvia. I rappresentanti delle minoranze sono stati dunque rappresentanti provinciali di ebraismi precisi, geograficamente definiti e completamente slegati dal- le altre parti del popolo. L'intera legislazione delle minoranze ha mirato a spoliticiz-

101 Cfr. E. Young-Bruehl, 1982, cit., p. 183. 102 Charlotte (Sempell) e Chanan Klenbort. 103 Cfr. E. Young-Bruehl, 1982, cit., pp. 190 ss.

104 H. Arendt, 1940. Questo testo, molto ampliato, Arendt lo incorporerà poi nella sua opera sul totali-

tarismo.

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zarle, e l'autonomia culturale è sembrata un mezzo adeguato al raggiungimento di questo obiettivo. Ecco perché «anche senza Hitler le minoranze sarebbero rimaste soffocate nella muffa delle loro scuole e sinagoghe, data la mancanza di aria politi- ca»106. La faccenda del diritto delle minoranze (esistente fino allo scoppio della se-

conda guerra mondiale) ha sempre avuto in sé qualcosa di assurdo: «anche in un caso ideale le minoranze potevano ottenere solo autonomia culturale e la cultura senza politica, cioè senza storia e senza contesto nazionale, si trasforma nel più stupido folclore e nella più popolare barbarie»107. Arendt è convinta che l‟unica op-

portunità di salvezza per gli ebrei e per tutti i popoli piccoli stia in un nuovo sistema federale dell'Europa. Le sembra realistico sperare in una confederazione di nazioni con parlamento europeo, confidare nel fatto che l'appartenenza ad un territorio venga presto sostituita dall'appartenenza ad una federazione di nazioni in cui solo la federazione come un tutto faccia politica. Nel quadro di una regolamentazione generale di questo tipo non esisterebbe più il pericolo del folclore, e solo una volta raggiunto questo stadio avrebbe di nuovo un senso ricorrere a regolamentazioni giuridiche minoritarie, ma solo per dimostrare che la nazionalità non va in rovina con la divisione del territorio:

«In una tale confederazione potremmo essere riconosciuti come nazione euro- pea con rappresentanza in un parlamento europeo. Per questa "soluzione" della questione ebraica, il gioco a sorpresa del popolo senza terra che cerca una terra senza popolo - praticamente la luna o la risoluzione della politica nel folclore - si sarebbe alla fine rivelato insensato. Ora è in questa cornice che io vedo le "unità organizzate" da lei richieste. Da esse dipenderebbe certo l'esistenza del popolo»108.

Arendt non manca poi di rimproverare al sionismo di non avere una politica della diaspora («per questa mancanza esso andrà in rovina»109), e di non aver difeso con

l‟Organizzazione sionista («l‟unico organismo politico [che gli ebrei abbiano a dispo- sizione], una corporazione scelta, […] più che un Comité des Délégations Juives»110)

le minoranze ebraiche sparse un po‟ in tutto il mondo. E accusa l‟Organizzazione sionista di non aver protestato contro i progetti di deportazione che sono andati via via moltiplicandosi dopo la conferenza di Evian111 del 1938. Ecco perché

«Si possono mostrare a mio avviso, nella storia del sionismo, tutte le colpe della politica nazionale ebraica. Ciò sarebbe presumibilmente molto più pro- duttivo, e nei suoi errori ci sarebbe molto più da imparare che in una critica dei notabili. Mentre infatti i notabili spesso hanno fatto, nei loro interessi, chiaramente intesi, opera di sabotaggio, e mentre il loro sabotaggio ha difeso uno strato realmente esistente del popolo ebraico, i sionisti hanno sabotato il proprio movimento. […] Non si dovrebbe mai sottoscrivere la propria condan- na a morte»112.

Arendt invoca la necessità di un rapporto solidale in tutto il popolo ebraico – cioè l‟esatto contrario di quel che fanno le leggi delle minoranze, che hanno sempre avu- to validità solo per un paese e hanno fatto come se al di fuori del paese in questione non ci fossero ebrei. Ecco allora che la Palestina potrebbe tornare ad essere impor- tante, 106 Ivi, p. 143. 107 Ivi, p. 147. 108 Ivi, p. 149. 109 Ivi, p. 144. 110 Ivi, p. 145.

111 La conferenza di Evian riconosce che tutti gli ebrei tedeschi e austriaci sono potenzialmente apolidi.

Cfr. H. Arendt, 1951a, cit., p. 391.

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«sebbene – aggiunge – per me questo esperimento territoriale diventi sempre più problematico. In ogni caso anche la Palestina non potrà più essere soste- nuta senza un'organizzazione ebraica globale in Europa e in America che ammetta nel suo programma la Palestina come zona di insediamento»113.

Nel gennaio del 1941 i Blücher attraversano i Pirenei, lungo il sentiero predisposto per la fuga da Lisa Fittko e suo marito, e raggiungono così il confine con la Spagna e da lì, in treno, Lisbona. I resoconti che Arendt invia all‟amico Adler-Rudel vengono scritti ancora sotto l'impressione del caos dei fuggiaschi e del costante arbitrio che impera nella zona non occupata della Francia. Lei gli riferisce delle peculiarità dell'antisemitismo nazionalista francese114; Adler-Rudel, per parte sua, le trasmette

notizie su Londra bombardata dai tedeschi, sull'isteria dilagante fra gli internati e sul common sense degli inglesi, che nonostante tutto riesce a prevalere115. Arendt

risponde con una relazione sulla situazione nei campi d'internamento francesi116,

situazione che sta peggiorando a causa delle attività dei servizi segreti e di sicurezza tedeschi, che operano nella Francia non occupata con il beneplacito delle autorità locali: da quei lager stanno già cominciando le deportazioni: i primi deportati di una certa notorietà sono i socialdemocratici Rudolf Breitscheid e Rudolf Hilferding. A- dler-Rudel e Arendt continuano a scambiarsi informazioni fino alla fine della loro permanenza in Europa.

Ai primi di maggio del 1941 Arendt e Blücher ottengono finalmente un visto per gli