• Non ci sono risultati.

Un popolo senza paese in fuga verso un paese senza popolo

Per Arendt il sionismo è – lo abbiamo già detto – il primo tentativo di trasformare il problema ebraico da questione sociale e privata in questione politica e pubblica: questo è il suo vero punto di forza. L'ebreo deve diventare ribelle in quanto ebreo, membro e rappresentante di un popolo oppresso che porta avanti la sua battaglia per la libertà («non c'è che un modo per fuggire la „vergogna‟ di essere ebreo – lottare per l'onore di tutto il popolo ebraico»114); ma la lotta ebraica è una lotta europea, la

lotta di un popolo oppresso che sta dalla parte degli altri popoli paria che sono co- stretti a combattere per la libertà e l'uguaglianza. Nel 1943, però, la sua speranza viene delusa, e lei esce risoluta dalla World Zionist Organization (alla quale, ricor- diamolo, ha aderito nel 1933).

Come abbiamo visto nelle pagine precedenti, l‟esordio politico di Hannah Arendt si distingue per alcuni aspetti fondamentali dal sionismo. Arendt combatte la tesi dell'elezione del popolo ebraico, e si oppone con forza all'argomento per cui l'anti- semitismo sarebbe un supporto del sionismo. Ma anche gli intenti sono diversi: la maggioranza dei sionisti chiede uno Stato ebraico in mezzo a vicini arabi; a vivere nella diaspora non sono interessati. Una minoranza dei sionisti (tra cui l‟Ihud) cerca invece un'intesa con gli arabi nella forma di uno Stato binazionale o dell'inclusione in una federazione araba. Per parte sua, Arendt abbraccia l‟idea di uno stato fede- rale della Palestina in cui tutti gli abitanti – ebrei e arabi – possiedano gli stessi di- ritti. Poiché gli ebrei sono un popolo europeo, pensa, lo Stato che si sta progettando dovrebbe essere integrato a livello internazionale mediante una federazione di stati del Mediterraneo. "Aufbau" è abbastanza aperto da pubblicare idee di questo tipo, che ovviamente incontrano però l‟avversione di molti sionisti115. Sono certo le pagi-

ne di Zionism Reconsidered [Ripensare il sionismo] a darci la cifra della distanza di Arendt dal sionismo. Questo articolo è una critica veemente a tutta la politica e- braica, dall'estremismo del partito revisionista al socialismo dei kibbutzim. Le criti- che che ella lancia alla dirigenza ebraica colpiscono a trecentosessanta gradi. Il mo-

114 H. Arendt, 1943f, cit.; trad. it. p. 40.

115 I sionisti sono politicamente divisi, per semplicità potremmo dire in due fazioni: i capi politici in esi-

lio (moderati) – rappresentati da Chaim Weizmann – puntano su trattative segrete con il governo bri- tannico per mettere delle unità ebraiche sotto la sua sovranità militare. Gli ebrei palestinesi invece – rappresentati da Ben Gurion – anche sulla base delle esperienze che hanno fatto negli anni Trenta con la potenza mandataria britannica chiedono il diritto all'autodifesa nazionale (tanto più che la Palestina è direttamente minacciata dall'avanzata in Africa delle potenze dell'Asse). Essi inoltre si rivolgono sem- pre più al pubblico ebreo-americano con l'intento di mediare, e quindi, dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti fino alla vittoria degli alleati contro Rommel nell'autunno del 1942, puntano su un esercito ebraico-palestinese all'interno delle forze armate alleate.

Nel dicembre 1940 Ben Gurion, in uno dei suoi numerosi viaggi in America, prospetta la minaccia di un disastro di profughi nel dopoguerra, per impegnare la parte non sionista dell'ebraismo americano a favore del destino dei suoi fratelli e delle sue sorelle in Europa, e delle loro prospettive nella Palestina del dopoguerra – puntando, agli occhi di Hannah Arendt, sul noto modello della mentalità della bene- volenza e del parassitismo: più volte lei esprime beffardamente il timore che dopo la guerra la Palestina diventi un grande «asilo per senza tetto» (H. Arendt, 1944k; trad. it. p. 109) – un ghetto di profughi mantenuto dagli ebrei d'America. Scrive ad esempio: «Il sionismo americano, che ha un'idea sorpren- dentemente chiara del significato generale e rivoluzionario di questa guerra, se vuole affermarsi in questo mondo si trova a dover affrontare il compito di politicizzare il popolo ebraico e di spiegargli il significato della Palestina per la propria esistenza politica. Alcuni elementi filantropici nelle sue file, la cui influenza è molto cresciuta dalla fondazione della Jewish Agency, sono l'ostacolo principale a ciò. In primo luogo perché il popolo ebraico, che ha una lunga esperienza di filantropi, non si libererà della sua sfiducia nei confronti dell'esperimento palestinese finché questo sarà rappresentato, da donne e uomini con abiti eleganti in alberghi di prima categoria, come un asilo enormemente allargato per sen- zatetto; in secondo luogo perché per tutti, inclusi gli ebrei, è sommamente incerto se davvero dopo la guerra ci saranno tanti di questi senzatetto», H. Arendt, 1942r, cit., pp. 69-70.

137

vimento sionista – ricostruisce Arendt116 – ha avuto origine da due ideologie politi-

116 Altrove Arendt spiega come sia stata la simultanea apparizione di due fattori del tutto indipendenti

l'uno dall'altro a produrre il sionismo e a determinare l'ideologia di Herzl. Il primo fattore non ha molto a che fare con la storia ebraica. Negli anni ottanta del XIX secolo, l'antisemitismo emerge come forza politica in Russia, Germania, Austria e Francia contemporaneamente. I pogrom del 1881, in Russia, danno il via a quel vasto movimento migratorio da est a ovest che fino al 1933 rimane la caratteristica principale della storia ebraica moderna. Questo movimento migratorio verso ovest – nonostante la forte opposizione esercitata dagli ebrei emancipati dell'Ovest nei confronti degli Ostjuden – unisce i due principali settori di ebrei, pone le basi per un nuovo sentimento di solidarietà (se non altro tra coloro che appartengono all'"élite" morale), e insegna tanto agli ebrei dell'Est quanto a quelli dell'Ovest a con- siderare la loro situazione in termini identici. Cfr. D. Bidussa, 1993, pp. 11-12. Gli ebrei russi, che ar- rivano in Germania per sfuggire alla persecuzione, scoprono che l'Illuminismo non ha estinto il violen- to odio antiebraico, e gli ebrei tedeschi che prendono atto dello sradicamento dei loro fratelli dell'Est cominciano a vedere la loro situazione sotto una luce diversa. Il secondo fattore invece è del tutto e- braico: la comparsa di una classe nuova per la società ebraica, gli intellettuali, di cui Herzl diventa il principale portavoce. Sia pure completamente degiudeizzati rispetto alla cultura e alla religione, questi intellettuali sono del tutto simili ai loro confratelli nelle tradizionali attività ebraiche. Li distingue il fat- to che essi non vivono più in un vuoto tra le culture: essi sono ormai veri „assimilati‟, degiudeizzati e occidentalizzati. Questo però non favorisce la loro integrazione sociale: la società gentile non li accoglie come pari, ed essi non hanno un posto nemmeno nella società ebraica, perché sfuggono la sua atmo- sfera di vincoli d'affari e familiari. Il risultato psicologico di tale situazione è che questi intellettuali e- brei diventano i primi ebrei della storia capaci di comprendere l'antisemitismo nei suoi specifici termini politici e di percepire gli atteggiamenti politici di base meno espliciti, di cui l'antisemitismo non è che un'espressione. Cfr. H. Arendt, 1946h, cit., pp. 83-84. All‟epoca, i sionisti dell'Ovest costituiscono una frazione di quei figli di agiate famiglie borghesi di ebrei che possono permettersi il lusso di mantenere i loro figli all'Università. Semplicemente con questo, gli ebrei benestanti (in gran parte tedeschi ed au- stro-ungarici) creano una classe completamente nuova di ebrei - gli intellettuali moderni dediti alle professioni liberali, all'arte e alla scienza, privi di legami spirituali o ideologici con il giudaismo. Essi costituiscono “das moderne gebildete, dem Ghetto entwachsene, des Schachers entowohnen jüdentum” [“La moderna classe colta, cresciuta nel ghetto, degli ebrei liberati dai piccoli traffici”] (Herzl) e devono trovare il loro pane quotidiano ed il rispetto di sé al di fuori della società ebraica – “ihr Brot und ihr bis-

schen Ehre ausserhalb des jüdischen Schachers” [“il loro pane e un po' di dignità al di fuori dei piccoli

traffici ebraici”] (Herzl); ed essi soltanto si trovano esposti, senza nessuno che li protegga e li difenda, al nuovo odio per gli ebrei che si manifesta alla svolta del secolo. Le classi ebraiche, analogamente alle masse del popolo ebraico, sono socialmente compatte, legate l'una all'altra da una catena infinita di vincoli di parentela o di rapporti d'affari, e queste relazioni vengono ulteriormente consolidate dall'or- ganizzazione filantropica cui ogni membro della comunità offre il suo contributo (pur non avendo mai messo piede in una sinagoga). «La beneficenza, questo residuo di comunità ebraiche un tempo auto- nome, si era rivelata per duecento anni abbastanza forte da impedire l'interruzione delle relazioni tra gli ebrei che vivevano disseminati nel mondo. Poiché le relazioni di parentela e d'affari erano sufficienti per mantenere gli ebrei di ciascun paese saldamente uniti in un unico corpo sociale, la beneficenza e- braica era stata sul punto di organizzare il mondo ebraico in uno strano genere di corpo politico. Tut- tavia, questa organizzazione, priva di una direzione eppure attiva ed efficiente, non si era occupata dei nuovi intellettuali ebrei. Certo, se questi erano avvocati e medici – il sogno di tutti i genitori ebrei – a- vevano ancora bisogno, per vivere, di mantenere rapporti sociali con gli ebrei. Ma chi sceglieva di eser- citare il mestiere di scrittore e di giornalista, di artista o di scienziato, di insegnante o di impiegato sta- tale […] non aveva bisogno di questi rapporti sociali, né questi intellettuali erano necessari al modo di vita ebraico. Socialmente, essi erano degli emarginati. Ma se non trovavano una collocazione all'inter- no del corpo sociale degli ebrei emancipati ancor meno potevano trovarla all'interno del corpo politico internazionale degli ebrei filantropi. Infatti, chiunque avesse voluto essere riconosciuto, in quanto e- breo, da questa organizzazione tanto vasta e realmente internazionale, doveva essere o un beneficiato o un benefattore. Ora, poiché questi intellettuali erano troppo poveri per essere filantropi e troppo ric- chi per diventare "Schnorrer" la filantropia si interessò tanto poco a loro quanto poco essi si interessa- rono alla filantropia. Agli intellettuali fu così preclusa l'unica via che gli ebrei d'Occidente potevano se- guire per dimostrare la loro solidarietà al popolo ebraico. Gli intellettuali non avevano alcuna colloca- zione, né sociale né politica; nella casa dei loro padri non c'era posto per loro. Per rimanere ebrei dove- vano costruire una nuova casa. Nell'Europa occidentale e centrale, il sionismo era dunque destinato, in origine, ad offrire una soluzione a quegli uomini che erano più assimilati di quelli di tutte le altre classi di ebrei certamente più imbevuti di istruzione e di valori culturali europei dei loro oppositori. Proprio perché erano sufficientemente assimilati da comprendere la struttura dello Stato nazionale moderno, essi si rendevano conto della realtà politica dell'antisemitismo, anche se non riuscivano ad

138

che europee tipiche del XIX secolo e apparentemente contraddittorie, ovvero sociali- smo e nazionalismo. In genere, la fusione di queste due dottrine si è compiuta mol- to prima della nascita del sionismo, all‟interno di tutti quei movimenti nazional- rivoluzionari dei piccoli popoli europei sottoposti alla duplice oppressione sociale e nazionale. Nel movimento sionista però questa fusione non si è mai realizzata; al contrario, fin dall‟inizio è venuta a crearsi una spaccatura tra le forze social- rivoluzionarie (provenienti dalle masse dell‟Europa dell‟Est) e l'aspirazione all'eman- cipazione nazionale (formulata da Herzl e dai suoi seguaci dei paesi dell'Europa centrale). Curiosamente, mentre le prime hanno davvero costituito un movimento popolare, scaturito dall'oppressione nazionale, la seconda – generata dalla discri- minazione sociale – è diventata il credo politico degli intellettuali. Quanti hanno ac- colto la variante orientale del sogno messianico – afferma – si sono recati in Palesti- na spinti da una sorta di fiducia nel raggiungimento della salvezza personale me- diante il lavoro in una collettività. Stabilendosi in Palestina, i sionisti socialisti hanno raggiunto il loro obiettivo nazionale; non pensando minimamente all‟esistenza degli arabi, non hanno neppure sospettato l'insorgere di un conflitto nazionale con gli abitanti effettivi della terra promessa – «nulla meglio di questa in- genua dimenticanza […] potrebbe provare il carattere totalmente impolitico del nuovo movimento»117. Il movimento dei „chalutzim‟ e quello dei „kibbutzim‟ sono sca-

turiti proprio da queste idee sociali. Risultati certo importanti, che però sono rima- sti sostanzialmente ininfluenti in campo politico («essi influenzarono profondamen- te i valori sociali [ma] nella politica sionista non ebbero che una piccola parte»118).

Inconsapevoli del destino del popolo ebraico nel suo complesso, i pionieri non si sono interessati granché alla politica ebraica o palestinese.

«Come tutti i veri membri di una setta, essi tentavano con ogni mezzo di con- vertire il popolo al loro modo di vita, di guadagnarsi l'adesione di quanti più seguaci possibile, persino di educare i giovani ebrei della diaspora a seguire le loro orme. Ma una volta in Palestina, ed anche prima, quando già si erano as- sicurati l'appoggio dei vari movimenti giovanili, questi idealisti si ritennero soddisfatti e si preoccuparono soltanto della realizzazione individuale di nobili ideali, indifferenti, quanto i loro maestri, a un mondo che non avesse accetta- to il modo di vivere benefico della collettività agricola. In un certo senso […] essi erano troppo onesti per occuparsi di politica, con la quale i migliori tra loro temevano […] di sporcarsi le mani; erano però anche del tutto disinteres- sati a qualunque avvenimento riguardasse la vita degli ebrei al di fuori della Palestina […]; erano inoltre infastiditi da qualunque ebreo non fosse un po- tenziale immigrante. Lasciavano perciò di buon grado la politica ai politici di professione»119.

Un briciolo di interesse politico non lo hanno risvegliato in loro neppure gli eventi del 1933 – che essi hanno ingenuamente interpretato come un segno divino, come l‟opportunità di un'insperata ondata di immigrazione in Palestina. In più, quando l'Organizzazione sionista – certo in contrasto con la tendenza spontanea del popolo ebraico – ha deciso di trattare con Hitler, di permettere gli scambi commerciali tra la Palestina e la Germania e di pianificare congiuntamente il trasferimento di ebrei tedeschi dal Reich, essa ha incontrato poca opposizione nella patria nazionale e- braica e ancor meno nell'aristocrazia (i cosiddetti „kibbutzniks‟). Rispetto all'antise- mitismo politico, questi palestinesi non hanno preso alcuna posizione autonoma,

analizzarla, e desideravano che il popolo ebraico formasse un corpo politico analogo». H. Arendt, 1944w, cit., pp. 60-62. Cfr. infra, le pagine successive di questo capitolo.

117 H. Arendt, 1944w, cit., p. 55. 118 Ivi, p. 56.

139

accontentandosi di ripetere le banalità del vecchio socialismo o del nuovo nazionali- smo.

«Il movimento nazionale ebraico social-rivoluzionario, partito cinquant'anni fa con ideali tanto elevati da impedirgli di riconoscere le realtà particolari del Vi- cino Oriente e la generale malvagità del mondo, ha finito per appoggiare in modo inequivocabile – come succede alla maggior parte di questi movimenti – non solo gli obiettivi nazionali, ma anche quelli sciovinisti - non contro i ne- mici del popolo ebraico, ma contro i suoi potenziali amici ed attuali vicini»120.

Così facendo – abdicando cioè volontariamente alla "leadership" politica – l'avan- guardia del popolo ebraico ha sgombrato il campo ai sionisti politici. Come altri mo- vimenti contemporanei meglio conosciuti (socialismo e nazionalismo), il sionismo ha tratto nutrimento da passioni politiche sincere – «ora condividono tutti il triste de- stino di essere sopravvissuti alle proprie condizioni politiche solo per aggirarsi come fantasmi viventi tra le rovine dei nostri tempi»121.

Da un certo punto di vista – prosegue Arendt –, l'antisemitismo ha fatto da padre sia all'assimilazionismo che al sionismo, e questo fatto ha pressoché impedito agli ebrei di comprendere la grande guerra delle argomentazioni combattuta tra sionisti e assimilazionisti. I fautori dell'assimilazionismo non si sono limitati ad invitare gli ebrei al suicidio nazionale, e i sionisti non vi si sono semplicemente opposti propo- nendo degli strumenti di sopravvivenza nazionale: gli uni e gli altri hanno sviluppa- to i loro rispettivi „ismi‟, ciascuno la propria ideologia. Mediante la fuga dalla storia reale alla storia immaginaria del genere umano, gli assimilazionisti hanno pensato di aver scoperto un‟eccellente strategia di sopravvivenza; i sionisti, dal canto loro, sono passati dal campo dei conflitti reali alla dottrina di un antisemitismo eterno che governerebbe ovunque e sempre le relazioni tra ebrei e gentili («Sia Herzl sia Pinsker122 identificavano il problema ebraico, in tutti i suoi aspetti e le sue connes-

sioni, con la realtà dell'antisemitismo, concepito da entrambi come la reazione na- turale di tutti i popoli sempre e dovunque, all'esistenza stessa degli ebrei. Come Pinsker diceva, e come entrambi credevano, il problema ebraico poteva essere risol- to solo “trovando il modo di reintegrare questo elemento isolato nella famiglia delle nazioni, al fine di eliminare per sempre la causa prima del problema ebraico”»123).

Risultato: né i sionisti né gli assimilazionisti hanno analizzato le vere cause dell‟antisemitismo, e né gli uni né gli altri lo hanno combattuto sul suo stesso ter- reno (un terreno politico!). E le vacue schermaglie tra sionismo ed assimilazionismo hanno distorto completamente il semplice fatto che i sionisti, da un certo punto di vista, sono stati gli unici a volere sinceramente l'assimilazione, da intendersi come „normalizzazione‟ del loro popolo: infatti sono stati i soli a desiderare che il loro po- polo fosse «un popolo come tutti gli altri»124, perché la volontà degli assimilazionisti

è stata semplicemente che il popolo ebraico conservasse la propria, unica posizione. Per Hannah Arendt l‟elemento che avvantaggia il sionismo sull'assimilazionismo è il

120 Ivi, p. 57. 121 Ibidem.

122 Leon Pinsker (1821-1891), medico di Odessa, è autore di un pamphlet pubblicato anonimo a Berli-

no nel 1882 con il titolo Auto-Emanzipation! Mahnruf auf seiner Stammgenossen von einem

russischenjuden [Auto-emancipazione! Appello di un ebreo russo ai suoi fratelli]. Cfr. G. Bensoussan,

2002, cit., pp. 130 sgg.

123 H. Arendt, 1946h, cit., p. 84.

124 H. Arendt, 1942e; trad. it. p. 30. E, aggiunge lei, «uomini tra gli uomini.

In questo contesto umano e politico, infatti, vale la grande legge che domina tutte le faccende davvero umane, la legge della normalità. Nel mondo terreno in cui viviamo ogni eccezione è una mostruosità e ogni soprannaturale porta all'innaturale». H. Arendt, 1942j; trad. it. p. 43. Cfr. anche H. Arendt, 1944b, cit.; trad. it. p. 82.

140

fatto di aver posto fin da subito l'intera questione in termini politici e di averne sol- lecitato una ridefinizione – sempre in termini politici. Gli assimilazionisti hanno de- siderato questa ridefinizione con pari intensità, ma hanno speso le loro energie nella fondazione di innumerevoli associazioni per la formazione professionale degli ebrei, senza avere però la forza di indurre gli ebrei a cambiare attività. Detto altrimenti,

«Il grande vantaggio dell'approccio dei sionisti al problema risiede in questo: con la loro volontà di trasformare gli ebrei in una “nazione come tutte le altre” essi hanno evitato il tipico sciovinismo ebraico che la secolarizzazione produ- ce automaticamente; sciovinismo che, in un modo o nell'altro, induce l'ebreo degiudeizzato medio, che pure non crede più in un Dio che sceglie o respinge, a ritenersi un essere superiore per il semplice fatto che gli è capitato di nasce- re ebreo – il sale della terra – o il motore della storia»125.

Arendt scrive: «Per quanto triste possa essere per chi crede nel governo del popolo, esercitato dal popolo per il popolo, è un dato di fatto che la storia politica del sioni- smo ha potuto facilmente ignorare l'autentico movimento nazionale rivoluzionario, scaturito dalle masse del popolo ebraico»126. Intende dire che la storia politica del

sionismo deve occuparsi soprattutto di elementi che non sono venuti dal popolo: deve occuparsi cioè di uomini che non hanno creduto nel governo da parte del po- polo, pur desiderando fare qualcosa per il popolo. Gli uomini che hanno assunto la leadership sionista127 sono stati l'aristocrazia morale degli ebrei occidentali, esatta-

mente come i fondatori del movimento ebraico dei "kibbutzim" e dei "chalutzim" sono stati quella degli ebrei orientali. Il sionismo è stato per gli uni ciò che il socialismo è stato per gli altri, e per entrambe le parti la Palestina ha rappresentato un luogo perfetto dove realizzare i propri ideali e trovare una soluzione personale ai conflitti politici e sociali. Il sionismo occidentale è arrivato ad accettare entusiasticamente