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Sono semplicemente una di loro

Nel 1961, Hannah Arendt segue il processo Eichmann a Gerusalemme come inviata speciale del “New Yorker”226, e nei suoi articoli denuncia con tono ironico e tagliente

guerra mondiale è davvero alle porte; e quando verrà, verrà come è venuta questa volta – nessuna di- chiarazione di guerra!», ivi, p. 310 (traduzione mia).

222 H. Arendt a K. Jaspers, lettera del 26 dicembre 1956, in Arendt, 1985, cit., p. 150. 223 K. Jaspers a H. Arendt, lettera del 29 dicembre 1956, in Arendt, 1985, cit., p. 152. 224 K. Jaspers a H. Arendt, lettera del 24 febbraio 1957, cit., p. 156.

225 Cfr. H. Arendt a K. Jaspers, lettera del 14 aprile 1957, in Arendt, 1985, cit., p. 157.

226 «Sto giocherellando con l'idea di chiedere a qualche rivista di affidarmi il servizio sul processo Ei-

chmann. Sono molto tentata. Era uno dei più intelligenti di quella banda. Potrebbe essere interessan- te, oltre che orribile». H. Arendt a M. McCarthy, lettera del 20 giugno 1960, in Arendt, 1995b; trad. it. p. 175. E quattro mesi più tardi: «Ho deciso che volevo assistere al processo Eichmann e ho scritto al “New Yorker”. (Solo tre righe, niente di complicato). Shawn mi ha chiamato e sembrava d'accordo a darmi l'incarico, a condizione di non dover pubblicare per forza tutto ciò che scriverò, e di pagarmi le spese, o per lo meno la maggior parte. Questo mi va benissimo». H. Arendt a M. McCarthy, lettera del 10 ottobre 1960, in Arendt, 1995b, cit., p. 200. Arendt ha però delle perplessità sul processo e sull‟atteggiamento di Israele, e le esprime a Jaspers: «Molti ebrei non vogliono, in quanto ebrei, essere rappresentati da alcuno, o lo vogliono sotto un aspetto puramente religioso. In nome di costoro, Israele non ha il diritto di parlare. Ma in nome degli altri? È l'unica istanza politica che noi abbiamo. Non che mi piaccia particolarmente, ma ammetterlo non mi è di grande aiuto. […] In ogni caso, Israele ha il di- ritto di parlare in nome delle vittime, e proprio perché la stragrande maggioranza di esse (300 000) vive oggi in Israele […]. Il processo ha luogo nel paese in cui soggiornano coloro che sono stati danneggiati o che sono sopravvissuti per miracolo. Secondo quanto Lei dice, allora Israele non esisteva ancora. Ma, si potrebbe dire, proprio per amore di quelle vittime la Palestina è diventata Israele. […] Si aggiunga il fatto che Eichmann era proprio di competenza degli ebrei, e soltanto degli ebrei, ed è indifferente di quale nazionalità essi fossero. E si aggiunga inoltre che in questo giudizio da parte degli ebrei non tro- vano posto altre questioni o altre competenze. Non sarebbe stato così se, per esempio, avessero acciuf- fato Bormann. Per quanto concerne questo lato della faccenda, devo fare una confessione: mi inquieta e mi addolora molto l'affermazione degli israeliani, continuamente ribadita, secondo cui Eichmann si sarebbe "spontaneamente" detto d'accordo, disposto a venire in Israele e a sottoporsi là al giudizio di un tribunale. Che ciò non corrisponda al vero, è evidente. (Tortura? solo minacce? Dio sa che cosa hanno combinato.) Quanto alla condotta del processo in sé, condivido i Suoi timori. […] Questa vicen- da mi piace poco. È abbastanza certo che in questo modo si vogliano dimostrare determinate cose alla gioventù israeliana e (peggio) all'opinione pubblica mondiale. Si vuol dimostrare, fra l'altro, che gli e- brei i quali non siano israeliani si trovano senza scampo nella situazione di lasciarsi macellare come pecore. E ancora: che tra gli arabi e i nazisti regnava un perfetto accordo. Ci sono parecchie possibilità di alterare e travisare i fatti». H. Arendt a K. Jaspers, lettera del 23 dicembre 1960, in Arendt, 1985, cit., pp. 182-83.

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il fenomeno tragico del collaborazionismo ebraico227 e la teatralità del processo, che

rischia di offuscare quello che a suo avviso è l‟elemento fondamentale: la banalità del male. La figura di Eichmann, nella sua atroce normalità228, costituisce a suo av-

viso l'espressione più inquietante del nazismo: non si tratta infatti di un uomo mal- vagio e senza scrupoli («non era uno Iago né un Macbeth»229 – anzi, a dispetto di

tanti suoi più illustri colleghi, in lui vi è addirittura una «innata ripugnanza per il crimine»230), bensì di un individuo incapace di partecipazione civile e che si è trovato

perfettamente a suo agio in un'organizzazione che ne ha annullato il giudizio. Ov- viamente un'interpretazione sgradita e scomoda per molti. Innanzitutto per Israele, che vuole fare del processo un processo esemplare, e che conta sul fatto che esso contribuisca a legittimare il nuovo stato. Poi per i superstiti e per i parenti e gli ami- ci delle vittime, per i quali la banalizzazione di quell‟uomo che credono un mostro rischia di rendere ancora più insensate le loro sofferenze. E infine per i tedeschi, che preferiscono convincersi dell‟eccezionalità del male compiuto dai nazisti per ri- dimensionare le molte complicità.

I più in Israele pensano che soltanto un tribunale ebraico possa rendere giustizia agli ebrei, e che tocchi agli ebrei giudicare i loro nemici. Di qui il fatto che in Israele nessuno voglia sentir parlare di un tribunale internazionale, perché questo giudi- cherebbe Eichmann non per crimini contro il popolo ebraico, ma per crimini contro l'umanità commessi sul corpo del popolo ebraico. Dal momento che per varie ragio- ni in Israele non si trova nessun avvocato disposto ad assumere la difesa di Adolf Eichmann231, il Parlamento crea, con una delibera, le premesse per la presenza di

227 Cfr. infra, la nota 105 di questo capitolo. Arendt racconta come, in un primo tempo, l'ascesa di Hit-

ler al potere sia stata interpretata dai sionisti soprattutto come la sconfitta dell'assimilazionismo, e co- sì essi hanno pensato bene di cercare di collaborare, almeno in un primo momento, con le autorità na- ziste. I sionisti hanno creduto anche che la „dissimilazione‟, combinata all'emigrazione in Palestina de- gli ebrei più giovani e possibilmente pure dei capitalisti ebrei, avrebbe potuto costituire una soluzione reciprocamente leale e vantaggiosa per entrambe le parti. L'idea è stata condivisa da molti funzionari tedeschi, ben disposti nei confronti dei sionisti in virtù dello spirito nazionalistico del loro movimento. Cfr. H. Arendt, 1963b, cit., pp. 66-8 e 85.

228 Come sostiene Simona Forti nel saggio Spettri di totalità, raccolto in O. Guaraldo (a cura di), 2008 –

cfr. infra, la nota 4 dell‟introduzione di questo lavoro –, da un punto di vista politico lo spettro totalita- rio della normalità del male smaschera uno dei più longevi luoghi comuni sul rapporto male e potere, la dicotomia tra un polo attivo e colpevole del potere ed una moltitudine passiva e innocente di sudditi costretti all‟obbedienza dall‟alto. Perché la facile assoluzione che ognuno accorda a se stesso nel nome dell‟impotenza collettiva e dell‟impossibilità del cambiamento è in verità un grande alibi molto spesso umiliante. Non ci è più concesso, a partire da quello che è accaduto, pensare il male come semplice sinonimo della trasgressione. Così come non possiamo più consolarci del fatto che malvagità e male coincidano con intenzione e risultato, perché mai come oggi la capacità di resistere al male si lega con la forza di mettere in discussione la pressione e l‟autorità di una norma. Conformismo, obbedienza e inazione sono i nuovi attributi del male, e il totalitarismo ha trasformato una volta per tutte la loro po- sizione passiva e acquiescente in un‟attività colpevole, colpevole di essere la condizione stessa di pos- sibilità di dilagazione e di persistenza del male. E oggi come allora l‟omissione non è meno attiva dell‟azione. Si veda anche – sempre di Simona Forti – il saggio Banalità del male raccolto in P.P. Porti- naro (a cura di), 2002.

229 H. Arendt, 1963b, cit., p. 290. 230 Ivi, p. 101.

231 Nato a Solingen nel 1906, Adolf Eichmann cresce a Linz. Non termina né gli studi liceali né quelli di

perito tecnico, e dopo un periodo di tirocinio lavora, tra il 1925 e il 1933, come venditore e commesso viaggiatore. Il 10 aprile 1932 si iscrive al Partito nazionalsocialista austriaco e su invito di Ernst Kal- tenbrunner, un giovane avvocato di Linz che in seguito diventerà capo del Reichsstcherheitshauptamt (RSHA) – ed è appunto in uno dei sei principali dipartimenti dell‟RSHA (la IV Sezione, diretta da Hein- rich Müller) che Eichmann alla fine viene nominato direttore dell'ufficio B-4 –, entra nelle SS.

Già prima di entrare nel partito e nelle SS Eichmann dimostra di avere la mentalità del gregario, e l'8 maggio 1945, data ufficiale della sconfitta della Germania, rappresenta per lui un tragico giorno so- prattutto perché da quel momento non potrà più essere membro di questo o di quell'organismo. Come lui stesso ammette, lo assale la sgradevole sensazione che da quel momento in poi la vita per lui sarà

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un avvocato straniero, e così entra in azione il dottor Robert Servatius di Colonia, che al processo di Norimberga232 ha difeso Fritz Sauckel. Il 10 febbraio 1961 al pri-

gioniero vengono notificati i capi d'accusa. Il dibattimento davanti al tribunale di- strettuale di Gerusalemme dura dal 10 aprile fino al 14 agosto 1961. L'11-12 di- cembre i giudici emettono il verdetto di colpevolezza e tre giorni dopo pronunciano la sentenza che prevede la pena capitale. Il processo d'appello, celebrato presso la Suprema Corte di giustizia dal 22 al 29 marzo 1962, non comporta una revisione della sentenza.

Fin dall'inizio del processo, per Arendt non c‟è dubbio che sia il giudice Moshe Lan- dau a dare il tono; ed è ancora lui a fare di tutto perché la teatralità del Pubblico ministero Gideon Hausner non trasformi il processo in una semplice messinscena. D‟altra parte, la stessa aula le appare una sede indovinata per il processo spettaco- lare che David Ben Gurion ha in mente fin da quando ha deciso di far rapire Ei- chmann; e Ben Gurion resta effettivamente, per tutto il tempo, il regista invisibile del processo: non assiste a nessuna seduta, ma nell‟aula del tribunale parla per bocca di Hausner. Se per fortuna gli sforzi di Hausner spesso non raggiungono il ri- sultato voluto, è solo perché il processo è presieduto da una persona che serve la giustizia con la stessa convinzione e solerzia con cui lui serve lo Stato di Israele. Nei piani del Primo ministro israeliano, il pubblico deve rappresentare il mondo intero, ed effettivamente nelle prime settimane è costituito in prevalenza da corrispondenti di quotidiani e riviste, accorsi a Gerusalemme da ogni Paese. Devono assistere ad uno spettacolo non meno sensazionale del processo di Norimberga, solo che questa volta il tema centrale è la tragedia del popolo ebraico. Ma le aspettative vengono de- luse: dopo circa due settimane i giornalisti disertano l'aula, e da quel momento la

più difficile, perché non riceverà più direttive da nessuno, non gli saranno più trasmessi ordini e co- mandi, non potrà più consultare regolamenti. Si libera dell'uniforme da ufficiale delle SS e indossa un'uniforme dell'aviazione. Passato dall'Austria alla Baviera, viene catturato e – secondo quanto rac- contato da lui stesso – riconosciuto come appartenente alle SS dal marchio a fuoco che ha nell'incavo dell'ascella. Viene portato in un campo speciale, dal quale riesce ad evadere all'inizio del 1946. A que- sto punto si rintana nella desolata brughiera di Luneburg, lavorando fino al 1950 come tagliaboschi presso un ufficio forestale. Poi il desiderio di riunirsi alla sua famiglia rimasta in Austria gli fa prende- re la decisione di lasciare la Germania. Sceglie come destinazione l'Argentina, dopo aver appreso che alcuni fascisti ricercati per i loro crimini si sono rifugiati in quel paese, dove vivono protetti da una nuova identità. Nel 1950 raggiunge l'Italia attraverso l'Austria, e a Genova si imbarca per Buenos Aires con un passaporto falso, intestato a Ricardo Klement. Due anni dopo lo raggiungono la moglie e i figli. Inizia a lavorare in uno stabilimento della Mercedes di Buenos Aires e va ad abitare in un quartiere pe- riferico della capitale. Eichmann viene catturato l‟11 maggio 1960 a Buenos Aires, e una settimana più tardi viene portato in Israele per essere processato.

232 Le immagini girate al campo di Auschwitz e quelle degli altri campi liberati dai soldati americani e

britannici (Mauthausen, Bergen-Belsen, Treblinka, Dachau, Buchenwald ed altri) vengono mostrate al Processo di Norimberga, rappresentando la più schiacciante e sconvolgente prova contro i crimini na- zisti. I processi di Norimberga sono in realtà tredici, ma quello che interessa maggiormente l'opinione pubblica mondiale è il primo, quello fatto ai ventuno alti gerarchi nazisti superstiti: i comandanti mili- tari, gli esponenti del partito ed i responsabili del lavoro forzato e del genocidio. La Corte è presieduta dal giudice britannico lord Geoffrey Lawrence. I capi nazisti, i „vinti‟, sono sul banco degli accusati nel- le vesti di imputati; i „vincitori‟ (USA, Francia, Gran Bretagna ed URSS) sono invece nelle vesti di giudi- ci e della pubblica accusa. I capi di imputazione sono quattro: 1) piano di cospirazione contro la pace per la conquista del potere in Germania e la successiva sopraffazione degli altri popoli; 2) crimini con- tro la pace e atti di aggressione; 3) crimini di guerra e violazioni delle convenzioni (Ginevra-Aja); 4) crimini contro l'umanità. Questi uomini vengono accusati sia individualmente, sia come membri di gruppi ed organizzazioni giudicate criminali – la Gestapo, le SS, l‟SD, le SA, il Gabinetto del Führer e i corpi dirigenti del partito nazionalsocialista –, tutte strumenti dell'oppressione del regime. Al processo di Norimberga ci sono però degli illustri assenti: mancano i principali protagonisti di quel macabro pe- riodo: Hitler, Goebbels e Heinrich Himmler, Martin Bormann, Heinrich Müller e Adolf Eichmann. Il processo viene criticato da molti giuristi in quanto le prove vengono scelte in modo da avvalorare la te- si della colpevolezza, mentre i documenti che condannerebbero gli Alleati vengono negati alla difesa o non vengono presi in considerazione. Cfr. A. Foa, 2009, cit., parte quinta, paragrafo 9.

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composizione del pubblico muta radicalmente. Si ritiene che questo sia ora formato essenzialmente da israeliani, e precisamente da persone troppo giovani per aver vis- suto quegli avvenimenti o che, come nel caso degli ebrei orientali, non ne hanno mai sentito parlare. Si pensa quindi che il processo debba mostrare a questa gente che cosa significhi vivere tra non ebrei, convincere che soltanto in Israele un ebreo possa condurre una vita sicura e decorosa. In realtà, però, il pubblico non è affatto costituito da giovani, e neppure da ebrei che vivono in Israele; è invece formato principalmente da „scampati‟, persone spesso di mezza età se non anziane, emigrate dall'Europa, che sanno perfettamente tutto quello che c'è da sapere, e che quindi non hanno certo bisogno di quel processo per farsi delle idee.

Al centro di un processo – osserva giustamente Arendt – ci deve essere soltanto co- lui che ha compiuto una determinata azione; e se costui deve pagare, deve farlo per ciò che ha fatto materialmente, non per le sofferenze che ha provocato agli altri. Co- sì, il deliberato tentativo compiuto al processo di presentare le cose soltanto dal lato ebraico distorce la verità, anche la verità ebraica.

«[Il processo Eichmann mostra] quanto poco Israele e il popolo ebraico in ge- nerale fossero disposti a riconoscere nei crimini contestati ad Eichmann dei delitti senza precedenti, e quanto difficile dovette essere per loro convincerse- ne. Agli occhi degli ebrei, che vedevano le cose soltanto dal punto di vista del- la loro storia, la catastrofe che si era abbattuta su di loro al tempo di Hitler […] non era un crimine nuovo, il crimine senza precedenti del genocidio233,

ma al contrario il più antico crimine che conoscessero e ricordassero. Proprio questo fraintendimento, quasi inevitabile se si pensa non solo alla storia e- braica, ma anche e soprattutto al modo in cui gli ebrei vedono di solito la loro storia, è alla radice dei difetti e delle manchevolezze del processo di Gerusa- lemme. Nessuno degli interessati arrivò a capir bene che l'orrore di Au- schwitz234 era stato diverso da tutte le atrocità del passato; perfino l'accusa e i

giudici erano portati a considerare quella vicenda come il più orribile pogrom della storia ebraica. Perciò essi credevano che esistesse una linea di congiun- zione diretta tra l'antisemitismo dei primi tempi del partito nazista e le leggi di Norimberga, tra l'espulsione degli ebrei dal Reich e le camere a gas. E invece, politicamente e giuridicamente, questi crimini erano diversi non solo per gra- vità, ma anche nella loro essenza»235.

I fatti per cui Eichmann deve essere impiccato sono già stati accertati al di là di o- gni ragionevole dubbio molto prima dell‟inizio del processo, e sono generalmente ben noti a tutti gli studiosi del periodo nazista. Gli elementi nuovi che l'accusa cer- ca di produrre vengono parzialmente accolti nella sentenza, ma non apparirebbero mai come completamente accertati se solo la difesa fornisse prove sue. Il 29 giugno 1961, dieci settimane dopo l'apertura del processo (11 aprile), l'accusa termina la sua requisitoria e Servatius comincia ad esporre le tesi della difesa; il 14 agosto, dopo centoquattordici udienze, il dibattimento finisce. La Corte si aggiorna per quattro mesi, tornando a riunirsi l'11 dicembre per leggere la sentenza. Eichmann ha sempre sostenuto di essere colpevole solo di aver aiutato e favorito i delitti di cui è accusato, ma di non aver mai commesso personalmente un omicidio; e in effetti la sentenza, con suo grande sollievo, in qualche modo riconosce che l'accusa non è ri- uscita a dimostrare il contrario; al tempo stesso, la sentenza prende anche atto del fatto tragico che, generalmente, nei campi di sterminio sono state le vittime a far funzionare il sistema con le loro mani. Due giorni dopo, il 15 dicembre 1961, vener-

233 Per un ottimo lavoro sul tema del genocidio suggeriamo la lettura di G. Bensoussan, 2006.

234 Per un‟analisi precisa e ben documentata dell‟orrore quotidiano di Auschwitz rimandiamo a F. Ses-

si, 1999.

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dì, alle nove del mattino, viene pronunciata la condanna a morte. Tre mesi più tar- di, il 22 marzo 1962, inizia il processo d'appello di fronte alla Corte Suprema di I- sraele, che dura solo una settimana; poi i giudici aggiornano i lavori per due mesi. Il 29 maggio 1962 avviene la lettura della seconda sentenza, che conferma il verdetto del Tribunale distrettuale. Ma in realtà, per quanto non lo si dica apertamente, la sentenza della Corte Suprema è una revisione di quella di primo grado: in netto contrasto con la prima sentenza, infatti, ora si afferma che Eichmann non abbia ri- cevuto alcun ordine superiore, ma sia stato piuttosto il superiore di se stesso, e ab- bia dato lui tutti gli ordini nel campo degli affari ebraici. Inoltre, i giudici dichiarano che l'idea della soluzione finale non avrebbe mai assunto le forme infernali dello scorticamento e della tortura di milioni di ebrei senza il fanatismo e la sete di san- gue di Eichmann e dei suoi complici. La Corte Suprema di Israele accetta insomma gli argomenti dell'accusa. Il 31 maggio, giovedì, poco prima di mezzanotte Eichmann viene impiccato236.

I crimini nazisti in generale – e i crimini perpetrati da Eichmann in particolare –, constata Arendt, pongono serie difficoltà all‟intero sistema giuridico occidentale e al- la sua pratica legale. Il problema nasce proprio dalla natura di questi crimini. Dal momento che essi mancano parzialmente di precedenti, il sistema legale occidentale non ha infatti a disposizione regole e criteri sulle basi dei quali giudicarli. D‟altra parte, quell‟incredibile varietà di crimini non ha una controparte in termini di puni- zione ed espiazione. I problemi giuridici del caso Eichmann riguardano sia la sua cattura, sia diversi altri aspetti del processo stesso, come per esempio la sede e il suo vero significato. Data la natura controversa del caso, non sorprende che esso abbia sollevato una viva discussione tra i giuristi. Il fatto singolare è che gli avvocati che si interessano al caso sembrano essere in qualche modo a disagio: dal punto di vista dell‟ordine legale esistente, pare ci sia qualcosa di equivoco in ogni sua fase e in ogni suo aspetto. Oltre a tutti i tipi di problemi formali del processo in sé, i giuri- sti hanno due grossi dubbi: da una parte, si arrovellano sul significato del processo Eichmann e del suo impatto sulla consapevolezza mondiale; dall‟altra, si chiedono quali saranno gli effetti sul diritto internazionale e, più in generale, quale sarà il ruolo della legge nel mondo. Se chi partecipa al dibattito capisse la profonda impor-