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In autunno Hannah Arendt deve darsi parecchio da fare per aiutare sua madre a tornare a Königsberg sana e salva; fatto ciò, parte per Parigi per raggiungere suo marito che si è già stabilito là da qualche mese.

È decisa a fare del lavoro pratico, del lavoro solo ed esclusivamente ebraico; ed è lungo questa linea che si orienta quando arriva in Francia, presentandosi al Comité national de secours aux Juifs allemands in cerca di un‟occupazione. Trova il suo primo lavoro presso l‟Agriculture et artisanat61, un'organizzazione che propone ai

giovani profughi corsi di formazione professionale agricola e artigianale in vista di una loro sistemazione in Palestina, oltre a corsi serali di lingua e di storia ebraica e di sionismo; in più, offre loro i pasti in una mensa62. È grazie alla sua sfacciataggine

– sostiene di avere competenze professionali che in realtà non possiede – che Arendt conquista un posto da segretaria negli uffici dell'organizzazione; e certo non esita ad usare la sua intraprendenza per aiutare gli amici a trovare un‟occupazione decente. In novembre, ad esempio, chiede a Blumenfeld di scrivere una lettera di presenta- zione per l‟amica Anne Mendelssohn, la quale negli ultimi mesi ha venduto fiammi- feri e dato lezioni di tedesco per compensi da fame:

«Ti avevo inviato una lunga lettera in Palestina, alla quale sembra tu non ab- bia ancora risposto; ma non mi faccio scrupoli a riprendere in mano la penna

59 Cfr. A. Grunenberg, 2006, cit., p. 210.

60 «Al diciottesimo Congresso sionista riunito nel 1933, il Mapai diventa il primo partito sionista in Ter-

ra santa e nella diaspora. Adottando lo slogan "Dalla classe alla nazione", Ben Gurion non svuota di senso la lotta di classe, ne fa al contrario lo strumento per mobilitare la nazione ebraica. La sua parola d'ordine non è tuttavia il semplice paravento di un ordine duro impartito ai deboli; il "lavoro ebraico" implica infatti una collaborazione tra le classi». G. Bensoussan, 2002, cit., p. 604. Le risoluzioni ap- provate in questo congresso contengono il messaggio che i sionisti vogliono giunga a tutti gli ebrei te- deschi e a quanti siano disposti ad ascoltare: «Mai, nella storia del sionismo, si era ancora manifestata in modo tanto tragico e tanto convincente la completa esattezza dell'analisi sionista della questione e- braica. Gli eventi occorsi in Germania hanno sancito il definitivo collasso di quelle illusioni che offriva- no una soluzione della questione ebraica unicamente attraverso l'emancipazione civile, o anche attra- verso una deliberata assimilazione. Quegli eventi hanno suggellato la fine di tutti i tentativi volti a rin- negare la solidarietà e il comune destino del popolo ebraico». Passaggio di un documento citato in E. Young-Bruehl, 1982, cit., p. 138. Il congresso incarica Henrietta Szold, un'americana di origine ebreo- tedesca, di occuparsi della Youth Aliyah, l‟organizzazione fondata da Recha Freier che prepara i giova- ni ebrei alla vita in Palestina (come vedremo nel prossimo paragrafo, Arendt vi lavorerà a Parigi). Nel 1933 Szold ha settantatre anni, e ha al suo attivo un gran numero di realizzazioni: la più importante è l'insieme di servizi sanitari e di centri di formazione promosso in Palestina dalla sua organizzazione femminile, la Hadassah. Cfr. ivi, pp. 171 ss.

61 Questa organizzazione è presieduta dal senatore francese Justin Godart (1871-1956), più volte mi-

nistro nella Terza Repubblica, il quale nel 1925 ha fondato – in collaborazione con altri – l'Associazione France-Palestine, una delle più influenti agenzie che contribuiscono allo sviluppo della Palestina. Cfr. G. Bensoussan, 2002, cit., p. 665, nota 292.

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ora che ho un favore da chiederti. La mia amica Anne Mendelsshon – della quale ti ricorderai sicuramente – è qui [a Parigi], e cerca da molto tempo un lavoro. […] mi servirebbe che tu ci mettessi una buona parola. Non ti chiede- rei una cosa tanto assurda se non fosse così dannatamente difficile trovare un impiego qui, e se ci fosse anche solo un‟altra possibilità. Bisognerebbe re- golare la cosa il prima possibile»63.

Sono centinaia i profughi tedeschi che vagano per Parigi alla ricerca di un lavoro qualsiasi; molti però non riescono ad uscire da quel circolo vizioso che anche nel 2011 i profughi conoscono fin troppo bene: non si può ottenere un lavoro se non si hanno i documenti necessari, ma se non si ha un lavoro non è possibile ottenere quei documenti. E la situazione si fa ancor più critica quando ai profughi tedeschi si aggiungono quelli che provengono dall'Europa orientale. Ad Arendt risulta ben presto evidente quanto la persecuzione renda davvero complesse le relazioni all‟interno del popolo ebraico; ecco come descriverà in un articolo pubblicato nel 1943 la situazione di Parigi di dieci anni prima:

«Gli ebrei francesi erano assolutamente convinti che tutti gli ebrei provenienti dall'altra sponda del Reno fossero quelli che loro chiamavano Polaks, e che gli ebrei tedeschi chiamavano Ostjuden. Ma quegli ebrei che venivano veramente dall'Europa orientale non erano d'accordo con i loro fratelli francesi, e chia- mavano [noi ebrei tedeschi] Jaeckes. I figli di questi, ostili agli faeckes - la se- conda generazione nata in Francia e già debitamente assimilata - condivide- vano l'opinione degli ebrei francesi delle classi alte. Così, nella stessa famiglia, si poteva essere chiamati Jaecke dal padre e Polak dal figlio»64.

Arendt prova ad applicare la critica sionista dell'assimilazione che ha imparato da Blumenfeld a questa nuova (e certo più ingarbugliata) situazione, ma quella critica va modificata, aggiornata, calibrata sulle mutate condizioni, appunto. Molte delle persone che ora incontra sono infatti il prodotto di due o tre diversi processi di as- similazione. Arendt ricorda quel tale, un tedesco, che subito dopo aver attraversato il Reno per sfuggire ad Hitler, ed essersi creato un suo ambiente a Parigi, fonda un'associazione di emigrati, all‟interno della quale gli ebrei tedeschi si convincono a vicenda di essere già francesi. «Nel suo primo discorso, egli disse: "Siamo stati buoni tedeschi in Germania, perciò saremo buoni francesi in Francia." Il pubblico applau- dì entusiasta, e nessuno sorrise»65. Ella tenta di richiamare l‟attenzione di questi

assimilazionisti ed assimilati sul fatto che non sono dei francesi, ma solo degli e- brei. Anche se talvolta le sue osservazioni sortiscono qualche effetto66, molto più

spesso esse hanno successo soltanto tra i sionisti.

Finito l‟impiego presso l'Agriculture et artisanat, ad Hannah Arendt viene offerto un lavoro dalla baronessa ebrea-francese Germaine de Rothschild, la quale la incarica di supervisionare i vari passaggi fatti dai contributi che ella versa agli enti assisten- ziali (Arendt deve cioè controllare prima di tutto che il denaro arrivi a destinazione, e poi che ne venga fatto buon uso), e di valutare la serietà e l‟efficienza di nuove or- ganizzazioni alle quali eventualmente estendere le sue elargizioni. Se ad Arendt pia- ce molto l‟estrosa baronessa (e la simpatia è reciproca), non si può certo dire lo

63 H. Arendt a K. Blumenfeld, lettera del 28 novembre 1933, in Arendt, 1995a, cit.; ed. francese p. 27

(traduzione mia).

64 H. Arendt, 1943a; trad. it. p. 28. 65 Ivi, p. 30.

66 Una volta aderisce ad una protesta contro il Comité de secours, che trova un lavoro ai profughi dalla

Germania, inducendo però i Polaks a farsi scrivere una lettera di presentazione dai loro vecchi datori di lavoro, ovvero dai datori di lavoro tedeschi. La protesta ha successo e il Comité rinuncia a questa pratica. Cfr. E. Young-Bruehl, 1982, cit., p. 152.

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stesso degli altri membri della famiglia Rothschild, che a suo modo di vedere appar- tengono a quel tipo di ebreo che chiama parvenu:

«La sventura degli ebrei, dai tempi dei privilegi generali degli ebrei di corte e dell'emancipazione degli ebrei d'eccezione, è stata che il parvenu è diventato, per la storia del popolo, più decisivo del paria; che Rothschild era più rappre- sentativo di Heine; che gli ebrei erano più orgogliosi di un qualsiasi primo mi- nistro ebreo che di Kafka e di Chaplin. […] Mascherato da filantropo, il parve-

nu ha avvelenato tutto il popolo, imponendogli il suo ideale. Il filantropo ha

fatto del povero un accattone, e del paria un futuro parvenu»67.

I Rothschild sono la vera forza che sta dietro al Concistoro di Parigi, che è la più importante istituzione religiosa degli ebrei francesi (soprattutto di ceto elevato). Il Concistoro controlla varie associazioni caritatevoli (per ebrei francesi ed immigrati), come pure scuole, sinagoghe e negozi di alimentari. È senza dubbio l'organizzazione che dà il contributo più significativo alla vita sociale e culturale ebraica, e al tempo stesso è l‟interlocutore che il governo chiama in causa più frequentemente per di- scutere questioni riguardanti gli ebrei e i profughi. Ma i capi del Concistoro68 fanno

del loro meglio per dissuadere i loro membri in particolare, e più in generale tutti gli ebrei di Parigi, dal partecipare attivamente a gruppi politici e/o dal sostenerli aper- tamente.

Tutte le azioni che Hannah Arendt appoggia – azioni di aperta e concreta resistenza al nazismo – incontrano puntualmente la ferma opposizione e la gelida ostilità del Concistoro. Ciò avviene per il boicottaggio (fallito) delle merci provenienti dalla Ger- mania, come pure per le dimostrazioni del 1936 in difesa di David Frankfurter69, un

giovane studente di medicina ebreo che in febbraio, a Davos (una località Svizzera), ha assassinato un dirigente del partito nazista. A Parigi vengono organizzate grandi manifestazioni, e il piccolo gruppo dei comunisti ebrei lancia una campagna di pro- testa contro l'incriminazione di Frankfurter. Molte organizzazioni, tra cui il Conci- storo, prendono però posizione contro le manifestazioni per timore di possibili rap- presaglie. In compenso, la lega internazionale contro l'antisemitismo si mobilita per fornire assistenza legale all‟imputato durante il processo. Arendt collabora con que- ste persone e dà il suo contributo intervistando Shalom Schwarzbard – un poeta yiddish che nel 1927 ha sparato, uccidendolo, a Simon Petlyura, l'uomo politico re- sponsabile del massacro di cinquantamila ebrei dell'Ucraina, avvenuto ad opera del- le truppe cosacche nell'inverno del 1919, e che è stato assolto – e incaricando l‟amico Chanan Klenbort70 di tradurre dallo yiddish alcuni brani dell‟autobiografia

di Schwarzbard, pubblicata un paio d‟anni prima. Ma i tempi sono cambiati: Fran- kfurter viene condannato a diciotto anni di reclusione, e non si riesce neppure a fa- re del processo un simbolo efficace di collaborazione internazionale contro il nazi- smo.

L‟elemento più sgradevole ed inquietante che Arendt riscontra in tanti ebrei con cui è in contatto per motivi di lavoro è l'incapacità di pensare in termini politici, l'inca-

67 H. Arendt, 1941c; trad. it. p. 15.

68 Anche se il Concistoro, stando ai suoi stessi principi, dovrebbe starsene lontano dalla lotta politica

francese, in realtà i suoi membri sono in contatto con gruppi di destra. Coltivano certi contatti nella speranza di convincere la destra che gli ebrei sono dei leali patrioti, e di attenuare così la sua retorica antisemita. Il Concistoro si rifiuta persino di inviare i suoi delegati al Congresso ebraico mondiale. A- rendt ovviamente disapprova sia le manovre nell‟ombra sia l‟inazione; è convinta che si tratti di tatti- che fallimentari.

69 Cfr. H. Arendt, 1936.

70 Dal 1933 Chanan Klenbort, un ebreo polacco, dà lezioni private di Yiddish ad Hannah Arendt. È lui

ad introdurla in un gruppo informale di emigrati, che si riunisce regolarmente per discutere la situa- zione politica.

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pacità di rendersi conto che nella crisi in atto in Europa (e nel mondo) la solidarietà ebraica è una necessità e potrebbe essere una grande risorsa. Gli ebrei non si ren- dono conto del fatto che la loro condizione non dipende tanto da loro, quanto da tutto il popolo ebraico. E, secondo Arendt, spesso i loro protettori favoriscono deci- samente questa assenza di comprensione.

«Ricordo ad esempio un direttore di un importante ente di assistenza di Parigi – scrive ancora nel 1943 – il quale, tutte le volte che riceveva la cartolina di un intellettuale ebreo-tedesco con l'immancabile "Dr.", era solito esclamare a voce altissima: "Herr Doktor, Herr Doktor, Herr Schnorrer [mendicante], Herr

Scbnorrer”»71.

A quel filantropo, insomma, non riesce di vedere in un ebreo tedesco semplicemente un altro ebreo, un ebreo come lui; vede solo un accattone.

Dopo aver fatto da segretaria alla baronessa per qualche mese, Hannah Arendt ini- zia a lavorare – sempre come segretaria – per la sezione parigina della Youth Ali- yah72, occupandosi dell'espatrio degli ebrei tedeschi e austriaci dal Reich. Questa

organizzazione sionista trasferisce dei giovani ebrei di età compresa tra i tredici e i diciassette anni dalla Germania alla Palestina e li alloggia presso dei kibbutz. I ra- gazzi ricevono una formazione sia professionale che scolastica; il compito di Arendt e delle altre donne con cui lavora consiste nel vestirli e nel cucinare per loro. In più devono procurare loro del denaro e i documenti necessari. Dal momento che i bam- bini e i ragazzi che usufruiscono dei servizi offerti dalla Youth Aliyah vivono, in Francia, circondati dallo stesso antisemitismo che molti di loro hanno già sperimen- tato nei loro Paesi d‟origine, Arendt e colleghe devono dedicare tempo ed energie an- che a proteggere (è difficile ma bisogna almeno tentare) questi ragazzi dai danni psi- cologici provocati da un‟atmosfera tanto pesante. Così, come rivela il settimanale ebraico di sinistra "Samedi", durante una riunione della sezione tedesca in esilio della Women's International Zionist Organization (WIZO) Hannah Arendt tiene una conferenza dal titolo Die Psychologie des jüdischen Kindes [La psicologia del ragazzo ebreo], e si appella alle assistenti sociali che lavorano per difendere i ragazzi dalla delinquenza e dalla disperazione73. Uno dei compiti più importanti della Youth Ali-

yah è dunque quello di far respirare ai figli degli emigrati un'atmosfera amichevole, nonché di aiutarli a difendersi dall'antisemitismo dei francesi e dai suoi effetti sui loro genitori74. Arendt lavora con entusiasmo e convinzione:

«Certamente – scrive nel 1935 – occorre aiutare coloro che non hanno risorse economiche. Ma il solo denaro non risolve i problemi di questi errabondi. […] I ragazzi, non appena si offre loro un altro ambiente e si da loro un lavoro, riacquistano assai presto una dignità naturale. Un campo di preparazione di alcune settimane, dove si lavora e si studia, con i giochi e i canti, con la lettu- ra e la libera discussione di tutte le questioni che li interessano, ridanno loro la libertà e la gioia»75.

Arendt è convinta che nel 1933 tutti gli ebrei, volenti o nolenti, abbiano dovuto prendere coscienza di sé in quanto ebrei. Se la questione che angoscia quelli che

71 H. Arendt, 1943a, cit., p. 27.

72 Questa organizzazione è stata fondata con l'intento di offrire un'alternativa a migliaia di giovani e-

brei sradicati e senza avvenire, vittime dapprima della legislazione razziale del regime hitleriano e poi, nell'esilio francese, sottoposti a condizioni materiali e politico-amministrative sempre più drammati- che.

73 Cfr. E. Young-Bruehl, 1982, cit., p. 177.

74 Sarà proprio ricordando il „complesso ebraico‟ – senso di inferiorità, sensibilità esagerata e tendenza

all‟introspezione – che riscontra in gran parte dei ragazzi di cui si prende cura a Parigi che nel 1959 Arendt scriverà Reflections on Little Rock. Per approfondire questo punto rimandiamo a S. Rapa, 2008.

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conoscono meglio la situazione è se saranno in grado di «dare un contenuto spiritu- ale a questo nuovo ghetto imposto dall'esterno [e di] collegare gli ebrei con un lega- me ebraico»76, la vera domanda è se vi sia qualcuno all‟altezza di questo compito. In

tal senso, osserva Arendt, Martin Buber è (ed è stato fin dagli inizi del Novecento) indiscutibilmente la guida dell‟ebraismo tedesco: egli è un leader che è «qualcosa di più di un buon propagandista del sionismo, più che un eminente conoscitore dei problemi ebraici, più che un eccellente studioso e storico ebraico, più […] che un rappresentante vivente della cultura ebraica. […] Egli è il vero leader della gioven- tù77»78. Se Arendt lo ammira tanto è perché egli si oppone sia al sionismo esclusi-

vamente politico (che spesso rischia di esaurirsi in negoziati e organizzazione), sia all'ortodossia devitalizzata che minaccia di cristallizzarsi in una ritualità tradiziona- le. Vede in lui il simbolo di un «ebraismo positivo»79 e di una particolare idea di ri-

nascita del popolo ebraico: una rinascita tutta moderna, che deve contemplare sia la lotta per il futuro che la fedeltà alle tradizioni, e che ha come obiettivo la normali- tà80. Tale normalità va conquistata attraverso una riqualificazione professionale, e

la Youth Aliyah („Aliyah‟ significa „risalita‟) offre proprio questo81.

Sull‟onda dell‟entusiasmo, nella primavera del 1935 Hannah Arendt coglie al volo l‟opportunità di accompagnare in Palestina un gruppo di giovani che hanno comple- tato la loro formazione. Vuole vedere con i suoi occhi quella terra – culla di molti popoli –, così parte con loro e, viaggiando prima per terra e poi per mare, giunge ad Haifa. Dopo aver sistemato i ragazzi, visita Gerusalemme e Petra, e poi – come da accordi – si mette in contatto con i sionisti responsabili della Youth Aliyah, ritro- vando alcuni amici di Blumenfeld come Georg Landauer e Hans Levy82. Tornata in

Francia, Arendt riferisce del suo viaggio ai gruppi parigini che sostengono la Youth Aliyah: ha parole di lode per le nuove comunità che ha visitato, i villaggi di lavoro e i kibbutzim, e afferma che in quelle comunità vede degli esperimenti politici degni di essere sostenuti. Agli amici però non nasconde perplessità e riserve personali, e il

76 H. Arendt, 1935b; trad. it. p. 180.

77 Buber riflette a lungo e profondamente sull‟uomo e sull‟educazione dell‟uomo, si veda ad esempio M.

Buber, 1948.

78 H. Arendt, 1935b, cit., p. 180. 79 Ibidem.

80 Per comprendere la statura intellettuale, morale e politica di Buber, suggeriamo la lettura di M. Bu-

ber, 1983. Il volume raccoglie lettere, articoli, conferenze, trascrizioni di interventi in sedi diverse (riu- nioni di partiti politici, comitati di intellettuali, associazioni culturali), note di diario, scritti tra l'inizio del 1918 (l'anno in cui, dopo la Dichiarazione Balfour* del novembre 1917, si apre una nuova fase nel- la storia del Medio Oriente) e il 1965 (anno della morte dell'autore, emigrato a Gerusalemme nel 1938). L‟elemento più interessante è a nostro avviso l‟insistenza di Buber sull‟importanza del dialogo, della cooperazione e della pace tra arabi ed ebrei.

* Cfr. infra, la nota 78 del quarto capitolo.

81 Le pagine che Hannah Arendt scrive nel 1935 contengono elementi del suo pensiero che, maturati in

questi anni di intensa esperienza ebraica, andranno poi a confluire nella più ampia corrente del suo pensiero politico. Nella sua polemica contro la beneficenza, ad esempio, ella privilegia già il piano pub- blico, politico, relazionale e condiviso, contro l'opzione individuale e privatistica: «La riqualificazione professionale basata sulla beneficenza è sempre sospetta: naturalmente noi non mettiamo in questio- ne la buona volontà e l'effettività dell'aiuto di tanti grandi benefattori. Ma la beneficenza non è solida- rietà, essa aiuta solo degli individui isolati e non agisce mai su di un piano generale; per questa ragio- ne alla fine essa non rende. La beneficenza divide il popolo in quelli che danno e in quelli che ricevono; i primi, lo vogliano o no, hanno un interesse a che i secondi non compromettano la loro posizione nel paese e che dunque siano tenuti a distanza (antisemitismo filantropico). Coloro che ricevono diventano degli indesiderabili, degradati e demoralizzati». H. Arendt, 1935a; trad. it. p. 179. O anche che ponga l‟accento sulla questione dei diritti di cittadinanza e sul fatto che i fondamentali diritti dell'uomo ven- gano meno nel momento in cui viene a mancare la cornice tutelante dello Stato-nazione, segnalando in tal modo un'aporia fondamentale ancora oggi irrisolta.

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ricordo del disagio provato durante questo suo primo viaggio in Palestina è ancora vivo nel 1969:

«Ricordo perfettamente – scrive a Mary McCarthy – la mia prima reazione ai

kibbutzim. Ho pensato a una nuova aristocrazia. Certo, sapevo già allora […]

che non ci si può vivere. “[Domina i vicini]”, alla fine si riduce a questo. Eppu- re, se uno crede sul serio nell'uguaglianza, Israele ti colpisce parecchio»83.

Dopo questa esperienza, per tutta la vita Arendt conserva – oltre all‟ambivalenza di cui il passaggio appena ricordato dà testimonianza – un sentimento che ella mette in parole nella stessa lettera:

«Gli ebrei pensano: gli imperi, i governi, le nazioni vanno e vengono, e il popo- lo ebreo resta. C'è qualcosa di grandioso e di ignobile in questa passione; non credo di condividerla. Eppure so che una qualunque vera catastrofe in Israele mi toccherebbe più profondamente di qualsiasi altra cosa»84.