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3.1.I. I primordi e l’età antica

La concia è una delle attività umane di origine più remota: gli uomini, infatti, si sono sempre serviti degli animali che cacciavano e allevavano per procurarsi in- dumenti o riparo. All’inizio, però, la temperatura costituiva un problema: il caldo provocava la putrefazione delle pelli, mentre il freddo le irrigidiva. Bisognava tro- vare il modo di renderle inalterabili. Non è noto dove e come l’uomo abbia appreso a trasformare le pelli, di per sé putrescibili e rigide se semplicemente essiccate, in un materiale difficilmente degradabile, resistente, sufficientemente impermeabile all’acqua, morbido e flessibile.

Probabilmente i primi procedimenti consistettero nel trattamento delle pelli secche con grassi di scarto e materia cerebrale, ovvero nell’immersione delle stesse nelle acque dei piccoli stagni del sottobosco contenenti estratti tannici provenienti dalle galle e dalla corteccia della quercia e di altre piante come il sommaco, l’acacia. Questi trattamenti costituiscono la base di procedimenti che in concreto furono poi sviluppati, nel primo caso per ottenere pelli morbide (“concia all’olio”), nel se- condo per avere un pellame duro, compatto e resistente (“concia al vegetale”). Certamente anche l’affumicatura e la “concia alle aldeidi”47, diventarono tecniche diffuse, ma presto fu evidente che i migliori risultati si ottenevano con l’essicca- zione. Nel tempo i procedimenti si fecero sempre più raffinati differenziandosi an- che a seconda delle zone geografiche: la concia all’allume, per esempio, prese piede nelle aree vulcaniche, mentre la concia vegetale al tannino nelle vicinanze di boschi di querce.

Testimonianze indirette di una primitiva tecnica di concia all’olio ci derivano dal rinvenimento in diversi siti archeologici di speciali utensili in selce od osso, ra- schietti a pialla di tipo “palissoni”, adatti a spalmare e far penetrare il grasso di concia nella parte più interna della pelle. Testimonianze dirette, sono invece fornite

46 (a cura di Giancarlo Santoprete, Vanda Coas e Gianni Grasso nel libro: L’industria della concia per la

produzione del cuoio, pag 240)

47 L’aldeide è un derivato dei vapori del fogliame bruciato; per la presenza nei fumi di alcuni composti

dal rinvenimento di alcuni oggetti di cuoio, in buono stato di conservazione, con- ciati con grassi animali o materiale cerebrale (es. arpa con cassa ricoperta di cuoio, recipienti di cuoio ecc.), provenienti da tombe egizie del Medio e Nuovo Regno, tra il 2100 e il 1200 a.C. Anche Omero, nell’Iliade, fa riferimento alla concia all’olio, allorquando paragona la lotta per il possesso del cadavere di Patroclo agli sforzi che i conciatori compiono nello stirare la pelle per far penetrare al suo in- terno il grasso.

Altri reperti, appartenenti sempre al paleolitico, come raschiatoi ottenuti da ossa lunghe, leggermente arcuate e smussate a lama nel senso longitudinale, fanno pen- sare che le pelli, deposte su un tronco d’albero48, venissero depilate prima che l’in- cipiente putrefazione dell’epidermide danneggiasse definitivamente il derma49. Ancora oggi i coltelli a depilare conservano la forma a lunetta di tali primitive attrezzature. Anche l’uso dell’allume come materiale conciante (“concia all’al- lume”) era diffuso e comune nell’antichità. Esso forniva pelli bianche e rigide che potevano essere ammorbiditi a seguito di ulteriori trattamenti chimici, quali l’in- grasso, ovvero meccanici, a mezzo di adatti utensili. In Egitto, probabilmente, detto procedimento era noto sin dall’epoca predinastica (antecedente al 5.000 a.C.). Testimonianze delle conoscenze e del ricorso a trattamenti delle pelli con allume ci sono rivelate da incisioni e dipinti, ovvero da oggetti e frammenti rinve- nuti negli scavi di tombe, templi e palazzi (sandali, vesti, cuscini ecc.). L’allume veniva estratto dalle miniere delle oasi di El-Dakhla e di El-Kharga ad occidente della valle del Nilo. A causa dell’impiego dell’allume, i sandali dell’epoca predi- nastica erano bianchi, ma nei periodi successivi si diffuse anche l’uso di colorarli in giallo, rosso, verde e più raramente in blu. Indipendentemente dal tipo di concia praticato (all’olio, al vegetale, alle aldeidi o all’allume; la concia al cromo si è sviluppata infatti in epoca moderna sul finire del XIX secolo) gli oggetti in uso presso gli egizi erano molteplici: cinghie per legare al manico le teste scure di selce, cinture intrecciate, collari, guinzagli, borse, sacche per cereali, bracciali da

48 Antesignano del “banco a schiena d’asino” utilizzato in epoche più recenti nelle concerie a carattere

artigianale

49 L’incipiente putrefazione del sistema epidermico, favorita dal caldo umido, facilita di molto la depila-

arciere, guanti, palloni, rivestimenti di sgabelli ecc. Anche presso gli altri popoli antichi il cuoio e la pelle erano materiali largamente diffusi e di grande interesse, esempio tra i sumeri che lo impiegavano come copertura per le ruote dei carri da guerra. I greci ben conoscevano il cuoio. Le testimonianze pervenuteci sono molto varie. Le troviamo in scritti, opere d’arte, reperti. Omero, nell’Iliade, oltre a de- scrivere la già rammentata concia all’olio, ci dà notizia della fattura in cuoio e bronzo degli scudi, delle faretre, dei foderi di spada.

I romani utilizzarono tipi molto diversi di calzature a seconda delle circostanze e della classe sociale di appartenenza, ma erano sicuramente più robuste di quelle degli egizi, dei sumeri, assiri e greci. A Roma imperiale le calzature venivano pro- dotte su larga scala in fabbriche ben organizzate ed esportate poi in tutto l’Impero. Nelle epoche dell’antichità classica il commercio delle pelli degli animali di grossa taglia non doveva essere granché fiorente, in quanto generalmente ogni popola- zione provvedeva autonomamente alla loro trasformazione appena dopo l’abbatti- mento dell’animale. Presso Roma, tuttavia, l’organizzazione del mercato imperiale era tale da prevedere un’importazione di pelli grezze secche ovvero conciate dalle colonie ed una riesportazione massiccia dei prodotti finiti. Ciò induce a ritenere che le tecniche di conservazione delle pelli grezze o semilavorate, trattate nei ca- pitoli successivi, dovevano essere già sviluppate. È noto che i costumi, le usanze e il sistema di vita della capitale venivano da vicino nei territori delle colonie e, per- tanto, non solo le calzature ma anche molti altri oggetti finiti ottenuti col pellame prendevano il via da Roma per diffondersi nell’Impero.

Nell’epoca successiva alla caduta dell’Impero romano, non vi furono sensibili mu- tamenti né per quanto riguarda le operazioni preliminari al trattamento della con- cia, se si esclude l’uso della calce nel processo di depilazione, né dei sistemi di concia vera e propria. Tali sistemi continuarono a limitarsi ai tre rammentati e ad essere condotti analogamente a quanto veniva effettuato in epoca romana, talvolta adottando un’organizzazione più artigianale. Ciò che invece ebbero a svilupparsi in maniera significativa, un po’ in tutta Europa, furono sia i commerci che le arti connesse alla trasformazione, decorazione e impreziosimento della pelle e del cuoio e della relativa oggettistica, nonché il ventaglio delle sue utilizzazioni. Per

ciò che invece riguarda lo sviluppo delle tecniche di manifattura si può ricordare l’evolversi delle affermazioni di lavorazioni, quali modellatura, laminatura, dora- tura, ingrasso, inceratura, trattamenti di idrorepellenza, cucitura, rilegatura ecc.

3.1.II. L’età moderna

Nell’Era moderna, che si apre con la scoperta del Nuovo mondo, gli sviluppi nell’arte della lavorazione del cuoio continuarono in maniera estremamente dina- mica, anche a seguito dei riflessi conseguenti al nascere delle nuove concezioni della vita, che portarono all’affermarsi dello spirito rinascimentale prima e illumi- nista poi. Gli influssi di tali concezioni si riverberarono ovviamente anche sulla fattura e sulle caratteristiche degli oggetti in pelle e in cuoio, che tennero sempre più conto delle esigenze soggettive e singolari, spesso segno di distinzione. Per restare comunque sugli aspetti più squisitamente tecnologici dei processi produt- tivi si può affermare che i tipi di concia in atto nell’epoca moderna, pur con varianti più o meno significative per le fasi antecedenti e successive a quelle della concia vera e propria, rimasero limitati a quelli tradizionali fino alla seconda metà del XIX secolo – inizio del XX: al tannino, all’allume e all’olio e, in alcune zone (esempio in Cina), anche con l’impiego del fumo. Progressi determinanti in questo campo furono effettuati solo dopo il 1850, come conseguenza degli sviluppo della scienza chimica e delle ricerche sulle materie prime e sui prodotti concianti che ne derivarono. Gli studi intrapresi in quegli anni, furono sollecitati dalle dinamiche esigenze della produzione industriale, dallo spirito imprenditoriale sviluppatosi a seguito della Rivoluzione Industriale e dalle richieste sempre più esigenti del mer- cato. Tali studi seguirono diversi filoni di ricerca ed ebbero il merito di far cono- scere meglio il processo di concia, la composizioni di alcuni componenti tannici ecc., avviando la produzione dei tannini di sintesi. I primi tannini sintetici posti in commercio risalgono in effetti ai tempi della I guerra mondiale e furono ottenuti a seguito di un brevetto del 1912, quando ancora gli industriali consideravano questi prodotti di sintesi un mezzo di studio, un espediente scientifico necessario all’ul- teriore comprensione della struttura dei tannini naturali piuttosto che promettenti materie prime per l’industria conciaria. Certamente, tuttavia, il balzo vero e proprio

nei processi conciari, dopo alcuni millenni di stasi, fu fatto per la concia al cromo, che oggidì rappresenta il procedimento industriale di gran lunga più esteso e su cui si avrà modo di dire diffusamente in prosieguo. In merito a questo aspetto un par- ticolare impulso al processo tecnologico fu dato dallo svedese Hylten-Cavallius (divenuto noto col nome di Cavalin a causa di un errore nella trascrizione del suo brevetto) che nel 1853 suggerì l’impiego dei sali di cromo come concianti. Gli studi ripresero nel 1858 con F.Knapp e successivamente (1878) con R.Heinzeling e quindi (1881) con W.Eitner. Fu però solo nel 1883 che A.Schultz, un operaio tintore dei tessili, impiegò un procedimento di concia che doveva considerarsi ap- plicabile industrialmente, se pure la pelle ottenuta in via sperimentale non fosse delle migliori. Il procedimento da lui impiegato prevedeva il trattamento delle pelli con bicromato di sodio e, dopo assorbimento, la riduzione di questo sale con ipo- solfito di sodio. Tutti i processi al cromo fino allora indicati erano “a due bagni”. Si dovette attendere altri dieci anni, e cioè il 1893, perché dallo statunitense M.Dennis si introducesse la “concia ad un solo bagno”. Successivamente impor- tanti furono i contributi di H.R. Procter, considerato da molti il fondatore della chimica conciaria intesa come scienza. È quindi a cavallo degli inizi del XX secolo che si cominciò ad intravedere la possibilità industriale di sostituire la concia ve- getale al tannino con quella minerale al cromo, anche in considerazione della svi- luppo della meccanizzazione in campo conciario in generale e delle possibilità aperte dall’introduzione dei bottali in particolare. Detta sostituzione avrebbe do- vuto comportare diversi vantaggi: pelli di maggiore morbidezza, di più elevata re- sistenza all’acqua e al calore, ma specialmente una riduzione dei tempi di durata della concia, veramente lunghi in quella al tannino. Le conseguenze economiche, sia per il mondo della produzione che per gli stessi consumatori, possono essere ben immaginabili.

Questa evoluzione ha avuto influenza sulla localizzazione di tale attività oltre che sul passaggio da una forma artigianale ad una forma industriale della produzione conciaria. Quello che in generale si può dire in proposito è che, mentre per millenni la produzione conciaria è stata un’industria locale largamente distribuita e a carat- tere artigianale, in tempi più recenti ha manifestato una tendenza all’ampliamento

della dimensione aziendale e alla polarizzazione in certi luoghi (vedi distretti con- ciari in Santa Croce sull’Arno, Solofra, Arzignano). Con particolare riferimento al polo di S.Croce sappiamo che nel 1804 non vi era alcuna conceria e anzi se ne auspicava, per la vocazione del territorio (situata su un fiume che rendeva il fabbi- sogno di acqua soddisfabile), per l’elevata richiesta di manovalanza, l’insedia- mento. A fine XIX secolo le concerie erano trentadue. La prima guerra mondiale, con le commesse militari, dette grandi impulso a questa manifattura cosicché nel 1925 vi erano cinquantacinque concerie fino a quasi un centinaio nel 1950.