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Negli ultimi venti anni la tecnologia della produzione del cuoio e del pellame ha subito una radicale trasformazione, dal momento che il concetto di qualità ha as- sunto un significato più ampio e completo. Infatti i requisiti tradizionali in base ai quali si giudicavano nel passato gli articoli prodotti, vale a dire la morbidezza, fermezza, uniformità tintoriale, l’aspetto, le proprietà meccanico-fisiche, da soli non sono più sufficienti a soddisfare le esigenze del mercato internazionale. In Europa e in Usa è necessario rispettare anche le leggi relative alla protezione dell’ambiente e le norme specifiche sui beni di consumo che intendono salvaguar- dare la salute dei consumatori di articoli in pelle. Secondo tali norme, gli articoli, a seconda della destinazione d’uso, non devono contenere sostanze chimiche, rite- nute nocive, al di sopra di certi limiti. Le tecnologie pulite oltre a migliorare le qualità ecologiche di processo e di prodotto contribuiscono anche alla riduzione dei costi di produzione, soprattutto per quanto riguarda il consumo dei prodotti chimici. Nella produzione del cuoio è necessario tenere conto contemporanea- mente dei seguenti aspetti:

 Rispetto delle esigenze della moda e dei parametri chimici e meccanico- fisici

 Rispetto delle risorse ambientali (acqua, aria, suolo): ecologia di processo

 Rispetto delle norme sui limiti delle sostanze ritenute nocive: ecologia di prodotto

 Razionalizzazione dei costi di produzione

Questi obiettivi hanno allargato la ricerca nella tecnologia chimica del cuoio, che non può essere considerata solo un’arte, come veniva definita nel passato, ma deve essere vista come una scienza applicata, per la quale si richiederà sempre maggiore conoscenza della Chimica, sia per comprendere il chimismo dei processi, che per controllare il prodotto finito attraverso complesse analisi strumentali. La qualità delle pelli finite, come sopra delineata, dipende dunque in buona misura dalla cor- retta esecuzione delle varie fasi di lavorazione oltre che dalla struttura e dall’entità dei difetti naturali presentati sul grezzo. Le richieste nuove e pressanti che vengono dai clienti, sotto la spinta di norme più severe a tutela della salute dei consumatori,

aprono poi nuove problematiche tecnologiche. È necessario una migliore prepara- zione chimica per poter capire le interazioni tra i composti chimici e la proteina della pelle ed intervenire con padronanza di cognizioni nel processo per guidarlo nella direzione desiderata. Le aggiuntive esigenze di mercato, che possono sem- brare, a prima vista, ulteriori difficoltà, costituiscono invece vere e proprie oppor- tunità per la competitività dei paesi sviluppati in un prossimo futuro. La ricerca chimica e tecnologica, la preparazione degli operatori devono essere punti di forza dal momento che bisogna fare i conti con ostacoli che i Paesi in via di sviluppo attualmente non hanno. Questi ultimi godono della disponibilità in loco della ma- teria prima, in parte sono avvantaggiati dal minor costo della manodopera, non hanno gli oneri economici correlati al rispetto dell’ambiente; inoltre il tenore di vita elevato dei Paesi sviluppati allontana sempre più gli operai da certi tipi di lavoro. Bisogna anche sottolineare che mentre nei Paese sviluppati, ad eccezione forse dell’Italia, l’incidenza della filiera pelle in relazione al prodotto interno lordo è più o meno trascurabile, per i Paesi in via di sviluppo la situazione è completa- mente differente. In questi ultimi le concerie contribuiscono in modo significativo all’occupazione e alla valorizzazione delle risorse costituite dalla materia prima. I governi di queste nazioni pertanto aiutano l’attività conciaria a vari livelli. Per que- ste ragioni alcuni grandi gruppi conciari occidentali stanno spostando in toto o in parte la loro produzione nei Paesi in via di sviluppo. La materia prima più utilizzata nella produzione conciaria è costituita per gran parte dalle pelli bovine, ovine, ca- prine, suine, equine e bufaline. Rappresenta circa il 60% del costo totale sostenuto nel ciclo di lavorazione mentre la manodopera incide per il 12-14%.

La conceria è un’industria a capitale intensivo a causa dell’alto costo delle pelli grezze; l’incidenza della manodopera è effettivamente una spesa relativamente piccola nel computo generale della produzione (anche se nei paesi europei non è proprio così) e non può essere considerato un fattore decisivo a vantaggio della competitività dei Paesi in via di sviluppo. Nella realtà la maggiore professionalità ed esperienza degli operai, la competenza del management che lavora nelle conce- rie dei Paesi occidentali assicurano un’organizzazione superiore sia a livello di produttività che di qualità.

In definitiva i vincoli del rispetto ambientale, gli incentivi per l’esportazione delle pelli finite o di articoli in stato avanzato di lavorazione, le misure protezionistiche esercitate dai governi dei Paesi poveri sulla loro materia prima, che, a seconda dei casi, ne limitano o ne impediscono l’esportazione allo scopo di incrementare l’oc- cupazione, di promuovere la vendita all’estero di scarpe, delle borse, dei salotti prodotti dalle loro industrie, costituiscono i maggiori fattori di debolezza dei set- tore conciario occidentale. Proprio per gli alti costi di depurazione, Paesi come l’Australia e gli Stati Uniti esportano pelli grezze in quantità sempre maggiori in Corea, Cina, Taiwan dove evidentemente questi problemi non sussistono. I Paesi che possiedono i più importanti allevamenti di bovini e bufali sono l’India, il Bra- sile, la Cina, la Russia, l’Argentina, gli USA, mentre l’Australia e la Cina si pre- sentano come i maggiore detentori di ovini. Per le pelli caprine l’India è al primo posto poco sopra la Cina, che vanta la stessa posizione di privilegio anche nell’al- levamento di suini. Fonti ufficiali riportano che gran parte del patrimonio zootec- nico mondiale è posseduto dai paesi in via di sviluppo (America Latina, Medio Oriente ed Estremo Oriente). Essi detengono circa i ¾ della disponibilità dei bovini e dei bufali. Si evidenzia la stessa situazione di forte preminenza dei paesi in via di sviluppo per le pelli ovine e caprine. Anche se i dati evidenziano una situazione nettamente favorevole ai paesi in via di sviluppo, per quanto riguarda il patrimonio, la macellazione e quindi la disponibilità di pelli grezze sul mercato, definita in tonnellate, si manifesta più alta nei paesi sviluppati. Questa discordanza è causata da una serie di fattori quali la minore richiesta di carne e le carenze strutturali e nutrizionali degli allevamenti dei paesi in via di sviluppo. È importante sottolineare che più del 50% delle pelli bovine commercializzate annualmente provengono da sei paesi (India, Cina, Usa, Russia, Brasile, Argentina). Quanto alle pelli ovine, il 50% del grezzo viene prodotto in Cina, Russia, Australia, Nuova Zelanda, India. I paesi in via di sviluppo occupano la posizione predominante per la macellazione delle pelli caprine; la Cina e l’India insieme macellano quasi la metà del mercato totale. A questo punto è interessante sottolineare una tendenza che si sta sempre più imponendo da alcuni anni a questa parte. Le concerie dei paesi industrializzati aumentano costantemente le importazioni di pelli semilavorate dai paesi di origine

produttori di grezzo. La stragrande quantità di queste pelli semilavorate è allo stato wet-blue. I motivi che hanno determinato questa tendenza sono molteplici, ma quelli decisivi sono i seguenti:

a) Le politiche di esportazione dei paesi che posseggono le pelli tendono sem- pre più a limitare la vendita di grezzo in pelo, al fine di valorizzare il loro prodotto e di favorire l’impiego della manodopera locale

b) Nei paesi avanzati per problemi ecologici si tende ad evitare le prime fasi di lavorazione (rinverdimento-concia) che sono le fasi maggiormente inqui- nanti dell’acqua, del suolo, dell’aria e che consumano grandi quantitativi di acqua. Si stima che il 60% dell’inquinamento totale prodotto dalla lavora- zione del cuoio dipenda da queste fasi iniziali

In Italia l’importazione del wet-blue ha avuto un’impennata a partire dall’inizio degli anni ’90 fino a costituire attualmente circa il 50-60% della totalità delle pelli lavorate.

Dagli anni ’60 ad oggi, la lavorazione delle pelli nel mondo si è pressoché tripli- cata. Nell’arco di tempo in cui si è verificata questa espansione produttiva è cam- biata radicalmente la partecipazione percentuale delle varie aree geografiche, nel senso che si è registrato un incremento notevole della produzione nei paesi in via di sviluppo. A partire dai primi anni ’60 ad oggi, in Europa e negli Usa, la lavora- zione complessiva di pelli bovine, ovine è fortemente diminuita, per contro i paesi dell’America Latina e dell’Estremo Oriente hanno fatto segnare un forte incre- mento della produzione. Si ritiene che quest’ultima zona in un futuro ormai pros- simo, incrementerà ulteriormente le sue posizioni fino a raggiungere una premi- nenza assoluta nella produzione mondiale.Nonostante difficoltà di vario genere, che verranno affrontate in seguito, l’Italia è leader europeo con il 66% della pro- duzione conciaria e si colloca nel mercato mondiale in posizione di grande presti- gio con il 17% del totale. Il comparto conciario nazionale occupa all’incirca 18.000 addetti, con un fatturato annuo di circa 5,2 miliari di euro50 ed è storicamente con- siderata leader mondiale per l'elevato sviluppo tecnologico e qualitativo, lo spic- cato impegno ambientale e la capacità innovativa in termini di design stilistico.

La produzione è attualmente pari a 129 milioni di mq di pelli finite e 34 mila ton- nellate di cuoio da suola. Come è noto il settore è formato soprattutto da piccole e medie imprese, sviluppatesi principalmente all'interno di distretti specializzati per tipologia di lavorazione e destinazione merceologica. L’esportazione del prodotto finito è arrivata anche a punte del 50-55% ma fino a poco tempo fa la tendenza è stata negativa anche perché con l’introduzione dell’Euro si sono esauriti gli effetti positivi della svalutazione della Lira, solo recentemente con il progressivo deprezzamento della moneta unica nei confronti del Dollaro le esportazioni hanno ripreso a crescere come non si vedeva da diversi anni ormai. L’industria conciaria italiana è l’unica, come detto, in Europa a vantare un posto di tutto rispetto nell’ambito mondiale. Ciò si presenta quasi come un’anomalia in rapporto alla situazione di costante declino che si è verificato per le concerie degli altri paesi europei e degli Stati Uniti, nonostante l’Italia sia costretta ad importare i ¾ del fabbisogno di grezzo e a convivere con la normativa nazionale a salvaguardia dell’ambiente, tra le più rigide a livello europeo. Queste difficoltà sono state fino ad oggi superate grazie non solo al rinnovamento tecnologico, ma anche alle sinergie con il settore calzaturiero, dell’abbigliamento, molto forti in Italia, come abbiamo sottolineato nel capitolo sul Made in Italy. Essi hanno apportato infatti elevati contenuti di moda e stile valorizzando il brand “Made in Italy” in tutto il mondo. In un prossimo futuro queste armi potrebbero rivelarsi insufficienti a contrastare la concorrenza dei paesi emergenti se non si migliora decisamente una ricerca capace di dare risposte esaurienti alle nuove esigenze di un mercato sempre più severo in materia di qualità, intesa in senso globale, per il quale il rispetto dell’ambiente e delle norme ecotossicologiche a tutela e dei beni di consumo sono solo alcuni degli aspetti più pressanti51.