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Individuare delle possibili strategie per il futuro dei distretti industriali italiani è un esercizio complesso, ma indispensabile. Tra le possibili evoluzioni/linee di azione che potrebbero permettere un rafforzamento e un rilancio dei distretti vi sono:

 Una crescita delle dimensioni medie aziendali

 Una maggiore internazionalizzazione delle attività produttive e commer- ciali delle imprese, con una maggiore presenza delle stesse nei canali distri- butivi

 La creazione e la valorizzazione di marchi forti e visibili

 Il potenziamento delle attività di R&S e dell’innovazione

 Risposte istituzionali adeguate da adottarsi a livello europeo di fronte alle asimmetrie del commercio mondiale e della concorrenza dei paesi emer- genti asiatici

 Una maggiore attenzione al capitale umano e un maggiore sforzo nella for- mazione

 Un rafforzamento dei canali di finanziamento delle imprese distrettuali

 Una maggiore cooperazione a vari livelli e tra vari soggetti distrettuali

 Una maggiore liberalizzazione del mercato energetico italiano

 La modernizzazione delle infrastrutture e info-strutture, con un migliora- mento anche dei servizi pubblici (la qualità dei servizi e delle infrastrutture incide in modo rilevante sulla competitività delle imprese, ma purtroppo nel nostro paese a costi elevati non corrisponde un altrettanto elevata qualità degli stessi)

È soprattutto importante lo sviluppo di strategie che mirino ad aumentare la pre- senza delle imprese italiane in generale, e dei distretti industriali in particolare, nei mercati mondiali. Oggi sempre più spesso non è più sufficiente esportare, ma per consolidare o aumentare le proprie quote di mercato è necessario sviluppare una presenza all’estero strutturata e di lungo periodo, attraverso impianti produttivi e

sedi commerciali, specie nei nuovi mercati emergenti. Per quanto concerne i di- stretti industriali, il processo di internazionalizzazione dovrebbe seguire due diret- trici: da un lato mantenere in Italia le eccellenze delle produzioni, che sono local- mente radicate nel distretto e, dall’altro, avere anche una più forte presenza inter- nazionale che faccia dei distretti industriali dei nodi forti di reti molto lunghe. Si tratta di un processo complesso che richiede tanti elementi per poter riuscire. Ad esempio è importante poter sfruttare al massimo la leva dell’innovazione tecnolo- gica; formare il capitale umano in modo aderente alle nuove esigenze; avere una forte predisposizione imprenditoriale ed un adeguato approccio manageriale di fronte alle nuove sfide; poter contare su opportunità di finanziamento adeguate. È richiesta alle imprese una dimensione superiore: è difficile che le piccole imprese riescano da sole ad avviare progetti complessi e dispendiosi per l’espansione nei mercati esteri; inoltre occorre in molti casi sviluppare una strategia a livello di distretto. È ormai tramontata l’epoca del “terzismo”, in cui molte PMI italiane, anche distrettuali, lavoravano prevalentemente su commissione, spesso per clienti stranieri, che oggi ormai sempre più di frequente si approvvigionano nell’Est Eu- ropa o in Asia. Non basta più, come avveniva in passato, solo saper produrre ma occorre anche saper vendere direttamente sui mercati mondiali. La spinta suddivi- sione del lavoro lungo la filiera del prodotto e il non possedere marchi forti costi- tuiscono importanti ostacoli lungo la strada dell’internazionalizzazione delle im- prese dei distretti industriali: se la maggior parte delle aziende svolgono lavora- zioni di fase, la conoscenza del prodotto non è completa, il prodotto finito e il brand sono lontani. Nel nuovo scenario globale è diventato molto difficile esportare se- milavorati e prodotti finiti non caratterizzati in cui è minima la possibilità di sfrut- tare il vantaggio di immagine che il Made in Italy può esercitare. Nello stesso tempo la percezione da parte degli imprenditori della concorrenza sleale praticata da molte delle economie emergenti non favorisce certo l’apertura verso l’estero. È evidente che il fenomeno della delocalizzazione, pur non avendo assunto, almeno finora, proporzioni dirompenti, va gestito con attenzione e prudenza in quanto espone il distretto, secondo alcuni, al rischio della perdita della propria identità,

dello sradicamento dal territorio di origine, di una dispersione pericolosa delle pro- prie conoscenze accumulate nel tempo, di una crisi strutturale delle proprie attività indotte e in definitiva di un impoverimento del territorio non solo dal punto di vista economico e occupazionale, ma anche sociale e conoscitivo. Ci sono distretti che hanno risposto alle sfide dell’internazionalizzazione senza delocalizzare se non in minima parte la produzione all’estero come per esempio le aziende del Distretto del Cuoio Toscano24.

Se per lungo tempo la presenza preponderante di PMI, soprattutto nelle realtà di- strettuali, ciò non ha costituito un limite allo sviluppo dell’Italia e dei suoi distretti, grazie alla vivacità, flessibilità e capacità delle PMI di operare in settori di nicchia particolarmente redditizi, oggi l’esigenza di una crescita dimensionale delle im- prese italiane si fa sempre più sentire in relazione alla possibilità di conseguire una massa critica sufficiente al fine di potenziare la promozione e la distribuzione dei prodotti, la creazione di brand forti e visibili, la fornitura di servizi post-vendita, i processi di internazionalizzazione, gli investimenti in ICT e in R&S. inoltre, nel nuovo quadro globale caratterizzato da processi di delocalizzazione o di outsour- cing da parte delle grandi multinazionali che fino agli anni ’90 utilizzavano preva- lentemente le PMI e i distretti industriali come “terzisti”, occorre ridefinire il ruolo dei distretti e porre particolare attenzione alla realtà emergente delle medie imprese quali attori più capaci delle piccole di reggere le nuove sfide della competizione globale25.

La spinta imprenditoriale e il talento individuale dell’imprenditore di stampo schumpeteriano, fattori alla base del successo dei distretti, sembrano oggi essersi in parte affievoliti. Così come la capacità di competere-collaborare, altra caratteri- stica vincente dei distretti, pare non più così incisiva come in passato. Le possibili risposte alle debolezze emergenti sul fronte del capitale umano vanno ricercati sia in un ritorno a una mentalità imprenditoriale competitiva e creativa sia in uno ar- ticolato sforzo di rilancio della formazione. L’aumento della produttività (o meglio di efficienza), necessario per affrontare le sfide competitive dei mercati globali

passa sia attraverso un aumento delle conoscenze complessive codificate a livello di impresa e di individuo, sia attraverso il know-how contestuale non codificato che è proprio dei distretti. Al sapere diffuso di tipo informale bisogna affiancare anche quello più formale e codificato a tutti i livelli: scuole, istituti tecnici, univer- sità. Le scuole e gli istituti industriali sono tra i principali depositari del sapere tecnico di distretto, di quel sapere contestuale che spesso ha raccolto l’eredità di una precedente e più antica tradizione artigiana; si tratta di scuole e istituti che hanno formato imprenditori e tecnici e che costituiscono una risorsa preziosa. Se però il loro ruolo e la loro azione si affievoliscono il sapere accumulato in termini di conoscenza di processo e di prodotto rischia di andare in parte disperso.

All’interno di un distretto operano poi vari attori: consorzi e associazioni di im- prenditori devono assumere un ruolo più attivo e consapevole nel coordinare aziende e progetti; nel promuovere l’immagine del distretto in Italia e all’estero; nello stimolare sinergie e collaborazioni tra tutti gli attori coinvolti, sia pubblici che privati, in modo da superare il limite dimensionale della piccola impresa; nell’incentivare l’internazionalizzazione delle imprese; nel favorire il trasferi- mento tecnologico; nel creare reti di imprese, banche, università.