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1.2 Il quartiere come spazio di coabitazione

1.2.2 Dimensioni collettive della comunità socio-spaziale

Merita alcune riflessioni e un ulteriore approfondimento l’accezione socio-spaziale di comunità appena affrontata. Come detto, nella comunità spazialmente determinata, dove lo stesso spazio è il confine in cui la comunità prende piede e matura, vengono riprodotti legami comunitari soprattutto di tipo bonding, che in linea di principio possono non essere esclusivamente positivi, ma rischiano anzi di supportare la produzione di isolamento, individuale o collettivo, a fronte dell’autosufficienza e della compattezza che all’interno dell’area i singoli possono ritrovare (Small, 2011). Al di là dei benefici che possono essere indagati a livello individuale, a fronte anche dell’evoluzione che la vita alla dimensione del quartiere sta subendo, può avere senso studiare aspetti collettivi di dinamiche comunitarie (vedi gli ultimi due capitoli per la parte qualitativa della tesi). Due concetti in particolare assumono rilevanza, quello di efficacia collettiva, introdotto in campo sociologico da Sampson alla fine degli anni ’80, e quello di coesione sociale, che nell’accezione di Kearns e Forrest (2000) ingloba di fatto anche il primo. Ci sono quartieri, infatti, dove il neighbouring può essere più importante del neighbourhood stesso.

“[…]in disadvantaged neighbourhoods it may be the quality of neighbouring which is an important element in peoples’ ability to cope with a decaying and unattractive physical environment. In more affluent areas, however, neighbourhood may be rather more important than neighbouring— people may ‘buy into’ neighbourhoods as physical environments rather than necessarily anticipate or practice a great degree of local social interaction.” (Forrest e Kearns 2001, p. 2130)

5 Si precisa che non vengono qui ripresi i contributi che arrivano dalla psicologia sociale, che non è disciplina di approfondimento della tesi. Si segnalano due recenti tesi di dottorato che invece affrontano il dibattito anche da questa prospettiva: Bottini 2016 e Cornetta 2015.

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Il “neighbouring” può essere interpretato come la possibilità di entrare in contatto quotidianamente (Forrest e Kearns, 2001) e quindi come l’opportunità di interagire “face to face” (Jenson, 1998). Lo spirito collettivo, alla base dei due concetti qui presi in esame, può essere definito come “la capacità di agire collettivamente come e quando richiesto” (Forrest e Kearns, 2001).

“Community consists of practices in which we convey a shared positioning, develop shared experiences, or construct a shared narrative of belonging” (Blockland, 2017)

In questo senso ciò che rende una comunità qualcosa che va oltre il semplice vivere in prossimità riguarda la fiducia, la cooperazione, le relazioni umane (Arvanitakis, 2006).

“Una collettività può essere definita una comunità quando i suoi membri agiscono reciprocamente e nei confronti di altri, non appartenenti alla collettività stessa, anteponendo più o meno consapevolmente i valori, le norme, i costumi, gli interessi della collettività, considerata come un tutto, a quelli personali o del proprio sotto-gruppo o di altre collettività; ovvero quando la coscienza di interessi comuni anche se indeterminati, il senso di appartenere ad un'entità socioculturale positivamente valutata ed a cui si aderisce affettivamente, e l'esperienza di relazioni sociali che coinvolgono la totalità della persona, diventano di per sé fattori operanti di solidarietà. [...] Sembra darsi per dimostrato, […], che tale forma di solidarietà si verifichi di preferenza in gruppi a base territoriale relativamente ristretti, cioè nelle comunità locali; ma a rigore qualsiasi collettività – una nazione, una classe sociale, un'associazione, […] – è atto, in certi momenti, a configurarsi come una comunità” (Gallino 1993, p. 143)

Quello di efficacia collettiva è un concetto che arriva dalla psicologia, in particolare da Albert Bandura (1977) e che deriva direttamente da quello di self-efficacy, che si traduce nell’efficacia espressa da un individuo e messa in atto per raggiungere obiettivi specifici e maneggiare situazioni di vario genere.

In campo sociale la nozione è usata soprattutto da Sampson (1988) esattamente come “Neighbourhood collective efficacy”. Per l’autore essa indica la capacità di raggiungere un certo obiettivo a livello di quartiere, quindi la propensione ad operare all’interno dello stesso, individualmente se necessario, in ottica migliorativa. Un

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quartiere in cui c’è un alto livello di efficacia collettiva è un quartiere che funziona, in cui i membri sono portati istintivamente a fidarsi gli uni degli altri e in cui quindi si trovano alti livelli di coesione tra i cittadini, elementi di forte controllo sociale, bassi tassi di criminalità e di violenza. In un quartiere è riscontrabile efficacia collettiva, quindi, se i membri del quartiere sono controllati dal quartiere stesso.

L’accezione criminologica risulta decisamente smussata nel concetto di coesione sociale. Esso rimanda all’idea che tutte le componenti sociali “funzionino” e si incastrino perfettamente rendendo possibile l’operare della società e il benessere della stessa.

“What is meant by the term ‘social cohesion’? Typically, it is used in such a way that its meaning is nebulous but at the same time the impression is given that everyone knows what is being referred to. The usual premise is that social cohesion is a good thing, so it is conveniently assumed that further elaboration is unnecessary.” (Kearns e Forrest 2000, p. 996)

Kearns e Forrest (2000) hanno individuato cinque dimensioni quali elementi costitutivi della coesione sociale:

1. Common values e civic culture

“In the domain of culture and values, a socially cohesive society is one in which the members share common values which enable them to identify and support common aims and objectives, and share a common set of moral principles and codes of behaviour through which to conduct their relations with one another. […]Thus, in terms of the effectiveness of political institutions, a society might be said to be cohesive if its citizens subscribe to a common view of how to conduct collective affairs, and if political attitudes support conformist (or at least non-revolutionary and non-anarchist) forms of political action.” (Kearns e Forrest 2000, p. 997)

Riferendosi a una società valori e cultura civica comuni rimandano all’idea di comunanza circa principi morali e codici di comportamento. Trasportando la concezione alla scala del quartiere significa che gli abitanti o i gruppi sociali dovrebbero condividere una visione del quartiere avendo atteggiamenti conformi gli

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uni agli altri, nel rispetto appunto di regole condivise e in assenza di forme particolari di devianza.

2. Social order e social control

“[…] absence of general conflict within society and of any serious challenge to the existing order and system.” (Kearns e Forrest 2000, p. 998)

L’assenza di conflitto tipica di una realtà socialmente ordinata e controllata, si traduce, a livello di quartiere, in una piena padronanza del territorio stesso da parte dei cittadini, dunque nella capacità di supervisione da parte degli stessi.

È questo uno degli elementi su cui maggiormente ci si sofferma quando si parla oggi di vivibilità dei quartieri perché è nell’attenzione che gli abitanti riversano sullo stesso e nella sicurezza che provano nel viverlo che si fondano alcune delle principali differenze, nelle nostre città, tra una zona e un’altra. Non necessariamente esistono in questo senso indicatori capaci di dare informazioni oggettive circa le condizioni di ordine e controllo sociale di un territorio, ma più spesso è la percezione del quartiere stesso in primo piano, che non dipende sempre da dati o condizioni direttamente tangibili, quanto appunto piuttosto dalle sensazioni diffuse tra coloro che vivono l’ambiente.

3. Social solidarity e reductions in wealth disparities

“[…]refers to the harmonious development of society and its constituent groups towards common economic, social and environmental standards. This may be achieved through the solidaristic redistribution of finances and opportunities between groups and places. […] Social cohesion in this context implies amongst other things: extending opportunities for income-generating activities; reductions in poverty; reduced disparities in incomes, employment and competitiveness; higher quality of life; and open access to services of general benefit and protection. (Kearns e Forrest 2000, p. 998-999)

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La solidarietà sociale e la riduzione delle disuguaglianze, il terzo elemento che Kearns e Forrest (2000) indicano come componente essenziale della coesione sociale, è l’unico dei cinque che rimarrà marginale nelle riflessioni portate avanti all’interno della tesi. Esso non può essere ricondotto né traslato alla dimensione spaziale del quartiere ma si tratta di un fattore che riguarda la città nel suo complesso. È un concetto che implica lo sviluppo armonioso della società e dei gruppi che la costituiscono sotto diverse prospettive, economica, sociale, degli standard ambientali. Ciò che quindi accade in un quartiere può certamente essere osservato simultaneamente ad altre realtà, ma non avrebbe senso considerare lo sviluppo sociale armonioso interno ad una stessa micro-realtà socio-spaziale, motivo per cui, come suggerito dagli stessi autori, non è possibile studiare il fattore in relazione ad unico quartiere.

4. Social network e social capital

In una società coesa è indispensabile trovare dei legami che possono diventare fonte sia di sicurezza sia di identità. Non è importante né il tipo di legame in senso stretto né la quantità dei networks cui si appartiene, bensì la qualità del legame entro cui gli individui sono e sentono di essere coinvolti. Sia legami deboli, sia legami forti, infatti, possono avere effetti positivi ed effetti meno positivi. Se è vero che i legami deboli tendenzialmente non supportano nei momenti di forte difficoltà, a livello di quartiere, possono aiutare a sviluppare intimità con lo stesso e a confidare nelle piccole interazioni abituali. Sempre i legami deboli spesso fanno da vero e proprio ponte tra networks, diversi gruppi sociali o opportunità di vario tipo. I legami forti, d’altra parte, sono la principale fonte di aiuto quando si ha bisogno di supporto ma rischiano al contempo di ingabbiare entro reti amicali o famigliari fisse e poco adattabili alle diverse sfere di vita entro cui i singoli possono ritrovarsi.

“Social interaction is defined as formal (e.g., active, planned) or informal (e.g., casual, unplanned) social opportunity in which two or more residents attend to the quality of their relationships. Social interaction consists of (a) neighboring—interactions with residents living next door or on the same block (Buckner, 1988; Festinger, Schachter,&Back, 1950; Glynn, 1986); (b) casual social encounters—informal social contact between residents who do not know each other and are not

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neighbors (Fleming, Baum,&Singer, 1985; Khermouch, 1995; Oldenburg, 1989); (c) community participation—interactions about community issues or engagement in community problems and related activities” (J. Cook, 1983; Rothenbuhler, Mullen, DeLarell, & Ryu, 1996; Zaff & Devlin, 1998); and (d) social support—friendship networks and the development of small groups that foster feelings of caring for each other (Cobb, 1976; Fleming et al., 1985; Keane, 1991; Pretty, Conroy, Dugay, Fowler, &Williams, 1996; Schwirian & Schwirian, 1993). Through such social interactions residents get to know one another and gain a sense of belonging in the community.” (Kim e Kaplan 2004, p. 316-317)

Ciò che sembra certa è la correlazione tra reti sociali e benessere:

“There is evidence of a correlation between strong social networks and wellbeing: those who know more people in their local neighbourhood tend to be happier than those who do not. There is also a relationship between strong social networks and belonging, community cohesion and ‘collective efficacy’ (residents’ willingness to intervene if they witness problem behaviour)”. (Bacon 2003, p. 11)

A livello di quartiere risulta indispensabile quindi avere delle relazioni, formali o meno, con altri abitanti; dinamica che rende maggiormente sicuri all’interno dello spazio in cui ci si muove. In particolare risulta importante avere modo di incontrare, anche in via informale e occasionale, persone appartenenti ad altri gruppi sociali perché la relazione, debole ma continuativa, può rendersi fonte essa stessa di conoscenza, dunque aprire la possibilità alla lotta al pregiudizio e alla stigmatizzazione di specifici gruppi.

5. Place attachment e identity

“Community (or place) attachment refers to residents’ emotional bonding or ties to their community. The sense of feeling at home in one’s community can be expressed in a variety of ways, including (a) community satisfaction— when local residents find their homes and community satisfactory, they are likely to experience a strong community attachment (C. Cook, 1988; Fried, 1982; Glynn, 1981; Hummon, 1992; Mesch&Manor, 1998; St. John, Austin, & Baba, 1986; Zaff & Devlin, 1998); (b) sense of connectedness— residents feel attached to their community when it

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reminds them of their personal and community history and tradition and familiar environmental characteristics (Giuliani, 1991; Lalli, 1992; Sampson, 1988); (c) sense of ownership— when local residents feel they have a sense of control over their homes or community, such a sense of ownership can increase community attachment (Appleyard & Lintell, 1972; Hummon, 1992); and (d) long-term integration— long-term residence helps lead to long-term social integration into the local area, and such integration creates an emotional bond between residents and their homes and community (Goudy, 1982; Guest & Lee, 1983; Hummon, 1992; Kasarda & Janowitz, 1974; Sampson, 1988; Smith, 1985). Place attachment is thus a key domain of sense of community as it expresses ways in which one feels at home and belonging to the community.” (Kim e Kaplan 2004, p. 315)

L’attaccamento territoriale è una forma di legame che i singoli possono sviluppare nei confronti di uno specifico luogo. Può essere un sentimento di identificazione, una sensazione di benessere, appagamento o soddisfazione e può riguardare la propria casa, la propria strada, il quartiere in generale o una zona ancor più ampia. Si può tradurre anche in un sentimento di connessione con il territorio o con la comunità locale che trova sfogo in un particolare carattere del luogo o in una precisa dimensione locale. Non è necessario che, ad esempio, le persone abbiano cura del proprio spazio, seppur questo possa simboleggiare una forma di attaccamento territoriale, ma c’è bisogno di capire, di volta in volta, in che modo il legame con il locale si realizza. Il sentimento di attaccamento territoriale, infatti, viene studiato come concetto multidimensionale o come elemento esso stesso di concetti più ampi (Hidalgo, 2013). In una dinamica di territorio l’attaccamento territoriale è significativo perché con esso non ci si concentra più soltanto sui legami tra le persone ma sulla connessione emotiva capace di aumentare il senso di comunità (Manzo e Perkins, 2006).

La coesione sociale non è una caratteristica individuale quindi, ma una proprietà della società che può essere incoraggiata, adottata o protetta (Jenson, 2010).

I concetti qui trattati possono essere considerati frutto dell’evoluzione del concetto di capitale sociale, che da Putnam a Sampson (e poi a tutti coloro che hanno arricchito l’idea di base di efficacia collettiva di quartiere), è passato dall’essere elemento individuale a valore collettivo. Se si era infatti precedentemente portati a considerare gli effetti del capitale sociale in termini individuali, ora con concetti quali quello di

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efficacia collettiva o di coesione sociale è la dimensione di gruppo che prende ad avere valore.

Restano aperti gli interrogativi circa quanto i frutti del capitale sociale a livello di comunità locale possano essere goduti e valorizzati (o invece eventualmente limitati) senza “una vera chiave di accesso al decision-making” quindi ad altri attori e scale di potere (Lang e Novi 2014, p. 1746) e rispetto a cosa effettivamente conduca alla partecipazione a livello di quartiere (Lelieveveldt, 2004).

Conclusioni

Questo primo capitolo, di natura introduttiva, si è occupato del concetto di quartiere, utilizzabile in campo sociologico come ambito autonomo di attenzione o come spazio fisico in cui studiare precise dinamiche urbane.

Come individuato da Hunter (1979) sono tre gli approcci con cui gli studiosi si sono dedicati alle indagini nei quartieri: lo studio delle tipologie di quartieri; quello delle condizioni interne e dei cambiamenti verificati nel tempo dai quartieri; quello delle funzioni da essi ricoperti internamente alla città: tutti orientamenti che hanno dato vita a filoni di studi tra loro distinti. Due approcci derivano direttamente dalla Scuola di Chicago (Martin, 2003): il primo individua il “tipo” di quartiere tenendo conto delle caratteristiche degli abitanti e dell’ambiente fisico; il secondo assume il quartiere come luogo in evoluzione usato dalle persone in modo progressivo, in base agli spostamenti fisici che attuano in risposta ai mutamenti locali. Infine l’approccio più funzionale, che si concentra sull’utilizzo che del quartiere viene fatto e sui bisogni cui lo stesso può rispondere (Ibidem). Il quartiere, come oggetto di attenzione, viene poi studiato come ambito di significatività per le opportunità di vita e per la salute individuale (Buck 2001; Ellaway et al., 2001), come spazio di creazione e condivisione di capitale sociale, fiducia, lealtà (Forrest e Kearns, 2001; Kearns e Parkinson, 2011; Purdue, 2001) ma anche come realtà di produzione di decisioni e strutture politiche (Allen e Cars, 2001; Docherty et al., 2001) e indicatore di crescita e cambiamento (Butler e Robinson, 2001; Galster, 2001).

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Il quartiere, infine, riceve sempre particolare attenzione e nuovo spazio nell’ambito delle politiche pubbliche e in special modo all’interno di quelli definiti come progetti di riqualificazione o rigenerazione urbana.

“The relationship between people and places is perhaps even more important at the end of the 20th century than it was at the beginning” (Phillipson et al., 1999, p. 740).

La politica del social mix si è diffusa in molti paesi europei ed extraeuropei esattamente come un programma di azione in cui lo spazio fisico viene rivitalizzato grazie a interventi fisico-strutturali più o meno incisivi in specifiche aree, e dove quello sociale rimodulato grazie alla vicinanza di fasce di popolazione tra loro diverse, in termini di redditi, etnia o nazionalità. Come scrive Zajczyk in Borlini e Memo (2008) diventa allora importante comprendere cosa sia diventato il quartiere per gli individui e come esso si inserisca nell’esperienza urbana dei gruppi sociali coinvolti, laddove diviene lo spazio di a(atten)zione per eccellenza.

“The problems of cities and particularly the problems of poor people in poor neighbourhoods in cities are at the heart of current concerns about societal cohesion” (Forrest e Kearns 2001, p. 2126)

Il quartiere viene qui trattato prendendo in esame alcuni dei suoi specifici tratti: l’aspetto ecologico, l’aspetto relazionale, l’aspetto simbolico. Senza questi elementi, in particolare, difficilmente esisterà un quartiere vero e proprio, ma come visto, in relazione alle esigenze di ricerca specifiche, altre dimensioni spaziali possono essere utilizzate a supporto e come sinonimi dell’idea di quartiere. Nella città di Bologna, in modo specifico, le sezioni censuarie e le aree statistiche avranno un ruolo predominante nell’indagine portata avanti, pur consapevoli dei limiti intrinseci ad ogni valutazione caratterizzata comunque dalla soggettività del ricercatore (si rimanda al Capitolo 4 per i dettagli e la metodologia utilizzata).

Altri elementi di rilevanza riguardano l’idea di quartiere non come spazio omogeneo, bensì come realtà eterogenea che pur potendo conservare una propria funzionalità specifica nell’ambito urbano in generale, presenta generalmente una propria variabilità

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interna e spesso molte delle contraddizioni riscontrabili nella più ampia città di cui è parte. Il concetto di area naturale, in questo senso, non viene ricondotto all’idea di quartiere, bensì più facilmente a quello di sotto-area all’interno del quartiere stesso, laddove in Italia le ricerche di sociologia urbana e di sociologia del territorio rimandano a realtà di quartiere differenti rispetto a quelle verificate in altri contesti, per lo più extraeuropei.

Se il quartiere, come visto, viene trattato per indicare legami di tipo comunitario, qui la relazione tra comunità relazionale e comunità spaziale non viene data per scontata. Non è detto che all’interno di un quartiere si sviluppino relazioni di tipo comunitario, né che le stesse siano connotate spazialmente. Anzi, oggi i legami risultano evoluti e la dimensione spaziale non sempre si rivela rilevante come in passato.

“The neighbourhood in which we live can play an important part in socialisation, not only through its internal composition and dynamics but also according to how it is seen by residents in other neighbourhoods and by the institutions and agencies which play a key role in opportunity structures.” (Forrest e Kearns 2001, p. 2134)

Nonostante ciò, laddove esistono legami forti o relazioni comunitarie spazialmente definite, si eleva il livello della qualità di vita degli abitanti e ciò permette di interpretare e comprendere la logica sottostante l’idea di mix sociale e l’intento di aumentare i livelli di coesione sociale che spesso la politica persegue. Se oggi, infatti, non si ritiene corretto idealizzare i legami forti come fattori esclusivamente positivi per gli individui, sembra indubbio che ragionando in termini di quartiere, efficacia collettiva e coesione sociale rappresentino aspetti collettivi della dimensione relazionale di elevata importanza rispetto ai temi della convivenza, della tolleranza, della vivibilità a livello locale.

“It is in this context that the neighbourhood provides a useful focus, seen not as socially and spatially integrated gemeinschaft community, but as a key living space through which people get access to material and social resources, across which they pass to reach other opportunities and which symbolises aspects of the identity of those living there, to themselves and to