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L’edilizia residenziale pubblica oggi: la soluzione per quale domanda?

5.1 Un’introduzione agli strumenti italiani di politica abitativa pubblica

5.1.2 L’edilizia residenziale pubblica oggi: la soluzione per quale domanda?

L’edilizia residenziale pubblica è stata ufficialmente introdotta in Italia nel 1903 con la legge n. 254, la cosiddetta Legge Luzzatti; norma che dava vita anche all’(ormai quasi ex) I.A.C.P. (Istituto Autonomo Case Popolari), principale costruttore e gestore italiano degli alloggi pubblici.

Nel tempo sono seguiti diversi Testi Unici a regolare il settore dell’edilizia popolare e oggi, anche a seguito della rimodulazione dei poteri centrali e decentrati, Regioni e Comuni sono i principali attori coinvolti nelle decisioni e nelle attività connesse

all’ERP42. Se il Governo centrale è investito della definizione dei programmi su larga

scala, finanzia le Regioni per le loro competenze e co-finanzia progetti speciali e di riqualificazione, le Regioni definiscono i requisiti di accesso all’ERP e i Comuni danno attuazione delle scelte regionali tramite l’emanazione di bandi pubblici e la gestione delle graduatorie. Gli I.A.C.P., oggi sciolti quasi ovunque, sono stati sostituiti

in alcune regioni dalle Aziende Casa43, che si occupano di gestire le assegnazioni, gli

ingressi e la permanenza negli alloggi ERP.

Giugno 2008, n. 112 con cui all’art. 11 veniva lanciato il Piano Casa “rivolto all'incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l'offerta di alloggi di edilizia residenziale”, recuperando il patrimonio abitativo esistente o costruendo nuovi alloggi; L. 6 Agosto 2008, n. 133 sull’istituzione di un nuovo Piano nazionale di edilizia abitativa; Decreto Legge 20 Ottobre 2008, n. 158 e Decreto Legge 30 Dicembre 2013, n. 350 sul blocco degli sfratti; L. 23 Maggio 2014, n. 80 sul recupero e la razionalizzazione del patrimonio pubblico che favoriva anche “la dismissione degli alloggi nei condomini misti nei quali la proprietà pubblica è inferiore al 50 per cento oltre che in quelli inseriti in situazioni abitative estranee all’edilizia residenziale pubblica, al fine di conseguire una razionalizzazione del patrimonio e una riduzione degli oneri a carico della finanza locale”.

41 Si vedano: L. 9 Dicembre 1998, n. 431 che ha introdotto il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione; L. 24 Dicembre 2003, n. 350 (Legge finanziaria 2004) che ha istituito il Fondo per l’edilizia a canone speciale con la relativa dotazione per gli anni 2004-2005-2006; L. 30 Dicembre 2004, n. 311 (Legge finanziaria 2005) che istituiva per l’anno 2005 un Fondo “allo scopo di favorire l'accesso delle giovani coppie alla prima casa di abitazione” di 10 milioni di euro (art.111). 42 Si segnala il Decreto Legislativo 31 Marzo 1998, n. 112 sul “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali”, Sezione III, artt. 59-60.

43 Si tratta di “aziende” generalmente istituite con leggi regionali e che, a livello regionale appunto, in qualità di enti pubblici economici dotati di personalità giuridica e di autonomia organizzativa,

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Se, come per altri strumenti di policy, l’accesso all’alloggio popolare è subordinato alla partecipazione ad un bando pubblico, a fronte del decentramento dei poteri, i requisiti per poter prendere parte al bando, i criteri in base ai quali le graduatorie vengono formate e le modalità di assegnazione degli alloggi, dipendono da scelte totalmente locali. E ciò si verifica non solo a livello regionale, dove vengono stabiliti appunto i criteri di accesso generali, ma anche a livello comunale, dove ogni micro- realtà può decidere, nei limiti della propria autonomia, di dare avvio anche a progettualità specifiche. Queste dinamiche, oltre a rendere lo strumento selettivo, pongono le basi per possibili disparità tra un contesto territoriale e un altro.

Va poi considerato che, generalmente, chi accede al parco abitativo pubblico non è più un nucleo famigliare “semplicemente” in difficoltà economica: nel milione di abitazioni pubbliche italiane vivono circa due milioni di persone che Federcasa (2015) chiama “situazioni di estrema fragilità sociale”:

• 145.000 persone disabili

• 413.000 anziani con più di 65 anni • 142.000 immigrati extracomunitari

Va ricordato a tal proposito che gli alloggi popolari italiani non erano stati pensati per le fasce più svantaggiate della popolazione né per risolvere il problema della povertà. Il nostro sistema abitativo è sempre stato “selettivo” come dice Tosi e, in una dinamica europea, è collocato tra i sistemi non universalistici e mirato alla fascia di popolazione lavoratrice (vedi Tabella 5.1.2.1). Oggi lo strumento appare quindi profondamente trasformato rispetto al suo tratto originario.

patrimoniale e contabile, gestiscono le unità immobiliari pubbliche, tra cui gli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

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Tabella 5.1.2.1. Approcci europei al Social Housing

Criteri di allocazione

% di alloggi sociali Universalistico Mirato

“Working class” o

“lavoratori” Vulnerabilità estrema

≥20 Svezia Olanda Danimarca Austria Austria Polonia Gran Bretagna 11-19 Finlandia Finlandia Francia Repubblica Ceca Francia <10 Belgio Germania Grecia Italia Lussemburgo Belgio Estonia Germania Ungheria Irlanda Portogallo Spagna Fonte: Caruso 2017, p. 3

Va infine sottolineato che la collocazione spaziale degli alloggi che ospitano i beneficiari ERP in Italia non è quasi mai casuale. Due normative hanno avuto un ruolo predominante.

La Legge n. 167 del 1962 recante “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree per l’edilizia economica e popolare”, si configura come un elemento essenziale della politica abitativa italiana, avendo introdotto, a suo tempo, la cosiddetta “zonizzazione”. Seguendo alcuni articoli della norma si legge:

“I Comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti o che siano capoluoghi di Provincia sono tenuti a formare un piano delle zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico o popolare, nonché alle opere e servizi complementari, urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico.” (Art. 1)

“L’estensione delle zone da includere nei piani è determinata in relazione alle esigenze dell’edilizia economica e popolare per un decennio e non può essere inferiore al 40 per cento e superiore al 70 per cento del fabbisogno complessivo di edilizia abitativa nel periodo considerato.” (Art. 3, c. 1)

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Questa normativa è stata di estrema importanza per i Comuni italiani con oltre 50.000 abitanti perché si è posta come uno strumento capace di contribuire alla risoluzione del problema abitativo, agevolando le realtà locali nella gestione del problema stesso tramite l’acquisto vantaggioso di terreni su cui edificare. Al contempo, però, ha permesso la creazione di una forte interrelazione tra bisogno e spazialità del bisogno stesso. Identificando le aree da destinare all’edilizia “a carattere economico o popolare”, provando a risolvere il problema abitativo (quello di un tempo), sono state poste le basi per eventuali forme di segregazione socio-economica a fronte degli odierni caratteri del bisogno di casa. Accordando infatti con Bolt et al. (2008), la segregazione socio-economica è una conseguenza della distribuzione spaziale di

affordable housing.

La legge 23 Maggio 2014, n. 80, più di recente, per limitare i costi di gestione degli appartamenti ERP collocati in condomini misti, ha favorito e incentivato la dismissione di alloggi laddove, all’interno di un edificio, la proprietà pubblica si presenti come inferiore al 50%. Questo ha contribuito ad avere comparti interamente o a predominanza ERP.

Se oggi, a fronte della nuova questione abitativa, quella della sostenibilità delle spese per l’abitazione rimane l’elemento chiave delle difficoltà registrate nel reperimento dell’alloggio, dunque la base fondamentale per accedere a un appartamento popolare, ma il parco dei locatari risulta profondamente trasformato e frammentato, queste zone rischiano di configurare territori ad alta complessità sociale, non solo sinonimi di segregazione territoriale, ma di una più ampia forma di esclusione sociale. Non va dimenticato, infatti, che spesso i quartieri di edilizia residenziale pubblica sono stati collocati nel periurbano e nelle periferie delle città, scelta che, per dirla con le parole di Wacquant, rende la zonizzazione una forma di relegazione spaziale delle minoranze (Wacquant, 2016). Se si considera poi la dismissione del patrimonio pubblico (sia quella avviata a partire dal 1993 ma anche quella avviata a partire dal 2014), va detto che queste zone si sono sempre più ridotte trattenendo al proprio interno, come mostrato da Federcasa, le fasce non solo deboli, ma tra le più deboli in assoluto della società. L’operazione, seppur sempre più si senta parlare di mix sociale e dell’importanza che l’eterogeneità sociale può rivestire a livello urbano, sembra quella

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di isolare i comparti ERP, rendendoli omogenei prioritariamente dal punto di vista del titolo di godimento dell’abitazione.