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I due diversi modi di produrre conoscenza, quello del mondo dei grafici, delle tabelle, dei numeri, delle statistiche e quello delle storie personali, della profondità, della complessità, vengono qui pensati come mondi non solo capaci di comunicare, ma che devono entrare in relazione per una lettura più completa ed articolata dei fenomeni che a livello sociale vengono studiati ed indagati, nell’ottica di una comprensione maggiore degli stessi.

Lavorare tramite metodi mixati è stato considerato ed interpretato come la terza via nelle scienze sociali, in contrapposizione alla dicotomia quantitativo-qualitativo; una

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nuova modalità, quindi, di approcciarsi alla ricerca sociale, caratterizzata dall’utilizzo di metodi afferenti metodologie opposte, nell’ottica di una migliore riuscita dell’indagine e di una maggiore e più profonda conoscenza dell’oggetto osservato, in un’ottica di flessibilità dei dati (Merton, 2000) e di maggiore attenzione al contenuto piuttosto che alla forma della ricerca (Marradi, 2007).

Come riportato da Amaturo e Punziano (2016), utilizzare una metodologia mixed methods non comporta la semplice commistione di metodi di indagine diversi, pur presente all’interno di questa tesi, ma implica il mettere in campo da parte del ricercatore un approccio nel suo complesso differente rispetto a quelli classici esistenti, al fine di dare un respiro più ampio al proprio tema di indagine, all’oggetto di attenzione o alla ricerca e posizionare il progetto pensato in un solco conoscitivo più profondo e più complesso rispetto a quanto un’unica metodologia possa permettere.

“[…]Tuttavia siamo in grado di comprendere appieno l’essenza di un oggetto solo considerando la quantità e la qualità nella loro unità, nelle loro interconnessioni. Ecco spiegate le ragioni per la scelta di una strategia mix” (Amaturo e Punziano 2016, p. 16)

La scelta di utilizzare molteplici metodi di indagine nasce da un’esigenza principale: proporre una lettura maggiormente complessa e profonda del fenomeno indagato (Creswell e Garrett, 2008; Picci, 2012). All’interno del progetto di ricerca sono state pensate due domande e diverse sotto-domande di ricerca, a cui risulta impossibile rispondere tramite un unico metodo di analisi, ma soprattutto tramite un unico approccio metodologico. Se il “semplice” utilizzo di più metodi e strumenti di indagine è quindi presente in più momenti all’interno del progetto di ricerca, l’approccio epistemologico e metodologico differente si pone come premessa necessaria ad affrontare l’indagine nel suo complesso e darne una lettura il più possibile contestualizzata e consapevole. Approcciarsi in modi diversi allo stesso fenomeno ha permesso infatti di dare peso e valore a fattori di tipo strutturale e al tempo medesimo importanza e significatività a fattori di tipo culturale, ingestibili simultaneamente sia con simili metodi di indagine, sia in generale con medesimi approcci conoscitivi.

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Oggi di fronte ai due paradigmi per eccellenza, quello positivista, che interpreta la ricerca come analisi, costruzione, studio della realtà in modo oggettivo e replicabile; e quello costruttivista-interpretativo, secondo cui non esisterebbe l’oggettività nella ricerca ma ogni tipo di indagine sarebbe influenzata dallo stesso ricercatore; l’approccio mixed methods può essere collocato nell’idea di pluralismo metodologico in cui proprio diversi approcci e diversi metodi costituiscono il nuovo fulcro della ricerca, nella convinzione che molteplici prospettive possano essere utilizzate nello studio del medesimo fenomeno. Il pluralismo metodologico e il suo tipico approccio pragmatico (Howe, 1988) ben si combinano qui con la concezione dell’interrelazione tra struttura e cultura di cui si è parlato nel secondo capitolo, e con l’esigenza di non considerare i territori da un’unica prospettiva, bensì secondo un approccio

condizionale (Small, 2011) che vada a identificare quelle condizioni che permettono

il manifestarsi, il ripetersi e l’eventuale perpetuarsi di medesimi fenomeni nel medesimo spazio territoriale. La ricerca di quanto può, ad esempio, permetterci di definire un territorio in stato di relegazione necessita della presa in esame di molteplici condizioni, di natura strutturale, dunque indagabili tramite metodi per lo più di natura quantitativa, e condizioni di natura prettamente culturale, indagabili all’opposto esclusivamente tramite metodi di natura invece qualitativa.

“Secondo Morgan (2007, p. 73), il punto di forza dell’approccio pragmatista alla metodologia della ricerca sta nel porre particolare enfasi sulla connessione tra preoccupazioni epistemologiche sulla natura della conoscenza e problemi tecnici circa i metodi che usiamo per produrre quella conoscenza. Questo pone il pragmatismo in una posizione che va ben oltre le questioni tecniche di mescolare o combinare metodi e impone ai ricercatori di argomentare una metodologia adeguatamente integrata per le scienze sociali.” (Amaturo e Punziano 2016, p. 67)

Il pluralismo metodologico è qui il risultato sia di una forma di “triangolazione dei dati”, dunque dell’utilizzo di diverse fonti di dati, sia di una forma di “triangolazione

metodologica” (tra i metodi nel dettaglio)38, dovuta all’utilizzo di diversi metodi di

ricerca all’interno del medesimo progetto.

38 È preferibile un approccio metodologico che prevede il mix tra i metodi, piuttosto che quello all’interno dei metodi. Se il primo prevede l’uso di approcci multipli sia qualitativi che quantitativi,

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Capitolo V

Tenure mix e social mix, quale relazione?

L’esempio della città di Bologna

All’interno di questo capitolo viene vagliata l’ipotesi della relazione tra mixture del titolo di godimento dell’alloggio e mixture sociale.

Come visto precedentemente quello del tenure mix è lo strumento principale tramite cui il social mix viene perseguito, nella convinzione che mixare i titoli di godimento delle abitazioni, e in particolare inserendo quote di affitto sociale tra gli altri titoli di godimento, dia luogo a forme di eterogeneità sociale. Alcuni studiosi si sono occupati sia di verificare questa relazione (vedi Belotti, 2017; Górczynska, 2017; Livingston et

al., 2013; Musterd e Andersson, 2005), sia di dimostrarne gli effetti (vedi Arbaci e

Rae, 2013; Dhalmann e Vilkama, 2009; Graham et al., 2009; Korsu, 2016; Walks e Maaranen, 2008) mettendo almeno in parte in discussione la validità delle premesse su cui poggia la politica del social mix e ponendo interrogativi circa gli esiti che comporta, evidentemente differenti da territorio a territorio.

Come già affrontato, l’idea di mix sociale, in Italia ma anche in molti altri paesi, è strettamente connessa al desiderio di migliorare le condizioni di vivibilità dei quartieri

dove i limiti di un metodo possono, almeno teoricamente, essere superati dai punti di forza di un altro, il secondo prevede invece una commistione di metodi all’interno di un approccio comunque esclusivamente qualitativo o quantitativo (Amaturo e Punziano 2016, p. 22).

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ad alta concentrazione di edilizia residenziale pubblica (ERP). Soprattutto a partire dalla seconda metà del ‘900, il social mix è stato infatti individuato come un modello di convivenza alternativo, capace di sconfiggere gli effetti negativi della concentrazione di gruppi sociali svantaggiati all’interno di spazi urbani ridotti. In alcune regioni italiane, come l’Emilia Romagna e la Lombardia, addirittura, è un obiettivo cui giungere dentro gli stessi comparti con alte percentuali di abitazioni a canone sociale, nei quali si ritiene che diversificare gli abitanti di singoli palazzi possa produrre effetti positivi sulla convivenza tra singoli e tra gruppi sociali diversi. Affronteremo nell’ultimo capitolo questo particolare aspetto della politica, attraverso l’individuazione di un caso studio nel contesto territoriale bolognese; qui l’obiettivo è piuttosto comprendere come elementi strutturali influenzino, se la influenzano, la distribuzione spaziale di specifici gruppi sociali e, in particolare, se la diversificazione dei titoli di godimento delle abitazioni contribuisca alla creazione di specifiche forme di mix sociale.

Seppur in Italia la politica del mix del titolo di godimento dell’alloggio abbia un ruolo ridotto rispetto ad altri contesti europei, la città di Bologna, all’interno della quale in alcune zone territoriali l’affitto sociale risulta una delle tenute principali, rappresenta un caso studio del Sud Europa di notevole interesse; ciò sia a fronte della carenza di studi relativi a paesi dell’Europa meridionale, sia per meglio comprendere come l’attuale politica di mix sociale stia prendendo piede nel contesto italiano. Rifacendosi proprio a quest’ultimo punto risulta inevitabile, prima di addentrarci nella situazione della città, affrontare alcuni temi chiave quali quello del disagio abitativo e del supporto pubblico alla povertà abitativa. Come già detto, infatti, l’idea di social mix in Italia si afferma prioritariamente all’interno di specifici quartieri, connotati da diverse forme di disagio abitativo e dalla concentrazione di alloggi pubblici e affitti a canone sociale. Dopo una prima ricognizione attinente la storia e l’evoluzione del sistema abitativo italiano, dunque, il capitolo si focalizzerà sull’esempio della città di Bologna. Verranno sinteticamente vagliati i diversi strumenti di politica abitativa che, di fatto, possono influenzare il social mix locale dando luogo a forme di convivenza solo involontariamente mixate e gli elementi presentati permetteranno anche di meglio delineare come sia in via di costruzione l’idea di social mix a livello locale, dove per

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il momento sono documentati pochissimi esempi (vedi Bergamaschi e Castrignanò, 2017; Bernardi e Boni, 2015; Mugnano e Palvarini, 2013).

Lo studio, di tipo quantitativo, si avvale sia di dati pubblici, diffusi dall’ultimo Censimento della popolazione e delle abitazioni e dal Comune di Bologna, sia di dati e informazioni resi fruibili grazie alla disponibilità del settore Politiche Abitative del Comune di Bologna e di Acer Bologna, relativi ad alloggi ERP, beneficiari e aspiranti beneficiari ERP.

Riflessioni essenziali riguarderanno ovviamente la relazione tra titolo di godimento dell’abitazione e social mix, ma verrà enfatizzata sia la metamorfosi dello strumento di politica abitativa per eccellenza, l’edilizia pubblica, diretta ad alcune delle fasce più deboli della popolazione, sia il ruolo che la disposizione fisica degli alloggi ERP potrebbe avere sulla spazializzazione di alcuni gruppi sociali. Come vedremo, infine, l’evoluzione della domanda di casa registrata potrebbe implicare la modifica delle normative e degli strumenti di azione relativi ai comparti ad alto tasso di ERP.