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Il diritto di asilo è stato riconosciuto in Italia principalmente dalla Costituzione. L’articolo 10, terzo comma, della Costituzione prevede, infatti, che lo straniero, “al

quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, abbia diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.

Tuttavia il diritto di asilo e il riconoscimento dello status di rifugiato sono due concetti distinti. Il primo riguarda la violazione delle libertà fondamentali della persona nel proprio paese di origine ma il suo riconoscimento in Italia passa dall’aver subito, o avere il fondato timore di poter subire, specifici atti di persecuzione.

Il dettato costituzionale sul diritto di asilo non è stato attuato in Italia poiché manca ancora una legge organica che ne stabilisca i principi di attuazione tuttavia il riconoscimento dello status di rifugiato è entrato nell’ordinamento italiano con

110 Ghizzi E. , Il quadro normativo del sistema di accoglienza dei richiedenti e titolari protezione

internazionale. in L’Altro diritto. Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità”

2015 http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/asilo/ghizzi/cap1.htm

111 Barbagli M., Colombo A., Sciortino G., I sommersi e i sanati. Le regolarizzazioni degli

l’adesione dell’Italia alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e alla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli stati membri della Comunità Europea.

Sul piano del diritto interno, la già citata Legge Martelli è stata la prima a disciplinare le modalità per il riconoscimento dello status di rifugiato, integrata successivamente dalla legge 189/2002112 meglio nota come legge Bossi-Fini, che revisionava le disposizioni contenute nel Testo Unico sull’immigrazione del 1998113. La domanda per il riconoscimento dello status e la richiesta di protezione allo stato Italiano può essere fatta dallo straniero che fugge da persecuzioni, torture o dalla guerra, anche se ha fatto ingresso in Italia in modo irregolare ed è privo di documenti. Il richiedente dovrà motivare nella domanda le circostanze di persecuzione o danno grave che ne hanno motivato la fuga.

Il termine rifugiato viene invece definito dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951114 e risulta molto specifico e concentrato sul concetto di “persecuzione”. Riuscire a dimostrare di essere a rischio persecuzione nel proprio paese poteva rappresentare motivo sufficiente all’accoglimento di una richiesta di protezione internazionale. Diversamente si veniva considerato semplicemente immigrato irregolare.

“Rifugiato è colui che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità̀, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”.

112 Legge 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo. 113D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.

114 Convenzione sullo statuto dei rifugiati 16 febbraio 2004. Conclusa a Ginevra il 28 luglio 1951. Approvata dall’Assemblea federale il 14 dicembre 1954 strumento di ratificazione depositato dalla Svizzera il 21 gennaio 1955. Entrata in vigore per la Svizzera il 21 aprile 1955

La definizione non risulta molto precisa circa gli atti e motivi di persecuzione che, se riconosciuti, consentiranno al richiedente di avere lo status di rifugiato; oppure di danno grave, che se riconosciuto, consentirà al richiedente di beneficiare della protezione sussidiaria.

Khalid Koser nel testo “Le migrazioni Internazionali”115 sostiene che alcuni aspetti di questa definizione rimangono al centro di importanti controversie che merita analizzare.

In primo luogo la Convenzione di Ginevra risale a più di 50 anni fa e risulta poco adatta al quadro delle crisi odierne e poco capace di cogliere la complessità dei fenomeni attuali. Nata per proteggere coloro che fuggivano dalle persecuzioni naziste oppure coloro che durante la Guerra Fredda scappavano dai paesi comunisti, la definizione appare superata perché si focalizza su persecuzioni perpetrate dai governi intese in senso letterale. Tuttavia, come già osservato, al giorno d’oggi, i rifugiati cercano una via di uscita da generali situazioni di conflitto più che da specifiche situazioni di crisi politiche.

In secondo luogo, la definizione nulla ci dice di coloro che scappano da persecuzioni basate sul genere o sulle preferenze sessuali come per esempio, nel caso degli omosessuali in Afghanistan o la condizione delle donne nel mondo oppure di persone che cercano di mettersi in salvo da catastrofi e calamità naturali. Nelle parole di Khalid Koser, i cosiddetti rifugiati fuggono generalmente dalla violenza e non dalla persecuzione116 vengono definiti tali perché il loro governo, sebbene non li stia perseguitando in modo diretto, è comunque incapace di proteggerli e di garantire loro il godimento dei diritti che spettano a ogni cittadino in quanto tale.

Attualmente ai richiedenti asilo vengono riconosciuti una serie di diritti, sanciti oltre che dalle sopraccitate Convenzioni, anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948: il diritto a lasciare il proprio paese, il diritto ad accedere al territorio di altri stati e la tendenza a conferire il diritto di asilo come atto non politico.

115 Koser K, Le migrazioni Internazionali. Il Mulino. 2009 116 Ibidem

Nello specifico, la normativa italiana riconosce al richiedente asilo il diritto a essere informato da parte degli organi dell’amministrazione pubblica e di pubblica sicurezza, sia rispetto alla procedura di asilo sia rispetto ai diritti e doveri relativi allo status di richiedente asilo. L’informazione è considerata tra le garanzie previste dall’art. 10 del D.lgs. 25/08117 recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato che prevede che al momento della presentazione della domanda il richiedente sia informato rispetto alla procedura. A garanzia dell’effettivo accesso a quest’ultima il T.U sull’Immigrazione all’art. 11bis comma 6118 ha previsto l’istituzione di servizi d’accoglienza ai valichi di frontiera per fornire la necessaria assistenza.

Il diritto all’accoglienza è sancito dal D.lgs. 140/05119 che attua la direttiva 2003/9/CE ed è teoricamente esercitabile dal momento stesso della dichiarazione di volontà di chiedere asilo. La direttiva Europea 2003/9/CE120 dispone che gli Stati membri provvedano a che i richiedenti asilo abbiano accesso alle condizioni materiali di accoglienza al momento in cui presentano la domanda di asilo. In Italia la norma individua nella Prefettura l’ente competente in merito all’accoglienza. La tutela dell’unità del nucleo familiare rappresenta inoltre un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico. La tutela del nucleo appare elemento di forte protezione rispetto gli elementi di vulnerabilità specifici del trauma migratorio: la fuga dal paese significa nella maggioranza dei casi anche la rescissione brusca

117 Decreto Legislativo 28 gennaio 2008, n.25, Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. Art.1 comma 1. All'atto della presentazione della domanda 1'ufficio di polizia competente a riceverla informa il richiedente della procedura da seguire, dei suoi diritti e doveri durante il procedimento e dei tempi e mezzi a sua disposizione per corredare la domanda degli elementi utili all'esame; a tale fine consegna al richiedente l'opuscolo informativo di cui al comma 2”

118 Art. 11bis comma 6 T.U Immigrazione

Presso i valichi di frontiera sono previsti servizi di accoglienza al fine di fornire informazioni e assistenza agli stranieri che intendano presentare domanda di asilo o fare ingresso in Italia per un soggiorno di durata superiore a tre mesi. Tali servizi sono messi a disposizione, ove possibile, all’interno della zona di transito.

119 Decreto Legislativo 30 maggio 2005, n. 140 "Attuazione della direttiva 2003/9/CE che stabilisce norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri" pubblicato

nella Gazzetta Ufficiale n. 168 del 21 luglio 2005

120 Direttiva 2003/9/CE. Legge comunitaria 2003 “Norme minime relative all’accoglienza dei

dei legami affettivi121. Per quanto riguarda i minori richiedenti asilo o figli di richiedenti asilo lo stesso D.lgs. 140/05 prevede l’obbligo scolastico. L’art. 26 del D.lgs. 251/07122 stabilisce inoltre che i minori titolari di uno status abbiano accesso agli studi di ogni ordine e grado secondo le modalità previste per il cittadino italiano. Per ciò che riguarda l’accesso alla formazione professionale dei richiedenti asilo va innanzitutto ricordato che la Direttiva 2003/9/CE lascia la facoltà agli Stati di autorizzare l’accesso “alla formazione professionale dei richiedenti asilo

indipendentemente che abbiano accesso al mercato del lavoro“ mentre il D.lgs.

140/05 prevede la possibilità di accesso alla formazione professionale per i richiedenti accolti in uno dei programmi SPRAR. L’accesso ai corsi invece non è esplicitamente garantito ai beneficiari accolti nei CARA.

Il mancato accesso a idonee opportunità di formazione, qualora mancante, è da considerarsi un fattore di vulnerabilità: determina una forte dipendenza sia in ambito sanitario che sociale e giuridico e favorisce dinamiche di chiusura e isolamento. Si rileva inoltre che i corsi professionali non sono sempre disponibili e attivi, dipendendo da programmi di finanziamento, e che spesso il livello di competenze linguistiche richiesto li rende nei fatti scarsamente accessibili.

L’ottenimento di una occupazione costituisce il percorso naturale per maturare condizioni di autonomia ed uscire da circuiti assistenziali. L’accesso al mercato del lavoro non può quindi essere lasciato unicamente alla singola iniziativa del titolare di protezione, alla sua bravura o fortuna, ma vanno previsti per tutti i rifugiati percorsi di orientamento e supporto coordinati con i percorsi formativi, capaci di prevedere misure di supporto sociale che evitano, in caso di inoccupazione o perdita del lavoro, il precipitare degli stessi nella condizione da cui era partito.

121 Bramanti D., Le famiglie accoglienti. Un'analisi socio-psicologica dell'affidamento familiare,

op.cit.

122 Decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251 Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché̀ norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta art.26 I minori titolari dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria hanno accesso agli studi di ogni ordine e grado, secondo le modalità̀ previste per il cittadino italiano.

Dal V Report “Children come first. Intervento in frontiera” di Save the Children, emerge che molti dei minori accolti in prima accoglienza frequentano un corso base di alfabetizzazione. Si segnala altresì come non sempre i minori collocati presso le strutture più lontane dal centro abitato abbiano la possibilità di frequentare corsi di formazione per motivi logistici e di spostamento poiché non tutte le strutture di questo tipo garantiscono un servizio di trasporto. Inoltre, i casi di iscrizione per il conseguimento della licenza media risultano molto sporadici. Generalmente l’accesso all’istruzione varia a seconda della struttura dove il minore è inserito, se vicina a grandi centri abitati risulterà più accessibile. Qualora non ci sia la possibilità organizzativa, in generale, vengono previsti corsi base di alfabetizzazione presso le strutture stesse.123

Riguardo alle modalità di gestione e alla cultura organizzativa delle cooperative coinvolte nell’accoglienza, l’interessante Report di Save the Children124, riporta lo sguardo sulla poca se non assente professionalità degli operatori che lavorano nei centri per migranti. Dall’indagine risulta che la scelta degli operatori di lavorare nei centri si basa soprattutto su una motivazione legata a uno stato personale di necessità, nel 26% dei casi intervistati su un campione di 141 persone, il lavoro con i minori migranti ha costituito semplicemente un’opportunità lavorativa125.

La mancanza di esperienza nel settore dell’immigrazione degli stessi, l’assenza di percorsi formativi a supporto della preparazione nella gestione del lavoro con i minori e la mancanza di motivazione appaiono elementi particolarmente critici.

4.2 Il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale