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La disciplina della cittadinanza della donna negli stati dell’Europa settentrionale

Nel nord Europa, in particolare in Svezia, con la legge sulla cittadinanza del 1950, venne abolito il diritto di acquistare la cittadinanza attraverso il matrimonio; qualora un richiedente, però, fosse stato sposato oppure convivesse con un cittadino svedese, in condizioni quindi simili a quelle del matrimonio, potevano essere concesse, all’interessato, delle esenzioni relative

a quei requisiti, previsti per la naturalizzazione.

La Svezia ha conosciuto più sviluppi in materia di cittadinanza, che hanno costituito la base di vari mutamenti di legislazione; la prima legge sulla cittadinanza svedese è nata tra il diciassettesimo ed il diciottesimo secolo. Una delle prime tappe fondamentali è costituita dal regio decreto del 1858: un’ordinanza che stabiliva quali dovevano essere le condizioni ed i regolamenti per registrare gli uomini stranieri come cittadini svedesi. Successivamente la Svezia si è trasformata in un paese di emigrazione e quasi 1,2 milioni di persone hanno lasciato il paese tra il 1850 ed il 1930; da qui poi nel 1890 è nata una cooperazione nordica sulla nazionalità. Una legge del 1894 ha codificato, in linea di principio, quelle norme che già esistevano ormai nella pratica; ancora, in questa fase, la cittadinanza della donna era dipendente rispetto a quella del marito e se, questa, sposava un uomo svedese, acquisiva automaticamente la cittadinanza svedese. Specularmente, una donna svedese che sposava uno straniero, perdeva la cittadinanza svedese, anche nel caso in cui non acquisisse

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la cittadinanza del marito. Sia gli uomini che le donne non sposate, poi, secondo la presente legge, perdevano la loro cittadinanza svedese, se avessero vissuto per un periodo minimo di dieci anni all’estero; il soggetto, per non incorrere in tale rischio, doveva risiedere all’estero allo scopo di ricoprire una carica ufficiale o doveva aver espresso, attraverso una dichiarazione132, la volontà di non

perdere la sua cittadinanza. Se un uomo perdeva la sua cittadinanza, secondo tale disposizione, anche la moglie andava incontro alle stesse conseguenze. Altro prodotto della cooperazione nordica è stata la legge sulla cittadinanza del 1924 ed è la prima volta in cui viene utilizzato il termine cittadinanza, piuttosto che “diritti del cittadino”; si intende qui l’indicazione di un rapporto giuridico tra individuo e Stato, che include non solo diritti, ma anche doveri. Per quello che concerne la donna e la sua posizione di subordinazione rispetto al marito, non vi sono sostanziali modifiche anche con l’entrata in vigore della presente legge.

E’ dopo la seconda guerra mondiale, con la nuova legge del 1950 che ci sono degli importanti cambiamenti soprattutto per quello che riguarda le donne sposate. Fino ad ora le donne erano subordinate al cambiamento di cittadinanza del marito, mentre da questo momento in poi una donna straniera che sposa un cittadino svedese, ottiene solamente delle facilitazioni per l’acquisizione della cittadinanza svedese. Viceversa, se una donna svedese sposa uno straniero, manterrà la sua cittadinanza. Non è con la legge del 1950, ma con la modifica apportata nel 1979 che la donna acquista una certa indipendenza anche nel rapporto con i figli; il bambino nato dal matrimonio o anche fuori dal matrimonio, acquisisce la cittadinanza svedese se la madre è svedese. Si tratta di una modifica divenuta indispensabile per l’adeguamento rispetto agli altri paesi e l’elaborazione del principio della parità tra uomo e donna. Inoltre, con l’aumento dell’immigrazione in Svezia, molte donne avevano sposato uomini stranieri; la conseguenza negativa per il paese si sostanziava nel mancato acquisto della cittadinanza svedese da parte dei loro

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figli. Tra i modi di acquisto della cittadinanza svedese, questa può essere acquistata automaticamente da parte del bambino, alla nascita, se la madre è cittadina svedese; nel caso in cui, invece, sia la madre straniera, il figlio può comunque, in circostanze particolari, acquisire la cittadinanza svedese dal padre. La legge del 2001 prevede espressamente quest’ultima ipotesi, se il bambino nasce in Svezia. Tale acquisto della cittadinanza non è da escludere nemmeno nel caso in cui i genitori del bambino si sposino dopo la sua nascita. Possiamo concludere ribadendo che un uomo svedese che sposa una donna straniera, trasmette la sua cittadinanza a tutti i figli nati anche prima del matrimonio, se il figlio stesso ha meno di diciotto anni ed è celibe. In Svezia, quindi, la donna ha conquistato i suoi diritti nel campo della cittadinanza soprattutto in relazione alla trasmissione del suo status civitatis ai figli; non contemplando, tra i modi di acquisto della cittadinanza, quello per matrimonio, non osserviamo alcuna parificazione di essa rispetto all’altro

sesso, sotto tale punto di vista.

Sulla scia della Svezia, un altro paese del Nord Europa che si trova ad affrontare gli stessi ostacoli relativi alla subordinazione della donna rispetto al marito, in materia di cittadinanza, è la Danimarca. La prima vera legge danese sulla nazionalità è quella del 1898, un periodo nel quale la maggior parte dei paesi europei adottava il principio dell’unità familiare relativamente alla nazionalità; dunque, la donna straniera acquistava la cittadinanza (indfØdsret) del marito per matrimonio. Così anche i figli della coppia, se minorenni e non sposati,

acquisivano la medesima cittadinanza.

La donna, anche nel caso di naturalizzazione del marito, seguiva la cittadinanza acquistata da quest’ultimo. Addirittura il Parlamento danese, aveva previsto una sorta di presunzione secondo la quale sarebbe stato il miglior interesse di tutte le parti, garantire che la moglie ed il figlio acquisissero la cittadinanza danese. Anche se un cittadino danese voleva perdere l’indfødsret, se sposato e con i figli, la nazionalità straniera era poi estesa anche ai figli e alla moglie, a meno che questi ultimi non rimanessero in Danimarca. Questa regola è stata

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applicata sia nel caso di volontarietà della perdita che non. Con la fine della prima guerra mondiale ed i rivoluzionari cambiamenti sociali del tempo, la Svezia invitò la Danimarca ad una serie di incontri il cui nodo centrale era costituito dalla definizione dello status di donna sposata. Le donne sposate ormai esercitavano gli stessi diritti civili e politici degli uomini, ma miravano anche ad ottenere i medesimi diritti di nazionalità. Il principio dell’eguaglianza di genere era controversa, ma tra il 1924 ed il 1925 fu conclusa una relazione nordica tra la Norvegia, la Danimarca e la Svezia con la conseguente adozione di nuove leggi sulla nazionalità. La regola di subordinazione della nazionalità della donna rispetto a quella del marito, persiste anche con la nuova riforma; inoltre la posizione della donna acquisiva parzialmente rilevanza come entità indipendente, solamente nella trasmissione della nazionalità danese ai figli nati al di fuori del matrimonio. Nel caso in cui i figli fossero nati all’interno del matrimonio tra i coniugi, era il padre che trasmetteva la sua nazionalità danese ai figli. E’ stata introdotta una modifica importante in merito alla perdita della cittadinanza da parte della moglie sposata e dei figli che, secondo il setta. 5 della legge, perdevano la cittadinanza danese, solo previo acquisto di una nuova nazionalità; nel caso in cui il marito fosse apolide o la legge relativa alla sua nuova nazionalità non avesse previsto il trasferimento di essa alla moglie e i figli, questi ultimi avrebbero conservato la nazionalità danese. Sia allo scoppio che alla fine della seconda guerra mondiale vi fu poi la sospensione di alcune regole di acquisto automatico della cittadinanza con riguardo a cittadini tedeschi o persone di origine tedesca. Le donne danesi che erano sposate con cittadini tedeschi; queste non potevano più conservare la cittadinanza danese, anche nel caso l’avessero acquisita alla nascita e vivessero ancora in Danimarca. Questa sospensione, rispetto alle altre che operarono nel medesimo periodo, si rivelò particolarmente problematica e rimase in vigore sino al 1947. Ancora l’esigenza di una nuova cooperazione nordica ed una nuova riforma in materia di nazionalità; si tratta di una necessità dettata dall’insoddisfazione delle donne sposate, in materia di status di nazionalità. Il

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principio di unità familiare doveva ancora essere preso in considerazione. Se gli sposi in caso di matrimoni misti avevano diverse nazionalità, la donna sposata rischiava di perdere il suo diritto incondizionato di rimanere nel paese del marito e di perdere la sua cittadinanza di diritti sociali. Pertanto gli Atti Stranieri avrebbero dovuto stabilire che la moglie non sarebbe stata separata dal marito, a meno che una pressione di tipo sociale avesse costretto necessariamente l’espulsione della donna ed il benessere sociale dello stato avesse dovuto essere rivalutato. Inoltre doveva essere concesso ad una sposa straniera, acquisire a condizioni facilitate la nazionalità danese del marito. Il disegno di legge in questione, presentato al Parlamento nel 1950 è stato adottato nello stesso anno133, in conformità alle raccomandazioni dei delegati. Tale atto ha

ripreso alcune delle disposizioni della legge del 1925 e, nonostante il recepimento del principio dell’eguaglianza di genere, la donna ha continuato a non poter trasmettere la sua nazionalità ai figli, salvo casi eccezionali quali l’apolidia del marito o il caso in cui il bambino non acquisisca comunque alla nascita la nazionalità del padre. Per il bambino nato fuori dal matrimonio e dall’unione di una madre straniera e del padre danese, il principio del trasferimento della cittadinanza del padre al figlio dopo il matrimonio dei genitori, è stato riformulato per garantire anche l’uguaglianza dei figli nati

prima e dopo il matrimonio.

Altra rilevante modifica per quello che concerne la posizione della donna rispetto alla nazionalità del marito, è quella del 1978. La questione che rimaneva più dibattuta era quella dell’acquisizione da parte del bambino della nazionalità della madre. Tra il 1969 ed il 1972 la questione si è ripresentata nuovamente in Parlamento, a causa della presenza di molti lavoratori stranieri nel paese e della proliferazione dei cosiddetti matrimoni misti. Da qui la questione si è ripresentata al Consiglio nordico, ma nel 1977 una legge privata è stata approvata e adottata, modificando la setta. 1 della legge sulla cittadinanza: così un bambino acquista la nazionalità danese, qualora uno dei

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due genitori sia cittadino danese.

Il successo più grande del genere femminile, anche nel nord Europa, come in Italia, è stato quello di abbandonare piano piano, la posizione di dipendenza rispetto al padre ed al marito, in quanto all’acquisto ed al mutamento dello status civitatis; quindi un’inversione di tendenza rispetto al principio di unitarietà della famiglia.

3.4 La disciplina della cittadinanza della donna negli Stati dell’Europa