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Gli sviluppi successivi alla sentenza Nottebohm.

Due sono i casi emblematici successivi alla sentenza Nottebohm che, acquistano, particolare rilievo: quello Strunsky-Mergè del 1947 ed il caso Flegenheimer del 1958, presentati entrambi davanti alla commissione di conciliazione italo-americana: la differenza tra i due sta nel fatto che, il primo, prende in esame una situazione di doppia cittadinanza, mentre, nel secondo, si

27 MIGLIAZZA, La giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia, Comunicazioni e studi,

Milano, 1955.

28 BASTID, L’affaire Nottebohm devant le Coeur internazionale de Justice, Revue critique de

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discute della validità dell’unica cittadinanza del soggetto. Da sottolineare che si mette in dubbio l’applicabilità del principio della cittadinanza effettiva, ai casi controversi relativi ad un’unica cittadinanza. Sulla scia della sentenza della Corte internazionale di giustizia del 1955, un’altra sentenza esplicativa dei suddetti concetti, è quella della Commissione di conciliazione italo-americana: questa ha, da una parte, ribadito le argomentazioni della Corte dell’Aja, relative al precedente caso Nottembohm, dall’altra se ne è vistosamente discostata. La commissione si considera totalmente libera di valutare, nel caso concreto, un eventuale superamento dei limiti imposti dal diritto internazionale. Secondo la Commissione, addirittura, rientra nella sua competenza, l’esame della regolarità delle condizioni poste a base della concessione della cittadinanza, da parte dello Stato singolo. Né la prassi, né la dottrina si erano mai spinte a queste conclusioni, fino a questo momento; anzi, la stessa Corte internazionale di giustizia, aveva espressamente negato tale possibilità nella sentenza del 1955. La Commissione, inoltre, nega che l’effettività della cittadinanza sia stata imposta dalla sentenza Nottebohm, come regola generale di diritto internazionale; tale effettività della cittadinanza non è concepita dalla stessa Commissione come un punto chiave, in caso di conflitto tra due Stati o due leggi nazionali, quando vi sono persone simultaneamente cittadine di più stati, per decidere quale tra esse debba prevalere. E’ qui che si può creare un ipotetico conflitto tra cittadinanza nominale, fondata sulle disposizioni legali di un certo ordinamento giuridico e quella effettiva ed attiva, anch’essa fondata su disposizioni legali di un altro ordinamento giuridico, ma avvalorata da elementi

di fatto.

E’ interessante notare come la Commissione italo-americana che, nel precedente caso Strunsky-Mergè, aveva richiamato il principio della cittadinanza effettiva, lo neghi poi, successivamente, in un caso analogo a quello deciso dalla Corte internazionale di giustizia. La Commissione, pur rifiutando il criterio dell’effettività, ammette un potere di protezione

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diplomatica esercitabile dallo Stato in questione, purché non si tratti di una protezione che oltrepassa i limiti di diritto internazionale; la Commissione, proprio a questo proposito, riconosce, agli organi giudicanti internazionali, un ampio e penetrante potere di controllo. Le posizioni della Corte e della Commissione italo-americana, in un primo momento, sembrano coincidere e pare che affermino lo stesso principio, quale la prevalenza delle regole di diritto internazionale, nel caso in cui si voglia ottenere il riconoscimento della cittadinanza concessa dall’ordinamento interno, in ambito internazionale. In realtà, la Commissione italo- americana cade in un’evidente contraddizione di fondo: sembra, da una parte, voler riconoscere la possibilità, all’ordinamento interno, di incidere sulla sfera giuridica internazionale, mentre dall’altra parte mette in discussione le stesse regole di base sulla cittadinanza,

dell’ordinamento interno.

Ancora, la Commissione si riferisce ai limiti internazionali, negando quello di effettività, ma non specificando di che tipo di limiti internazionali si tratti, impedendo ad un qualsiasi Stato di conformarsi. Giustificare le argomentazioni della Commissione è possibile solamente ammettendo, seppur in maniera errata, un punto di vista di natura processuale: la protezione internazionale intesa come diritto di azione, il quale trova la sua legittimazione nel diritto del singolo Stato, di stabilire autonomamente le condizioni cui viene subordinata l’effettività e che, quindi, questo diritto di protezione internazionale risulti poi sempre subordinato all’ordinamento interno. Non sembra però, che la Commissione abbia voluto giustificare la sua posizione in questo modo e, soprattutto, ammettendo questa impostazione, gli organi di giustizia internazionale non potrebbero più porre dei limiti alle qualificazioni operate dal diritto interno dello Stato. La base sulla quale poggia il diritto di protezione, verrebbe in questo modo a mancare e, la conseguenza, consisterebbe nel venir

meno anche del diritto di protezione stesso.

Il principio di effettività è ribadito, anche, nell’ambito del diritto commerciale e del diritto della navigazione: si evidenzia il fatto che ad ogni società sia offerta

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la protezione diplomatica di uno Stato, in base a quelle leggi sulle quali si è costituita la società stessa e sul cui territorio vi è la sede sociale per quello che concerne il diritto commerciale. «There must be a genuine link between the State and the ship», second, invece, il diritto della navigazione. Anche la prassi legislativa interna segue l’iter intrapreso a livello internazionale e ribadisce i principi affermati fino a questo momento. Esempi emblematici sono quelli della Repubblica Federale di Germania con una legge tedesca del 1969 e la Repubblica popolare cinese con il Codice sulla

cittadinanza del 1980.

La legge tedesca tende a ristabilire una maggiore equiparazione tra i sessi, disponendo una situazione analoga per l’acquisto della cittadinanza da parte di una straniera che sposa un cittadino maschio tedesco rispetto ad uno straniero

che sposa una cittadina tedesca.

Il Codice sulla cittadinanza cinese, invece, mira ad un obiettivo diverso che è quello di ridurre i casi di acquisto di cittadinanza di tutti coloro che nascono all’estero. Si prevedeva, infatti, fino a quel momento, l’acquisto della cittadinanza del padre iure sanguinis all’infinito; la riforma permette un netto ridimensionamento a riguardo, prevedendo l’acquisto della cittadinanza per chi nasce nel territorio cinese da padre o da madre cinese e il diniego della cittadinanza per chi nasca all’estero da cittadini cinesi ed acquisti per nascita

una cittadinanza straniera.

L’effettività della quale abbiamo parlato fino ad adesso si esplica nel potere di governo dello Stato sui suoi “sudditi” ed è l’esteriore manifestazione del

principio di effettività nell’ordinamento internazionale.

Inoltre, la Corte internazionale di giustizia, ancora dopo la sentenza Nottebohm, è sempre rivolta, nelle sue decisioni, verso la realizzazione del principio di effettività, anche nel caso in cui un individuo esibisca documenti e certificati di nascita, di battesimo o di naturalizzazione. Questi ultimi acquistano, più o meno dal 1928 in poi, un valore sussidiario rispetto all’indagine svolta di volta in volta dalla Corte per capire se il soggetto possegga

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effettivamente la cittadinanza dello Stato in questione. Questi documenti, costituiscono comunque dei mezzi di prova che possono essere classificati come prove prima facie, sufficienti o concludenti. Prendiamo il caso dei certificati consolari che attestano l’avvenuta iscrizione nel registro del consolato, dell’individuo. Questi hanno un valore prima facie, ma non sufficiente. Richiamiamo i casi Lynch e Klemp. La pronuncia rispetto al primo caso è la seguente: « a consular certificate ought to be accepted ad prima facieevidence» e ancora «a consular certificate, originating as it doesat a more recent date than a birth certificate, may even possess greater evidential value».

Nel caso Kemp si afferma che la tenuta di questi registri non sia una pratica diffusa e valida per tutti gli Stati così che non si può parlare di regola di diritto internazionale. Quando il console deve effettuare l’iscrizione procede sulla base di altri documenti e svolge un’attenta analisi di essi; ma il risultato di questo lavoro rimane comunque una prova di cittadinanza non sufficiente

davanti ad un tribunale arbitrale.

Nel caso Pinson, il valore di questi documenti è maggiore rispetto a quello attribuito precedentemente nel caso Kemp, ritenendo questo superiore rispetto al documento di nascita; contiene garanzie di veridicità e dati attendibili, ma soprattutto, sufficienti per ottenere la convinzione di un tribunale internazionale e sono, quindi, essenziali, in questo tipo di certificato,

sia gli elementi formali che quelli sostanziali.