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La tutela del diritto di cittadinanza della donna.

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Academic year: 2021

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U

NIVERSITA’ DI

P

ISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

LA TUTELA DEL DIRITTO DI CITTADINANZA DELLA

DONNA

CANDIDATO: RELATORE: Simona Salzano de Luna Chiar.mo Prof. Marinai Simone

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“Ai miei genitori A mio fratello Luca”

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1 INDICE

Considerazioni introduttive 4

CAPITOLO PRIMO La cittadinanza e il diritto internazionale Premessa 8

1.1 L’embrione della cittadinanza 9

1.2 La cittadinanza tra diritto interno e diritto internazionale 11

1.3 Caratteristiche peculiari dell’istituto della cittadinanza 13

1.3.1 Cittadinanza, sudditanza e nazionalità 14

1.4 Limiti internazionali alla competenza interna degli Stati 15

1.4.1 Le iniziative di codificazione internazionale 15

1.4.2 Limiti pattizi e limiti internazionali generali 16

1.4.3 Il concetto di cittadinanza effettiva 17

1.4.3.1 La cittadinanza effettiva nella prassi convenzionale 18

1.4.3.2 La cittadinanza effettiva nella prassi giurisprudenziale 20

1.4.3.3 La posizione assunta dalla Corte internazionale di giustizia sul caso Nottebohm 22

1.4.3.4 Le opinioni dissidenti dei giudici sul caso Nottebohm 25

1.4.3.5 Gli sviluppi successivi alla sentenza Nottebohm 28

1.4.4 I criteri di acquisto e perdita della cittadinanza 32

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2 CAPITOLO SECONDO

Famiglia e cittadinanza nell’ordinamento giuridico italiano

2.1 L’evoluzione normativa della disciplina italiana in materia di

cittadinanza 35 2.1.1 Il principio dell’unicità della cittadinanza in seno alla

famiglia e la posizione predominante del pater familias

sulla donna e sui figli 36 2.1.2 L’incidenza prodotta dai principi affermati dalla Costituzione

e dalla riforma del diritto di famiglia 41 2.1.3 Le pronunce della Corte Costituzionale 42 2.1.3.1 Le ordinanze di rimessione della giurisprudenza di marito

alla Corte costituzionale 45 2.1.5 I tentativi di riforma compiuti prima del 1992 48

2.1.6 La problematica legata alle pronunce adottate dalla Corte

costituzionale in materia di cittadinanza 54 2.2 La legge del 5 febbraio 1992 n.91: cenni preliminari 58 2.2.1 La legge organica 5 febbraio 1992 n. 91 65 2.2.2 L’acquisto della cittadinanza per matrimonio: i requisiti

ed i motivi ostativi 66 2.2.3 Il procedimento di attribuzione del decreto di concessione della

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2.3 Le modifiche apportate alla legge organica del 1992

dalla legge 15 luglio 2009 n.94 79

CAPITOLO TERZO La donna cittadina nel mondo

Premessa 88 3.1 I primi riconoscimento a favore dell’indipendenza della donna

in materia di cittadinanza: riferimenti alla Convenzione adottata

all’Aja il 12 aprile 1930 89 3.1.1 I sostanziali cambiamenti adottati dalla Convenzione di

New York sulla cittadinanza della donna maritata del 20

febbraio 1957 90 3.2 La donna cittadina e lo ius connubii: uno sguardo all’Europa 91

3.3 La disciplina della cittadinanza della donna negli Stati

dell’Europa settentrionale 92 3.4 La disciplina della cittadinanza della donna negli Stati

dell’Europa occidentale 97

Conclusioni 101 Bibliografia 103

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CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

1) Oggetto dell’elaborato.

Gli studi liceali classici hanno suscitato in me una propensione ed un interesse rivolti al passato; si tratta di una curiosità relativa a quel filo invisibile che unisce ciò che è stato e ciò che è diventato oggi. In particolare, nel mio elaborato, ho scelto di ripercorrere la formazione dell’identità dell’uomo come membro e cittadino di una nazione. Uno dei principali problemi che si è posto, nel corso della mia valutazione, è stata la contrapposizione tra l’ordinamento interno di ciascuno Stato, emblema di caratteristiche comuni, prodotto di un determinato percorso storico e sociale, rispetto all’ordinamento internazionale, frutto di relazioni tra gli Stati medesimi, i quali convergono verso quei fondamentali obiettivi, di volta in volta prefissati. L’istituto della cittadinanza si è sviluppato proprio con riguardo a questa contrapposizione; ogni Stato possiede delle regole proprie in termini di acquisto della cittadinanza, ma i dubbi si pongono, nel momento in cui, quel determinato cittadino nazionale, ha bisogno di un riconoscimento del suo status, anche in ambito internazionale. Mi sono occupata di dare una definizione il più possibile chiara e completa delle caratteristiche peculiari dell’istituto, così da pervenire a risultati il più possibile coerenti con la premessa. La cittadinanza ha assunto nel diritto internazionale varie accezioni, ma ad una più attenta analisi dell’istituto si è potuto convenire verso un’unica conclusione: se si parla di cittadinanza, ci si riferisce ad un concetto unitario che conserva, in qualsiasi circostanza, le sue caratteristiche peculiari, soggetto solamente a frequenti specificazioni, via via applicate. Da qui, ho svolto un approfondimento dei vari limiti internazionali, astrattamente applicabili, alla cittadinanza nazionale; tra i limiti indagati ci sono quelli internazionali generali e quelli di derivazione pattizia. Parlando di limiti, c’è bisogno di capire quanto sia corretto effettivamente parlare di limiti imposti alla libertà degli Stati, in materia; vi è l’elaborazione di più teorie in proposito e, come alcune, propendono per un ridimensionamento dell’ordinamento interno, in virtù delle regole

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internazionali, altre propongono una prospettiva completamente diversa, secondo la quale lo Stato risulti svincolato, nell’attribuzione della cittadinanza, da qualsiasi altra regola, se non riferibile all’ordinamento interno stesso, fatti salvi, eventuali limiti negativi, che escludono l’attribuzione della cittadinanza solamente a determinati soggetti, così come definiti a livello internazionale. Di spiccata importanza il concetto, elaborato nell’ambito del diritto internazionale, della cosiddetta cittadinanza effettiva; nodo centrale e base fondamentale, sia nella prassi convenzionale che in quella giurisprudenziale. Quanto alla giurisprudenza, un episodio emblematico è rappresentato dalla sentenza della Corte internazionale di giustizia, sul caso Nottebohm; l’importanza di questa pronuncia deriva dall’applicazione, al caso concreto, del concetto di cittadinanza effettiva, il quale risultato è la dichiarazione di irricevibilità della domanda di

Federico Nottebohm.

La mia attenzione si è poi concentrata sull’iter legislativo italiano, in materia di cittadinanza, dalla nascita di una prima elaborazione dell’istituto, sino alla formulazione della legge organica 5 febbraio 1992 n. 91 e le ulteriori modifiche più recenti, apportate con la legge 15 luglio 2009 n. 94. Ho offerto una panoramica generale della materia per comprendere, in un quadro più ampio, il modo in cui la cittadinanza, in generale ed i modi di acquisto, in particolare, cambiano i loro connotati nel tempo. Quali sono le cause di questi cambiamenti? Sicuramente questo tipo di legislazione risulta fortemente influenzato dalla riforma sul diritto di famiglia del 1975 e dall’entrata in vigore della Costituzione italiana, il 1 gennaio del 1948; quest’ultima data di riferimento, determina l’esigenza di rileggere tutte le regole, nella materia in questione, alla luce dei nuovi principi elaborati. Anche la riforma del diritto di famiglia ha una portata significativa, nella disciplina della cittadinanza, soprattutto per quello che attiene, al punto di mio maggiore interesse: la posizione della donna rispetto al marito e, nello specifico, riguardo all’acquisto della cittadinanza per matrimonio. Il percorso intrapreso dalla donna come cittadina italiana, internazionale e di qualsiasi altro Stato del mondo, rivela una serie di ostacoli piuttosto difficili da superare. Il principio che ricorre frequentemente, è quello dell’unità familiare, responsabile della posizione di subordinazione, assunta dalla donna, nei

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confronti del marito. I maggiori cambiamenti di questa concezione si sono resi visibili, attraverso le diverse previsioni, in materia di acquisto della cittadinanza per matrimonio; a tal proposito, ho ritenuto conveniente spiegare il procedimento seguito nel nostro paese, dal coniuge straniero, che vuole acquisire la cittadinanza italiana. Ho svolto anche delle analisi di tipo coordinato con la prefettura di Pisa, per capire quali siano gli ostacoli maggiormente incontrati dalla pubblica amministrazione, nel corso del procedimento di attribuzione della

cittadinanza per matrimonio.

Per dare un valore ulteriore alla mia tesi, ho rivolto lo sguardo sia ai risultati comuni raggiunti in ambito internazionale, per la tutela della donna, soprattutto in sede di conferenze tra gli stati, sia anche alla posizione della donna nell’ambito di alcuni paesi europei, sempre attraverso un occhio critico verso il passato e gli sviluppi legislativi succedutisi nel tempo; ho scelto quei paesi dell’Europa nei quali è od era previsto, tra i metodi di acquisto della cittadinanza, quello per matrimonio.

2) Struttura e metodo d’indagine.

Ho scelto di dividere il mio elaborato in tre capitoli, articolati in paragrafi e sotto- paragrafi, per dettare uno schema chiaro e lineare della materia, nel modo in cui io stessa l’ho affrontata. In un primo momento, ho ritenuto necessario capire a quale contesto fosse riferibile il concetto di cittadinanza ed ho cercato, proprio nel primo capitolo, di risolvere questioni basilari, per collocare poi la cittadinanza nell’ambito del nostro ordinamento. Nel secondo capitolo ho svolto un lavoro di sistematizzazione delle varie fonti, contenenti la materia della cittadinanza; ho messo in evidenza gli elementi comuni ed i passaggi netti, compiuti in Italia, dalla formulazione di una legge ad un’altra. Da questo momento in poi ho, concentrato la mia attenzione sulla donna come cittadina e sui suoi rapporti con il marito. E’stato poi nel terzo capitolo, che ho presentato un modello di donna cittadina, alla quale sono stati riconosciuti determinati

diritti “autonomi” rispetto alla figura del marito.

Attraverso uno studio accurato delle fonti nazionali ed internazionali di diritto primario e derivato, sono riuscita a portare a compimento la mia tesi includendo

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istituti di diritto privato come il matrimonio e la filiazione, ma anche disposizioni di diritto penale concernenti pene e limiti edittali.

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8 CAPITOLO I

La cittadinanza e il diritto internazionale Premessa

Il tema della cittadinanza ha suscitato un grande interesse all’estero1, non paragonabile a quello rilevato nella dottrina italiana. E’ la collocazione della materia che ha determinato nel nostro paese, questa scarsa attenzione dottrinale alla tematica: l’istituto è stato inquadrato in certi casi, nel diritto pubblico generale o nel diritto costituzionale in particolare oppure, in altri casi, nel diritto internazionale privato. L’intero argomento della cittadinanza è regolato e strutturato sulla base di fonti recenti o risalenti nel tempo, che affrontano l’argomento, secondo diverse prospettive, settori di interesse e discipline sociali. Il problema della cittadinanza, infatti, si pone sempre in relazione ad altre questioni ed è, dunque, inevitabile un supporto multilaterale delle varie branche dell’ordinamento2.

All’inizio, questo tema veniva affrontato con strumenti di diritto privato perché la cittadinanza era considerata uno degli aspetti fondamentali dello stato della persona, rilevante per la sua condizione di diritto privato. Non è trascurabile, però, il ruolo che ha l’istituto nell’organizzazione dello Stato, sia dal punto di vista strutturale che funzionale e che può ricondurre il problema al diritto pubblico in generale o al diritto costituzionale, in particolare3. Da sottolineare, anche, il fatto che la cittadinanza costituisce il presupposto perché possano operare vari istituti di diritto internazionale, tra i quali, la protezione diplomatica4. La Corte internazionale di giustizia ha cambiato

1DE DOMINICIS, Contributo allo studio della c.d. cittadinanza effettiva nel diritto internazionale,

Napoli, 1972.

2 Una situazione simile si manifesta anche nella materia dell’estradizione che viene affrontata

sia dai cultori del diritto penale sia dai cultori del diritto internazionale.

3 QUADRI, Cittadinanza, in Novissimo Digesto italiano, 1959, p.316

4 Questo collegamento è stato, ad esempio, sottolineato dalla Corte permanente di giustizia

internazionale nella sentenza 28 febbraio 1939 nel caso della ferrovia Panavezys- Saldutiskis, dove si afferma che qualora non vi sia un accordo particolare, è proprio il collegamento tra lo Stato e l’individuo a far sì che lo Stato possa offrire la sua protezione diplomatica. Lo stesso aspetto è stato ribadito sempre dalla Corte internazionale di giustizia, nella sentenza 6 aprile 1955, nell’affare Nottebohm.

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orientamento, nel corso del tempo, in relazione al collegamento tra la cittadinanza e la protezione diplomatica5, finendo poi per manifestare il suo

consenso al riguardo.

La necessità, dunque, è quella di coordinare i due ordinamenti (interno ed internazionale) in maniera logica, facendo sì che possano funzionare insieme,

senza violare le regole di diritto.

Questa incertezza sistematica ha causato vari conflitti di attribuzione sia di tipo positivo che negativo; in alcuni casi vi è stato un disinteresse totale per alcuni problemi relativi alla cittadinanza, che sono rimasti trascurati6, in altri casi, la questione è stata affrontata sotto una miriade di punti vista contrastanti tra di loro.

La cittadinanza si sostanzia in un vincolo giuridico-politico tra entità statale ed individuo che presuppone la nascita di situazione giuridiche soggettive,

all’interno di ciascun ordinamento.

1.1 L’embrione della cittadinanza.

Il concetto di cittadinanza risale già al mondo greco e romano, quando si comincia a discutere e teorizzare la relazione, tra il singolo individuo ed il governo della città. Aristotele parlava di uno Stato formato da una pluralità di cittadini e della figura del cittadino, tale, non perché abitante di un determinato luogo o perché beneficiario di certi diritti politici, ma di un cittadino in senso

5 La corte manifesta la sua contrarietà nel parere consultivo dell’11 aprile 1949, sulla

riparazione dei danni subiti al servizio delle Nazioni Unite. Questa posizione della Corte viene criticata dai giudici Hackworth, BadawiPacha e Krylov, i quali affermano invece il ruolo preponderante della cittadinanza per l’esercizio della protezione diplomatica.

6 Si è osservato: «assistiamo ad una sorta di palleggio fra specialisti, per cui ciascuno declina la

propria competenza per tutto quanto non rientri nel suo circoscritto settore, perché appartiene a quell’altra branca, la branca del diritto pubblico; e così l’internazionalista dichiara che la cittadinanza non entra nella sua specialità, propriamente non propone un problema di diritto internazionale privato, ma concerne un altro problema, Che poi l’un problema possa essere connesso con l’altro (ed è concesso per l’interdipendenza degli ordinamenti) è un fenomeno che non lo riguarda. Ora questi benedetti specialisti non si rendono conto di un fatto di palmare evidenza, e cioè che queste distinzioni che noi per un’ovvia esigenza di divisione del lavoro facciamo per approfondire, ciascuno nel suo campo, i rispettivi problemi, non si incontrano nella realtà: la realtà ci offre il fenomeno unitario, tutto insieme»: così BETTI, Problematica del diritto internazionale, Milano, 1956, p. 355

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assoluto, per la posizione e per la carica rivestita, all’interno della società7. Il concetto teorico di cittadino, secondo Aristotele, esclude stranieri, schiavi, donne, ragazzi ed anziani: “Noi cerchiamo il cittadino in senso assoluto, senza alcuna imperfezione del genere, che debba essere corretta, perché anche riguardo a uomini privati dei diritti politici ed esiliati si possono porre tali dubbi e soluzioni. Cittadino in senso assoluto non è definito da altro che dalla partecipazione alle funzioni di giudice e alle cariche8.”Uno schiavo o una donna potevano solamente vantare diritti di tipo civile perché, comunque, membri di una comunità territoriale. Il filosofo greco distingue anche la nozione pratica del cittadino, rispetto a quella puramente teorica, definendolo come “colui che discende da genitori entrambi cittadini e non da uno solo9”. La figura di cittadino greco è quella del maschio, maggiorenne e che si dedica alla cura della sua polis. Nella civiltà greca, ogni polis, aveva regole proprie per l’acquisizione della cittadinanza, integrative rispetto alla disciplina generale: Sparta si distingueva per la sua lunga tradizione legata all’attività bellica, elemento, questo, determinante per ottenere il riconoscimento della cittadinanza. Mentre ad Atene era sufficiente la maggiore età per essere cittadini, a Sparta era fondamentale la

formazione in questo campo.

Gli stranieri venivano esclusi dal godimento dei diritti e dall’adempimento dei doveri; non potevano sposare le donne nate nella polis, così da evitare di mescolare il sangue dello straniero con quello del cittadino. Lo straniero, quindi, non era visto di buon grado nel mondo ellenico e veniva totalmente escluso, da più ambiti della vita pubblica. Ad Atene c’era un clima di maggiore tolleranza, esplicata ad esempio nella possibilità di ottenere un sostegno da parte di un cittadino- patrono, il quale aveva il compito di provvedere alla presentazione dello straniero, davanti alla comunità; garanzia

totalmente assente a Sparta.

Anche nel mondo romano la situazione non era molto differente; si trattava di un’evoluzione del concetto greco di cittadino. All’inizio, il rapporto tra lo Stato e l’individuo era concepito per le sole persone (gentes) che vivevano vicino alla

7 ARISTOTELE, Politica, a cura di R. Laurenti, Roma- Bari, 2007, III, p. 1. 8 Ibidem.

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città di Roma; questo in conformità ad un concetto di cittadinanza più statico e legato al periodo repubblicano, dove l’uomo era considerato, quasi, come un servitore della Repubblica stessa. Solo più tardi, in età imperiale, la cittadinanza è stata estesa all’intero popolo, formato da coloro che erano stanziati in varie parti dell’impero romano. Uno dei traguardi decisivi di questo cambiamento, è rappresentato dalla pubblicazione della Constitutio Antoniana, con la quale cresce vorticosamente il numero dei riconoscimenti di cittadinanza sul territorio, nonostante permangano ancora divari molto netti tra un uomo libero ed uno schiavo, come tra un cittadino ed un nemico dell’impero. Dopo la fine dell’impero romano, nei secoli successivi, però, il problema più grande diventa la sovrapposizione del concetto di cittadino con quello di suddito, chiara rielaborazione del pensiero illuminista; solamente con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 prima e con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 dopo, nascerà la concezione del cittadino come entità umana, persona meritevole di un numero sempre maggiore di diritti, da poter spendere non più, solo nei confronti dello Stato di appartenenza, ma verso qualsiasi tipo di soggetto statale e non. Dichiarazioni ispiratrici di numerose Carte costituzionali e tappa essenziale per il

riconoscimento della dignità e della libertà umana.

I passi avanti compiuti nell’elaborazione del concetto di cittadinanza e della sua attuazione concreta, non hanno condotto a risultati armonici e completi; il genere femminile, ad esempio, è rimasto escluso per lungo tempo. Oggi il concetto di cittadinanza è entrato in crisi, a causa di una sorta di conflitto che si è venuto a creare tra l’esigenza migratoria di più soggetti e la tenace difesa di ogni Stato, dei suoi valori e delle sue tradizioni; l’entità nazione si sente minacciata nei suoi punti più forti e cresce rapidamente la tensione tra diritti del cittadino e

aspettativa del migrante10.

1.2 La cittadinanza fra diritto interno e diritto internazionale

10 PANELLA, La cittadinanza e le cittadinanze nel diritto internazionale, Editoriale Scientifica,

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La cittadinanza è elemento essenziale dello Stato perché, un qualsiasi Stato, necessita di una base sociale di cittadini, per essere tale e non può essere composto, esclusivamente, da sudditi; tale necessità è il prodotto del contesto

storico-politico, sviluppatosi nel corso dei secoli.

Anche nel diritto internazionale, però, non mancano delle norme di diritto generale e convenzionali, in particolare, in materia di acquisto e perdita della cittadinanza.

Quindi, la cittadinanza costituisce il presupposto fondamentale perché lo Stato nazionale tuteli gli interessi di ogni individuo, all’interno della Comunità internazionale, attraverso il raccordo con la disciplina internazionale stessa. Questo perché la protezione diplomatica (internazionale) è attivabile esclusivamente dallo Stato nazionale e l’individuo non può agire di sua iniziativa, quindi «Nationality is the principal link between individuals and

benefits of the Law of the Nations11».

Se, al contrario, esistesse una vera e propria soggettività internazionale anche per l’individuo12, in grado di garantirgli una partecipazione diretta nella

Comunità internazionale, il ruolo della cittadinanza a livello internazionale,

avrebbe sicuramente una portata minore.

Essenziale, quindi, capire quanto l’ordinamento internazionale sia limitato esso stesso, dalle decisioni attributive di cittadinanza, prese in ambito nazionale e, quale sia, invece, il criterio autonomamente prescelto dall’ordinamento internazionale, applicabile poi ai vari casi concreti. Esistono, infatti, delle norme generali di diritto internazionale, che definiscono regole minime per l’acquisto e la perdita della cittadinanza e che devono essere rispettate nei vari Stati, in

parallelo con i criteri stabiliti a livello nazionale.

Svolte queste constatazioni, sembra utile parlare di una poliedricità dell’istituto

11 PANZERA, Limiti internazionali in materia di cittadinanza, Napoli, Jovene, 1984, p. 12 12 E’ errata la concezione di una soggettività internazionale degli individui accanto alla

soggettività internazionale degli Stati; anche la tutela dell’individuo riconosciuta da più strumenti convenzionali sui diritti dell’uomo ( ad esempio la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata il 4 novembre 1950 a Roma), attribuisce al soggetto il ruolo esclusivo di stimolare l’organo internazionale ad agire.

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e soffermarsi sul concetto di cittadinanza effettiva, principio limite posto dall’ordinamento internazionale ai singoli Stati.

1.3 Caratteristiche peculiari dell’istituto della cittadinanza

Prima di analizzare il principio limite base, imposto dal diritto internazionale, è importante precisare alcune caratteristiche della cittadinanza: univocità ed unitarietà. Si tratta di un istituto univoco perché, sia nel diritto interno che in quello internazionale, individua un “certo rapporto esistente tra un dato individuo ed uno Stato o, più generalmente, la posizione di un dato individuo nei confronti di un determinato Stato13”. Le differenze e le varietà del concetto, riguardano i criteri inerenti al sorgere ed all’estinguersi del vincolo o al suo contenuto concreto. La cittadinanza è, inoltre, un concetto di tipo unitario perché non è ammissibile una frammentazione di esso; non è possibile differenziare tra una cittadinanza finalizzata alla protezione diplomatica ed una finalizzata all’esercizio della sovranità personale e non esistono diversi altri concetti di cittadinanza, come quella di tipo funzionale, definita di volta in volta dai vari strumenti pattizi. In realtà, questo concetto, viene solamente integrato da specificazioni ulteriori, ma mantiene sempre il suo nucleo originario ed essenziale.

Altro problema da risolvere, è quello della sussunzione della cittadinanza, nella categoria degli status14 o in quella dei rapporti giuridici; problema che non si pone nel diritto internazionale, perché l’individuo non ha uno status di soggettività internazionale e, quindi, non può nemmeno essere parte di un

rapporto giuridico.

La questione è, invece, dibattuta nell’ordinamento interno, dal momento in cui si definisce la cittadinanza, come un vincolo giuridico fra un individuo e un’entità statuale; questa definizione potrebbe ricondurre l’istituto, nell’ambito del rapporto giuridico, di natura contrattuale. Se accogliessimo questa conclusione, il risultato sarebbe quello di intendere la cittadinanza come contratto sinallagmatico tra Stato ed individuo, basato su una volontà negoziale

13 LAPENNA, La cittadinanza nel diritto internazionale generale, Giuffrè, Milano, 1966, p. 162 14 BETTI, op. cit. p. 359; QUADRI, op. cit. p.315; BISCOTTINI, Cittadinanza, EdD, Milano, 1960, p.

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di quest’ultimo, diretta all’incontro con la volontà dello Stato. Di solito, l’individuo, per acquistare la cittadinanza (iure soli e iure sanguinis), non manifesta alcuna forma di volontà, volta ad ottenere il sorgere del rapporto ed i suoi successivi sviluppi. Quando anche, si riscontra la manifestazione di volontà del soggetto, questa non ha affatto le sembianze di una volontà negoziale, ma piuttosto si esplica nella volontà di porre in essere quei presupposti che la legislazione impone come necessari, per la concessione della cittadinanza. Le radici del rapporto creato dalla cittadinanza sono da ricercarsi, esclusivamente, nella volontà dinamica, mutevole ed unilaterale dello Stato. La cittadinanza trova la sua origine e la sua disciplina nella legge e non può configurarsi come rapporto contrattuale. Essa caratterizza, invece, l’individuo in relazione allo Stato e gli offre una posizione privilegiata da particolari diritti ed onerata da altrettanti doveri; posizione, questa, sussumibile nella categoria degli status. In realtà, la questione si presenta come conflittuale solamente nella teoria, perché nella pratica, possiamo concludere ritenendo che la cittadinanza, quale vincolo giuridico- politico fra individuo ed entità statuale, si configura in primo luogo come rapporto giuridico, quale presupposto per il sorgere, in capo all’individuo, di diritti e doveri; si forma così per il singolo una particolare sfera

di capacità, definita come status15.

1.3.1 Cittadinanza, sudditanza e nazionalità.

Spesso i termini cittadinanza, sudditanza e nazionalità vengono utilizzati come sinonimi, ma vi è il bisogno di specificare la portata di ciascuno di essi. Abbiamo già più volte chiarito il significato del termine cittadinanza; la sudditanza rappresenta anch’essa un rapporto tra individuo e Stato, ma, sottolinea, la mera soggezione che, l’individuo, ha nei confronti dell’ente sovrano, contrapposta ad una partecipazione dell’individuo di tipo attivo, nella

vita politico-sociale dello Stato16.

Di sudditanza si parlava soprattutto nel passato, in epoca feudale o con l’istaurarsi di regimi totalitari. Con l’avvento della Rivoluzione francese,

15 MAKAROV, Regles generales du droit de la nationalitè, Boston, 1949, p. 281. 16 QUADRI, La sudditanza nel diritto internazionale, CEDAM, Padova, 1936, p. 28 ss.

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l’impostazione del rapporto è cambiata completamente.

Sia la cittadinanza che la sudditanza, però, si contrappongono al concetto di nazionalità, che è inteso più come legame, prevalentemente etico- morale, fra l’individuo e la sua nazione. Nazione concepita, non come entità giuridica, ma come «individualità storica che ha proprie caratteristiche, non soltanto etniche e

linguistiche, ma di tradizione e di pensiero17.»

1.4 Limiti internazionali alla competenza interna in materia di acquisto e perdita della cittadinanza.

Una delle prime tappe fondamentali per il riconoscimento della competenza esclusiva degli Stati in materia di cittadinanza deriva dalla giurisprudenza internazionale; il parare consultivo della Corte permanente di giustizia internazionale, reso il 7 febbraio del 1923, in ordine ai decreti di nazionalità promulgati in Tunisia e nel Marocco l’8 novembre 1921. Anche le pronunce successive hanno sottolineato il principio di esclusività per il diritto interno, negando però, il dominio riservato di ciascuno Stato. L’acquisto della cittadinanza è infatti regolato dallo Stato, ma la sua autonomia è limitata dagli impegni che questo ha contratto a livello internazionale.

1.4.1 Le iniziative di codificazione internazionale.

Il progetto della Convenzione sulla cittadinanza, preparato dalla Harvard Law School nel 1929, affermava che fosse lo Stato a decidere chi potesse diventare suo cittadino, sulla base delle proprie leggi e di una competenza cosiddetta domestica. La posizione della Harvard Law School è stata influenzata dalla Corte permanente di giustizia internazionale e, con l’art. 2 della Convenzione, si ammette una limitazione, nella materia, imposta dal diritto internazionale. Una limitazione difficilmente definibile nei suoi termini specifici, ma senza dubbio presente. Alla medesima conclusione pervengono i lavori della Conferenza per la codificazione del diritto internazionale, svoltisi all’Aja nel 1930.

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Nella Convenzione, si chiariva che questo potere autonomo dello Stato, di attribuire la cittadinanza, non fosse illimitato: si trattava di una competenza esclusiva che, però, per avere poi degli effetti in ambito internazionale, doveva rispettare i limiti imposti dall’ordinamento internazionale stesso.

1.4.2 Limiti pattizi e limiti di diritto internazionale generale

E’ necessario tenere sempre presente la menzione fatta, nelle pronunce della Corte permanente di giustizia internazionale, del limite incontrato da ciascuno Stato, relativamente agli obblighi pattizi assunti dagli Stati stessi; pareri significativi, sono quello sui decreti di nazionalità promulgati in Tunisia e nel Marocco il 7 febbraio 1923 e quello sull’acquisto della cittadinanza polacca, del 15 settembre 1923. Questi obblighi non costituiscono un ostacolo alla giurisdizione esclusiva, ma, piuttosto, si tratta di una scelta fatta dagli Stati, quale quella di concordare l’esercizio di tali poteri, con altre entità. Già con il trattato di Bancrof del 1868, le Convenzioni di Rio de Janeiro del 13 agosto 1906 e Montevideo del 26 dicembre 1933, gli Stati ammettono, nei loro reciproci rapporti, la limitazione dei loro poteri sovrani, nella materia della cittadinanza. Nella stessa direzione di questi accordi, ve ne sono altri relativi a cessioni territoriali18; questi contengono delle clausole specifiche che

introducono, anch’esse, dei limiti pattizi alla ‘domestic jurisdiction’, in materia di cittadinanza. Tale prassi convenzionale risulta essenziale per evitare qualsiasi tipo di opposizione, all’ammissione dei limiti pattizi, rispetto alla domestic jurisdiction di ciascuno Stato, in materia di cittadinanza19.

La questione, invece, è più dibattuta per i limiti che derivano dal diritto internazionale generale; ci sono varie tesi contrapposte sul problema, riflesso

di posizioni contrastanti.

18 Si possono rammentare i Trattati di Zurigo dell’11 novembre 1859, di Torino del 24 marzo

1860 e di Vienna del 3 ottobre 1866. Inoltre sono particolarmente significative, in materia, le clausole di quei trattati conclusi alla fine del primo conflitto mondiale.

19Naturalmente si tratta di limiti che operano esclusivamente inter partes con una portata

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Un autore italiano20 ha affermato che, nonostante non sia possibile dimostrare

l’esistenza di vere e proprie norme internazionali generali, prescrittive di limiti alla libertà dello Stato, ci sono comunque delle norme che incidono indirettamente su tale libertà, togliendo interesse ed utilità pratica allo Stato, qualora avesse intenzione di superare i limiti ivi contenuti. In ogni caso, vi sono tesi radicali e diametralmente opposte, a riguardo: per prima, quella che contesta la competenza domestica degli Stati e che sostiene un’adozione di norme, da parte di essi, intesa come attribuzione di competenza da parte del diritto internazionale, più che come delegazione di poteri. Dall’altra parte, abbiamo degli autori che ritengono lo Stato libero di attribuire la qualità di cittadino, ad un qualunque soggetto, rispondente ai requisiti elaborati a livello statale e di essere, lo Stato, “subordinato” solamente ad un divieto di attribuzione, per colui che non possegga, neanche minimamente, delle caratteristiche definite sotto il profilo internazionale (limite negativo).

1.4.3 Il concetto di cittadinanza effettiva.

La cittadinanza, prima di tutto, è una situazione giuridica ed una situazione di fatto che deve essere provata davanti ai giudici internazionali. Lo status activae civitatis è il prodotto di una volontà, non solo statale, ma collegata a situazioni di tipo concreto e ad una realtà di tipo sostanziale. Ogni Stato pone, effettivamente, requisiti vari e diversi per l’acquisto della cittadinanza, ma deve sussistere una base, seppur minima, comune; il fatto di essere nati da genitori già cittadini, aver reso particolare servizi allo Stato dove si ha la residenza o ancora, essere nati sul territorio soggetto alla sovranità dello Stato, che deve procedere alla concessione della cittadinanza. Il diritto, in generale, regola rapporti di vita concreti e, non può certo, in materia, tralasciare collegamenti reali, concreti ed effettivi del soggetto con la vita. Non basta il vincolo formale; un popolo è elemento concreto dello Stato e suo presupposto, motivo per cui non può essere legato ad esso esclusivamente da un rapporto di tipo giuridico,

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ma deve essere fondato, piuttosto, su vincoli di fatto. Sono gli stessi fatti e le condizioni di vita, che influenzano il cambiamento ed il progresso, sia delle norme giuridiche che degli istituti che le regolano. La cittadinanza, comunque, assume un valore importante nell’ordinamento internazionale ed anche se, i due ordinamenti (interno ed internazionale), non si sovrappongono, esiste una nozione di cittadinanza nel diritto internazionale che è fondata sul principio di effettività; non è quindi il diritto internazionale a porre limiti alla competenza esclusiva degli Stati, ma sono limiti che esistono oggettivamente per lo Stato stesso.

1.4.3.1 La cittadinanza effettiva nella prassi convenzionale.

I primi trattati di riferimento rispetto al concetto di cittadinanza effettiva sono la Convenzione di Rio de Janeiro ed il trattato Bancrof, nei quali viene affrontato il tema della naturalizzazione; è confermato, poi, dal Codice Bustamante21, il

rilievo del criterio del domicilio, per la risoluzione dei problemi sulla doppia cittadinanza. Lo Stato, è quindi disposto a riconoscere la naturalizzazione conseguita dai propri cittadini all’estero, purché oltre al dato giuridico, si realizzi anche il dato fattuale; un legame reale fra individuo e Stato di

naturalizzazione, che si sostanzi nel domicilio.

Anche la Harvard Law School enfatizza il ruolo del domicilio, come dimostrazione di un collegamento reale tra l’individuo e lo Stato, utile per la

risoluzione di vari problemi di doppia cittadinanza.

Di primaria importanza le disposizioni adottate dalla prima Conferenza per la codificazione del diritto internazionale, tenutasi all’Aja nel 1930. Il Protocollo relativo alle obbligazioni militari, in alcuni casi di doppia cittadinanza, prevede che «qui réside habituellment sur le territoire de l’un d’eux et se rattache en fait le plus à ce pays, sera exemptè de toutes obligationes militaires dans tout autre de cespays». Anche nella prassi convenzionale, come in quella giurisprudenziale, notiamo un passaggio dal concetto di domicilio ad un

21 Codice di diritto internazionale privato, adottato a l’Avana il 20 febbraio 1928 dalla sesta

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concetto più generale, di legame di fatto; ciò è disposto dall’art. 5 della Convenzione stessa.22 Infatti nell’art. 1 del Protocollo dell’Aja sulle obbligazioni

militari, il collegamento fattuale ha rilevanza in concorso con il criterio della residenza abituale, mentre nell’art. 5 della Convenzione, questo collegamento è deducibile da circostanze anche diverse, autonome rispetto al concetto di residenza.

Dopo la Convenzione dell’Aja, il caso Salem, potrebbe quasi essere considerato la dimostrazione di un’inversione di tendenza da parte del Tribunale internazionale arbitrale23, rispetto ai risultati raggiunti fino a quel momento;

nella decisione del caso, si legge che il principio della cittadinanza effettiva, non è sufficiente per fondare il diritto internazionale pubblico ed i risultati relativi al caso Canevaro, erano, praticamente, rimasti oggetto di una sentenza isolata. Si tratta di una conclusione errata ed, alcuni commentatori della sentenza, hanno rimproverato alla stessa la mancanza di “audacia”, per recepire quel principio di cittadinanza effettiva, in corso di consolidamento24. Errata perché

il Tribunale riconobbe Georges Salem come cittadino statunitense e come cittadino persiano, ma negò la cittadinanza egiziana. Se anche fosse stata accertata la cittadinanza egiziana, comunque l’Egitto non avrebbe dovuto invocare il principio della cittadinanza effettiva, ma il semplice principio per cui uno Stato non può far valere reclami del proprio cittadino contro un altro Stato, del quale il cittadino possiede comunque la cittadinanza. In realtà, poi, l’unico principio applicabile al caso concreto fu quello secondo il quale uno Stato non può opporre allo Stato reclamante il possesso della cittadinanza di uno Stato terzo, per vedersi rigettato il reclamo; difatti,

22 Ai sensi dell’art. 5 della Convenzione dell’Aja: «dans un Etattiers, l’individu possèdant

plusieurs nationalités devra êtretraité commes’il n’en avaitqu’une. Sans prejudice des règles de droit appliquées dans l’Etattiers en matière de statutpersonnel et sous réserve des conventions en vigueur, cet Etat pourra, sur son territoire, reconnaîtreexclusivement, parmi les nationalités qui possède un tel individu, soit la nationalitèdupaysdanslequel il a sa résidencehabituelle et principale, soit la nationalité de ce lui au quel, d’après les circostances, il apparaÎt comme se rattachant le plus en fait».

23 Costituito tra Egitto e Stati Uniti d’America nella decisione del caso Salem, resa l’8 giugno

1932.

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riconoscendo il difetto di cittadinanza egiziana del Salem, il Tribunale aveva stabilito per il soggetto, un concorso tra la cittadinanza degli Stati Uniti (parti in causa) e la cittadinanza della Persia (la quale non era parte del processo di fronte al Tribunale arbitrale). Dunque il caso Salem non può essere sintomo di alcuna inversione di tendenza rispetto alle conclusioni fino a qui raggiunte, a proposito della c.d. cittadinanza effettiva, dato che per giungere alla decisione non era stato neanche necessario “scomodare” il principio in questione.

1.4.3.2 La cittadinanza effettiva nella prassi giurisprudenziale.

Uno dei primi casi esplicativi del concetto di cittadinanza effettiva, nella prassi giurisprudenziale, è sicuramente il caso Stevenson; tra il 1902 ed il 1903 erano state create delle Commissioni chiamate ‘arbitrati venezuelani’ che avevano il compito di decidere sugli indennizzi richiesti da tutti quegli stranieri che, nel corso delle guerre civili, avevano subito danni. La questione più spinosa e preliminare rispetto alla concessione dell’indennizzo, che dovevano affrontare le commissioni, era quella relativa alla doppia cittadinanza del danneggiato; queste dovevano valutare se, dare prevalenza alla cittadinanza dello Stato reclamante o a quella venezuelana, nel caso, ad esempio, in cui il danneggiato avesse la cittadinanza straniera iure sanguinis e quella venezuelana iure soli. Il reclamo, nel caso Stevenson, era stato presentato in favore di una vedova di un cittadino britannico, che era venezuelana per nascita e britannica iure matrimonii. La donna, anche dopo la morte del marito, aveva continuato a risiedere in Venezuela insieme ai figli, esclusi due di essi che erano nati e risiedevano in territorio britannico. Plumley, arbitro della Commissione, riteneva che la vedova fosse di cittadinanza venezuelana e per questo la Commissione fosse incompetente. La motivazione addotta da Plumley, non tocca aspetti esclusivamente giuridici, ma piuttosto fa riferimento ad aspetti di tipo sociale ed affettivo; la donna ha un legame forte con il Venezuela, un rapporto che pone qui le sue radici e le impedisce di spingersi altrove. Questione, comunque aperta, quella relativa alla prevalenza del criterio dello

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Sono molteplici i casi proposti davanti agli arbitrati venezuelani, ma quel che conta è la conclusione alla quale possiamo pervenire analizzando il lavoro delle commissioni: gli arbitri, nelle varie decisioni, hanno cercato di far prevalere, in ipotesi di cittadinanze confliggenti, quella «reale», basata, quindi, su un collegamento più intenso tra individuo e comunità statale. Altro riferimento alla cittadinanza effettiva è contenuto nella sentenza della Corte permanente di arbitrato del 3 maggio 1912, nell’affare Canevaro; tre fratelli, dei quali due con cittadinanza italiana, presentavano alla Corte un reclamo contro il Perù. Il terzo, Raffaele Canevaro, italiano iure sanguinis e peruviano iure soli, possedeva, secondo la Corte, una doppia cittadinanza. Dunque, secondo la Corte, la cittadinanza italiana si rivelava insufficiente per

far valere il reclamo di Raffaele Canevaro.

La ratio del rifiuto è data dall’applicazione del principio, secondo il quale, uno Stato non può far valere reclami di un individuo che consideri proprio cittadino nei confronti di un altro Stato che, a sua volta, consideri l’individuo medesimo,

come proprio cittadino.

Per rafforzare la sua decisione, la Corte ha ribadito che Raffaele Canavaro «si è comportato da peruviano» e, con questo, ha giustificato la sua decisione,

sempre in nome del principio di effettività.

Il percorso di individuazione di un limite di portata generale alla domestic juridiction avviene in maniera graduale, nell’arco di un ventennio circa ed una delle tappe finali, più significative, è data dal caso Pinson, del 1928. Vi è una sentenza della Commissione franco-messicana in cui l’agente messicano ritiene che il reclamo di Pinson non possa essere accolto, a causa della sua cittadinanza messicana e, non solamente, francese. L’arbitro Verzijl, però, presidente della Commissione ed estensore della sentenza, ritiene che il principio sia sicuramente giusto, ma che per parlare davvero di cittadino, l’individuo debba essere considerato e trattato da quello Stato, effettivamente come tale; che debba sottostare alle disposizioni legali, non superando, però, quei limiti tracciati dal diritto internazionale pubblico e dagli scritti consuetudinari. Per la

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prima volta, oltre al richiamo al concetto di cittadinanza effettiva, si parla di un vero e proprio limite consuetudinario alla competenza interna degli Stati e non, esclusivamente, pattizio, come fino a questo momento; tra l’individuo e lo Stato vi deve essere, comunque, un collegamento in diritto ed in fatto, reale ed effettivo.

1.4.3.3 La posizione assunta dalla Corte internazionale di giustizia nel caso Nottebohm

Il passaggio fondamentale è costituito dalla sentenza Nottebohom, 6 aprile 1955. Federico Nottebohm è un cittadino di origine germanica, nato ad Amburgo da genitori tedeschi, nel 1881; nel 1905 emigra in Guatemala, stabilisce qui il suo domicilio e rimane fino al 1939, poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, senza mai acquistare la cittadinanza guatemalteca. Si reca nel Liechtenstein, dove richiede in proprio nome la naturalizzazione all’autorità competente, secondo le regole ivi stabilite. Nottebohm riesce a velocizzare la procedura, evitando di stabilire per un triennio il suo domicilio nel Liechtenstein, attraverso il pagamento delle relative tasse, necessarie per ottenere una dispensa dalla regola. All’inizio riesce ad ottenere l’iscrizione all’anagrafe della città di Mauren, poi acquista la nazionalità del Liechtenstein con un decreto del Principe regnante, il giorno 13 ottobre del 1939. Rientrato alla fine dello stesso anno in Guatemala, Nottebohm, dopo aver ottenuto il visto da parte del console generale del Guatemala, riprende i suoi ordinari affari nel paese; l’errore è quello di non richiedere la notifica alle autorità guatemalteche della nuova cittadinanza, sul registro degli stranieri e su quello dello stato civile. Scoppia la guerra l’anno successivo, nel 1941 e, dichiarato lo stato di guerra tra la Germania e le altre Potenze, Nottebohm viene iscritto nella lista nera dalle autorità americane; arrestato dalla polizia guatemalteca e consegnato a quella degli Stati Uniti, trascorre alcuni anni in isolamento ed i suoi beni vengono sottoposti a varie misure di confisca, espropriazione e sequestro. La possibilità di tornare in Guatemala, per curare i suoi affari, gli viene negata e decide, quindi, di recarsi nel Liechtenstein per ottenere la

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protezione diplomatica per i danni subiti, in violazione delle norme di diritto internazionale. La richiesta di risarcimento, presentata alla Corte internazionale di giustizia, non è accolta e la Corte stessa, con una sentenza del 1955, non ha alcun tipo di dubbio sulla questione: ritiene che si tratti di una materia di dominio riservato al singolo Stato e che, dunque, la controversia non rientri nell’ordinamento e nella competenza del Liechtenstein. Non spetta, quindi, a quest’ultimo paese decidere del diritto di esercitare la propria protezione diplomatica. Il Liechtenstein ha concesso la cittadinanza al Nottebohm con un atto interno, ma altrettanto non può fare nel decidere relativamente alle ripercussioni, che l’atto stesso debba avere, in ambito internazionale. Il Liechtenstein esercita la protezione diplomatica del suo cittadino, sulla base di alcuni principi, tra i quali: il diritto di chiedere che, la naturalizzazione concessa, fosse dichiarata non contraria al diritto internazionale. Inoltre la richiesta del paese è quella di un risarcimento da parte del Guatemala per i danni generali e speciali arrecati al suo cittadino, in relazione al suo arresto e alla confisca dei beni, senza alcuna garanzia. La richiesta è finalizzata al riconoscimento dell’illiceità dell’atto di arresto, dell’espulsione con successivo rifiuto di riammissione nel paese e dell’illiceità internazionale del sequestro. Tre sono le eccezioni opposte dalla Corte alla richiesta presentata dal Liechtenstein, due delle quali pregiudiziali. rispetto all’ultima: il Liechtenstein non aveva neanche provato ad instaurare una trattativa diplomatica con il Guatemala, esperendo tutti i mezzi possibili, nel diritto interno dei due Stati, per raggiungere tale scopo. Il Guatemala sostiene che Federico Nottebohm non ha acquistato la cittadinanza del Liechtenstein per naturalizzazione e che, piuttosto, ha richiesto la nazionalità di uno Stato neutro, senza la reale volontà di rinunciare alla sua cittadinanza originaria; una sorta di strategia, ideata alla vigilia del conflitto mondiale.

Due, quindi, le eccezioni pregiudiziali: la mancanza di una vera naturalizzazione ed una richiesta di nazionalità fraudolentemente presentata, per raggiungere un determinato scopo. A questo, si aggiunge un terzo punto sulla questione,

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decisivo per la risoluzione della controversia: se anche la prova della naturalizzazione, fosse stata fornita da parte del Liechtenstein, questa non sarebbe in ogni caso bastata, dato che rimaneva da dimostrare, secondo il Guatemala, la non contrarietà della suddetta concessione della cittadinanza rispetto ai principi internazionali generalmente ammessi, in materia di cittadinanza. Le prime due eccezioni, dunque, tendono a dimostrare una irricevibilità da parte della Corte, come se quest’ultima non avesse neanche

potuto conoscere della controversia.

La sentenza della Corte è il prodotto di un lavoro preciso e mirato al raggiungimento della risoluzione della questione, entrando nel vivo di essa, con il superamento delle prime due eccezioni. Non è importante dimostrare la regolare concessione della nazionalità da parte del Liechtenstein, secondo le sue regole di diritto o, ancora, dimostrare la buona fede dello stesso Nottembohm; il Guatemala non aveva riconosciuto valido, il diritto all’esercizio della protezione che il Liechtenstein voleva ottenere dalla naturalizzazione, precedentemente concessa. La Corte, in sintesi, conclude la questione dicendo che, se uno Stato, ha conferito la cittadinanza ad un soggetto ed un altro Stato, ha fatto lo stesso, entrambi gli Stati possono trattare il soggetto come cittadino, nell’ambito del proprio ordinamento interno; in questo caso, però, il problema deve essere risolto dal punto di vista del diritto internazionale, altrimenti seguendo questa impostazione, la controversia rimarrebbe insoluta. In realtà la Corte non deve indagare nella sfera interna dello Stato attore, ma deve piuttosto valutare, se la cittadinanza concessa, ha pieni effetti anche nell’ordinamento internazionale. La Corte, nell’occasione, sottolinea anche il motivo per il quale, la concessione della cittadinanza, sia una materia rientrante nella competenza di ciascun singolo Stato: le condizioni interne, infatti, sono assai diverse, soprattutto quelle demografiche, sono talmente varie che diventa impossibile un accordo di tipo generale, valido universalmente. Benché questo principio, sia stabilmente accettato, lo Stato potrà pretendere il riconoscimento delle sue regole da parte degli altri Stati, solo dopo essersi

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conformato al criterio generale, quale quello di un collegamento effettivo fra lo Stato concedente ed il cittadino, al quale la cittadinanza viene concessa. Proprio nel caso in esame, Federico Nottbohm, non ha un legame effettivo con il Liechtenstein, dal momento in cui ha mantenuto, nel corso del tempo, sia un’inclinazione solidale nei confronti della Germania, suo paese natale; sia un altrettanto legame di interesse, dal punto di vista della cura dei suoi affari, con il Guatemala, dove aveva anche cercato di tornare, subito al termine del conflitto. Tali argomentazioni convergono tutte verso il medesimo epilogo, quale la dichiarazione di irricevibilità da parte della Corte, della richiesta di

risarcimento, a favore di Federico Nottebohm.

L’importanza di questa sentenza è data dalla sua singolarità rispetto a quelle passate, nelle quali si risolvono casi di conflittualità tra due cittadinanze; in questo caso la Corte, invece, deve stabilire la rilevanza di una determinata cittadinanza (quella del Liechtenstein), al livello internazionale. La Corte ha operato, per capire se la nazionalità invocata dallo Sato attore, fosse opponibile a quella dello Stato convenuto nella controversia. Il criterio individuato è ancora quello della cittadinanza effettiva, rilevabile attraverso il domicilio, la partecipazione alla vita pubblica, l’attaccamento del soggetto al paese e quello

trasmesso ai figli.

Tali elementi sono essenziali per capire, quindi, se esiste un effettivo collegamento tra lo Stato e l’individuo, di cui questo possiede la cittadinanza; da qui, vi è un punto di partenza della Corte per affermare una libertà da parte dell’ordinamento interno, nella concessione della cittadinanza che tenga, però, sempre presente, il principio di effettività.

1.4.3.4 I giudici dissenzienti rispetto alla sentenza 6 aprile 1955

Vi è stato un forte dibattito riguardo alle posizioni assunte dalla Corte internazionale di giustizia, con la sentenza Nottebohm e, molte, sono state le opinioni dissenzienti; in particolare quelle di tre giudici tra i quali

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Guggheneim25, Klaestad e Read. I giudici Read e Guggenheim riconoscono che,

nella prassi, sia stato utilizzato il principio del legame tra cittadino e Stato, ma ritengono che questo sia avvenuto, esclusivamente, nei casi di conflitto fra due cittadinanze; ancora considerano gli elementi rilevanti per la decisione, addotti nella pronuncia della Corte, piuttosto vaghi. Tali giudici contrastano con vigore la decisione della Corte perché, anche qualora fosse ammissibile l’applicazione del principio suddetto, sussisterebbe il legame in questione tra il cittadino ed il Liechtenstein26. La critica si sostanzia nel divieto, da parte del giudice

internazionale, di interferire nel diritto dello Stato che ha, eventualmente, concesso la naturalizzazione. Quale è, quindi, il ruolo dell’organo internazionale? Si tratta di un controllo di regolarità relativo alla concessione della cittadinanza. Anche la Corte aveva sottolineato una competenza esclusiva dello Stato, per quanto riguardava l’individuazione dei requisiti e le condizioni per la qualificazione della cittadinanza; secondo questi giudici, l’errore commesso, consiste nella valutazione di incompatibilità, operata dall’ordinamento internazionale. Non può il giudice internazionale negare l’efficacia della cittadinanza in questione, ritenendola incompatibile con il suo ordinamento. Ciò che ha omesso la Corte, nella sentenza, è l’affermazione di una contrarietà della qualificazione ai principi interni del Liechtenstein. Secondo il Klaestad, inoltre, non è necessario, per il diritto internazionale, che una residenza sia fissata, precedentemente alla concessione della cittadinanza, da parte di quel Paese. Conclude il giudice, ritenendo esclusa la possibilità, per il diritto internazionale, di precludere l’esercizio della protezione diplomatica allo Stato che ha rispettato le regole fissate, dal suo ordinamento. Il giudice Read ribadisce l’opinione di Klaestad: non esistono convenzioni internazionali, consuetudini, principi di diritto riconosciuti dalle nazioni civili che affermino un legame di effettività alla base della concessione della

25 Giudice ad hoc nominato dal Liechtenstein.

26 Dopo la perdita della cittadinanza tedesca, il Nottebohm aveva solo la cittadinanza del

Liechtenstein e grazie all’ininterrotta permanenza nello Stato dal 1946, sicuramente poteva giudicarsi integrato nella comunità statuale.

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cittadinanza. Il giudice internazionale, secondo il Read, ha il compito di valutare se vi siano abusi nella concessione della naturalizzazione; il riferimento all’abuso implica un riconoscimento, da parte dell’ordinamento internazionale, del diritto di ogni Stato, di procedere alla naturalizzazione ed alla protezione di un qualsiasi soggetto, in maniera sovrana. Il Read non nega l’esistenza di determinati limiti, imposti dal diritto internazionale positivo, ma esclude il legame reale tra individuo e Stato, per dar luogo ad una naturalizzazione valida, riconosciuta nell’ordinamento interno. Il giudice internazionale ha, quindi, la possibilità di esaminare l’atto di naturalizzazione, valutando se sia valido nel diritto interno e che non sia stato concluso con abuso o frode. Nel caso specifico, il Nottebohm aveva ottenuto la cittadinanza del Liechtenstein rispettando le regole, con il successivo riconoscimento da parte del Guatemala. La differenza fondamentale tra l’opinione del Klaestad e quella del Read risiede nella negazione, da parte del primo, di un qualsiasi intervento da parte del giudice internazionale, sulla questione di validità della cittadinanza e nell’affermazione, da parte del secondo, invece, della possibilità di un controllo del giudice internazionale, relativo ad un eventuale abuso di diritto o di frode, quando tale frode o abuso abbia prodotto un danno a chi l’ha subito. L’opinione più completa e significativa è, probabilmente, quella del giudice Guggenheim; il suo merito sta nello scindere completamente il piano internazionale da quello interno. E’ vero che il giudice internazionale ha il diritto di verificare la validità di un atto giuridico statuale, relativamente agli effetti prodotti nella sfera dell’ordinamento internazionale, ma, allo stesso tempo, il primo passo fondamentale è l’esame del contenuto dell’atto interno. Successivamente il giudice internazionale deve controllare se vi sono norme internazionali contrarie all’efficacia dell’atto; nel caso in esame, per Guggenheim, questi ostacoli non ci sono. La sua distinzione netta, tra ordinamento interno ed internazionale, dimostra la possibilità che la concessione di una qualsiasi cittadinanza possa essere valida ed efficace internamente e non sul piano internazionale, ma in questo caso specifico, nega

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che vi siano norme internazionali atte ad impedire tale riconoscimento e, soprattutto, che non possa essere adottato il criterio del legame reale tra Stato e cittadino. Il riferimento ad un legame materiale tra soggetto e Stato viene in evidenza solo nel caso in cui vi sia un soggetto che possiede più cittadinanze e, nella sua impossibilità di disporre degli effetti derivanti dalla cittadinanza di più Stati. Per concludere e riassumere, si è parlato prima di tutto di impossibilità di interferire nella concessione della cittadinanza, da parte del giudice internazionale, una volta accordata dallo Stato con la sua sovranità; poi di una possibilità di controllo sulla validità della concessione, solo nell’eventualità di casi di abuso o frode ed, infine, di una scissione tra l’ordinamento interno e quello internazionale, con conseguente accertamento di ordine internazione, sulla mancanza di ostacoli. Tutti e tre i giudici dissidenti, sono poi d’accordo, nel rifiutare l’effettività, come vincolo internazionale della efficacia in questione. Non sono, naturalmente, mancate delle opinioni favorevoli rispetto all’applicazione del principio della cittadinanza effettiva27: era ammessa

un’estensione di tale principio, applicato per le ipotesi di doppia cittadinanza, anche ai casi controversi sull’unica cittadinanza posseduta dall’interessato (secondo il brocardo: ubi eadem ratio ubi eadem dispositio28).

Indubbia, comunque, rimane la portata assai rilevante di questa decisione della

Corte internazionale di giustizia.

1.4.3.5 Gli sviluppi successivi alla sentenza Nottebohm.

Due sono i casi emblematici successivi alla sentenza Nottebohm che, acquistano, particolare rilievo: quello Strunsky-Mergè del 1947 ed il caso Flegenheimer del 1958, presentati entrambi davanti alla commissione di conciliazione italo-americana: la differenza tra i due sta nel fatto che, il primo, prende in esame una situazione di doppia cittadinanza, mentre, nel secondo, si

27 MIGLIAZZA, La giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia, Comunicazioni e studi,

Milano, 1955.

28 BASTID, L’affaire Nottebohm devant le Coeur internazionale de Justice, Revue critique de

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discute della validità dell’unica cittadinanza del soggetto. Da sottolineare che si mette in dubbio l’applicabilità del principio della cittadinanza effettiva, ai casi controversi relativi ad un’unica cittadinanza. Sulla scia della sentenza della Corte internazionale di giustizia del 1955, un’altra sentenza esplicativa dei suddetti concetti, è quella della Commissione di conciliazione italo-americana: questa ha, da una parte, ribadito le argomentazioni della Corte dell’Aja, relative al precedente caso Nottembohm, dall’altra se ne è vistosamente discostata. La commissione si considera totalmente libera di valutare, nel caso concreto, un eventuale superamento dei limiti imposti dal diritto internazionale. Secondo la Commissione, addirittura, rientra nella sua competenza, l’esame della regolarità delle condizioni poste a base della concessione della cittadinanza, da parte dello Stato singolo. Né la prassi, né la dottrina si erano mai spinte a queste conclusioni, fino a questo momento; anzi, la stessa Corte internazionale di giustizia, aveva espressamente negato tale possibilità nella sentenza del 1955. La Commissione, inoltre, nega che l’effettività della cittadinanza sia stata imposta dalla sentenza Nottebohm, come regola generale di diritto internazionale; tale effettività della cittadinanza non è concepita dalla stessa Commissione come un punto chiave, in caso di conflitto tra due Stati o due leggi nazionali, quando vi sono persone simultaneamente cittadine di più stati, per decidere quale tra esse debba prevalere. E’ qui che si può creare un ipotetico conflitto tra cittadinanza nominale, fondata sulle disposizioni legali di un certo ordinamento giuridico e quella effettiva ed attiva, anch’essa fondata su disposizioni legali di un altro ordinamento giuridico, ma avvalorata da elementi

di fatto.

E’ interessante notare come la Commissione italo-americana che, nel precedente caso Strunsky-Mergè, aveva richiamato il principio della cittadinanza effettiva, lo neghi poi, successivamente, in un caso analogo a quello deciso dalla Corte internazionale di giustizia. La Commissione, pur rifiutando il criterio dell’effettività, ammette un potere di protezione

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diplomatica esercitabile dallo Stato in questione, purché non si tratti di una protezione che oltrepassa i limiti di diritto internazionale; la Commissione, proprio a questo proposito, riconosce, agli organi giudicanti internazionali, un ampio e penetrante potere di controllo. Le posizioni della Corte e della Commissione italo-americana, in un primo momento, sembrano coincidere e pare che affermino lo stesso principio, quale la prevalenza delle regole di diritto internazionale, nel caso in cui si voglia ottenere il riconoscimento della cittadinanza concessa dall’ordinamento interno, in ambito internazionale. In realtà, la Commissione italo- americana cade in un’evidente contraddizione di fondo: sembra, da una parte, voler riconoscere la possibilità, all’ordinamento interno, di incidere sulla sfera giuridica internazionale, mentre dall’altra parte mette in discussione le stesse regole di base sulla cittadinanza,

dell’ordinamento interno.

Ancora, la Commissione si riferisce ai limiti internazionali, negando quello di effettività, ma non specificando di che tipo di limiti internazionali si tratti, impedendo ad un qualsiasi Stato di conformarsi. Giustificare le argomentazioni della Commissione è possibile solamente ammettendo, seppur in maniera errata, un punto di vista di natura processuale: la protezione internazionale intesa come diritto di azione, il quale trova la sua legittimazione nel diritto del singolo Stato, di stabilire autonomamente le condizioni cui viene subordinata l’effettività e che, quindi, questo diritto di protezione internazionale risulti poi sempre subordinato all’ordinamento interno. Non sembra però, che la Commissione abbia voluto giustificare la sua posizione in questo modo e, soprattutto, ammettendo questa impostazione, gli organi di giustizia internazionale non potrebbero più porre dei limiti alle qualificazioni operate dal diritto interno dello Stato. La base sulla quale poggia il diritto di protezione, verrebbe in questo modo a mancare e, la conseguenza, consisterebbe nel venir

meno anche del diritto di protezione stesso.

Il principio di effettività è ribadito, anche, nell’ambito del diritto commerciale e del diritto della navigazione: si evidenzia il fatto che ad ogni società sia offerta

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la protezione diplomatica di uno Stato, in base a quelle leggi sulle quali si è costituita la società stessa e sul cui territorio vi è la sede sociale per quello che concerne il diritto commerciale. «There must be a genuine link between the State and the ship», second, invece, il diritto della navigazione. Anche la prassi legislativa interna segue l’iter intrapreso a livello internazionale e ribadisce i principi affermati fino a questo momento. Esempi emblematici sono quelli della Repubblica Federale di Germania con una legge tedesca del 1969 e la Repubblica popolare cinese con il Codice sulla

cittadinanza del 1980.

La legge tedesca tende a ristabilire una maggiore equiparazione tra i sessi, disponendo una situazione analoga per l’acquisto della cittadinanza da parte di una straniera che sposa un cittadino maschio tedesco rispetto ad uno straniero

che sposa una cittadina tedesca.

Il Codice sulla cittadinanza cinese, invece, mira ad un obiettivo diverso che è quello di ridurre i casi di acquisto di cittadinanza di tutti coloro che nascono all’estero. Si prevedeva, infatti, fino a quel momento, l’acquisto della cittadinanza del padre iure sanguinis all’infinito; la riforma permette un netto ridimensionamento a riguardo, prevedendo l’acquisto della cittadinanza per chi nasce nel territorio cinese da padre o da madre cinese e il diniego della cittadinanza per chi nasca all’estero da cittadini cinesi ed acquisti per nascita

una cittadinanza straniera.

L’effettività della quale abbiamo parlato fino ad adesso si esplica nel potere di governo dello Stato sui suoi “sudditi” ed è l’esteriore manifestazione del

principio di effettività nell’ordinamento internazionale.

Inoltre, la Corte internazionale di giustizia, ancora dopo la sentenza Nottebohm, è sempre rivolta, nelle sue decisioni, verso la realizzazione del principio di effettività, anche nel caso in cui un individuo esibisca documenti e certificati di nascita, di battesimo o di naturalizzazione. Questi ultimi acquistano, più o meno dal 1928 in poi, un valore sussidiario rispetto all’indagine svolta di volta in volta dalla Corte per capire se il soggetto possegga

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effettivamente la cittadinanza dello Stato in questione. Questi documenti, costituiscono comunque dei mezzi di prova che possono essere classificati come prove prima facie, sufficienti o concludenti. Prendiamo il caso dei certificati consolari che attestano l’avvenuta iscrizione nel registro del consolato, dell’individuo. Questi hanno un valore prima facie, ma non sufficiente. Richiamiamo i casi Lynch e Klemp. La pronuncia rispetto al primo caso è la seguente: « a consular certificate ought to be accepted ad prima facieevidence» e ancora «a consular certificate, originating as it doesat a more recent date than a birth certificate, may even possess greater evidential value».

Nel caso Kemp si afferma che la tenuta di questi registri non sia una pratica diffusa e valida per tutti gli Stati così che non si può parlare di regola di diritto internazionale. Quando il console deve effettuare l’iscrizione procede sulla base di altri documenti e svolge un’attenta analisi di essi; ma il risultato di questo lavoro rimane comunque una prova di cittadinanza non sufficiente

davanti ad un tribunale arbitrale.

Nel caso Pinson, il valore di questi documenti è maggiore rispetto a quello attribuito precedentemente nel caso Kemp, ritenendo questo superiore rispetto al documento di nascita; contiene garanzie di veridicità e dati attendibili, ma soprattutto, sufficienti per ottenere la convinzione di un tribunale internazionale e sono, quindi, essenziali, in questo tipo di certificato,

sia gli elementi formali che quelli sostanziali.

1.4.4 I criteri di acquisto e perdita della cittadinanza.

I criteri di acquisto e perdita della cittadinanza sono stabiliti dal legislatore nazionale, senza che questo possa essere vincolato a degli standard previsti a livello internazionale. Nonostante questo, nel caso in cui, un singolo Stato, nel definire questi criteri, leda il principio di effettività o la sovranità di un altro Stato, entrano in gioco meccanismi particolari di risoluzione del problema. I principali criteri di acquisto della cittadinanza originari, se così li vogliamo

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