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La problematica legata alla retroattività delle pronunce adottate dalla Corte costituzionale in materia

La Corte Costituzionale, al tempo della sentenza n. 87 del 1975 e la n. 30 del 1983, non aveva ancora valutato l’idea di estendere, retroattivamente, gli effetti delle sue pronunce, al momento di decorrenza degli effetti stessi; limiti, relativi alla produzione di effetti retroattivi delle pronunce della Corte Costituzionale, potevano essere imposti solamente dal giudice ordinario o dal legislatore.

Non essendovi chiare prese di posizione né da parte della Corte Costituzionale, né da parte del legislatore, l’unico riferimento possibile è quello alla giurisprudenza comune ed amministrativa, in materia di cittadinanza. Sono

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molteplici le situazioni in cui si propende per un’efficacia retroattiva della sentenza n.30 del 1983, che si va poi a scontrare con la stessa efficacia retroattiva della pronuncia n. 87 del 1975; quest’ultima ipotesi si verifica quando, alla nascita del figlio, la madre è straniera, a causa dell’automatica perdita della cittadinanza italiana per matrimonio. Con una dichiarazione di nullità originaria, delle norme dichiarate illegittime dalla Corte, si potrebbe risolvere il problema alla radice; l’efficacia delle sentenze retroagirebbe alla data del 1912 e riacquisterebbero la qualità di cittadini italiani, tutte le ex cittadine divenute tali per matrimonio ed i figli, nati o riconosciuti, dalle cittadine o ex cittadine, dalla data del 1 luglio 1912. In realtà accettare una simile prospettazione, risulta per alcuni aspetti eccessivo, rispetto alla produzione di effetti che scaturiscono fino ad oggi, dalla trasmissione della cittadinanza per filiazione. La concretizzazione di una catena tanto lunga, ha indotto la giurisprudenza a porre un limite temporale invalicabile, nella retroazione degli effetti delle suddette pronunce; questo limite, corrisponde al momento dell’entrata in vigore della Costituzione, il 1 gennaio 1948. Tale regola viene recepita nella prassi dall’Esecutivo, ma non può operare nel caso delle sentenze di accoglimento, per le quali si fa riferimento ad una denotazione di tipo oggettivo, relativamente ai suoi limiti di efficacia ex tunc. La retroattività delle sentenze di accoglimento può incidere solamente sui c.d. rapporti pendenti o suscettibili di essere rimessi in discussione, davanti ad una qualsiasi autorità giurisdizionale. La suddetta retroattività non si applica ai c.d. rapporti esauriti o giuridicamente definiti e non più modificabili, nel momento in cui si pronuncia la Corte Costituzionale. Anche nella giurisprudenza costituzionale si ravvisa la medesima prospettiva, riguardante le sentenze di accoglimento, con solo pochissimi cenni, al limite temporale menzionato85.

85 La Corte, nel definire gli effetti delle sentenze di accoglimento come annullamento delle

norme dichiarate illegittime, ha fatto sempre riferimento al criterio dei rapporti esauriti, attribuendo al giudice ordinario la competenza relativa alle conseguenze, nel rispetto dei principi indicati dalla Corte stessa. Solamente nella sentenza n.58 del 1967 la Corte ha fatto un cenno al limite temporale dell’entrata in vigore della Costituzione; ma tale limite non è più stato richiamato nelle successive pronunce.

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Sorge spontaneo chiedersi che ruolo può assumere il criterio dei rapporti esauriti, nell’ambito di applicazione della normativa sulla cittadinanza; in realtà è escluso, totalmente, il ricorso ad un simile criterio in questo settore, dato che non si può parlare di esaurimento dello status civitatis. Da obiettare il fatto che entrambe le sentenze, quella del 1975 come quella del 1983, sono suscettibili di incidere solamente sui presupposti dello stato di cittadinanza e non possono avere delle ripercussioni, sulla situazione giuridica del cittadino, dato che, prima della dichiarazione di illegittimità, questa situazione giuridica, o non era

mai sorta86, o non esisteva più87.

Si rivelano insoddisfacenti anche i criteri adottati dalla giurisprudenza, per distinguere i rapporti pendenti, rispetto a quelli esauriti; vi è stata, spesso, una sovrapposizione tra questi e gli atti o i fatti giuridici, che fungono da presupposto per l’istaurarsi dei rapporti familiari ( di conseguenza per l’acquisto o la perdita della cittadinanza): ovvero il matrimonio e la nascita88.

Questi atti o fatti, in realtà, non chiudono un rapporto, cui anzi sono destinati a dare vita; è proprio nel momento in cui nasce questo tipo di rapporto, che si

86 Nel caso del figlio della cittadina. 87 Per la donna italiana maritata.

88 Una pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 903 del 22 febbraio 1978 ed il Tribunale di

Milano con la sentenza 17 maggio 1990 si esprimono con riguardo alla perdita automatica della cittadinanza da parte della donna maritata, nel periodo anteriore all’entrata in vigore della Costituzione; in particolare, poi, la seconda sentenza prende in considerazione anche il mancato acquisto della cittadinanza da parte del figlio, nello stesso periodo. La Suprema Corte identifica le sentenze della Corte Costituzionale come abrogative, ponendo un confronto tra gli effetti della sentenza n.87 del 1975 e l’art. 143 cod. civ. Il collegio milanese configura l’esaurimento dell’effetto relativo alla perdita della cittadinanza nel momento stesso del matrimonio; esclude poi l’applicazione della sentenza n.30 del 1983 alla cittadinanza del figlio, non sulla base di questo presupposto, ma perché il figlio aveva già raggiunto la maggiore età all’epoca della sentenza. Successivamente, sempre gli stessi giudici, giustificano l’applicazione della legge del 1912, riguardo al mancato acquisto della cittadinanza per nascita, sulla base della salvaguardia di effetti anteriori che sono ,consolidati dato che hanno esaurito la loro valenza costitutiva di una situazione giuridicamente rilevante. Risulta, invece, più lineare la motivazione adottata dal Tribunale di Venezia il 7 agosto 1991 quando si afferma che per la fattispecie produttiva di acquisto della cittadinanza in capo al figlio, la cittadinanza della madre configura un mero presupposto di fatto. Infine la sentenza 10 maggio 1978 n. 421 del Tribunale amm. Reg. Lazio sez. I esclude qualsiasi tipo di efficacia della sentenza n. 87 del 1975, nei confronti di una cittadina italiana maritatasi con uno straniero prima del 1970, adducendo un suo comportamento omissivo dal momento in cui non aveva presentato alcuna istanza diretta alla conservazione della cittadinanza italiana e non aveva provveduto neanche ad impugnare un eventuale diniego da parte dell’amministrazione italiana.

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producono particolari effetti in tema di cittadinanza. Qualificando tali rapporti come esauriti, per poter circoscrivere gli effetti retroattivi di tali pronunce, ad una determinata dimensione temporale, si giunge, paradossalmente, a negare un qualsiasi tipo di efficacia retroattiva a tali norme, dato che censurano gli effetti scaturenti dal matrimonio o dalla filiazione per la cittadina italiana. Adottando, quindi, questi parametri, si finisce per eliminare del tutto la natura e le soluzioni relative agli effetti retroattivi delle pronunce costituzionali. Fondamentale l’intervento di un giudice amministrativo, che supera la distinzione adottata fino a questo momento, tra i rapporti sorti prima o dopo l’entrata in vigore della Costituzione. Secondo questa prospettiva, gli effetti della sentenza n. 30 del 1983, disciplinano tutti i fatti giuridici contemporanei e quelli produttivi di effetti (quelli che l’ordinamento fa scaturire da essi). Tale pronuncia pone in risalto quello che è l’unico parametro che si può considerare come riferimento, in attinenza con la questione: quello della giustiziabilità dei rapporti ancora in corso; soprattutto la sentenza è importante perché riconosce lo status di cittadino, ad un soggetto nato prima della data del 1 gennaio 1948. Un elemento carente, invece, nella motivazione della pronuncia è quello riguardante la condizione che il soggetto sia in vita; anche i discendenti dell’individuo, infatti, possono pretendere il riconoscimento di detto status89.

Dunque, esclusa l’esistenza dei rapporti esauriti, sulla base dei paradigmi sopra valutati, non sembra possibile pervenire ad una conclusione diversa, se non al riconoscimento della cittadinanza, a tutti coloro che sono attuali o potenziali destinatari, degli effetti delle due sentenze della Corte Costituzionale, più volte richiamate. Tale soluzione si rivela la più dispendiosa per lo Stato italiano90, ma

è l’unica che garantisce una parità di trattamento verso tutti i soggetti, ai quali sono state applicate norme incostituzionali, nel momento in cui vi è una

89 Il merito del Tribunale è quello di aver distinto la categoria dei rapporti esauriti dal fatto della

nascita e di aver considerato, quest’ultimo, come fatto capace di produrre effetti ancora attuali. Questi effetti, poi, non sono suscettibili di esaurimento, a loro volta, con la morte dell’interessato, grazie alla trasmissione della cittadinanza per filiazione.

90 In realtà non vi è una particolare preoccupazione da parte dello Stato italiano per

l’incremento a posteriori, dei suoi cittadini così come risulta dall’art. 17 comma 1 della legge n.91 1992.

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dichiarazione di illegittimità91.