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I tentativi di riforma compiuti prima del

Il lungo periodo intercorrente tra la legge del 1912 e la riforma del 1992 potrebbe, a primo impatto, far propendere per l’idea di inerzia da parte del legislatore nel presentare proposte di legge; in realtà la prima di esse, risale addirittura al 7 marzo 1930, quando viene presentata al Senato66. Nonostante

si avvertisse chiaramente l’influenza dei principi peculiari del regime fascista, il contenuto di tale disegno di legge presentava l’apertura ad un diverso ruolo di alcuni status familiari, con riguardo al regime di acquisto e perdita della cittadinanza67. Tra questa proposta e la successiva, intercorrono una trentina

d’anni68 e, nello stesso tempo, si accende anche un autorevole dibattito

65 I giudici costituzionali richiamano queste due pronunce, considerandole tra le tappe più

significative dell’adeguamento dell’ordinamento giuridico italiano ai principi costituzionali in particolare artt. 3 e 29 Cost). Tale nesso di continuità era già stato posto in evidenza dalla sentenza n. 71 del 1987.

66 Il disegno di legge n. 394 è riprodotto da GIANNINI, La cittadinanza italiana, p.182 ss. 67 Viene introdotto il dovere di ottenere, l’autorizzazione governativa per la perdita della

cittadinanza.

68 Il 6 febbraio 1939, Il senatore Battaglia presenta al Senato una proposta di legge che mira a

modificare l’art. 10 della legge del 1912, così da permettere alla ex cittadina sposata con uno straniero, di riacquisire la cittadinanza, nel caso di scioglimento del matrimonio all’estero e non reso esecutivo in Italia. Questa proposta sarà unita al disegno di legge n.991.

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dottrinale, relativamente alla necessità di una riforma della legge del 191269;

l’esigenza era quella di adeguare la materia rispetto all’evoluzione della società, in particolare, riconoscendo un ruolo preminente alla volontà del singolo, sia nei casi di riacquisto della cittadinanza, che nei casi in cui il soggetto fosse una donna maritata. Così il disegno di legge governativo n. 991 viene presentato al Senato il 24 febbraio 1960, dove è prima discusso e poi approvato. Gli elementi essenziali di questa legge riguardano l’abolizione degli automatismi in tema di cittadinanza, con riferimento alla donna maritata ed il riacquisto della cittadinanza, subordinato ad una omessa dichiarazione da parte del soggetto interessato, di voler mantenere la cittadinanza straniera; mentre per quello che concerne la procedura di naturalizzazione, questa viene estesa anche all’adottato, ma viene prolungato, fino a dieci anni, il periodo minimo di residenza in Italia, da parte del soggetto che vuole acquisire lo status civitatis medesimo, pur non avendo alcun significativo legame con il paese. Il progetto di legge del 1960 confluisce anche nelle proposte di legge presentate nel 1964 e nel 1969, compresi quegli emendamenti, frutto della discussione tra Senato e Camera; questi ed altri progetti di legge vanno a costituire la base sulla quale poggia la successiva riforma del diritto di famiglia70. Negli anni

immediatamente antecedenti alla riforma in questione, sono avanzate delle proposte tese alla modifica dell’art. 10 e degli artt. 8 e 9 della legge del 1912, in aggiunta a quelle riforme emanate tra il 1970 ed il 1980, dedicate esclusivamente all’attuazione del principio di eguaglianza tra i sessi, con particolare riferimento alla trasmissione della cittadinanza per filiazione ed

69 La «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile» del 1950 raccoglie una serie di saggi, sul

tema «Discussioni intorno alla legge sulla cittadinanza», in particolare con il contributo di BOLAFFI, Per l’elaborazione di una nuova legge, p.579 ss.; UDINA, Problemi aperti da segnalare al legislatore, p. 593 ss.; CANSACCHI, Proposte concrete per una nuova legge, p. 602 ss.; GIANNINI, Orientamenti per la riforma, p. 616 ss.; BASSANO, Osservazioni sulla proposta di una nuova legge, p. 622 ss.; DE NOVA, Ritocchi alla legge vigente, p. 631 ss; QUADRI, Contro una riforma prematura e per un’inchiesta, p. 636 ss.; MONACO, Doppia cittadinanza e tutela della cittadinnaza, p. 639 ss.; ZICCARDI, Osservazioni sulla funzione degli status familiari, p. 652 ss.

70 Legge 19 maggio 1975 n.151 il cui complesso iter legislativo è pubblicato da CARRARO, OPPO,

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all’acquisto della cittadinanza per matrimonio71. Solamente nel 1980 poi, viene

presentato un progetto di riforma organica, sulla scia di quello del 1960 che ha la caratteristica peculiare di voler, una volta per tutte, stabilire regole ben definite, riguardo alla condizione della donna in quanto moglie di cittadino straniero e madre naturale72. A causa del timore di un vuoto legislativo e

dell’imminente pronuncia della Corte Costituzionale sulla cittadinanza, il Senato e poi la Camera, propendono per stralciare dal progetto la parte relativa all’acquisto della cittadinanza per matrimonio e per filiazione; la cittadinanza per filiazione viene discussa ed emendata dalla I Commissione del Senato e poi approvata dall’aula intera; infine discussa ed approvata anche dalle Commissioni riunite II e IV della Camera73. L’invito del legislatore, rivolto al

governo, per completare il processo legislativo attraverso un disegno di legge organico, rimane disatteso sino al 1988. Questo non significa che il contenuto della legge 21 aprile 1983 n. 123 («Disposizioni in materia di cittadinanza») non sia essenziale per giungere alla riforma del 1992; l’art. 1, della suddetta legge, pone su un piano di parità la cittadina ed il cittadino stranieri, nell’acquisto della

71 Il disegno di legge «Nuove norme in tema di cittadinanza» è stato presentato al Senato l’8

novembre 1979 dal senatore Russo e da altri ed ha un contenuto identico ad un altro disegno di legge «Modifiche alla legge 13 giugno 1912, n. 555, concernente attribuzione della cittadinanza italiana» del 10 luglio 1980, d’iniziativa del senatore Boniver e di altri. Entrambi questi disegni di legge estendono l’acquisto della cittadinanza iure sanguinis ai figli di madre italiana e l’acquisto automatico per matrimonio, al cittadino straniero.

72 Il disegno legislativo “Nuove norme sulla cittadinanza” è quello presentato l’8 ottobre 1980

al Senato, dal Ministro degli affari esteri di concerto con altri Ministri; riguardo all’acquisto della cittadinanza per matrimonio si parla di un’ipotesi di acquisto per naturalizzazione con la conseguente richiesta della costanza del matrimonio, oltre al minimo di sei mesi di residenza in Italia o il decorso di due anni dal matrimonio stesso.

73 Relativamente alla discussione in seno alla I Commissione Affari Costituzionali in Senato, il

senatore Bonifacio propone lo stralcio delle norme in questione dal progetto organico allo scopo di rendere più celere l’approvazione; questa proposta viene accettata dal sottosegretario Corder e sarà poi lo stesso Bonifacio a riformulare le medesime norme sull’acquisto della cittadinanza da parte del marito straniero ed il relatore Mazza a proporre l’obbligo di opzione per il figlio doppio cittadino. Il nuovo testo viene poi discusso ed approvato in aula il 20 dicembre 1982, trasmesso poi alla Camera il 27 dicembre dello stesso anno, assegnato dopo il parere favorevole della III Commissioni Affari, alle Commissioni riunite in sede legislativa. Nonostante i numerosi emendamenti presentati ed i dubbi del sottosegretario Corder relativamente a delle imprecisioni nella formulazione delle norme, il progetto viene approvato rapidamente il 13 aprile 1983 nella versione originaria; con l’approvazione anche un ordine del giorno nel quale si impegna il governo, data «la parzialità della normativa emanata per gravi motivi di urgenza», a presentare nel più breve tempo possibile un disegno di legge organico.

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cittadinanza italiana per matrimonio, ma, cosa fondamentale, subordina tale acquisto alla presentazione dell’istanza da parte dell’interessato o, addirittura, da parte del coniuge italiano; per la presentazione dell’istanza, ribadiamo il termine minimo di sei mesi di residenza in Italia o tre anni di matrimonio, in caso di residenza all’estero. L’istanza può essere presentata solo in costanza di matrimonio e, fino al conseguimento della cittadinanza, non vi deve essere scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, né separazione legale74. Questo procedimento non si può configurare né come

ipotesi di naturalizzazione né come acquisto per beneficio di legge, piuttosto si tratta di un modo di attribuzione della cittadinanza, intermedio tra i due e basato sull’espressione della volontà del soggetto. L’art. 2 contiene un’elencazione dei motivi ostativi all’acquisto: la condanna per delitti contro la personalità internazionale e interna dello Stato e contro i diritti politici del cittadino; la condanna, superiore a due anni, per delitti non politici; infine la sussistenza «nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica»75. L’istanza presentata dal singolo individuo, se respinta per

questo ultimo motivo, deve essere seguita da un decreto motivato76 del

Ministero dell’interno ed un parere conforme del Consiglio di Stato; inoltre, trascorso un anno dalla richiesta, opera una preclusione all’emanazione di un provvedimento di rigetto. In ogni caso, dopo cinque anni da un eventuale rigetto dell’istanza, la medesima potrà essere ripresentata77. Questo nuovo

74Al centro del dibattito, una volta distinti i requisiti prescritti per l’istanza e l’assenza di motivi

ostativi per l’acquisto della cittadinanza di cui all’art. 2, la necessità della persistenza dei requisiti sino all’acquisto della cittadinanza.

75 Vi è stato un vivace dibattito in entrambi i rami del Parlamento relativamente a tale

disposizione sino alla richiesta (non accolta) di soppressione della stessa. La sussistenza di questi motivi ostativi deve essere valutata discrezionalmente dalla pubblica amministrazione, ma deve essere mantenuta entro limiti ben definiti; si tratta di un giudizio sulla pericolosità del soggetto, basato su circostanze concrete ed individuabili in base a delle prove e non di una mera ‘ragion di Stato’, capace di giustificare motivi più disparati. Anche la giurisprudenza amministrativa segue questa impostazione, negando la possibilità di una valutazione del soggetto sulla base di un ragionevole sospetto di commissione di reati in futuro.

76 La motivazione obbligatoria prevista per questo tipo di provvedimento differenzia in maniera

netta questo procedimento rispetto alla naturalizzazione, dato che non è previsto alcun provvedimento specifico, nel caso in cui l’istanza sia respinta per i motivi di cui all’art. 1.

77La possibilità di riproporre l’istanza conferma il carattere non persecutorio dell’art. 2 n.3,

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modo di acquisto della cittadinanza può essere considerato una forma di naturalizzazione agevolata, dato che appare riduttivo, assimilare il provvedimento in esame, a quello previsto dall’art. 4 della legge del 1912, dato che quest’ultimo non è sottoposto ad alcun termine e non è subordinato a motivi ostativi specifici. Infine, la legge n. 123, attribuisce alla cittadina straniera la facoltà di rinunciare alla cittadinanza, a lei impostale automaticamente, in

seguito a matrimonio con cittadino italiano78.

Anche nell’ambito della filiazione, vi è una piena applicazione del principio di eguaglianza; la formulazione del primo comma, dell’art. 579, da una parte si

rivela come la massima espressione del principio ora citato, nei confronti dei genitori italiani, con le inevitabili conseguenze sui figli80, dall’altra parte lascia

spazio a numerose questioni dubbie e di difficile interpretazione: in particolare vi è un contrasto tra l’art. 5 della legge n. 123 rispetto all’art. 39, primo comma della legge 4 maggio 1983 n. 184, quale «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori». L’art. 39, primo comma, infatti, ha una portata più ristretta rispetto all’art. 5 della legge n. 123, poiché stabilisce che, acquistano la cittadinanza, i minori di nazionalità straniera, adottati da coniugi italiani. La disposizione della legge n.184 rischia di mettere in discussione l’applicazione del principio di uguaglianza, nei confronti del genitore adottante

carattere sollecitatorio da parte del Consiglio di Stato e perentorio, successivamente. Il Ministero dell’interno nella circolare K.31.9 del 6 dicembre 1988, recependo tale parere, lo ha previsto come termine, anche in caso di accoglimento dell’istanza. Non è configurabile l’ipotesi di silenzio-assenso nel caso di decorso del termine e si inquadra, quello della pubblica amministrazione, come atto dovuto, il quale inadempimento prevede una diffida, seguito dal ricorso alla pubblica amministrazione, in sede giurisdizionale.

78 Tale facoltà, come stabilito dall’art. 7, è circoscritta al termine di due anni, dall’emanazione

della legge. Il 27 aprile 1988 con l’ordinanza n. 490, la Corte costituzionale aveva dichiarato manifestamente infondata una questione di legittimità fondata sulla mancata previsione dell’art. 7 della facoltà di scegliere l’acquisto della cittadinanza italiana, da parte del coniuge straniero. La Corte ha delineato un profilo di irrazionalità nel caso di un’ipotetica norma, la quale ristabilisse il principio dell’automatismo, così come era stato negato proprio dalla legge.

79 «E’ cittadino il figlio minorenne, anche adottivo, di padre cittadino o di madre cittadina». 80 Da qui, operando un confronto rispetto alla sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del

1983, notiamo che, la pronuncia della Corte, rispetto all’attuale normativa, da una parte, restringeva l’ambito di applicazione, non menzionando i figli adottivi, ma dall’altra parte ampliava questo ambito di applicazione, non distinguendo i figli minorenni da quelli maggiorenni.

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italiano, coniugato ad uno straniero. Il Consiglio di Stato e la dottrina hanno risolto la questione, riconoscendo la prevalenza della norma contenuta nella legge sulla cittadinanza, rispetto a quella contenuta nella legge sull’adozione,

sia pure successiva.

Il secondo comma della disposizione in esame, presenta ulteriori profili dubbi: il contenuto della norma si sostanzia nell’obbligo del figlio, in caso di doppia cittadinanza, di optare per l’una o per l’altra, entro un anno dal compimento della maggiore età. Nel caso in cui, la scelta ricada sulla cittadinanza estera, questo perderà lo status civitatis italiano; conclusione non valida per l’ipotesi inversa81. Se il figlio non compie alcuna scelta, potrà al massimo essere

sollecitato dalla pubblica amministrazione nell’adempimento del suo dovere, ma non potrà operare un’automatica perdita della cittadinanza. Il Ministero, ritiene, invece, che la mancata opzione del figlio maggiorenne, configuri un’ipotesi di perdita della cittadinanza, come ribadito anche in una circolare del 198482. Il Parlamento è sollecitato, dunque, ad intervenire nuovamente con la

legge 15 maggio 1986 n. 180, la quale stabilisce la sospensione del dovere di opzione, fino all’entrata in vigore della nuova legge organica sulla cittadinanza e prevede anche il riacquisto della cittadinanza per coloro che non hanno optato83; relativamente a quest’ultima ipotesi si può valutare la suddetta legge

come un’interpretazione autentica ad effetti retroattivi, la cui legittimità rimane dubbia. Il legislatore, ancora una volta, non porta a compimento la riforma e, l’Esecutivo, basandosi sulle poche norme stralciate nel 1983,

81 Sono state, infatti, molteplici le critiche relative alla formulazione di tale norma, riguardo, ad

esempio, all’utilizzo delle parole “obbligo” ed “opzione”. Risulta quasi superfluo sottolineare che, un’eventuale scelta del figlio maggiorenne per la cittadinanza italiana, non comporterà automaticamente la perdita della cittadinanza straniera, se non espressamente stabilito da norme straniere o internazionali.

82 Circolare n. K. 31.9 del 19 marzo 1984, riprodotta da BARIATTI, La disciplina giuridica, p. 331

ss.

83 Fondamentale è l’intervento del Consiglio di Stato, sez. 1, nel parere 7 novembre 1990 n.

1060/90, recepito nella circolare del Ministero dell’interno n. K. 31.9 del 27 maggio 1991 estendendo la disposizione, in via interpretativa, anche a coloro che hanno optato per la cittadinanza straniera. Questo provvedimento riporta il sistema in equilibrio data la situazione di discriminazione che si era creata, con l’applicazione, da parte della pubblica amministrazione dell’art. 9 della legge del 1912 per il caso in cui il soggetto avesse optato per la cittadinanza straniera.

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prospetta una ricostruzione di tipo interpretativo, del sistema di acquisto e perdita della cittadinanza, in base a status familiari. Ci sono, però, diverse contraddizioni di fondo che perdurano nel corso degli anni successivi: ci sono alcune regole, della legge del 1912, che disciplinano fattispecie diverse rispetto a quelle considerate nella recente legge come, ve ne sono anche altre, divenute ormai incompatibili con l’ambito di applicazione della stessa. La legge 21 aprile 1983 n.123 lascia aperto il problema relativo agli effetti retroattivi della sentenza della Corte Costituzionale 9 febbraio 1983 n.30. Quest’ultima aveva dichiarato illegittime le norme sulla trasmissione della cittadinanza da parte del genitore di sesso maschile, così come statuito dalla legge del 1912. L’art. 5 della legge n. 123 stabilisce l’acquisto automatico della cittadinanza da parte del figlio di madre o padre cittadini, per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge medesima84. La legge n. 123, inoltre,

lascia delle lacune per quello che riguarda la possibilità del figlio, una volta maggiorenne, di scegliere l’acquisto della cittadinanza della madre; tale lacuna non viene colmata neanche dalla legge organica del 1992.

2.1.6 La problematica legata alla retroattività delle pronunce adottate dalla