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Le ordinanze di rimessione della giurisprudenza di merito alla Corte Costituzionale

2.1.3 Le pronunce della Corte Costituzionale.

2.1.3.1 Le ordinanze di rimessione della giurisprudenza di merito alla Corte Costituzionale

La giurisprudenza di merito, tra il 1970 ed il 1980, propone ben quattro ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale, le quali coinvolgono l’art.20, comma primo disp. prel. cod. civ., relativamente alla legge da applicare nei

rapporti tra genitori e figli57.

56 Il richiamo congiunto agli artt. 3 e 29 evidenzia che la discriminazione tra il cittadino e lo

straniero si prospetta soprattutto nei rapporti coniugali e questa condizione appare lesiva anche dei diritti inviolabili della persona tutelati all’art. 2, la cui operatività nel campo del diritto di famiglia è stata sancita dalla sentenza 22 luglio 1976 n.181; da qui una connessione stretta tra l’estensione del principio di uguaglianza agli stranieri e la violazione dei diritti fondamentali. Il richiamo all’art. 22 ed al divieto di privazione della cittadinanza per motivi politici è finalizzato alla riaffermazione dell’esigenza di un consenso da parte dell’interessato nei casi di acquisto della cittadinanza a titolo non originario. Tale richiamo al consenso si fonda sulla sentenza 87/1975 ed è ancorato, secondo la dottrina, anche all’art. 21 Cost. Nella tutela della libertà di opinione rientrerebbe, dunque, anche l’espressione di volontà relativa ad un mutamento della cittadinanza.

57La strada è aperta dal Tribunale per i minorenni di Firenze con l’ordinanza del 23 gennaio

1978, quando viene sollevata la questione di legittimità dell’art.1 n.2 della legge organica e dellart.20 comma primo disp. prel. in relazione agli artt. 2 e 3 Cost.; questa trae spunto dalla richiesta della madre naturale italiana di dichiarazione della decadenza della patria potestà del padre naturale straniero nei confronti del figlio che aveva acquisito la cittadinanza paterna. Dopo, il Tribunale per i minorenni di Milano nell’ordinanza 3 ottobre 1980 riferiva ancora di un’illegittimità dell’art.2 comma secondo, sia con riferimento alla situazione della madre naturale italiana ex artt. 3 e 29 Cost. sia alla diseguaglianza tra i figli naturali minorenni e maggiorenni, in rilievo alla volontà nella perdita della cittadinanza italiana ex art.3 Cost.

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Premesso questo, i giudici del palazzo della Consulta, esaminano solo le prime tre ordinanze, con la sentenza 9 febbraio 1983 n.30, dichiarando inammissibili le questioni sollevate con la prima ordinanza e preferendo procedere all’esame della costituzionalità dell’art 1 n.1, della legge organica. Il loro sguardo è rivolto alla condizione della madre all’interno della famiglia legittima58. Inevitabile è il

confronto tra il padre straniero e la madre italiana59 attraverso il richiamo alla

sentenza 16 aprile 1975 n.87; da qui risulta che la condizione della donna italiana nell’ambito familiare, sulla base dei parametri offerti dagli artt. 3, primo comma e 29, comma secondo Cost., risulta assai deteriore, rispetto a quella del cittadino italiano, in genere. Potrebbero apparire particolarmente eccessive le preoccupazioni della Corte con riguardo ad una eventuale doppia cittadinanza dei figli e riguardo alla possibilità di ridimensionare il ruolo della volontà individuale. Dal primo punto di vista, i giudici escludono che, seppur l’Italia abbia assunto degli impegni60 in ambito internazionale, possa essere in qualche

modo giustificato un atteggiamento difforme rispetto alle norme costituzionali. La prima difficoltà sta nell’individuare effettivamente delle norme di diritto internazionale generale in materia; successivamente, la Corte non ha considerato il fatto che la Convenzione di Strasburgo non aveva imposto alcun obbligo di attribuzione della cittadinanza per nascita nello Stato italiano, ma solo un eventuale acquisto della stessa dopo tale evento. In questa occasione, comunque, i giudici della Corte sono riusciti ad affermare la priorità delle norme costituzionali sull’eguaglianza, rispetto all’adempimento degli obblighi assunti

Nell’ordinanza 18 febbraio 1981 il Tribunale di Milano dichiarava non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 1 n.1 in riferimento agli artt. 3 e 29, per una donna cittadina italiana, la quale, pur avendo conservato la sua cittadinanza d’origine, non può trasmetterla al figlio. Infine, nell’ordinanza emessa dal Pretore di Genova il 28 giugno 1982 si pone la dubbia compatibilità degli artt. 1 e 2 della legge sulla cittadinanza e dell’art. 20 disp. prel. con gli artt. 3, 29 e 30 Cost.

58 La questione è stata sollevata dal Tribunale di Milano nell’ordinanza del 1981 ed è stata

dichiarata prioritaria in ordine logico e la Corte è riuscita a creare un collegamento diretto con la pronuncia n.87 del 1975.

59 E’ difficile capire come l’art. 1 n.1 possa arrivare a differenziare la posizione del marito

straniero rispetto a quella della moglie italiana, in relazione ai discendenti diretti di entrambi. Dato che ogni Stato è libero di regolare la materia come vuole, non è questo un confronto ammissibile.

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dall’Italia a livello internazionale. Non si è tenuto conto, però, del fatto che il fenomeno della doppia cittadinanza per nascita, fosse già una delle opzioni suscettibili di verificazione, nel caso in cui la moglie straniera di cittadino italiano, trasmettesse la propria cittadinanza ai figli. Il secondo profilo esaminato dalla Corte risulta quantomeno inadeguato per il fatto che, nell’acquisto automatico della cittadinanza per nascita, non ha rilievo né la volontà del figlio minore né la volontà del genitore; dunque, risulta uno sforzo vano quello di ridimensionare il ruolo, sottolineato dalla sentenza precedente,

della volontà individuale.

La Corte stessa dichiara illegittima la norma residuale contenuta nell’art. 1 n.2 della legge61, attraverso l’applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953;

un’ulteriore censura è quella dell’art. 2, secondo comma, con riferimento all’art. 3 Cost62. La sentenza del 1983 si sostanzia in una sorta di invito da parte

della Corte, nei confronti del legislatore, affinché si occupi della creazione di un disegno organico che tenga conto della disciplina sulla cittadinanza, in collegamento con il diritto internazionale privato; il Parlamento risponde

tempestivamente alla richiesta63.

L’ultima delle ordinanze di rimessione, precedentemente ricordate, è stata ripresa in mano dai giudici della Corte, quattro anni più tardi, con la pronuncia 10 dicembre 1987 n.477, con la conseguente dichiarazione di illegittimità dell’art. 20 disp. prel. cod. civ.; tale sentenza ricalca, in parte, le argomentazioni contenute nella precedente sentenza 5 marzo 1987 n. 7164; ancora, questa

61 La disposizione che contempla quelle situazioni eccezionali nelle quali, la madre, trasmette

la cittadinanza ai figli. La dichiarazione di illegittimità si ricollega alla precedente dichiarazione di inammissibilità di quelle questioni sollevate davanti al Tribunale per i minorenni di Firenze, nell’ordinanza del 1978.

62 La Corte, in questo caso, ha tralasciato taluni profili di incostituzionalità sollevati dal Tribunale

di Milano con l’ordinanza resa nel 1980; prescindendo dalla formulazione dell’art. 29 comma secondo Cost. e concentra la sua attenzione sulla disparità di trattamento tra la madre naturale italiana ed il padre naturale straniero, riguardo alla trasmissione della cittadinanza ai figli. Il fatto che questi ultimi perdano la cittadinanza della madre, una volta acquisita quella del padre naturale straniero con il contestuale riconoscimento, si rivela un’applicazione di regole che provengono da ordinamenti diversi. La Corte esclude, però, che l’applicazione dell’art. 3 Cost. sia subordinata alla violazione di un diritto fondamentale.

63 PEGORARO, La Corte e il Parlamento, pp. 40, 61, 71,82, 169 ss, 257, 264.

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sentenza richiama pure le precedenti pronunce del 1975 e del 198365, dando

inizio al vero e proprio sindacato di costituzionalità sulle norme di conflitto. Da qui, un taglio netto al legame tra il principio dell’unità familiare e lo strumento di discriminazione fondata sulla disparità dei sessi, sia nella materia della cittadinanza, che relativamente alle regole di conflitto. L’anno successivo, l’ordinanza 27 aprile 1988 n. 490, respinge ancora una volta il dubbio di costituzionalità relativo al mancato acquisto automatico della cittadinanza italiana da parte del marito straniero di una cittadina, ritenendo l’estensione del principio di eguaglianza agli stranieri come una violazione di un diritto fondamentale. Tale ordinanza risulta irrilevante e da questo momento in poi, non vi saranno più occasioni per i giudici della Corte Costituzionale di sentenziare con riguardo a questo settore delle norme sulla cittadinanza.