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Il principio di unicità della cittadinanza in seno alla famiglia e la posizione predominante del pater familias sulla donna e sui figli nella legge

13 giugno del 1912 n.555

Tappa rilevante di questo iter legislativo, è un disegno di legge organica sulla cittadinanza, presentato al Senato dal Ministro Guardasigilli Vittorio Scialoja nel 1910; mantenuto, poi, dai ministri successivi ed oggetto di attenti dibattiti in

34 Uniforme al dettato dell’art. 12 del codice francese, dell’art. 18 del codice parmense e

dell’art. 21 del codice albertino.

35 DEGNI, Della cittadinanza, p.45

36 Colui che era naturalizzato non poteva, infatti, entrare a far parte dei due rami del

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Senato, il progetto è stato presentato alla Camera dei deputati nel marzo del 1912 e la nuova legge sulla cittadinanza è entrata in vigore nello stesso anno, con la conseguente abolizione delle norme contenute nel codice del 1865 e di

tutte le altre leggi37, in materia.

La legge 13 giugno del 1912 n.555 è la prima vera legge, appositamente creata, per disciplinare la materia della cittadinanza, in Italia; si tratta di un apparato molto solido che riuscirà a sopravvivere per circa ottant’anni. Le basi della legge sono le norme contenute nel codice del 1865 che vengono, in quest’occasione, riviste e modificate dove necessario. Nel corso di questo lungo periodo di vigore della legge, non sono mancate contraddizioni da sanare o situazioni di necessario confronto e riadattamento della disciplina, rispetto ai nuovi principi, soprattutto quelli costituzionali. Un’esigenza, questa, che condurrà alla

promulgazione di una nuova legge, nel 1992.

Nella legge del 1912 si parla ancora di subordinazione della cittadinanza dei figli (artt. 1,2,12) e della moglie (artt. 10 e 11) al padre/marito, sia nel caso di acquisto che di perdita della cittadinanza stessa. Nella legge si cerca di affermare il principio dell’unicità della cittadinanza in seno al nucleo familiare38insieme con il rafforzamento dello ius sanguinis e sono ammesse

poche deroghe rispetto a questa idea di unità familiare; il figlio può essere legato alla cittadinanza della madre, solamente nel caso in cui abbia una residenza diversa da quella del padre. Lo ius sanguinis, in questo caso, è come se cedesse davanti allo ius soli,per tutti quei figli di apolidi o per i figli di ignoti,

nati in Italia.

La legge, poi, prova a delineare in maniera più precisa la disciplina dell’acquisto della cittadinanza per beneficio di legge o per elezione (art.3), ma anche quella per naturalizzazione (art.4) ed il conseguente trattamento di favore per soggetti cittadini, eventualmente emigrati all’estero. In quest’ultima direzione ci sono vari provvedimenti, tra i quali: la conservazione della doppia cittadinanza per

37 In particolare vi è l’abrogazione degli artt. 4-15 del codice civile del 1865, l’art. 36 della legge

del 1901 e l’intera legge del 1906.

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nascita (con possibilità di rinuncia, senza limiti di tempo)ai figli degli emigrati italiani che nascono in uno Stato, ispirato e basato, sul criterio dello ius soli. Il diritto di mantenere la cittadinanza italiana è riconosciuto anche a tutti coloro che acquistano, “senza concorso di volontà propria”39, una cittadinanza

straniera. Uno degli obiettivi della legge del 1912, è quello di far perdere la cittadinanza a coloro che scelgono, volontariamente, di acquisirne una straniera, ma, allo stesso tempo, viene data loro, successivamente un’eventuale possibilità di riacquisirla, attraverso alcune agevolazioni. Partendo, nell’analisi della legge, dall’art. 1, dove leggiamo che è «cittadino per nascita il figlio di padre cittadino», ritroviamo uno dei capisaldi del sistema italiano, in questa materia. L’art 1 è stato dichiarato illegittimo nel 1983, con una sentenza della Corte Costituzionale. Il numero 2, dello stesso articolo, sanciva la trasmissione della cittadinanza da parte della madre, ai figli, nel caso in cui il padre fosse ignoto, apolide o cittadino di uno Stato che non consentiva la trasmissione della nazionalità. L’art.2, ispirato allo stesso principio ed anch’esso dichiarato incostituzionale, prevedeva l’acquisto, da parte del figlio minore non emancipato, della cittadinanza italiana, dopo il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale di filiazione o ancora la condanna agli alimenti. Naturalmente, con il mutare della disciplina civilistica sul diritto di famiglia40, vi

è stato anche un ampliamento dei soggetti destinatari di quest’ultima disposizione.41

La legge del 1912, poi, non riconosce, al minorenne, alcuna facoltà di esprimere la sua volontà in merito all’acquisizione o alla perdita della cittadinanza italiana,

diritto concesso esclusivamente ai maggiorenni42.

39CLERICI, La cittadinanza nell’ordinamento giuridico italiano, Cedam, Padova, 1993.

40 Riforma del diritto di famiglia, l. 19 maggio 1975 n.151 che modifica il codice del 1942,

sostitutivo di quello del 1865.

41 Il riferimento è ai figli naturali ed alla categoria di quelli cosiddetti irriconoscibili poiché alla

disciplina del codice civile del 1865 (artt. 179, 189 ss.) è subentrata quella del codice del 1942, modificata, ancora, dalla riforma del diritto di famiglia ( l. 19 maggio 1975 n. 151).

42 Per stabilire il limite della maggiore età, intervenne in un primo momento la legge 8 marzo

1975 n. 39; erano maggiorenni tutti coloro che avevano compiuto diciotto anni. Dopo, la legge 3 ottobre 1977 n. 753, adegua i termini dell’art. 3 n.2 alla nuova disciplina, comportando una retroazione della norma al momento dell’entrata in vigore della legge n. 39 del 1975. Per

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I figli minori non emancipati, secondo l’art. 12, di chi acquista o recupera la cittadinanza, diventano cittadini, ad eccezione di un’eventuale residenza all’estero. Il figlio dello straniero, può, entro un anno dalla maggiore età, dichiarare di eleggere la cittadinanza di origine. Di riflesso, l’art. 12, al secondo comma, prevede la perdita della cittadinanza del figlio minore come conseguenza della perdita dello status civitatis da parte del genitore, a patto che abbiano la stessa residenza ed acquisiscano una cittadinanza straniera43. Il

terzo comma dell’art. 12, nel caso di decesso del padre e di passaggio della patria potestà alla madre, esclude effetti sulla cittadinanza dei figli, nel caso di mutamento della cittadinanza della madre, dipendente da nuovo matrimonio. Ancora, l’art. 11 prevede che la moglie, anche nel caso di separazione personale tra i coniugi, non possa assumere una cittadinanza diversa da quella del marito. Questa disposizione è emblema di una situazione che oggi noi possiamo considerare assurda, ma riflesso, invece, in quegli anni, dei principi

fondamentali dei codici civili dell’epoca.

Relativamente ai modi di acquisto della cittadinanza, la legge del 1912 fa una distinzione tra la concessione per beneficio di legge o per elezione44 e la

concessione per naturalizzazione; nel primo caso, si tratta di un acquisto volontario, svincolato da un qualsiasi controllo da parte del potere esecutivo, mentre nel secondo caso si parla di “atto sovrano”45 e si hanno tre diverse

forme di concessione della naturalizzazione, quali quella per decreto reale dietro parere favorevole da parte del Consiglio di Stato (art. 4, primo comma), quella per legge (art. 6) e quella per decreto reale, senza previo parere del

estendere la nuova disciplina agli artt. 2 e 12 della legge sulla cittadinanza, vi è la necessità di stabilire a quale ordinamento debba farsi riferimento, relativamente alla qualifica di persona maggiorenne. Nel periodo di vigore della legge del 1912, la dottrina risulta divisa.

43 Si è pronunciato il Consiglio di Stato, sez. 1, nel parere n. 1820/75, nel momento in cui ha

ammesso che possa decidere il minore, con una sua dichiarazione di volontà, di acquisire la cittadinanza straniera. E’ stata, invece, la Corte di Cassazione ad estendere tale riconoscimento anche ai figli irriconoscibili.

44 Tale modo di acquisto della cittadinanza era previsto già nel codice del 1865, agli artt. 5, 6,7

e 8.

45 DEGNI, Della cittadinanza, p. 125 ss. ( Espressione di Scialoja, nella discussione della legge

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Consiglio di Stato e svincolata dai requisiti previsti all’art. 4. Possono divenire cittadini per beneficio di legge tutti gli stranieri nati nello Stato o figli di genitori residenti, da almeno dieci anni, nello Stato, al tempo della nascita; oppure ancora lo straniero il quale l’avo paterno, il padre o la madre siano stati cittadini per nascita. Per ottenere la cittadinanza vi sono delle condizioni da rispettare come la prestazione del servizio militare o l’accettazione di un impiego nello Stato ( art. 3, comma primo, n.1 )46; e, ancora, la residenza nello Stato, al

compimento della maggiore età con la conseguente dichiarazione, entro un anno, di voler eleggere la cittadinanza italiana; nel caso di mancata dichiarazione di volontà, lo straniero ha la possibilità di ottenere, comunque la cittadinanza, attraverso una residenza di dieci anni nello Stato. Si affianca alla legge del 1912, prima della normativa del ’92, una legislazione speciale in materia di cittadinanza che, tra i suoi tratti fondamentali, presenta, da una parte, dei nuovi profili di acquisto della cittadinanza ( rientranti comunque nell’alveo della disciplina generale), dall’altra parte, delle norme internazionali e interne che vanno, invece, a costituire un nuovo sistema di acquisto della cittadinanza. Di questo secondo gruppo di norme fanno parte quelle internazionali pattizie, emanate in occasione di annessioni o cessioni territoriali; quelle nazionali, le quali danno, a queste ultime, esecuzione; ed ancora altre statali, che prescindono dall’ambito internazionale e che sono create per dare una regolamentazione ai territori sui quali è stata estesa la sovranità italiana. Tale suddivisione, trova il suo riferimento, nella disciplina che deriva dai trattati di pace, successivi ai due conflitti mondiali e nella regolamentazione scaturente dal fenomeno della cittadinanza o sudditanza coloniale. Il presupposto dell’intera legislazione speciale, è proprio il fenomeno dell’estensione della sovranità su altre regioni, dato che, gran parte della storia dello stato italiano, è stata caratterizzata da un susseguirsi di annessioni territoriali.

E’ il trattato di pace tra le Potenze alleate e l’Austria, concluso a Saint Germain-

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en-Laye, ad offrire il primo esempio di una normativa che si discosta, rispetto al contenuto della legge n.555 del 1912. Nel trattato, oltre ai classici metodi di acquisto della cittadinanza, legati al requisito della nascita e della pertinenza del territorio annesso ( art. 70), non mancano procedimenti di acquisto dello status civitatis, fondati sulla volontà individuale (quale quello per elezione,

previsto all’art. 72).

Un altro principio ribadito con fermezza dal trattato e dalla legislazione speciale in genere, è quello dell’unitarietà familiare, per cui ogni mutamento di cittadinanza del paterfamilias, ha delle speculari ripercussioni anche sulla moglie e sui figli minori (artt. 78, secondo comma e 82). La legge del 1912, una volta estesa anche alle nuove province, ha incontrato delle difficoltà ad adattarsi a nuovi contesti, ma di pari passo con la legislazione speciale, nessuna delle due ha perso, in ambito operativo, la sua esclusività. Anche i trattati di pace, successivi alla seconda guerra mondiale, riaffermano i

principi precedentemente delineati.

Non si parla, comunque, di una deroga o di un’abrogazione implicita della disciplina scaturente dalla legge del 1912, ma si tratta di ricercare nella legislazione speciale delle soluzioni a determinati problemi.

2.1.2 L’incidenza prodotta dai principi affermati con l’adozione della