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Il procedimento per l’attribuzione della cittadinanza.

2.2 La Legge del 5 febbraio 1992 n.91: cenni preliminar

2.2.3 Il procedimento per l’attribuzione della cittadinanza.

L’art. 7, comma 1 della legge del 1992, definisce le regole ed il procedimento previsto per l’ottenimento della cittadinanza da parte del coniuge straniero. Vi sono state delle significative modifiche rispetto alla regolamentazione passata, in particolare con l’attribuzione del potere di emanare il decreto di conferimento della cittadinanza, al Ministero dell’Interno piuttosto che al Presidente della Repubblica. Si tratta di una modificazione stabilita in occasione del dibattito in Senato, con lo scopo di snellire il più possibile il procedimento. Il risultato, poi, è quello di un’unificazione delle competenze114, tenendo

comunque fermo il preventivo controllo di legittimità da parte della Corte dei Conti. L’art. 8, comma 1 attribuisce al Ministero dell’Interno l’obbligo di respingere, con un decreto motivato, l’istanza presentata per ottenere la cittadinanza, nel caso sussistano i motivi ostativi previsti dall’art. 6; se poi il motivo di rigetto è collegato con il rischio relativo alla sicurezza della Repubblica, vi è un ulteriore obbligo di parere conforme del Consiglio di Stato. Nonostante la possibilità di vedersi rigettata l’istanza, il coniuge straniero, decorsi cinque anni dal provvedimento di rifiuto, potrà ripresentare l’istanza; è esclusa, poi, l’ipotesi di rigetto dell’istanza, una volta trascorso un certo periodo di tempo dalla presentazione dell’istanza medesima (art. 8 comma 2). Opera, però, una restrizione rispetto alla legge del 1983; è stato elevato a due anni il termine che preclude il rigetto e detto termine, decorre, con la nuova legge organica, dal momento della presentazione dell’istanza, corredata dalla prescritta documentazione. Nonostante le presenti innovazioni, non cambiano la natura e La struttura del procedimento e del provvedimento finale. Sarà poi la prassi a dimostrare se effettivamente la pubblica amministrazione

114 Ricordando la previsione della legge del 1983 relativa alla ripartizione delle competenze nei

confronti di due organi diversi per quel che concerne l’attribuzione della cittadinanza ed il diniego della stessa cittadinanza.

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approfitterà della dilatazione del termine, con inutili o defatiganti richieste di documenti. In realtà, il significato di una simile previsione risiede nell’esigenza di concedere all’amministrazione stessa, una maggiore tranquillità nel portare a termine il procedimento, conducendo ad un risultato più consapevole e ponderato.

Vi è un’elencazione dei documenti necessari per la presentazione dell’istanza nello schema di regolamento di esecuzione, quale elencazione di tipo esemplificativo115: il Ministero dell’interno si riserva di chiedere ulteriori

documenti che dovranno, però, rispettare il criterio dell’utilità, quindi dovranno essere congrui rispetto alle esigenze proprie del procedimento. In definitiva, il procedimento che assume come elemento centrale quello dello status di coniuge, offre a quest’ultimo, delle garanzie totalmente assenti nel procedimento di naturalizzazione116; proprio per questo motivo è stato definito

come una sorta di naturalizzazione privilegiata. Nonostante i vari tentativi di classificazione che sono stati compiuti sia intorno al provvedimento conclusivo della naturalizzazione, sia relativamente all’attribuzione della cittadinanza per matrimonio, si è rilevato arduo pervenire ad una esatta conclusione117. Il

problema principale è quello di ricomprendere un provvedimento di

115 Sono richiesti i documenti necessari per dimostrare l’esistenza delle condizioni previste

all’art. 5 della legge, l’atto di nascita, l’estratto per riassunto dell’atto di matrimonio, i certificati penali dello Stato di origine e di residenza, il certificato di situazione di famiglia o documentazione equipollente. E’ lo stesso regolamento a prevedere esplicitamente l possibilità per il Ministero dell’interno di richiedere, «a seconda dei casi», altri tipi di documenti.

116 L’art. 9 della legge organica non contempla alcun termine preclusivo del rigetto o nessun

intervento motivato da parte del Consiglio di Stato in caso di rifiuto della concessione della cittadinanza.

117 Il tentativo è stato quello di annoverare il provvedimento conclusivo del procedimento di

naturalizzazione nella categoria degli atti amministrativi; tra le varie ipotesi, il provvedimento in questione è stato inquadrato nell’ambito delle concessioni prima, in quello delle ammissioni dopo. La categoria delle ammissioni è stata messa in discussione, come quella degli accertamenti costitutivi e poi sostanzialmente svuotata da parte di un’autorevole dottrina che ha preferito fare una distinzione sulla base dei procedimenti, piuttosto che di atti. Quanto, invece, alla prima ipotesi è stata esclusa la sussunzione del provvedimento di naturalizzazione tra gli atti concessori perché si profila un collegamento troppo generico per poter, poi, fondare un’utile classificazione. Ancora un vano tentativo è stato quello di far rientrare la concessione della cittadinanza per naturalizzazione nel quadro delle certazioni; come categoria creativa di entità giuridiche; la critica ha riconosciuto il profilo evanescente della distinzione tra gli atti di accertamento in senso proprio e le certazioni.

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attribuzione di uno status costituzionale, all’interno di una categoria, contenente atti, che hanno un effetto ben più limitato. Anche riguardo alla cittadinanza per matrimonio si pongono le medesime difficoltà; con la legge del 1983 le categorie in considerazione sono sempre quelle della concessione e dagli accertamenti costituzionali; successivamente quella delle ammissioni. Tutto questo, è funzionale anche ad un aspetto sul quale tace la legge organica; quello relativo ad eventuali rimedi esperibili nei confronti della pubblica amministrazione inadempiente. In primis, al privato istante, deve essere riconosciuto uno strumento adeguato nel caso in cui la pubblica amministrazione rimanga inerte, una volta scaduto il termine di due anni, dalla presentazione dell’istanza; all’inizio era stata prospettato un ricorso all’istituto del silenzio-assenso. La cittadinanza, in seguito al matrimonio, però, per essere attribuita, deve scaturire da un atto proveniente dall’autorità; allo stesso tempo, si è, all’inizio, optato per un’interpretazione del termine come meramente sollecitatorio. Dunque le conseguenze che ne derivavano erano a sfavore del privato istante che, anche se decorso questo termine, poteva essere destinatario di un provvedimento di rigetto, in qualunque caso. La ratio di questa configurazione risiedeva nell’esigenza di evitare l’emanazione, da parte della pubblica amministrazione, di atti illegittimi. Seppur giustificabile questo atteggiamento, per taluni aspetti, allo stesso tempo vi è una controtendenza radicale rispetto alla legislazione, in particolare al contenuto dell’art. 7 comma 2 della legge n.91. L’intento del legislatore non è solamente quello di definire in tempi celeri una situazione incerta, ma vuole anche garantire una posizione di vantaggio per l’interessato. Così, dato che la preclusione del provvedimento di rifiuto prevale sull’eventuale sussistenza di motivi ostativi, l’atto eventualmente emanato dalla pubblica amministrazione oltre i termini, non può rilevare a riguardo alcuna causa di illegittimità. Dunque, dal carattere perentorio del termine per il decreto di rigetto, ne deriva anche il divieto, per la pubblica amministrazione di accertare eventuali elementi di tipo ostativo e l’obbligo, di limitarsi ad una valutazione circoscritta alla scadenza del termine

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prefissato, senza tralasciare la verifica dei requisiti previsti dall’art. 5118.

L’attività dell’amministrazione risulta totalmente vincolata, e, ad essa, di converso, corrisponde un diritto soggettivo azionabile di fronte al giudice ordinario, secondo quei canoni di riparto della giurisdizione tra quella ordinaria

e quella amministrativa119.

Occorre ricercare l’esistenza di una norma di relazione che definisca i termini sostanziali del rapporto tra il soggetto privato e l’autorità. L’art. 7, comma 2 della legge sulla cittadinanza, ha lo scopo di individuare i poteri della pubblica amministrazione, senza lasciare spazio ad ulteriori poteri di tipo valutativo; da qui, la nozione di automatismo condizionato120. Anche il Consiglio di Stato ha

valutato la normativa in esame come aspettativa qualificata all’emissione del decreto sulla cittadinanza ed ha considerato, effettivamente esistente,un diritto soggettivo perfetto121. Accertata la competenza del giudice ordinario,

non è possibile però prescindere dall’emanazione del decreto da parte dell’autorità competente, anche nel caso di una sentenza del giudice, quale sentenza, quindi, non costitutiva. Da una parte abbiamo precedentemente denominato questo procedimento come una naturalizzazione privilegiata, dall’altra non dobbiamo dimenticare l’esigenza di escludere, categoricamente, un qualsiasi intervento di tipo sostitutivo da parte di un qualsiasi giudice.

118 Quando manca una di queste condizioni, il coniuge straniero non viene tutelato nello stesso

modo e lo schema di regolamento di esecuzione si limita ad attribuire al prefetto o alla competente autorità consolare il potere di dichiarare, con provvedimento motivato, irricevibile l’istanza per un vizio di forma o un difetto di documentazione.

119 Le linee di riparto sono indicate agli artt. 2, 4 e 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E sul

contenzioso amministrativo; spetta ai tribunali ordinari la cognizione di tutte le materie nelle quali si fa riferimento ad un diritto civile o politico che risulta leso da un atto dell’autorità amministrativa.

120E’un automatismo dovuto all’impossibilità di rifiutare la cittadinanza in tutti quei casi previsti

dalla legge.

121Sono queste le considerazioni espresse dal parere n. 43/88 ed è stato chiarito che non esiste

una vera e propria figura autonoma di aspettativa, dal momento che se viene effettivamente riconosciuta dall’ordinamento giuridico, ricade nella categoria o degli interessi legittimi o dei diritti soggettivi. Quanto all’individuazione della controparte del giudizio, anche nello schema di regolamento di esecuzione, non si presenta alcun tipo di dubbio: si tratta sempre della pubblica amministrazione e, quindi, del Ministero dell’interno. Questo è titolare della legittimazione attiva e passiva nei giudizi in materia di cittadinanza e si tratta di una legittimazione che può venire meno solamente quando l’accertamento della cittadinanza non costituisce l’oggetto della controversia principale.

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Indipendentemente dall’art. 4 della legge sul contenzioso amministrativo, l’esperimento dell’azione contro la pubblica amministrazione condurrà, nel caso di esito positivo, ad una sentenza contenente un semplice accertamento giudiziale del diritto di ottenere la cittadinanza. Il Ministero dell’interno ha il conseguente obbligo di conformarsi alla sentenza, in caso contrario, potrà, il coniuge straniero, esperire il giudizio di ottemperanza122.

Infine, quando il Ministero si trova, invece, nella circostanza di dover emettere un decreto di rigetto dell’istanza, dovrà motivare tale decreto solamente se sussiste una (o più) delle preclusioni previste all’art. 6 o qualora debba conformarsi al parere del Consiglio di Stato ( se il rifiuto attiene alla salvaguardia della sicurezza della Repubblica) ; l’obbligo di motivazione viene meno, se

mancano quei requisiti previsti dall’art.5.

Se è il Consiglio di Stato ad emettere parere negativo, il coniuge straniero assume una posizione giuridica soggettiva che si sostanzia nell’interesse legittimo; il giudice davanti al quale l’interessato potrà esperire la sua azione

sarà, allora, quello amministrativo.

Diversa è la conclusione nel caso in cui il rigetto della pubblica amministrazione provenga dalla mancanza di quei requisiti previsti all’art. 5 o dalla sussistenza di altri motivi ostativi; in questo caso,il giudice competente, per una violazione compiuta dal Ministero dell’interno, sarà il giudice ordinario123.

L’ultima situazione qualificabile è quella relativa ad un’emanazione tardiva del decreto, rispetto al termine indicato perentoriamente dalla normativa. Il soggetto interessato, avrà a disposizione, lo strumento giurisdizionale ordinario (anche se ricorrano dei motivi di rischio per la sicurezza della Repubblica, il soggetto rimarrà comunque titolare di un diritto soggettivo, una volta decorso

122 L’art. 37 della legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali e l’art. 27 n.4 del t.u.

sull’ordinamento del Consiglio di Stato definiscono la sede di giustiziabilità di un’eventuale inosservanza dell’obbligo di conformarsi: tale è il giudizio amministrativo.

123 L’inadempimento della pubblica amministrazione, qui, ha un riscontro di tipo empirico

riguardo ai presupposti tassativamente predeterminati dalla legge. Si possono individuare dunque delle norme di relazione diretta alla limitazione reciproca delle rispettive sfere della pubblica amministrazione e del privato. Quest’ultima delimitazione indica l’esistenza di un diritto soggettivo in capo al privato medesimo.

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il termine prescritto).

Dopo l’emanazione del decreto, il coniuge straniero, per concludere l’iter, dovrà prestare giuramento124, senza l’obbligo, secondo la legge n.91, di

ottenere lo svincolo dalla cittadinanza originaria.