• Non ci sono risultati.

La disciplina della dirigenza pubblica

2. LA FIGURA DEL DIRIGENTE NEGLI ENTI LOCALI

2.2 La disciplina della dirigenza pubblica

La disciplina della dirigenza pubblica costituisce una materia su cui, da circa venticinque anni, si sono succeduti molteplici tentativi di riforma con norme che hanno prodotto un disegno-ridisegno del sistema dirigenziale nell’ambito della pubblica amministrazione.

Il processo legislativo, avviato con le “riforme coraggiose e innovative” del D.Lgs. n. 29/9354, novellato dal D.Lgs. n. 80/98, riformulato dal D.Lgs. n. 165/01, ha cambiato direzione - come si è evidenziato nel primo capitolo - con il legislatore del primo decennio del XXI secolo.

Il pubblico impiego è stato oggetto negli ultimi anni di una notevole produzione normativa, talvolta di discussa o comunque complessa diretta applicabilità alla pubblica amministrazione55; di recente, i giudici hanno sostenuto che comunque le diverse norme si sono sempre poste l’obiettivo di “assicurare una progressiva modernizzazione e trasparenza, nonché un più forte orientamento al merito piuttosto che all’ “affiliazione politica” del relativo personale”56.

54

Tali sono state definite le norme dall’Adunanza della Commissione speciale del Consiglio di Stato nel parere n. 2113 del 14 ottobre 2016, reso sullo schema di decreto legislativo n. 328 recante “Disciplina della dirigenza della Repubblica”, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 25 agosto 2016.

55

AA.VV. (a cura di V. TENORE), Il manuale del pubblico impiego privatizzato. Dottrina,

giurisprudenza e normativa, op. cit., p. 21.

Con il richiamo alla recente produzione normativa, Tenore non si riferisce solo alla riforma Madia di cui alla legge delega n. 124 del 2015, ma anche alla legge Fornero n. 92/2012, alla legge anticorruzione n. 190/2012 ed al Jobs Act n. 183/2014.

56

La disciplina della figura dirigenziale disposta dal dettato costituzionale, dalle importanti riflessioni prodotte in dottrina e dalle regolamentazioni giuridiche degli ultimi decenni, è stata recentemente oggetto di un disegno riformatore nell’attuale XVII legislatura.

Con l’approvazione del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, coordinato con la legge di conversione 11 agosto 2014, n. 114, “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”, è stato avviato un complessivo processo di riforma della pubblica amministrazione e, in particolare, della figura del dirigente pubblico disciplinato dallo schema di decreto legislativo n. 328/2016 avente ad oggetto “Riforma della dirigenza pubblica”, di cui si tratterà in maniera diffusa nel terzo capitolo.

Prima di entrare nel merito della disciplina, novellata dall’esecutivo in carica, considerato che le nuove disposizioni contenute nel provvedimento delegato riguardano il rapporto di lavoro dirigenziale e la riorganizzazione degli uffici nell’ambito di tutte le amministrazioni pubbliche, non solo di ente locale, è opportuna una breve riflessione sulla disciplina della dirigenza in regime di pubblico impiego contrattualizzato.

Nel quadro della disciplina afferente al rapporto di lavoro dirigenziale contrattualizzato, in base alla giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di impiego pubblico “privatizzato”, si evidenzia una scissione, tipica del pubblico impiego ed ignota al diritto privato, tra il rapporto di lavoro individuale a tempo

indeterminato con l’amministrazione di appartenenza e l’incarico dirigenziale a termine presso lo stesso ente, nel senso che il dirigente può ricoprire incarichi differenti tra loro nell’ente di appartenenza57; costituisce corollario dell’istituzione del ruolo unico il principio della temporaneità degli incarichi58.

Nel contesto delle riforme che si sono succedute negli ultimi tre decenni, la progressiva valorizzazione delle competenze e delle conoscenze di ordine tecnico- professionale delle figure dirigenziali pubbliche ha condotto alla privatizzazione del contratto di lavoro dirigenziale ed alla semplificazione della qualifica dirigenziale, fino al superamento della stessa nozione di qualifica; l’articolazione in due fasce, rilevanti ai fini del trattamento economico, è oggi in essere solo nelle amministrazioni dello Stato, degli enti pubblici economici, oltre che di alcune regioni.

Attualmente, il rapporto dirigenziale di pubblico impiego contrattualizzato, sottoposto alle norme del capo I, titolo II, libro V del codice civile ed alle leggi sui rapporti di lavoro subordinato dell’impresa, ai sensi dell’art. 2, c. 2, del D.Lgs. n.

57

Sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, 26 novembre 2008, n. 28274.

58

F. BRUNO, “Il percorso evolutivo della normativa sul personale con qualifica dirigenziale negli Enti Locali”, Amministrazione in cammino, 25 novembre 2005, p. 8, www.amministrazioneincammino.luiss.it

165/2001, è regolato dal contratto individuale e collettivo, ha la medesima natura giuridica privatistico-contrattuale in tutte le amministrazioni pubbliche.

I contratti collettivi della dirigenza pubblica hanno fissato un vero e proprio diritto all’incarico, in tal modo al dirigente viene comunque sempre assicurato un incarico.

Per quanto concerne gli incarichi, l’atto di conferimento è a tempo determinato in tutte le amministrazioni pubbliche; ciò che cambia è il modello, che è differenziato a seconda del tipo di ente in cui il dirigente presta servizio.

Il modello dei Ministeri prevede due livelli dirigenziali contrattualizzati, con accessi diversificati a seconda dell’articolazione in prima e seconda fascia; nelle altre amministrazioni è presente un ruolo unico dirigenziale con figure apicali. In genere, la durata dell’incarico per i dirigenti di prima fascia è di tre anni, per i dirigenti di seconda fascia di cinque.

L’ordinamento delle autonomie locali presenta delle peculiarità: è stabilita l’unicità sia del ruolo che della qualifica di dirigente locale.

La diversità è legata anche all’origine della dirigenza locale, che è stata istituita a seguito di una previsione contrattuale, e non legislativa, a partire dalla tornata di accordi per il comparto enti locali stipulati nel 1983.

La disciplina della dirigenza nelle regioni e negli enti locali è concepita in base al cosiddetto doppio principio di unicità, previsto nel primo Contratto collettivo nazionale dell’area dirigenza per il comparto regioni-autonomie locali del 1996.

Nell’ambito dell’autonomia regolamentare delle autorità locali, all’interno del ruolo unico dirigenziale lo statuto ed il regolamento del singolo ente locale possono prevedere una differenziazione tra le posizioni dirigenziali, una graduazione delle responsabilità dirigenziali, fatti salvi i poteri di direzione e coordinamento affidati al Direttore generale negli enti territoriali nei quali tale figura è ammessa.

Le azioni del dirigente pubblico devono essere caratterizzate da autonomia, indipendenza e imparzialità, per garantire il solo assoggettamento alla legge, tuttavia, è evidente il rapporto di dipendenza organica del dirigente dall’organo esecutivo, anche perché il dirigente è tenuto ad attuare in modo efficiente i programmi e gli indirizzi politici a lui assegnati.

Si evidenzia che la Corte Costituzionale si è più volte occupata del rapporto di lavoro dirigenziale; in varie sentenze ha affermato che la distinzione tra l’azione di governo e l’azione di amministrazione è costituzionalmente sancita dall’articolo 97, che dispone al primo comma che gli uffici pubblici sono organizzati in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità

dell’amministrazione, e dall’articolo 98, che sancisce che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

La proiezione di questi principi costituzionali nella regolazione del rapporto di lavoro dirigenziale impone delle garanzie, per tutelare e garantire la sua autonomia.

Una di queste garanzie è costituita dal sistema di accesso, contenuto nell’art. 28 bis del vigente Testo unico del pubblico impiego.

Con riferimento alla garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza del dirigente pubblico dall’organo politico emerge l’importanza non solo dei principi costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione pubblica, ma anche del principio di accesso alla pubblica amministrazione mediante concorso pubblico.

Per l’accesso alle funzioni dirigenziali è previsto un doppio canale, il concorso per esami ed il corso-concorso. L’accesso alla qualifica di dirigente nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici avviene per concorso per esami indetto dalle singole amministrazioni o per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione”, ai sensi dell’art. 28, c. 1 del D.Lgs. n. 165/2001.

La Corte Costituzionale ha ribadito la qualificazione della regola concorsuale, nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon

andamento della pubblica amministrazione, tanto che ha anche annullato norme che, derogando a questa regola generale, consentivano l’accesso alla qualifica dirigenziale senza il necessario concorso pubblico.

L’incarico dirigenziale può essere revocato prima della scadenza, fissata nel provvedimento di conferimento dell’incarico stesso, nelle fattispecie stabilite dal legislatore, ad esempio in caso di responsabilità dirigenziale per mancanza di raggiungimento degli obiettivi fissati, da accertare attraverso le risultanze del sistema di valutazione previsto dal D.Lgs. n. 150/2009, o per inosservanza delle direttive.

Il tema della rimozione del dirigente prima della scadenza dell’incarico, che ha allargato i confini del fenomeno dello spoils system, è stato affrontato in numerose sentenze della Corte Costituzionale, che saranno oggetto della trattazione nel quarto capitolo.