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La legge delega n 15/2009 e il decreto legislativo n 150/2009

1. ORIGINE ED EVOLUZIONE DELLA FIGURA DEL DIRIGENTE

1.6 La revisione della riforma del 2001

1.6.2 La legge delega n 15/2009 e il decreto legislativo n 150/2009

La (contro)riforma del pubblico impiego, avviata con la legge n. 142/2002, è proseguito con l’obiettivo di valorizzare il ruolo ed il potere dirigenziale, anche con l’introduzione di nuovi strumenti di programmazione per il governo locale,

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P. SCIORTINO, “Spoils system una tantum: i rapporti tra politica e amministrazione secondo la Consulta”, Lavoro nella Giurisprudenza, 8, 2007, p. 769.

quale, ad esempio, il piano esecutivo di gestione (introdotto con la legge n. 150/2009).

Nonostante i numerosi interventi della magistratura negli anni 2006, 2007 e 2008, volti a tutelare l’autonomia della dirigenza pubblica ed a riaffermare il principio della separazione tra il potere politico e quello gestionale, le misure adottate dal legislatore nel primo decennio del XXI secolo hanno inteso continuare, sulla scia della L. n. 145/2002, un’inversione di tendenza rispetto alle scelte dei legislatori precedenti, determinando anche una limitazione dell’autonomia contrattuale delle amministrazioni ed un ridimensionamento delle fonti privatistiche e dei contratti integrativi.

Nell’arco di un periodo, che si può fare terminare al 2011 si è sviluppata la terza riforma del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni39, dando

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F. CARINCI, S. MAINARDI, La Terza Riforma del Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni.

Commentario al Decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, Milano, Ipsoa, 2011.

Carinci e Mainardi parlano di una “Terza Riforma” del lavoro nelle pubbliche amministrazioni sviluppata nel triennio 2008-2011, in quanto l’intento del legislatore è stato quello, da un lato, di proporre una diversa disciplina legislativa del rapporto di lavoro e delle relazioni sindacali, già regolati sulla base del D.Lgs. n. 165/2001, dall’altro lato, di innovare la disciplina su temi di fondamentale rilevanza, quali la valutazione e la misurazione della performance e l’applicazione del principio meritocratico nell’ambito dei trattamenti economici e normativi del personale pubblico.

P. ALGIERI, “Il nuovo volto della dirigenza pubblica”, Il diritto amministrativo, rivista giuridica, 8 aprile 2016, p. 2, fa risalire la terza fase di privatizzazione del settore pubblico all’inizio del

luogo ad una serie complessa ed articolata di provvedimenti legislativi che hanno profondamente modificato gli assetti del lavoro pubblico disposti nelle precedenti fasi della privatizzazione.

In due documenti del 2008, le “Linee programmatiche sulla riforma della pubblica amministrazione. Piano industriale” e la “Riforma del lavoro pubblico e della contrattazione collettiva”, è stata espressa l’intenzione del legislatore di condurre ad una svolta economicistica la pubblica amministrazione.

I principi ed i criteri in materia di dirigenza pubblica sono stati stabiliti dalla legge delega 4 marzo 2009, n. 15, “Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle

decennio, “con epicentro nell’emanazione della legge 15 luglio 2002, n. 145 rubricata “Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato”, la quale ha apportato modifiche di rilievo al D.lgs. 165/01 (Testo Unico Pubblico Impiego), incidendo in maniera significativa nella parte relativa alla disciplina del rapporto dirigenziale, prevedendo numerose e profonde modificazioni all’assetto complessivo della dirigenza statale, realizzando una vera e propria riscrittura della disciplina “de qua. Infine, il volto della P.A., è stato nuovamente riformato dalla riforma Brunetta”.

funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e alla Corte dei conti”.

La riforma ha tratto ispirazione, secondo quanto sostenuto dal promotore Brunetta e dai suoi estimatori, alla cultura aziendale, introducendo, quale momento centrale di regolazione e di controllo dell’attività amministrativa e del personale, la valutazione della performance.

Il modello scientifico e ideologico al quale si è ispirata la terza riforma del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è stato quello del New Public Management, in cui vengono perseguite economicità ed efficienza, “da una parte attraverso tagli della spesa pubblica e la riduzione del perimetro di azione della P.A., e dall’altra trasferendo nel settore pubblico tecniche di gestione sviluppate in ambito privato”40.

Le novità introdotte sono state tese a perseguire le finalità dichiarate all’art. 37 del decreto legislativo n. 150/2009, tra cui quelle di conseguire la migliore organizzazione del lavoro ed assicurare il progressivo miglioramento della qualità delle prestazioni erogate al pubblico.

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A. GARILLI, “Contrattazione e partecipazione nel nuovo assetto delle fonti di disciplina del lavoro nelle p.a.: quali prospettive dopo la terza riforma (e in attesa della quarta), Il Lavoro nelle

Il D.Lgs. n. 150/2009 ha dedicato alla dirigenza pubblica e, in particolare al tema dell’autonomia ed alla definizione dei poteri dirigenziali in rapporto a quelli politici, gli articoli da 37 a 45, per modificare alcuni articoli del Titolo II (Organizzazione), Capo II (Dirigenza) sezione I (Qualifiche, uffici dirigenziali ed attribuzioni) del D.Lgs. n. 165/2001: si tratta di dieci articoli che vanno a ridisegnare la dirigente pubblico nel contesto della privatizzazione.

Le finalità indicate all’art. 37 del nuovo intervento legislativo, noto come decreto Brunetta, sono principalmente le seguenti:

- “rafforzare il principio di separazione fra le funzioni di indirizzo e controllo spettanti agli organi di governo e le funzioni di gestione amministrativa spettanti alla dirigenza”.

- “regolare il rapporto fra organi di vertice e titolari degli incarichi apicali in modo da garantire la piena e coerente attuazione dell’indirizzo politico in ambito amministrativo”.

- “rispettare la giurisprudenza costituzionale”.

La riforma Brunetta ha previsto la revoca dell’incarico dirigenziale in caso di responsabilità dirigenziale per mancato raggiungimento degli obiettivi fissati, da accertare attraverso le risultanze del sistema di valutazione previsto dal D.Lgs. n. 150/2009, o per inosservanza delle direttive o anche prima della scadenza del termine per sopraggiunte modifiche organizzative.

La norma in argomento è intervenuta nel quadro giuridico- giurisprudenziale, operando una riforma del sistema del pubblico impiego ed una ridefinizione della disciplina della dirigenza pubblica, anche con difficoltà interpretative e di coordinamento con il quadro normativo allora vigente dettato dall’art. 27 del D.Lgs. n. 165/2001 e dall’art. 110 del D.Lgs. n. 267/2000.

Con la riforma Brunetta il pubblico impiego è stato in parte “ripubblicizzato” e, soprattutto, “decontrattualizzato”.

Si evidenzia che la riforma ha apportato rilevanti modifiche in materia di poteri del datore di lavoro e di contrattazione collettiva, nell’ottica di avvicinare la disciplina del pubblico impiego a quella del lavoro privato: con le disposizioni in argomento è stato limitato lo spazio negoziale a disposizione dei contratti e sono state ridotte, in particolare, le materie oggetto della contrattazione collettiva; non è stata formalmente disconosciuta la centralità del contratto, individuale e collettivo, nella definizione degli assetti regolativi del rapporto di lavoro, ma è stata disposta “l’erosione degli spazi d’azione riservati alle fonti negoziali” e, soprattutto, l’immistione della fonte unilaterale nella disciplina della materia “nella gestione degli spazi che alle fonti medesime vengono lasciati” 41.

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L. FIORILLO, “Il primato della legge e il ruolo subalterno della contrattazione collettiva”, Il

Il principio della contrattualizzazione nell’impiego pubblico “privatizzato” è stato fortemente ridimensionato dalla riforma e, successivamente, sospeso, ad opera del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122 con limiti temporali rinnovati (per il periodo di un triennio a partire dall’anno 2010, successivamente prorogato con il D.L. n. 98/2011, la legge n. 147/2013 ed infine con la legge n. 190/2014).

L’art. 9, c. 17, del succitato D.L. n. 78/2010 e successive modificazioni, ha disposto per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al D.lgs. n. 165/2001, il blocco dei rinnovi contrattuali, in proposito, in dottrina si è parlato di una “privatizzazione senza contrattualizzazione”42.

Recentemente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 178 pubblicata in data 29 luglio 2015, ha affrontato la questione relativa alla legittimità costituzionale dell’intervento legislativo sopra menzionato ed ha dichiarato

42

F. CARINCI, “Contrattazione e contratto collettivo nell’impiego pubblico “privatizzato”, Il

Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 3-4, 2013, p. 493.

Il ridimensionamento e la successiva prolungata sospensione del principio della contrattualizzazione, operata con il blocco della contrattazione collettiva disposto dal D.L. n. 78/2010 e le successive misure di proroga, ha determinato, secondo la Corte costituzionale una compressione irragionevole della libertà sindacale, in violazione dell’art. 39 della Costituzione (sentenza n. 178 del 2015).

l’illegittimità del blocco del rinnovo della contrattazione collettiva, evidenziando anche la non protraibilità sine die dei periodi di sospensione definita temporanea da parte del legislatore delle procedure negoziali e contrattuali dei dipendenti pubblici rientranti nel regime della contrattazione collettiva43.

È stato osservato che le misure di contenimento della spesa in materia di impiego pubblico, inizialmente disposte in via temporanea dal legislatore anche in conseguenza della grave crisi economica e finanziaria internazionale che ha investito il nostro Paese, essendo state reiterate fino all’anno 2015 hanno di fatto precluso ogni incremento dei trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, ogni efficacia economica delle progressioni di carriera ed ogni incremento dell’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento economico accessorio44.

Con la succitata sentenza n. 178 si è assistito ad un ulteriore episodio del “tormentato dialogo tra Consulta e Legislatore nella delicata materia delle c.d.

43

R. PINARDI, “La modulazione degli effetti temporali delle sentenze d’incostituzionalità e la logica del giudizio in via incidentale in una decisione di accoglimento con clausola di irretroattività”, Consulta OnLine, 1, 2015, pp. 227-228.

44

L. FIORILLO, “Contrattazione collettiva e lavoro pubblico: una nuova interpretazione sistematica della Corte Costituzionale”, Giurisprudenza Costituzionale, 5, 2015, p. 1679.

“sentenze di spesa”45, in cui i giudici della Consulta sono stati chiamati a pronunciarsi sulla rispondenza ai dettami costituzionali di un intervento normativo articolato, come quello della terza riforma.

45

R. PINARDI, “La Consulta e il blocco degli stipendi pubblici: una sentenza di incostituzionalità sopravvenuta?”, 1 settembre 2015, in www.forumcostituzionale.it

CAPITOLO 2