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L'EVOLUZIONE DELLA FIGURA DEL DIRIGENTE NEGLI ENTI LOCALI

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Academic year: 2021

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(1)

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in

“Scienze delle Pubbliche Amministrazioni”

L’EVOLUZIONE DELLA FIGURA DEL

DIRIGENTE NEGLI ENTI LOCALI

Candidato:

Relatrice:

Daniela Pucci

Chiar.ma Prof.ssa

Francesca Nugnes

(2)

Alla mia famiglia,

A mia figlia Alice,

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(4)

Sintesi

L’obiettivo della tesi è quello di approfondire il tema dell’evoluzione della figura del dirigente negli enti locali.

L’intervento normativo incentrato sulla disciplina della dirigenza pubblica è un processo, lento e tortuoso, che dura da circa tre decenni, avviato negli anni Novanta del secolo scorso, consolidato nel corso degli anni seguenti e ridisegnato con un’inversione di direzione dalle istituzioni politiche.

Lo scopo delle riforme poste in essere dal legislatore fino ai giorni nostri è stato quello di consolidare e valorizzare il ruolo dirigenziale, all’interno di una pubblica amministrazione, o meglio di diversi modelli di amministrazioni pubbliche, in rapida evoluzione e volti ad un efficace servizio istituzionale in favore dei cittadini.

Molti sono i temi della disciplina della dirigenza pubblica affrontati dai diversi provvedimenti legislativi, succeduti in venticinque anni; dopo un inquadramento della materia, delineato nel primo capitolo, verrà evidenziata la difficoltà di dare piena attuazione alle norme e di raggiungere un equilibrio nel complesso e delicato rapporto tra amministrazione e politica, in un contesto in cui

(5)

spesso si rileva una contradditoria commistione fra potere amministrativo e potere legislativo.

Il processo di riforme avviato nell’attuale legislatura, su impulso del Governo con la legge delega n. 124/2015 in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, è volto ad un complessivo riordino anche del sistema della dirigenza pubblica.

Verranno analizzate le principali novità in materia di dirigenza pubblica contenute nello schema di decreto legislativo A.G. n. 328/2016, sul quale si sono pronunciati il Consiglio di Stato e la Conferenza Unificata; con l’espressione dei prescritti pareri da parte delle commissioni parlamentari di Camera e Senato, si è concluso l’iter di acquisizione dei pareri obbligatori previsti dalla legge delega n. 124/2015.

In questa fase di innovazioni sulla vigente regolamentazione della dirigenza pubblica, il tema del riconoscimento dell’autonomia dirigenziale rappresenta uno degli snodi fondamentali del sistema amministrativo italiano in chiave di modernizzazione, orientamento al merito e, per altro verso, di sviluppo dell’organizzazione pubblica in un allargato contesto sovranazionale.

Sarà evidenziata l’origine del cosiddetto spoils system, che determina la decadenza degli incarichi in corso di svolgimento in concomitanza con l’insediamento del nuovo organo politico; saranno inoltre presi in considerazione i

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più rilevanti interventi della giurisprudenza costituzionale che si è occupata del rapporto di lavoro dirigenziale, con particolare riferimento, in numerose sentenze, al problema della legittimità di meccanismi di nomina fiduciaria nel conferimento di incarichi dirigenziali ed al fenomeno dello spoils system.

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Indice

Introduzione 1

CAPITOLO 1 1. ORIGINE ED EVOLUZIONE DELLA FIGURA DEL DIRIGENTE ALL’INTERNO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 10

1.1 Origini e caratteri storici dell’ordinamento locale ... 10

1.2 Le origini della figura del dirigente all’interno della pubblica amministrazione ... 14

1.2.1 La figura del dirigente nell’amministrazione statale ... 14

1.2.2 La figura del dirigente nell’amministrazione locale ... 25

1.3 La riforma della disciplina della dirigenza locale negli anni Novanta ... 29

1.3.1 L’avvio del processo riformatore: la legge n. 142/1990... 29

1.3.2 La prima privatizzazione del pubblico impiego: il decreto legislativo n. 29/1993 ... 34

1.3.3 La seconda privatizzazione: i decreti legislativi n. 80/1998 e n. 387/1998 ... 40

1.4 Le autonomie locali nel XXI secolo ... 44

1.4.1 Il Testo unico sulle autonomie locali: il decreto legislativo n. 267/2000 ... 44

1.5 Le disposizioni in materia di pubblico impiego: il decreto legislativo n. 165/2001 ... 48

1.6 La revisione della riforma del 2001 ... 51

1.6.1 La “controriforma”: la legge n. 145/2002 ... 51

(8)

CAPITOLO 2 2. LA FIGURA DEL DIRIGENTE NEGLI ENTI LOCALI 63

2.1 La figura del dirigente pubblico ... 63

2.2 La disciplina della dirigenza pubblica ... 72

2.3 La disciplina del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici ... 79

2.4 La figura del dirigente negli enti locali ... 83

2.5 Il conferimento degli incarichi dirigenziali a soggetti “esterni” all’amministrazione locale ... 88

CAPITOLO 3 3. LA RIFORMA DELLA DIRIGENZA: LA LEGGE N. 124/2015 E LO SCHEMA DI DECRETO DELEGATO A.G. N. 328/2016 91 3.1 La riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche: la legge delega n. 124/2015 ... 91

3.1.1 Una legge di manutenzione ordinaria per la pubblica amministrazione ... 96

3.1.2 Le principali linee guida della riforma ... 101

3.2 La riforma della dirigenza pubblica ... 102

3.3 Lo schema di decreto delegato A.G. n. 328/2016 ... 107

3.3.1 Il ruolo unico della dirigenza (della Re)pubblica ... 112

3.3.2 La banca dati delle competenze ... 122

3.3.3 La revisione del sistema di accesso alla dirigenza pubblica ... 125

3.3.4 Il ruolo della Scuola nazionale dell’amministrazione ... 130

3.3.5 L’istituzione delle Commissioni per la dirigenza ... 133

3.3.6 Il conferimento degli incarichi dirigenziali ... 138

3.3.7 La durata e la revoca degli incarichi ... 140

(9)

3.4 L’Aran e la valutazione dei dirigenti ... 145

3.5 Il parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto legislativo ... 149

3.6 Le proposte emendative dell’Anci ... 154

3.7 Il parere della Conferenza unificata ed il ricorso della Regione Veneto . 157 3.8 I pareri delle Commissioni parlamentari competenti ... 165

CAPITOLO 4 4. IL FENOMENO DELLO SPOILS SYSTEM NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 171

4.1 L’origine dello spoils system ... 171

4.2 I meccanismi dello spoils system “all’italiana” ... 173

4.3 La distinzione funzionale tra politica e amministrazione ... 174

4.4 La fiduciarietà dell’incarico dirigenziale ... 178

4.5 Gli interventi della Corte Costituzionale sullo spoils system ... 182

Conclusioni 190

(10)

Introduzione

Questa analisi si pone l’obiettivo di esaminare l’evoluzione della figura del dirigente negli enti locali, a partire dalla sua istituzione giuridica nella seconda metà del Novecento italiano passando attraverso i diversi processi riformatori che l’hanno interessata, fino all’attuale riforma in itinere1, prendendo in considerazione con particolare attenzione la specifica problematica dello spoils system.

1

Si è concluso l’iter di acquisizione dei pareri obbligatori previsti dalla legge delega n. 124/2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” sullo schema di decreto legislativo recante “Disciplina della dirigenza della Repubblica”, A.G. n. 328/2016. Sono stati formulati tutti i pareri propedeutici: il Consiglio di Stato ha reso il parere 14 ottobre 2016, n. 2113 (parere favorevole con condizioni e osservazioni), la Conferenza Unificata si è pronunciata con parere n. 16/121/CU01/C1 in data 3 novembre 2016, nelle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari si è concluso l’esame del documento. L’esame del documento in Commissione Affari Costituzionali del Senato è terminato il 10 novembre 2016 (l’esito è parere favorevole condizionato), le commissioni parlamentari Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni e Bilancio della Camera hanno espresso i prescritti pareri nelle sedute, rispettivamente, del 9 (parere favorevole con condizioni e osservazioni) e del 15 novembre 2016 (parere favorevole con condizioni), dopo avere acquisito i rilievi espressi dalla commissione Cultura e dal Comitato per la legislazione (parere del 3 novembre 2016, con osservazioni). Al momento della stampa di questo elaborato, il decreto sulla riforma della dirigenza pubblica è in discussione.

(11)

Il ruolo e la figura del dirigente pubblico sono il risultato di una lunga e complessa elaborazione che, con il sostegno della dottrina e del dibattito politico-culturale, ha inciso profondamente sull’assetto locale in generale e da questo ha ricevuto, a sua volta, impulso per ulteriori riflessioni.

La figura dirigenziale pubblica, istituita nelle amministrazioni statali nella prima metà degli anni Settanta del Novecento e nelle autorità locali nel successivo decennio, è stata oggetto nell’ordinamento giuridico italiano di molteplici e successivi interventi legislativi, in un processo di riforma avviato negli anni Novanta del secolo scorso, perno del riordino operato da parte del legislatore nel 2009, ridisegnata dall’attuale legislatura con lo schema di decreto attuativo dell’art. 11 della legge delega n. 124/2015 di riforma delle amministrazioni pubbliche, approvato dal Consiglio dei ministri in via preliminare il 25 agosto 2016.

Le profonde ed incisive modificazioni operate nel corso di circa tre decenni dal legislatore sulla disciplina della figura dirigenziale hanno condotto all’affermazione di un inedito ruolo ed uno sconosciuto protagonismo dirigenziale nel sistema dei pubblici poteri.

Il dibattito pluridecennale sulla figura dirigenziale è strettamente connesso alla riflessione condotta dalla dottrina e dalla giurisprudenza nell’ambito della pubblica amministrazione nel suo complesso e dei poteri locali in particolare.

(12)

Per comprendere i motivi che hanno condotto all’assetto attuale, nel primo capitolo si ripercorrono sinteticamente le origini ed i caratteri storici dell’ordinamento locale italiano, mantenuti nel disegno costituzionale.

Attraverso i principali mutamenti intervenuti in Italia a partire dalla seconda metà del XX secolo, saranno delineate l’origine della figura del dirigente pubblico, statale e locale, nell’Italia repubblicana e le principali linee di riforma che a partire dagli ultimi decenni del Novecento hanno inciso sulla disciplina della dirigenza pubblica, evidenziando il nesso tra la figura dirigenziale e la dinamica delle riforme dell’intera pubblica amministrazione.

Ci si soffermerà sui processi riformatori che hanno coinvolto l’ambito della pubblica amministrazione ed hanno contribuito, insieme al mutato quadro politico, culturale ed amministrativo, all’evoluzione della figura dirigenziale.

Nel decennio 1999-2000 si è sviluppato un intenso itinerario riformatore, un ambizioso processo di decentramento delle funzioni dallo stato alle regioni ed agli enti locali, che ha conosciuto un momento dirompente con la legge n. 81/1993, che ha previsto l’elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia, ed è proseguito nel 1997 con le norme, note come tre leggi Bassanini, che hanno condotto ad un esteso decentramento di funzioni e risorse ed alla semplificazione amministrativa.

(13)

legge n. 241/90 di riordino generale dell’ordinamento locale, si è evoluto nelle cosiddette prima e seconda privatizzazione del pubblico impiego, con l’affermazione del paradigma di riferimento, rappresentato dal modello privatistico.

La funzione dei vertici amministrativi è profondamente mutata nel corso delle riforme degli anni ‘90, passando da un sistema che riservava agli organi politici l’adozione di ogni manifestazione di volontà imputabile all’ente, al principio che attribuisce al dirigente tutte le funzioni di gestione, tutti i compiti di direzione degli uffici e dei servizi, compresa l’adozione di atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno.

Nel lungo processo di riorganizzazione, il legislatore ha inteso affermare il principio di separazione tra i compiti di indirizzo, impartiti dalla politica, e di gestione amministrativa, propri della dirigenza: secondo i criteri e le norme degli statuti e dei regolamenti, è stata attribuita ai dirigenti degli enti locali, in qualità di privati datori di lavoro, la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica mediante autonomi poteri di spesa e di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.

La giurisprudenza costituzionale ha affermato più volte che una “netta e chiara separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie” (sentenza n. 161 del 2008) costituisce una condizione “necessaria per garantire il rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’azione

(14)

amministrativa” (sentenza n. 304 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 390 del 2008, n. 104 e n. 103 del 2007).

I numerosi e complessi cambiamenti intervenuti nell’assetto della società e le fonti che sono state approvate a livello sovranazionale hanno condotto il legislatore a ripensare non solo la struttura organizzativa in termini di flessibilità, di capacità di comunicazione trasversale e di controllo per linee orizzontali, ma anche l’intero sistema della dirigenza pubblica, identificato come un nuovo importante fattore di sviluppo e di cambiamento organizzativo nell’ambito della pubblica amministrazione caratterizzata sempre più da dinamismo e da nuove procedure.

È stato evidenziato che negli ordinamenti democratici moderni la dirigenza pubblica è connotata da una sorta di tensione fra due valori fondamentali: il principio di sovranità popolare, espressione della rappresentanza politica, e il principio di imparzialità, in base al quale l’amministrazione è posta al servizio dell’intera collettività, non dell’organo politico2.

Nel secondo capitolo saranno oggetto dell’analisi la figura e la disciplina del dirigente locale nell’ordinamento giuridico italiano.

2

S. BATTINI, Il personale, in AA.VV. (a cura di S. CASSESE), Trattato di diritto

(15)

La figura del dirigente pubblico ha rappresentato, sin dalle origini dello Stato italiano, il momento di collegamento tra la politica e l’amministrazione, il punto di emersione di un delicato rapporto tra i due ambiti, quello politico e quello burocratico.

Nel disegno del legislatore costituzionale si delineano due concezioni contraddistinte della pubblica amministrazione che, da una parte, emerge come organismo tecnico e neutrale, e, dall’altra, come mezzo di attuazione per la realizzazione delle scelte politiche e per l’attuazione dell’imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione.

Particolare attenzione sarà dedicata alle relazioni esistenti tra la politica e l’amministrazione, con riferimento alla figura dei dirigenti pubblici.

Verrà analizzato il tema del conferimento, della conferma e della revoca degli incarichi dirigenziali che, negli ultimi anni, è stato oggetto di numerosi interventi legislativi e giurisprudenziali.

Sarà evidenziata la difficoltà di dare piena attuazione alle norme, soprattutto al fine di raggiungere un equilibrio nel complesso e delicato rapporto tra amministrazione e politica, in un contesto in cui spesso si rileva una contraddittoria commistione fra potere amministrativo e potere legislativo, un orientamento all’affiliazione politica piuttosto che al merito nella scelta del personale dirigenziale.

(16)

La disciplina della figura dirigenziale, disposta in coerenza con i principi costituzionali e con le disposizioni normative, anche sulla base delle importanti riflessioni prodotte in dottrina e in giurisprudenza negli ultimi anni, è attualmente oggetto di un disegno riformatore avviato dalla XVII legislatura con la legge delega n. 124/2015, all’interno di una più generale riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.

L’attuale esecutivo ha promosso un complessivo disegno riformatore, con l’obiettivo di modificare l’organizzazione, i principi ispiratori ed i criteri di funzionamento delle pubbliche amministrazioni; la riforma contenuta nelle recenti disposizioni normative ha operato un ridisegno sia dell’organizzazione pubblica sia della figura dirigenziale pubblica.

Nel terzo capitolo sarà preso in considerazione il progetto di riforma contenuto nella legge delega n. 124/2015 e nella bozza di decreto legislativo di riforma della dirigenza pubblica, Atto del Governo n. 328/2016, sul quale sono stati espressi i prescritti pareri, teso ad una profonda innovazione della regolamentazione vigente.

Nell’esaminare le nuove disposizioni in materia di dirigenza pubblica contenute nello schema di decreto legislativo A.G. n. 328/2016, si farà riferimento essenzialmente alle questioni concernenti la figura della dirigenza pubblica, senza entrare nel merito delle norme relative a particolari settori e determinate categorie

(17)

di dirigenti, quali la dirigenza medica del Servizio sanitario nazionale ed i segretari comunali e provinciali.

Ci si soffermerà, in particolare, sul nuovo sistema della dirigenza pubblica, basato sull’unificazione del ruolo dirigenziale, introdotto dall’attuale esecutivo con la finalità espressa di “costituire le premesse per un vero e proprio mercato della dirigenza”3.

Si metteranno in evidenza le innovazioni previste sui sistemi di accesso alla dirigenza pubblica e sulla formazione dei dirigenti in servizio. Una particolare attenzione sarà posta sulla riforma della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, sul ruolo delle istituende Commissioni per la dirigenza e sulle novellate competenze dell’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni.

In merito alla nuova disciplina degli incarichi dirigenziali, uno specifico paragrafo verrà dedicato ai rilievi contenuti nel parere espresso dal Consiglio di Stato in data 14 ottobre 2016.

Il tema del conferimento dell’incarico dirigenziale, del rapporto di “fiducia” tra organi politici e dirigenti pubblica, della conferma e della revoca ha messo in

3

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luce il fenomeno dello spoils system nell’ordinamento italiano, che sarà oggetto di analisi nel quarto capitolo.

In particolare considerazione sarà tenuto il percorso fatto dalla giurisprudenza costituzionale, nel cercare di mediare tra le spinte della politica orientata a fidelizzare la dirigenza, non solo apicale, e la tendenza a garantire l’autonomia della dirigenza pubblica.

La Corte Costituzionale ha ritenuto, con orientamento costante, che nella regolazione del rapporto dirigenziale sono proiettati i due principi sanciti dagli articoli 97 e 98 dalla Costituzione, che sono corollari dell’imparzialità, ed esprimono la distinzione “tra l’azione di governo - normalmente legata agli interessi di una parte politica espressione delle forze di maggioranza - e l’azione

dell’amministrazione che nell’attuazione dell’indirizzo politico della

maggioranza, è vincolata, invece, ad agire senza distinzione di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate nell’ordinamento” (Corte Costituzionale sentenza n. 453 del 1990).

(19)

CAPITOLO 1

1. ORIGINE ED EVOLUZIONE DELLA FIGURA

DEL DIRIGENTE ALL’INTERNO DELLA PUBBLICA

AMMINISTRAZIONE

1.1 Origini e caratteri storici dell’ordinamento locale

Si ritiene utile avviare l’analisi delineando le origini e le principali caratteristiche del modello italiano originario di amministrazione locale, per comprendere i motivi che hanno condotto all’assetto attuale.

La Costituzione della Repubblica italiana descrive all’art. 128 uno stato unitario ad autonomie locali, nel disegno del Costituente il punto centrale è la sanzione del principio autonomistico, riconosciuto e promosso ai sensi dell’art. 5

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della Costituzione: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”.

Il pluralismo autonomista territoriale è un elemento necessario e fondamentale dell’intero disegno costituzionale, è collocato dal Costituente tra i principi fondamentali, come parte integrante della caratterizzazione costituzionale della Repubblica italiana: si riconoscono a comune e provincia potestà pubbliche nel perseguire finalità e interessi propri delle collettività territoriali.

Le origini del modello cui si è storicamente ispirato l’ordinamento locale italiano si rinvengono nella tradizione amministrativa francese, in una complessa elaborazione i cui criteri di fondo provengono, da un lato, dalle concezioni della rivoluzione francese del 1789 (esaltazione del potere municipale) e, dall’altro, dal robusto accentramento napoleonico (esaltazione della figura del prefetto). L’impronta di questa architettura originaria si è conservata attraverso le diverse legislature e risulta ancora oggi importante per comprendere i tratti di fondo del sistema locale italiano.

In Italia, insieme a riflessi di altre culture e tradizioni, permangono i tratti originari dell’amministrazione locale di derivazione francese, che possono essere sintetizzati nei seguenti punti:

- la generalizzazione del regime comunale, l’estensione dell’ordinamento comunale a tutto il territorio;

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- l’istituzione di un Comune per ogni comunità territoriale; si evidenzia che la L. 142/90 ha avviato un processo finalizzato ad aggregare su base volontaria i Comuni minori ma i risultati sono stati modesti e il legislatore ha abbandonato l’obiettivo della fusione, puntando sull’obbligo di esercitare in forma associata le funzioni;

- l’uniformità del regime municipale; la legislazione sull’unificazione amministrativa del 1865 sancisce la scelta del sistema franco-piemontese dell’uniformità giuridica tra enti locali territoriali dello stesso tipo (anziché del modello austriaco della differenziazione); con la L. 142/90 il legislatore è intervenuto sull’ordinamento delle autonomie locali ed ha messo in discussione il criterio dell’uniformità, tanto che poi nell’evoluzione legislativa si è progressivamente radicato un principio di differenziazione, ormai consolidato nella Costituzione dopo la revisione del 2001, con l’accentuazione del ruolo delle leggi regionali;

- il sistema elettivo; il principio dell’elettività, dapprima su base censitaria e poi a suffragio universale dal 1848, è ormai consolidato per il Comune, prevedendo l’elezione diretta del Sindaco e del Consiglio (a rappresentatività democratica diretta);

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La Costituzione del 1948 ha inteso attribuire garanzie e significati nuovi alle autonomie locali, le quali hanno assunto particolare rilievo, anche in contrapposizione al centralismo autoritario che aveva caratterizzato il ventennio fascista.

Dopo l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica italiana, la pubblica amministrazione era sottoposta a due diversi ordini di disposizioni politiche, da una parte quella dei ministri competenti e dall’altra quella del Parlamento. L’apparato burocratico, di derivazione cavouriana (legge Cavour 23 marzo 1853, n. 1483), era definito secondo un modello accentrato, in cui il personale era in posizione di subordinazione rispetto al livello posto al livello gerarchico immediatamente superiore; l’alta burocrazia pubblica era priva di autonomi poteri, agiva esclusivamente su delega o per conto dell’organo politico, all’interno di un modello rigidamente gerarchico-piramidale, caratterizzato da una totale subordinazione dei funzionari direttivi agli organi politici.

Stabilito il principio di autonomia, il sistema locale italiano è rimasto a lungo disciplinato da una normativa antica, ispirata a concezioni e criteri contrapposti al disegno del costituente, a parte circoscritti interventi legislativi. La parte essenziale dell’ordinamento comunale e provinciale è rimasta regolata da disposizioni contenute nel Testo Unico del 1934 e in quello del 1915.

A partire dai primi anni ‘70 le autonomie comunali e provinciali hanno operato in uno scenario mutato, caratterizzato anche dalle istituzioni regionali; in

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questo quadro si è sviluppato un dibattito da cui è scaturita dalla seconda metà degli anni ‘70 una nuova progettazione, di cui si parlerà in seguito.

1.2 Le origini della figura del dirigente all’interno della pubblica

amministrazione

1.2.1 La figura del dirigente nell’amministrazione statale

In questo paragrafo si prendono in considerazione le origini e l’evoluzione della figura del dirigente all’interno dell’amministrazione statale, per poi focalizzare l’attenzione sull’origine e lo sviluppo della figura negli enti locali.

Stabilendo quale data d’inizio di questa ricerca la seconda metà del Novecento italiano, si evidenzia che l’unica competenza con rilevanza esterna era quella del ministro, che svolgeva la duplice funzione di responsabile politico verso il Parlamento e di capo dell’amministrazione, con titolarità del potere direttivo e dei poteri connessi con la sua posizione di superiore gerarchico.

Nella legislazione repubblicana era, ed è tutt’ora, vigente il principio costituzionale della responsabilità ministeriale intesa come piena responsabilità

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politica e giuridica per tutti gli atti adottati dal Consiglio dei Ministri ed individuale per gli atti del dicastero di attribuzione; il legislatore costituzionale nell’art. 95 secondo comma ha voluto esprimere due concetti: il primo è quello della responsabilità per le scelte politiche delle quali l’intero governo risponde davanti al Parlamento; il secondo è quello della responsabilità, derivante dalla riforma di Cavour, sia della direzione sia dell’esecuzione4.

Il modello originario così delineato era criticato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza: il rapporto fra politica e amministrazione e la disciplina della dirigenza pubblica sono stati, a lungo, oggetto di riflessione critica e di discussione sia in sede politica che giurisprudenziale5.

Nell’ordinamento giuridico italiano, una prima apertura verso

l’affermazione dell’autonomia dirigenziale è stata posta con l’approvazione del Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, “Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”; la norma,

4

S. CASSESE, Il sistema amministrativo italiano, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1982, p. 42.

5

S. CASSESE, “Il rapporto tra politica e amministrazione e la disciplina della dirigenza”, Il

Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2, 2003, p. 231; S. CASSESE, “La Dirigenza di vertice

tra politica e amministrazione: un contributo alla riflessione”, Il Lavoro nelle Pubbliche

(25)

integrata dal Regolamento approvato con il D.P.R. 3 maggio 1957, n. 3, disciplinava il personale civile, amministrativo e tecnico, inquadrato in quattro tipi di carriere (direttive, di concetto, esecutive e, da ultimo, di personale ausiliario), mentre le singole carriere e le relative qualifiche erano stabilite per ogni amministrazione nei quadri annessi al citato D.P.R. L’art. 155 del D.P.R. n. 3/1957 disponeva, tra l’altro, che le figure apicali erano tenute a coadiuvare il ministro nello svolgimento dell’azione amministrativa, a proporre i provvedimenti di carattere generale nelle materie di competenza, a predisporre gli elementi per la relazione al Parlamento sul bilancio preventivo, a dirigere e coordinare l’attività degli uffici, assicurandone la legalità, l’imparzialità e la rispondenza al pubblico interesse.

Lo Statuto degli impiegati civili dello Stato del 1957 rafforzava le garanzie dei dipendenti pubblici, ma non riconosceva loro competenze specifiche, né metteva in discussione l’assetto centralizzato dei poteri formali, gli organi politici detenevano un forte controllo sull’apparato amministrativo, tanto che la dottrina parla di “una concezione estremistica del principio della responsabilità ministeriale”6.

6

(26)

A partire dalla prima metà degli anni Settanta del XX secolo, è stato proposto, da una parte consistente della dottrina, un ridimensionamento del principio costituzionale della responsabilità ministeriale7. Sollecitato dai dibattiti e dalle riflessioni in corso, il legislatore ha elaborato un nuovo modello di dirigente, dotato di poteri propulsivi, di coordinamento e di gestione, prevedendo una responsabilità correlata ai risultati negativi dell’operato dei vertici amministrativi8.

Nell’inquadrare l’evoluzione della figura dirigenziale negli enti locali, non

si può non prendere in considerazione l’istituzione della stessa

nell’amministrazione statale.

La legge delega 18 marzo 1968, n. 249, “Delega al Governo per il riordinamento dell’Amministrazione dello Stato, per il decentramento delle funzioni e per il riassetto delle carriere e delle retribuzioni dei dipendenti statali”, integrata e modificata dalla legge delega 28 ottobre 1970, n. 775, “Modifiche ed integrazioni alla legge 18 marzo 1968, n. 249, per il riordinamento dell’amministrazione dello Stato, per il decentramento delle funzioni e per il

7

F. DAL CANTO, S. PANIZZA, Lo Stato e gli altri ordinamenti giuridici, i principi

fondamentali, i diritti e i doveri costituzionali, in AA.VV. (a cura di R. ROMBOLI), Manuale di diritto costituzionale ed europeo, Torino Giappichelli, 2011, p. 75.

8 F. LO GIUDICE, G. NERI, “La dirigenza pubblica: lo spoils system dalla giurisprudenza costituzionale alla recente manovra d’estate”, 20 ottobre 2010, in www.altalex.com

(27)

riassetto delle carriere e delle retribuzioni dei dipendenti statali”, ha stabilito, tra i principi e criteri direttivi, quello dell’istituzione di una carriera dirigenziale caratterizzata da un certo grado di autonomia decisionale e dall’ampliamento delle funzioni connesse a specifiche responsabilità, sulla base degli indirizzi politici impartiti dal livello di governo9.

La materia del pubblico impiego è stata affrontata dal legislatore anche con l’approvazione della legge 16 maggio 1970, n. 281, “Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario”, con cui si è dato avvio al processo di decentramento amministrativo previsto dall’articolo 5 e dall’articolo 118 della Costituzione italiana, con il conseguente trasferimento delle funzioni statali alle regioni a statuto ordinario10.

L’istituzione della figura del dirigente all’interno delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, viene fatta risalire al D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, “Disciplina delle funzioni dirigenziali nelle amministrazioni

9

L. BUSICO, V. TENORE, La dirigenza pubblica, Roma, EPC libri, 2009, p. 12.

10

La letteratura è ricca di autorevoli riflessioni e proposte complessive sul periodo, si veda, ad esempio, U. POTOTSCHNIG, “Per una nuova legislazione comunale e provinciale”, Le Regioni, 1975, p. 1072.

(28)

dello Stato, anche ad ordinamento autonomo”, in attuazione della legge delega succitata.

Il legislatore del 1972, limitatamente alle amministrazioni statali, ha articolato la “carriera dirigenziale” in tre qualifiche gerarchicamente ordinate, primo dirigente, dirigente superiore e dirigente generale, alle quali in alcune amministrazioni dello Stato si aggiungevano qualifiche superiori (ad esempio, nell’amministrazione dell’Interno i prefetti di prima classe)11; il dirigente generale, in un rapporto di stretta collaborazione con il ministro, poteva essere coinvolto nelle scelte di tipo politico-amministrativo, il dirigente superiore doveva svolgere attività di carattere ispettivo, il primo dirigente era preposto ad uffici o divisioni non strategici all’interno della pubblica amministrazione.

La norma inaugurava un nuovo modello, caratterizzato dall’assunzione da parte del livello dirigenziale di poteri decisionali e negoziali per conto e in nome dell’amministrazione, oltre che di precisi compiti direzionali degli uffici, ma l’ambito di autonomia restava limitato nel quadro degli indirizzi, programmi e

11

C. D’ORTA, “La riforma della dirigenza: dalla sovrapposizione alla distinzione fra politica e amministrazione?”, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1, 1994, pp. 162-163.

(29)

priorità decisi dal ministro, pertanto è stato ipotizzato che le decisioni continuassero ad essere assunte direttamente dal ministro12.

Il decreto n. 748/1972 ha riconosciuto alla dirigenza statale una posizione particolare e differenziata rispetto agli altri impiegati della carriera direttiva, le scelte innovative del legislatore sono state le seguenti:

- la previsione di aumenti retributivi onnicomprensivi (anche ad opera di una serie di interpretazioni del Consigli di Stato e della Corte dei Conti, è stata successivamente introdotta l’indennità);

- l’attribuzione di nuovi compiti ai dirigenti: funzioni ausiliarie del ministro ai dirigenti generali, funzioni proprie ad ognuno dei livelli dirigenziali, funzioni delegate dal ministro o dal superiore gerarchico;

- il sistema di reclutamento tramite concorso unico (indifferenziato per i ministeri), seguito da un corso tenuto dalla Scuola Superiore della pubblica amministrazione con selezione finale da parte di docenti della Scuola stessa (la disposizione normativa è rimasta inattuata);

12

(30)

- l’indicazione di legami funzionali tra il ministro e la burocrazia superiore: il ministro stabiliva le direttive, i programmi e le priorità, stendeva un elenco di provvedimenti dirigenziali dei quali doveva ricevere comunicazione e sui quali poteva intervenire con atti formali di annullamento, revoca o riforma dei provvedimenti stessi (di questi poteri è stato fatto un uso molto limitato);

- il riconoscimento al governo del potere di rimozione dei dirigenti, con collocamento “a disposizione” o, in casi gravi, “a riposo” (potere utilizzato scarsamente);

- l’istituzione di ruoli unici dei dirigenti (la norma è stata inapplicata).

- l’introduzione di un nuovo tipo di mobilità verticale ed orizzontale: al primo livello della dirigenza si poteva accedere con un corso-concorso, unico per tutti i ministeri, gestito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione, collocata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (successivamente, la L. n. 382/1975 ha introdotto la mobilità orizzontale, consentendo il passaggio da un ministero all’altro con l’istituzione di un ruolo unico, a parte alcune eccezioni)13.

In sintesi, la riforma attribuiva:

13

S. CASSESE, “L’alta dirigenza italiana: un mondo cristallizzato”, Politica del diritto, 1, 1998, pp. 162- 163.

(31)

- al ministro, responsabile per gli atti del proprio dicastero, la definizione delle direttive generali, che si configuravano come vere e proprie linee guida dell’azione amministrativa degli organi centrali e periferici;

- ai dirigenti statali autonome competenze e specifiche responsabilità dirigenziali (art. 9 del D.P.R. n. 748/1972), intese come responsabilità di risultato connesse all’osservanza degli indirizzi politici e dei programmi del governo e del ministro14.

Tra gli aspetti innovativi, si evidenziano il riconoscimento dei poteri decisionali della dirigenza, che poteva porre in essere atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, l’introduzione del principio di separazione tra le funzioni di indirizzo, proprie del ministro, e le funzioni di gestione, di competenza dirigenziale, e, infine, l’affermazione di una specifica responsabilità dirigenziale di tipo gestionale15.

14

C. COLAPIETRO, Governo e Amministrazione - La dirigenza pubblica tra imparzialità e

indirizzo politico, Torino, Giappichelli, 2004, pp. 65-66. 15

A. PATRONI GRIFFI, Dimensione costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica.

Contributo ad uno studio del rapporto di autonomia strumentale tra politica e amministrazione,

(32)

È stato osservato che la norma del 1972 intendeva “identificare al vertice dell’amministrazione un gruppo dirigente dotato di specifiche prerogative, conferendogli una relativa autonomia rispetto al vertice politico”16. La disposizione non ha tuttavia prodotto i risultati voluti dal legislatore.

La dottrina che si è occupata della figura del dirigente pubblico ha evidenziato che le cause dell’insuccesso della riforma del 1972 sono da individuare, da un lato, nel timido decentramento di poteri attribuiti al dirigente statale e, dall’altro, nel mantenimento di un forte grado di subordinazione gerarchica al ministro17: il ministro deteneva poteri generali di indirizzo e di controllo sull’attività dirigenziale ed un potere generale e residuale di adottare atti amministrativi18.

Inoltre, alle indecisioni legislative si sono sommate difficoltà attuative, per la resistenza sia degli organi politici a privarsi del potere, sia degli organi tecnici ad esercitare le nuove responsabilità. Infine, un’altra ragione del fallimento della

16

G. MELIS, Storia dell’amministrazione italiana (1861-1863), Bologna, Il Mulino, 1996, p. 492.

17

M. CRESTI, Efficienza e garanzie nell’evoluzione dell’organizzazione statale, Milano, Giuffré, 2006, p. 99.

18

F. MERLONI, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale. Il modello italiano in Europa, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 132.

(33)

riforma è stata individuata nella mancata riorganizzazione dei ministeri19, in modo che permettesse l’espletamento delle ridefinite funzioni dirigenziali20.

In questo periodo, l’attenzione per le riforme istituzionali è culminata nella presentazione in Parlamento nel corso della VIII Legislatura di un “Rapporto sui principali problemi della amministrazione dello Stato” (novembre 1979) da parte dell’allora Ministro della Funzione pubblica Giannini, che è stato condiviso dal Parlamento, ed ha condotto all’emanazione di direttive per svolgere un approfondimento critico in merito all’assetto della Pubblica amministrazione e studiare soluzioni alle problematiche irrisolte. Nella sezione dedicata al “personale” del Rapporto Giannini si proponeva la possibilità di estendere ai dipendenti pubblici, tranne il livello dirigenziale, le regole privatistiche.

19

S. CASSESE, Burocrazia ed economia pubblica (cronache degli anni 70), Bologna, Il Mulino, 1970, p. 116.

20

C. D’ORTA, La riforma della dirigenza: dalla sovrapposizione alla distinzione fra politica e

(34)

1.2.2 La figura del dirigente nell’amministrazione locale

Nel quadro sopra brevemente delineato, per dare attuazione al disegno legislativo di decentramento amministrativo avviato con l’istituzione delle regioni ordinarie, i poteri locali sono stati interessati da “nuove forme di diritto”21.

L’affermazione del pluralismo autonomistico territoriale, la presenza dei differenziati livelli di governo hanno ravvivato il dibattito sulla riforma delle autonomie locali, che negli anni Settanta-Ottanta non venivano più concepite come organizzazioni delegatarie di competenze statali, prive di reale autonomia e di insufficienti risorse finanziarie, bensì come soggetti complessi e diversificati, titolari di specifiche funzioni ed erogatori di servizi alla collettività.

Le origini della figura della dirigenza negli enti locali vengono fatte risalire ai primi anni Ottanta.

Preceduta da un intenso dibattito estremamente lungo e complesso, la figura dirigenziale locale è stata disciplinata, dopo un decennio rispetto alle amministrazioni statali, dal D.P.R. 25 giugno 1983, n. 347, recante “Norme

21

(35)

risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 29 aprile 1983 per il personale dipendente degli Enti locali”.

Il succitato decreto n. 347/1983, recependo l’accordo sindacale del 29 aprile 1983 relativo al comparto del personale degli enti locali per il triennio 1983-85, intendeva riconoscere alla dirigenza locale un potere decisionale di tipo “delegato” ed un’autonomia in termini di direzione amministrativa, oltre a disciplinare la nomina in prova e la nomina in ruolo, previo giudizio favorevole, nonché la proroga del periodo di prova per mesi e la risoluzione del rapporto di impiego del dipendente dell’ente locale.

Il decreto, con l’allegato “A”, prevedeva l’introduzione negli ordinamenti delle autonomie locali di due profili del personale con qualifica dirigenziale - rispettivamente la nona e la decima qualifica funzionale - che erano contraddistinti da esclusive competenze e responsabilità.

La funzione dirigenziale negli enti locali era rivolta ad attuare i programmi di sviluppo economico e sociale in conformità agli indirizzi politici formulati dagli organi esecutivi; era confermata per la dirigenza locale la responsabilità penale, civile, amministrativa, contabile e disciplinare prevista per l’impiego pubblico.

(36)

In questa fase, il decreto n. 347/1983 non ha ottenuto i risultati voluti dal legislatore; non ha introdotto innovazioni di tipo sostanziale e le figure apicali non sono state dotate di un complesso organico di funzioni a rilevanza esterna.

Quattro anni dopo, il D.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, “Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo sindacale, per il triennio 1985-1987, relativa al comparto del personale degli Enti locali”, integrato con le disposizioni di cui al D.P.R. 17 settembre 1987, n. 494, ha introdotto specifiche disposizioni per la regolamentazione della dirigenza locale, così da disciplinarne funzioni, responsabilità e forme di reclutamento: si trattava di un tentativo di riassetto, in veste giuridica, della dirigenza pubblica, alla quale veniva riconosciuto un potere decisionale di tipo “delegato” oltre che un’autonomia in termini di direzione amministrativa.

Al Capo VII, artt. 40-47, il D.P.R. summenzionato stabiliva l’accesso alla prima qualifica dirigenziale per concorso pubblico o corso-concorso aperto a soggetti in possesso di laurea ed esperienza quinquennale di servizio.

Nell’ambito del processo di trasformazione, dal punto di vista organizzativo e funzionale, del ruolo delle amministrazioni locali, i tre decreti sopra richiamati non hanno condotto ad una compiuta definizione della figura professionale del dirigente locale in termini di funzioni, responsabilità dirigenziali e forme di reclutamento; non si evidenziano disposizione che hanno condotto ad una distinzione e differenziazione tra la figura dirigenziale e quella dell’impiegato

(37)

direttivo, né il dirigente pubblico è stato dotato di un’autonoma sfera decisionale rispetto agli organi politici.

Si è posto, pertanto, il problema dell’approvazione di una nuova legislazione in materia di autonomie locali; la fine degli anni ‘90 è stata caratterizzata da importante riflessioni della dottrina su tale tematica22.

Nel 1989, in un contesto segnato anche dal recepimento in Italia della Convenzione europea contenente la Carta europea delle autonomie locali, sottoscritta a Strasburgo nell’ottobre del 198523, due delle principali riviste giuspubblicistiche italiane, la Rivista di Diritto Pubblico ed il Foro

22

Si veda G. VESPERINI, “La legge sulle autonomie vent’anni dopo”, Rivista trimestrale di

diritto pubblico, 4, 2010, p. 955.

Vesperini menziona, a titolo esemplificativo: F. BENVENUTI, “Per una nuova legge comunale e provinciale”, Rivista amministrativa della Repubblica italiana, 1959, p. 533; M. S. GIANNINI, “Il riassetto dei poteri locali in Italia”, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1971, p. 451; G. BERTI, “Crisi e trasformazione dell’amministrazione locale”, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1973, p. 681; B. DENTE; Il governo locale in Italia, Il governo locale in Europa, Milano, Edizioni di Comunità, 1977, p. 201; U. POTOTSCHNIG, “Per una nuova legislazione comunale e provinciale”, Regioni, 1975, p. 1072.

23

La fonte sovranazionale, pressoché ignorata in Italia, a differenza di quanto è avvenuto in altri Stati aderenti all’Unione Europea, ha stabilito, tra l’altro, i principi di elettività, sussidiarietà, autonomia organizzativa e finanziaria, completezza ed integralità delle competenze affidate agli enti locali, ha fissato dei limiti ai controlli, ha stabilito il diritto degli enti locali di associarsi per collaborare. Una parte importante dei principi espressi dalla norma, sono stati ripresi e sviluppati dalla L. n. 142/1990.

(38)

amministrativo, hanno pubblicato una proposta di legge di principi sui poteri locali, predisposta da un gruppo di giovani studiosi, coordinati da Massimo Severo Giannini24.

1.3 La riforma della disciplina della dirigenza locale negli anni

Novanta

1.3.1 L’avvio del processo riformatore: la legge n. 142/1990

Particolare rilievo hanno assunto le scelte del Parlamento nel corso degli anni Novanta, in un processo di profonde riforme che hanno previsto una riorganizzazione del sistema dei pubblici poteri ed hanno interessato i più importanti ambiti del diritto amministrativo, tra i quali si citano l’organizzazione dei ministeri, i controlli, il personale, il procedimento amministrativo con le misure di semplificazione, il diritto di accesso, la tutela della concorrenza, e l’assetto delle fonti della disciplina delle pubbliche amministrazioni.

24

La relazione di accompagnamento è stata pubblicata in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1989, pp. 526 ss.; il testo della proposta nella rivista Il Foro Amministrativo, 1989, pp. 2839 ss.

(39)

L’introduzione del nuovo ordinamento degli enti locali si inquadra in un più ampio processo di ridefinizione del sistema dei pubblici poteri, che vede il cittadino di strumenti di controllo sull’operato della pubblica amministrazione, anche grazie alla legge n. 241/1990, norma generale sul procedimento amministrativo25, che ha inciso profondamente sull’attività della pubblica amministrazione, elevando a principi dell’attività amministrativa l’efficienza, l’economicità, la trasparenza e la partecipazione procedimentale, attraverso l’introduzione del diritto d’accesso agli atti amministrativi.

Si evidenzia lo sviluppo, attorno al progetto riformatore degli anni ‘90, di una “felice sinergia tra giuristi, sindacati, legislatore”26 che ha caratterizzato, in un

25

M. RAMAJOLI, “A proposito di codificazione e modernizzazione del diritto amministrativo”,

Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2, 2016, p. 347 ss.

Il diritto di accesso è collegato a una riforma di fondo della pubblica amministrazione, ispirata ai principi di democrazia partecipativa, della pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 della Costituzione, che si inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all’informazione dei cittadini rispetto all’organizzazione e all’attività amministrativa.

La n. 241/90, norma ritenuta di rilevanza strategica nel diritto amministrativo anche perché ha inteso far penetrare, attraverso l’uso giurisprudenziale dei principi adottati dalla legge in argomento, anche il punto di vista dei cittadini nella disciplina dell’azione amministrativa, ha subito nel corso del tempo numerose ed importanti deformazioni.

26

F. BORGOGELLI, “La riforma del lavoro pubblico: quale lezione dopo quindici anni”, in Scritti

(40)

crescendo nel passaggio dalla prima alla seconda fase, la cosiddetta privatizzazione della macchina amministrativa.

In quegli anni, il vivace dibattito sul rapporto fra politica e amministrazione cominciava a portare l’attenzione sull’esigenza di rinnovamento complessivo del sistema locale sotto l’aspetto funzionale e amministrativo e sulla concezione del principio dell’autonomia come necessario criterio regolatore dei rapporti fra politica e amministrazione.

L’avvento della figura dirigenziale locale e la sua effettiva istituzione fanno capo alla legge 8 giugno del 1990, n. 142, “Ordinamento delle Autonomie Locali”.

Si tratta di una legge di principi che investe l’intero sistema degli enti locali, definendone organi, competenze e funzioni; è stata riconosciuta la potestà statutaria a comuni, province e comunità montane, sono stati introdotti istituti di partecipazione popolare (referendum consultivo) ed inoltre previste forme alternative di gestione dei servizi pubblici locali (aziende speciali, istituzioni, società miste).

La riforma avviata dal legislatore nel 1990 è stata finalizzata all’introduzione del principio della separazione tra politica e amministrazione, che è stato successivamente esteso a tutte le pubbliche amministrazioni per effetto del D.Lgs. n. 29/1993 (oggi confluito nel D.Lgs. n. 165/2001): la definizione e la

(41)

programmazione degli obiettivi e i poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo venivano attribuite agli organi politici, mentre la gestione amministrativa era di esclusiva competenza dirigenziale.

In questo contesto, la disciplina giuridica della dirigenza locale ha subito una trasformazione in termini di status e competenze: la legge n. 142/1990 affidava ai dirigenti l’attuazione degli obiettivi stabiliti in sede di fissazione dell’indirizzo politico, l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, la presidenza delle commissioni di gara e di concorso, la responsabilità sulle procedure di appalto e di concorso, la stipulazione dei contratti.

La responsabilità dirigenziale, stabilita all’art. 51, c. 4 della L. n. 142/1990 (riformulato dall’art. 107, comma 6 del D.Lgs. n. 267/2000), veniva intesa come responsabilità di risultato.

La ratio del processo riformatore è stata di “aziendalizzare” il ruolo dirigenziale, di legare la gestione amministrativa al raggiungimento del risultato. Si è cominciata ad affermare una responsabilità di risultato tipica del rapporto di lavoro privato, che passa anche attraverso l’esecuzione di atti tipicamente manageriali. I principi relativi allo “status dirigenziale” sono stati successivamente rivisti, sulla base delle disposizioni contenute nella legge n. 127/1997, e sono stati recepiti nelle norme di cui al Capo III “Dirigenza e incarichi” del Titolo IV “Organizzazione e personale” della Parte I “Ordinamento istituzionale” del Testo Unico D.Lgs. n. 267/2000.

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La legge n. 142/1990 ha introdotto e sperimentato nell’ordinamento degli enti locali la separazione tra politica e amministrazione, rimettendo il ruolo e le attribuzioni della dirigenza locale agli statuti ed ai regolamenti degli enti, ai quali spettava l’attuazione delle disposizioni legislative.

Il principio della distinzione tra indirizzo politico e gestione amministrativa è stato introdotto dall’art. 521 della legge n. 142 del 1990, nell’ambito dell’ordinamento delle autonomie locali.

Le vicende del rapporto tra politica e dirigenza sono state contrassegnate da un progressivo riconoscimento dell’autonomia decisionale della dirigenza pubblica; il principio della separazione tra politica e amministrazione è stato successivamente - come si evidenzierà nel prosieguo di questa analisi - ripreso dal legislatore e codificato come principio a valenza generale per tutti i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni nell’art. 3 del D.Lgs. n. 29/1993, oggi confluito nell’art. 4 del D.Lgs. n. 165/2001.

(43)

1.3.2 La prima privatizzazione del pubblico impiego: il decreto legislativo n. 29/1993

L’insoddisfazione e le richieste mosse dai cittadini e dalle imprese, oltre al filone di studi dedicato al New Public Management, hanno stimolato il legislatore a ripensare il modello organizzativo. La riforma, di cui la dirigenza costituiva perno fondamentale, si poneva l’obiettivo di migliorare i livelli di efficacia e di efficienza dell’azione amministrativa, attingendo a metodologie e tecniche gestionali proprie delle aziende private.

La cosiddetta prima privatizzazione27 del pubblico impiego è stata avviata dalla legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, recante la delega al governo per la razionalizzazione e la revisione della disciplina in materia di sanità, pubblico impiego, previdenza e finanza territoriale.

La legge delega aveva tra gli obiettivi principali quelli di estendere ai pubblici dipendenti le regole del settore privato, di ricondurre al diritto civile i rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti pubblici e di regolare tali rapporti

27

La riforma è stata operata dal legislatore degli anni ‘90 in più tappe, con l’obiettivo di ricondurre il rapporto di lavoro del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni sotto la disciplina di diritto privato del lavoro subordinato.

(44)

tramite contratti per dare maggiore flessibilità all’area pubblica28, nell’affermazione del paradigma di riferimento rappresentato dal modello privatistico29.

La cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego, affermatasi dagli anni ‘90 e maturata fra il 1993 e il 1998, è stata all’epoca salutata in termini di

28

Gli Indirizzi dell’allora Ministro della funzione pubblica Sabino Cassese si sono basati su un’analisi delle disfunzioni esistenti elaborate dal Dipartimento per la funzione pubblica (Rapporto

sulle condizioni delle pubbliche amministrazioni, Roma, 1993) ed hanno proposto una “cura”

organica per la burocrazia italiana, in S. CASSESE, Indirizzi per la modernizzazione delle

amministrazioni pubbliche, Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la funzione

pubblica, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1993, pp. 1-20.

È stato evidenziato che con la “privatizzazione” o “depubblicizzazione” del pubblico impiego si è operato “il superamento della separazione del rapporto di impiego pubblico dal diritto civile”; si veda AA.VV. (a cura di V. TENORE), Il manuale del pubblico impiego privatizzato. Dottrina,

giurisprudenza e normativa, Roma, EPC Editore, 2015, p. 32. 29

S. BATTINI, “Al servizio della Nazione? Verso un nuovo modello di disciplina della dirigenza e del personale pubblico”, Giustizia-amministrativa – Studi e contributi, 23 settembre 2016. Nella relazione per il 62° Convegno di Studi amministrativi su “L’Italia che cambia: dalla riforma dei contratti pubblici alla riforma della Pubblica Amministrazione”, tenutosi a Varenna, nei giorni 22, 23 e 24 settembre 2016, Battini ha evidenziato che il paradigma privatistico poggiava in larga misura sulle ragioni dell’autonomia, riconosciuta alle amministrazioni pubbliche, nel complesso, ed alla figura del dirigente pubblico, in particolare.

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discontinuità, sia da studiosi del diritto amministrativo, sia da studiosi di diritto del lavoro30.

Tra i provvedimenti attuativi, che hanno profondamente inciso sul sistema delle fonti nel lavoro pubblico e sull’introduzione di un nuovo modello amministrativo, si ricorda il D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, recante “Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della Legge 23 ottobre 1992, n. 421”. Il decreto è stato successivamente modificato, fino a essere completamente sostituito dal D.Lgs. 28 marzo 2001, n. 165, recante

“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle

amministrazioni pubbliche”.

Con l’adozione del decreto legislativo n. 29/1993 il legislatore ha compiuto la prima privatizzazione del pubblico impiego, sulla scia della riforma del 1983 che ha costituito il primo passo verso l’introduzione della contrattazione collettiva nel campo dell’impiego pubblico.

30

S. BATTINI, “Al servizio della Nazione? Verso un nuovo modello di disciplina della dirigenza e del personale pubblico”, op. cit., p. 2.

(46)

Il decreto n. 29 del 1993 ha stabilito che i rapporti di pubblico impiego, salvo alcune significative eccezioni, sono regolati dal Codice civile, dalle leggi speciali e dai contratti collettivi alla stregua dei rapporti di lavoro privati31.

Con la riforma del ‘93 il legislatore ha approvato il principio di separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa per tutte le pubbliche amministrazioni32, riservando ai dirigenti l’attività gestionale e di direzione amministrativa ed al ministro il potere di indirizzo e coordinamento politico; agli organi di governo era riservata l’individuazione degli obiettivi generali e dei programmi da realizzare e la verifica della corrispondenza dei risultati dell’attività espletata agli indirizzi impartiti; alla dirigenza spettava la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica.

31

Sul piano delle fonti, le norme fondamentali per la disciplina del rapporto di lavoro contrattualizzato nelle pubbliche amministrazioni sono le disposizioni del Codice civile e le leggi sui rapporti di lavoro privato nell’impresa, il D.lgs. n. 165/2001 ed i contratti collettivi di comparto, aggiornati e rivisti dalla cospicua produzione normativa.

32

Per “illustrare” il principio di separazione, Battini ricorda la proposta per la Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, allora presieduta dall’on. Nilde Jotti, presentata il 31 marzo 1993 da un gruppo di studiosi, “espressione della migliore scienza giuridica amministrativistica”, e cita Fabio Merusi, Vincenzo Cerulli Irelli, Sabino Cassese.

Si veda, in proposito, S. BATTINI, “Il principio di separazione fra politica e amministrazione in Italia”, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2012, pp. 2-3.

(47)

Si può affermare che si trattava di una scelta di codificare in tutte le pubbliche amministrazioni il principio della separazione tra politica e amministrazione, già introdotto nell’ambito dell’ordinamento delle autonomie locali con la L. n. 142/1990, e del primo tentativo di elaborare un nuovo ruolo dirigenziale, con l’attribuzione della piena responsabilità per il funzionamento delle strutture ed il raggiungimento degli obiettivi, secondo un’autonomia nella gestione del proprio ufficio, al fine del conseguimento degli obiettivi fissati in sede politica.

I principi cardine della riforma, per quanto di interesse, sono i seguenti:

- l’attribuzione dell’autonomia gestionale ed operativa ai dirigenti;

- l’affermazione del principio di responsabilità dirigenziale;

- la semplificazione delle qualifiche dirigenziali: si è passati da tre a due qualifiche, dirigente generale e dirigente;

- la modifica dei criteri di reclutamento e formazione: mutati in modo incisivo, con la riforma della Scuola superiore della pubblica amministrazione, oggi Scuola nazionale dell’amministrazione;

Le finalità del D.Lgs. n. 29/1993 possono essere sintetizzate di seguito: accrescere l’efficienza delle amministrazioni pubbliche, razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenere la spesa complessiva per il personale, diretta e

(48)

indiretta, entro i vincoli della finanza pubblica, migliorare l’utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni.

Con il D.Lgs. n. 29/1993, grazie ad una sinergia tra le forze politiche ed il sindacato confederale, con il favore della dottrina, prendeva forma la contrattualizzazione del pubblico impiego33, lasciando qualche problema irrisolto in tema di dirigenza: veniva fissato un doppio regime, una dirigenza cosiddetta “generale”, più vicina ai vertici politici, sottoposta al regime pubblicistico, ed una dirigenza subordinata, “di secondo livello”, con rapporto di lavoro in regime contrattualistico (che verrà successivamente sanato con il D.Lgs. n. 80/1998).

La distinzione delle sfere di competenza tra indirizzo e gestione non ha determinato, comunque, l’interruzione dei reciproci condizionamenti e influenze tra politica e burocrazia, che il legislatore ha inteso disciplinare.

33

L. ZOPPOLI, “Legge, contratto collettivo e autonomia individuale: linee per una riflessione sistematica vent’anni dopo la privatizzazione”, Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 5, 2013, p. 713 ss.

A distanza di due decenni dal mutamento legislativo connesso all’assetto delle fonti di disciplina del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, nella riflessione di Zoppoli il modello privatistico di regolazione dei rapporti di lavoro pubblico è qualificato come una “grande riforma in via di dileguamento”.

(49)

1.3.3 La seconda privatizzazione: i decreti legislativi n. 80/1998 e n. 387/1998

Prima che si completasse la fase della prima privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici, il legislatore è nuovamente intervenuto con la cosiddetta “seconda” privatizzazione della dirigenza pubblica per portare a compimento la riforma, conferendo al Governo una delega con la legge n. 59 del 1997 da cui sono poi derivati i successivi decreti n. 80 e n. 387 del 1998.

La cosiddetta “seconda privatizzazione” del pubblico impiego è stata compiuta con la legge 15 marzo 1997, n. 59, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”.

Dalla legge n. 59/1997, cosiddetta prima Bassanini, sono scaturiti il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, “Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59”, e il successivo D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, “Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80”.

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Con la legge delega del ‘97 l’azione del legislatore era finalizzata a riformare il modello di funzionamento pubblico attraverso un esteso decentramento di competenze amministrative dallo stato alle regioni ed agli enti locali, secondo il principio di sussidiarietà, già previsto dal trattato di Maastricht, in modo da valorizzare, nell’allocazione delle competenze, il livello di governo più vicino al cittadino.

Il legislatore è tornato sulla figura dirigenziale, al fine di dare organicità al complessivo progetto di riordino dell’amministrazione pubblica (proseguito anche in seguito con le leggi n. 127/1997 e n. 191/1998), teso ad un ridisegno degli apparati ministeriali e ad un decentramento delle funzioni amministrative, anche nell’ottica della semplificazione e del federalismo amministrativo.

L’art. 11 della legge delega del ‘97 invitava il Governo a completare l’integrazione della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato, anche al fine di delineare una separazione tra compiti e responsabilità di direzione politica e compiti e responsabilità di direzione delle amministrazioni.

Con il D.Lgs. n. 80/1998 il regime di diritto privato è stato esteso anche ai dirigenti generali delle amministrazioni pubbliche, che erano stati esclusi dalla prima privatizzazione. La riforma è importante perché ha introdotto nel nostro ordinamento una sorta di sistema di spoils system in coincidenza con la formazione del nuovo governo, che riguarda le figure apicali della dirigenza pubblica e prevede la temporaneità degli incarichi.

(51)

In sintesi, i punti salienti della riforma del 1998 sono stati i seguenti:

- inserimento dei dirigenti statali, compresi quelli di più alto livello, in un ruolo unico articolato in due fasce;

- contrattualizzazione del rapporto di lavoro di diritto per i dirigenti della pubblica amministrazione;

- conferimento di tutti gli incarichi dirigenziali statali a tempo determinato, con durata compresa fra i due e i sette anni, con facoltà di rinnovo;

- rinnovo degli incarichi alla scadenza del contratto, a discrezione del soggetto conferente; prima della scadenza del termine, gli incarichi dirigenziali possono essere revocati in caso di inosservanza delle direttive generali o di risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione ovvero per la risoluzione consensuale del contratto.

Il D.Lgs. n. 80/1998 ha previsto che il ministro godesse di speciali poteri di intervento nell’area riservata alla dirigenza, in tre situazioni particolari, in caso di inerzia o ritardo da parte del dirigente nell’adozione di atti o provvedimenti, protrattosi oltre il termine perentorio fissato dal ministro; in secondo luogo, in caso di grave inosservanza di direttive generali da parte del dirigente competente, che determinino pregiudizio per l’interesse pubblico, nel caso di adozione di provvedimenti o atti illegittimi. Nelle prime due ipotesi, il ministro poteva nominare un commissario ad acta, dandone comunicazione al Presidente del

(52)

Consiglio dei ministri; nel terzo caso, è stato introdotto il potere ministeriale di annullamento degli atti dirigenziali per motivi di legittimità.

A livello locale, è stata la legge 3 agosto 1999, n. 265, “Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990, n. 142”, preceduta dalla legge 15 maggio 1997, n. 127, “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”, a fissare chiaramente il principio della separazione, tra le funzioni di indirizzo politico e quelle del vertice burocratico, a cui sono richieste le funzioni di amministrazione e gestione delle risorse pubbliche.

Con la succitata norma il legislatore ha fissato anche negli enti locali l’inderogabilità del principio della separazione, in termini di espletamento delle funzioni, di esercizio della competenza e di assunzione delle relative responsabilità, tra gli organi di indirizzo politico ed i vertici dell’amministrazione locale.

Il nuovo modello della figura dirigenziale locale ha comportato un ampliamento di competenze, di autonomia e di responsabilità in relazione agli obiettivi da realizzare ed alla gestione delle risorse umane, finanziarie e tecniche assegnate.

Nell’ambito degli interventi normativi realizzati nel biennio 1997-1998, con l’estensione del regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti

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