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Il parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto legislativo

3. LA RIFORMA DELLA DIRIGENZA: LA LEGGE N 124/2015 E LO

3.5 Il parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto legislativo

Il Consiglio di Stato ha depositato in data 14 ottobre 2016 il parere, obbligatorio ma non vincolante per l’esecutivo, sullo schema di decreto legislativo recante “Disciplina della dirigenza della Repubblica”, adottato sulla base dell’art. 11 della legge 7 agosto 2015, n. 124.

Il parere n. 2113 del 14 ottobre 2016 contiene numerosi rilievi: da un lato, l’organo consultivo ha espresso condivisione in merito all’intendimento che ha mosso il Governo nella predisposizione del provvedimento, dall’altro vengono rilevate una serie di censure di eccesso di delega, o proposte di correzione, sia a livello tecnico-giuridico che a livello stilistico, sia sul piano del sistema delle fonti.

Tra i rilievi espressi dalla Commissione Speciale di Palazzo Spada sulla riforma della dirigenza pubblica presentata dal Governo, emergono una lunga serie di “condizioni indefettibili” che comprendono la costituzionalità, la fattibilità e la questione finanziaria.

Il Consiglio di Stato ha presentato delle osservazioni su alcuni meccanismi di regolazione del rapporto di lavoro dirigenziale che presiedono alla nuova

disciplina, evidenziando che questi potrebbero ripercuotersi negativamente sulla legittimità delle previsioni normative.

Tra le condizioni necessarie per assicurare che il rapporto di lavoro dei dirigenti venga disciplinato nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, vi sono precise regole che i giudici ritengono che debbano essere garantite.

Le condizioni che sono state poste in rilievo per l’effettivo funzionamento della riforma comprendono il profilo costituzionale: nel complesso e delicato rapporto fra politica e amministrazione - di cui è stata fatta una breve trattazione nel secondo capitolo; per un’analisi più approfondita si rimanda al quarto - per assicurare che il rapporto di lavoro dei dirigenti venga disciplinato nel pieno rispetto costituzionali è di fondamentale importanza che sia assicurata ai dirigenti pubblici una forte autonomia, che potrebbe essere messa a rischio dall’impianto della riforma in argomento.

Il Consiglio di Stato ritiene che debbano essere garantite precise regole al fine di assicurare:

- procedure e criteri di scelta del dirigente oggettivi, trasparenti e in grado di valorizzare le specifiche professionalità e competenze acquisite nell’ambito dei molteplici settori in cui le pubbliche amministrazioni operano (“Non valorizzano le specifiche professionalità e le competenze acquisite”);

- la durata ragionevole dell’incarico che, evitando una eccessiva precarizzazione del rapporto di lavoro, consenta al dirigente di perseguire, con continuità, gli obiettivi posti dall’organo di indirizzo politico, consolidando l’autonomia tecnica propria del dirigente stesso, ed evitando i pericoli di una autoreferenzialità che mal si concilia con la responsabilità dell’autorità politica di fissare obiettivi (“La durata degli incarichi deve essere ragionevole, evitando la precarizzazione e […] la autonomia del dirigente dalla politica […]”);

- modalità di cessazione degli incarichi soltanto a seguito della scadenza del termine di durata degli stessi, ovvero per il rigoroso accertamento della responsabilità dirigenziale (“La cessazione anticipata del contratto dovrebbe essere eccezionale e conseguente a rigoroso accertamento delle responsabilità dirigenziali”);

- un efficace sistema di valutazione dei dirigenti: siccome le amministrazioni pubbliche saranno chiamate a scegliere i loro dirigenti tramite criteri oggettivi e trasparenti, i giudici evidenziano l’esigenza di un compiuto sistema di valutazione, che l’esecutivo ha ritenuto invece di rinviare al nuovo Testo unico del pubblico impiego. In proposito, il Consiglio di Stato rileva che la disciplina della valutazione dirigenziale è una delle condizioni indefettibili per una riforma organica (“… un difetto evidente è la mancanza di nuovi sistemi di valutazione della dirigenza”).

Nello specifico, i giudici chiedono di riconsiderare la tempistica dell’entrata in vigore delle due riforme in materia di dirigenza pubblica e di disciplina generale del pubblico impiego, valutando eventualmente una specifica regolazione nella fase transitoria, che dovrebbe essere accompagnata da un esplicito cronoprogramma e da una fase di sperimentazione per la verifica dei meccanismi introdotti.

Tra gli altri aspetti rilevati dal Consiglio di Stato sulla fattibilità della norma, si sottolinea l’obbligo di attuare la riforma con invarianza di spesa, obiettivo che sembra irraggiungibile vista la complessità dei meccanismi da attuare.

Nel parere si esprimono perplessità, inoltre, in ordine alla composizione della Commissione per la dirigenza, a cui lo schema di decreto assegna delicate funzioni di garanzia che presiedono all’intero procedimento di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali. In particolare, si rileva come alcuni componenti non siano del tutto indipendenti dagli organi politici né in grado di assicurare un impegno a tempo pieno nell’espletamento delle complesse funzioni ad essi assegnate.

Ai rilievi sopra riportati si aggiunge che la legge delega, nella parte in cui prevede che i componenti della Commissione per la dirigenza vengano “selezionati” non consente, come previsto dalla legge delega, che cinque su sette vengano indicati come componenti di diritto. Tale previsione si pone, inoltre, per i

dirigenti regionali e locali in contrasto con le competenze costituzionali spettanti a regioni ed enti locali109.

Infine, i giudici pongono osservazioni sul conferimento degli incarichi esterni: “Gli incarichi affidati a soggetti esterni dovrebbero essere residuali, perché si prestano ad un uso strumentale e clientelare”, con riferimento al parere

109

Nello specifico, sul piano del sistema delle fonti, è previsto un regolamento che, per gli aspetti afferenti ai ruoli regionali e locali, incide su materie di competenza regionale. Il Consiglio di Stato nel parere in argomento ha ricordato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 303 del 2003, ha ritenuto che i cosiddetti “regolamenti sussidiari” non siano ammissibili in quanto in un sistema di riparto «rigidamente strutturato, alla fonte secondaria statale è inibita in radice la possibilità di vincolare l'esercizio della potestà legislativa regionale o di incidere su disposizioni regionali preesistenti; e neppure i principî di sussidiarietà e adeguatezza possono conferire ai regolamenti statali una capacità che è estranea al loro valore, quella cioè di modificare gli ordinamenti regionali a livello primario».

“La successiva giurisprudenza costituzionale ha ammesso l’adozione di regolamenti governativi anche in ambiti di competenza regionale attratti in sussidiarietà a livello statale (Corte cost. n. 151 del 2005). La disciplina con legge statale di una materia di competenza regionale si estende su tutto l’ambito materiale rilevante, con la conseguenza che non sarebbe neanche astrattamente prospettabile il rischio che una fonte statale secondaria possa condizionare una non esercitata funzione legislativa regionale primaria. Ne consegue che lo Stato potrà regolare la funzione amministrativa attratta in sussidiarietà con atti normativi sia primari che secondari. Chiarito ciò, la Commissione speciale rileva, però, che lo schema di decreto demandi al regolamento di stabilire regole attuative che incidono, per le parti relative alla dirigenza regionale o locale, in ambiti di competenza delle Regioni. Le modalità collaborative con il sistema delle autonomie che devono essere assicurate nella fase di esercizio delle funzioni amministrative contemplate nella fonte statale primaria devono, allo stesso modo, essere previste nella fase di esercizio delle funzioni regolamentari in esame. Si potrebbe, pertanto, estendere il meccanismo delle intese in sede di Conferenza anche ai fini dell’adozione del regolamento in esame”.

n. 252/2009 della Consulta. Si evidenzia che non è compatibile, con il nuovo sistema, il mantenimento del richiamo all’art. 110 del vigente D.Lgs. n. 267/2000, che prevedere regole particolari di conferimento degli incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’amministrazione locale.